“Alpi”, Grecia, 2011

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Esce nei cinema un nuovo film greco intitolato “Alpi” di Yorgos Lanthimos che ha vinto l’Osella per la migliore sceneggiatura alla 68ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Un bambino canta una canzone per la sua mamma, la stessa che le cantava in occasione dell’onomastico. Per illudersi la madre lo mette sulle ginocchia e si commuove fino al pianto. La mamma dice alla figlia che è tornata sola dalla partita: “Adesso mettiti le scarpe e bevi un po’ di acqua. Dopo la partita di tennis ricordati di bere sempre tant’acqua”.

Sia il bambino che la ragazza tennista sono morti. In entrambi i casi si finge la vita prima della morte.

La storia del bambino è tratta da un scrittore surrealista, Raymond Roussel. Nel Locus Solus Roussel ha creato una storia di “una risurrezione artificiale” dei morti. Il protagonista del libro, Cantarel, sperimentando sui cadaveri,  inventa due sostanze: il “vitalium” e la “risurettina”. Inseriti nel cervello causano una scarica elettrica che produce una risurrezione temporale del corpo umano. Una volta rianimato, il morto ricostruisce i momenti validi della sua vita. Per farlo comunque ha bisogno dell’aiuto dei vivi per conservare l’equilibrio dei suoi movimenti. Ci si trovano tante persone che vogliono vedere i propri cari ancora una volta. E proprio qui che troviamo il punto di tangenza con il film “Alpi” dal quale viene la storia della ragazza tennista. “Alpi” rappresenta un gruppo di persone (infermieri, ginnasta e il suo allenatore) che rendono servizi straordinari. I membri di “Alpi” sostituiscono i morti. Le persone che hanno perso un proprio caro possono prendere in prestito uno dei membri che si incarna in un deceduto. “Alpi” aiuta le persone che non possono elaborare il lutto. Il servizio non è gratuito, aggiungerei.

Come ha scritto Freud in un saggio di 1915 “Lutto e melanconia”, a differenza della malinconia non consideriamo il lutto uno stato patologico e non affidiamo il soggetto che ne è afflitto al trattamento del medico. Confidiamo, invece, che il lutto verrà superato dopo un certo periodo di tempo e riteniamo inopportune qualsiasi interferenza. Come scrive il creatore della psicanalisi, “nel lutto il mondo si è impoverito e svuotato, nella melanconia lo è l’io stesso”.

Nel mondo degli „Alpi” il lutto viene confuso con la malinconia. Qui è vietato morire, si regge la vita per forza fino al momento in cui il lutto diventa una malattia. La ripetizione degli stessi brani della vita dei defunti come nel libro di Roussel, ci fa ricordare che la vita è solo un ruolo da interpretare. Fino al momento in cui l’infermiera impersona la ragazza, tutto va bene. Comunque, privata del ruolo essa perde il senso di ogni cosa. Svolgendo un ruolo i protagonisti coprono la solitudine. Trasformando la quotazione di Freud, nel mondo in cui non c’è il lutto, non c’è il mondo, c’è solo l’io stesso con la stessa melanconia. “Alpi”, come il titolo del libro stesso, è un locus solus affascinante .

Il film è tenuto all’interno di una poetica naturalista, brutale e persino iperrealista. Dopo il “Dogtooth” dello stesso regista e “Attenberg” di Athina Rachel Tsangari –  film cosiddetti “New Greek Wave” – è il caso di andare a vedere anche questo nuovo film greco che di sicuro possiamo chiamare cinema d’avanguardia.