Józef Piłsudski, padre dell’indipendenza polacca

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Il nome di Józef Piłsudski è probabilmente ignoto alla maggior parte degli italiani, ma è un nome significativo nella storia della Polonia, giacché è il padre della sua indipendenza, riconquistata nel 1918 dopo 123 anni di dominazione straniera.

Piłsudski nacque a Zułowo (oggi Zalavas, in Lituania) il 5 dicembre 1867. Dopo la maturità conseguita a Vilna nel 1885 si iscrisse alla facoltà di medicina, ma la partecipazione ad associazioni studentesche clandestine e la vicinanza a gruppi legati a Narodnaja Volja, l’organizzazione responsabile dell’attentato in cui era morto lo zar Alessandro II nel 1881, determinarono il suo arresto e la sua deportazione in Siberia nel 1887. Tornò a Vilna soltanto 5 anni più tardi.

Nel 1893 divenne uno dei leader del partito socialista polacco e l’anno successivo iniziò la pubblicazione di un giornale clandestino, Robotnik (l’operaio). Arrestato nuovamente nel 1900, riuscì a evadere e riparare in Galizia. Dopo lo scoppio della guerra russo-giapponese si diresse a Tokyo nel 1904, con la speranza di ottenere un sostegno alla causa dell’indipendenza polacca. I giapponesi acconsentirono alla fornitura di armi ai socialisti polacchi ma rifiutarono l’offerta di costituire una legione polacca che combattesse al loro fianco contro i russi e non presero l’impegno di appoggiare la Polonia sulla scena internazionale.

Con lo scoppio della rivoluzione in Russia nel 1905, i socialisti polacchi si spaccarono. Piłsudski divenne il capo della “Fazione rivoluzionaria”, che si opponeva a coloro che ritenevano necessario collaborare con i rivoluzionari russi nel rovesciare lo zar. Presagendo lo scoppio di una guerra in Europa, costituì con l’acquiescenza dell’Austria un’organizzazione paramilitare responsabile di numerosi attacchi alle truppe russe e di un furto di oltre 200 mila rubli.

Durante la prima guerra mondiale si schierò con gli imperi centrali e sotto il comando degli austriaci guidò le legioni polacche contro la Russia. Tuttavia, specialmente dopo che diventò chiaro che Germania e Austria avrebbero perso la guerra, intuì la necessità di prendere le distanze dagli imperi centrali e l’interruzione di questa collaborazione gli costò l’arresto. Venne successivamente scarcerato l’8 novembre del 1918, tre giorni prima della firma dell’armistizio.

Tornato a Varsavia, divenne comandante in capo dell’esercito polacco, proclamò l’indipendenza del paese l’11 novembre e si adoperò alla creazione di un governo nazionale e alla ricostruzione della Polonia. Tra il 1919 e il 1920 combatté di nuovo contro i russi nel tentativo di espandere la Polonia verso est e costituire una nuova federazione multietnica, erede della vecchia Confederazione polacco-lituana. La guerra si concluse con la soddisfazione solo parziale delle aspirazioni territoriali di Piłsudski e quello di ricostituire la Confederazione restò soltanto un sogno.

Dopo le elezioni presidenziali del 14 dicembre 1922, alle quali non si candidò, passò le redini del paese a Gabriel Narutowicz, assassinato soltanto due giorni dopo da un estremista di destra. L’evento scosse Piłsudski, fino a quel momento convinto che la Polonia potesse diventare una democrazia in senso proprio. Continuò a collaborare al governo del paese e alla sua stabilizzazione fino all’aprile del 1923, quando si dimise da capo delle forze armate e si ritirò a vita privata.

Nell’immaginario comune la Polonia è la prima vittima dello scoppio della seconda guerra mondiale, perché è con la sua invasione da parte del Terzo Reich nel settembre del 1939 che il conflitto cominciò. Tuttavia, prima della guerra, il paese non fu estraneo alla deriva autoritaria che investì paesi come l’Italia e la Germania. Di fronte all’instabilità dei governi democratici, nel 1926 Piłsudski fece un colpo di stato militare e instaurò un regime dittatoriale. Divenne ministro della guerra, carica che mantenne in tutti i successivi governi, due dei quali furono da lui stesso guidati. Morì il 12 maggio del 1935.