La Polonia al femminile

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La Polonia, come ogni Paese europeo, ha subito nell’ultimo secolo parecchi cambiamenti per quanto riguarda il ruolo e la posizione delle donne nella società. La mia generazione, cioè quella delle ragazze nate negli anni ‘80, può (quasi) liberamente avvalersi dei risultati del movimento femminista occidentale, anche se in alcuni settori c’è ancora molto da recuperare sotto il punto di vista della parità di genere.

Oltre all’indipendenza polacca, nel 2018 celebriamo il centesimo anniversario dei diritti elettorali delle donne in Polonia. Anche se nel 1918 in teoria potevano votare, alle donne non era concesso di occupare posizioni professionali di rilievo: la partecipazione delle polacche agli organi del potere legislativo ed esecutivo tra il 1918 e il 1939 era minima (2% al Sejm e 5% al Senato). La prima donna polacca a occupare il ruolo di Primo Ministro è stata Hanna Suchocka, che ha guidato il Paese tra il 1992 e il 1993. Dal dicembre 2001, Suchocka è Ambasciatrice della Polonia presso la Santa Sede, membro della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali in Vaticano e del Consiglio Mondiale delle Donne Leader.

Ancora negli anni ‘30 dello scorso secolo le polacche non potevano svolgere professioni legali. Il divieto derivava dalla convinzione che le donne fossero troppo sensibili per assistere alle udienze – a volte drastiche – che si verificavano durante i processi. La prima donna giudice è stata Wanda Grabińska, che nella sua domanda di ammissione è ricorsa ai diritti garantiti dalla Costituzione, secondo la quale tutti i cittadini hanno uguale diritto di accesso alle cariche pubbliche. Nel 1938 in tutta la Polonia solo sette donne svolgevano la funzione di giudice, mentre una lavorava come Pubblico Ministero.

Il matrimonio con cittadini stranieri era vietato: secondo la legge sulla cittadinanza polacca del 1920, le donne perdevano questo privilegio nel momento in cui sposavano un cittadino di un altro paese. Per molte ciò comportava la rinuncia a svolgere professioni che richiedevano la cittadinanza polacca (ad esempio il medico o l’infermiera). Al contrario, un uomo che sposava una donna straniera non perdeva alcun diritto.

Anche i diritti all’interno del matrimonio scarseggiavano e solo nel 1921 le donne polacche hanno cessato di essere legalmente obbligate ad obbedire ai loro mariti. A partire dagli anni ‘30 hanno ottenuto il diritto di intraprendere azioni legali a prescindere dalla volontà del marito: potevano testimoniare e avevano il diritto di disporre della loro proprietà, a meno che questa non fosse sotto il controllo del marito (per legge o per contratto).

In realtà, non avevano nemmeno il diritto di possedere la loro proprietà. In Polonia, la tradizione della separazione dei beni ha meno di 70 anni. In precedenza, la legge indicava che moglie e marito avevano una proprietà comune, che comprendeva anche la dote. Solo nel 1946 è stata introdotta la possibilità parziale per le donne di detenere una proprietà e un conto in banca.

Non c’era accesso alla contraccezione: le prime pillole contraccettive sono apparse in Polonia 50 anni fa, ma la loro distribuzione inizialmente era molto limitata. Le prime pillole contraccettive sono state prodotte nel 1969 dalla Jelenia Góra Pharmaceuticals.

Per quanto riguarda il diritto all’aborto, tema caldo anche di questi tempi, un regolamento emanato dal Presidente della Repubblica nel 1932 prevedeva che l’interruzione di gravidanza fosse confermata da due medici, che fossero diversi da colui che avrebbe condotto l’intervento. Il sospetto che la gravidanza si fosse verificata a causa di violenza sessuale doveva essere accompagnato da un adeguato certificato del procuratore. Oggi la delicata vicenda riguardante il diritto all’aborto è accompagnata da una vivace discussione e da innumerevoli proteste da parte delle donne. Costituisce un punto estremamente controverso nell’attuale politica polacca.

Arrivando ai giorni nostri, le statistiche del GUS (Istituto Centrale di Statistica) pubblicate a febbraio 2018 rivelano che oltre il 60% delle donne polacche è in possesso di un diploma universitario o di scuola superiore. Negli ultimi 10/15 anni il salto maggiore è stato fatto nella gestione del potere: secondo una classifica compilata da Forbes nel 2016, l’indicatore dell’influenza femminile nella società polacca ottiene un punteggio di 36, a fronte di una media europea del 48 (il conteggio va da 0 a 100). Nell’indagine sono prese in considerazione tre sottocategorie: il potere politico (numero di ministre, deputate e governatrici locali), l’autorità sociale (numero di donne nelle istituzioni che decidono sul finanziamento della ricerca scientifica, così come nei media e nelle federazioni ed organizzazioni sportive) e il potere economico (il numero di donne nei consigli di amministrazione delle grandi aziende e della Banca Nazionale Polacca NBP). Mentre la Polonia può vantare un numero alto nel campo del potere politico e del potere economico, siamo ancora al limite quando si parla di media, sport e ricerca. Le donne sono ancora scarsamente rappresentate in alcune professioni “tipicamente maschili”, principalmente nelle scienze “tecniche” e informatiche. Non si tratta di una mancanza di competenze, ma piuttosto di alcuni pregiudizi e stereotipi, che rimangono ancora vivi nonostante l’evoluzione della società.