La Polonia nelle Memorie di Giacomo Casanova

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1713

Casanova giunse a Varsavia il 10 ottobre 1765, dopo aver trascorso nove mesi in Russia. La situazione politica della Polonia era allora assai difficile. Il Paese era immenso, comprendeva ancora le attuali Lituania, Bielorussia e quasi tutta l’Ucraina, la popolazione ammontava a quasi 14 milioni (a titolo di confronto, intorno al 1770 l’Italia aveva circa 16,5 milioni di abitanti), ma era un Paese ridotto allo stremo dal malgoverno dei re sassoni, dalle prepotenze degli Stati limitrofi, e anche dall’incoscienza e dall’egoismo della propria classe dirigente, dei famosi magnati cui ubbidiva la szlachta, la nobiltà che godeva di tutti i diritti, mentre i ceti inferiori ne erano praticamente privi.

Morto Augusto III di Polonia e di Sassonia, nel settembre 1764 venne eletto re – per volontà della zarina Caterina II che spedì in Polonia le sue truppe – il giovane Stanislao Poniatowski (nato nel 1732), che avrebbe regnato con il nome di Stanislao Augusto. Esponente di spicco della fazione filorussa capeggiata dalla potentissima famiglia Czartoryski, egli si trovò subito osteggiato dalla battagliera fazione filosassone cui appartenevano un buon numero di magnati e la maggioranza dei nobili, decisamente contrari alla Russia. Il giovane sovrano, colto, intelligente e ambizioso, cui cominciava a pesare la tutela dei Czartoryski, durante i primi anni del suo regno visse piuttosto isolato, in un clima di avversione e di maldicenze, considerato dai più un arrivista indegno della corona. Malvisto dai connazionali, tendeva a circondarsi di stranieri, tra i quali non mancarono gli italiani.

Casanova arrivò quindi in un Paese tutt’altro che tranquillo e in una capitale che era un vero vespaio: il re con il suo entourage prevalentemente straniero, i prepotenti diplomatici russi e prussiani, i seguaci dei Czartoryski e della fazione opposta vi si incrociavano sospettosi o apertamente ostili, tra diverbi, diatribe, risentimenti, malumori e pettegolezzi. Ciò non toglie che a Varsavia, dove le grandi famiglie polacche avevano le loro residenze, vi fosse una vita mondana molto intensa: frequentissime le feste, i balli, i pranzi e i ricevimenti vari, numerosi i teatri in cui si esibivano innanzi tutto le compagnie straniere. Non molto tempo prima, negli anni 1748-1749 e 1754, il pubblico di Varsavia aveva potuto applaudire la madre di Giacomo, Zanetta Farussi Casanova, attrice della compagnia italiana di Andrea Bertoldi in tournée nella capitale polacca.

Nel 1765 Casanova era un quarantenne molto navigato: aveva girato l’Italia e mezza Europa, fatto mille mestieri, avuto mille avventure, guadagnato e sperperato una montagna di denaro. Negli ultimi tempi, però, non riuscì a combinare niente né a Berlino, né a San Pietroburgo. Allora perché non tentare la sorte a Varsavia, presso un re amico degli stranieri? Arrivò nella capitale polacca munito di commendatizie che gli aprirono le porte del palazzo di un Czartoryski, dove fu subito presentato a Stanislao Augusto. La migliore società di Varsavia lo accolse a braccia aperte, dove l’ottima conoscenza del francese gli permise di comunicare senza nessuna difficoltà con i suoi anfitrioni, visto che questa lingua era parlata dalla quasi totalità dei polacchi colti.

Una bella vita, dunque; ciononostante Casanova non è contento. Aspira a un impiego a corte, forse come segretario del re, e deve comportarsi da persona seria, rinunciare al gioco e alle donne. I soldi, che riceve da Venezia tramite un negoziante polacco, non sono pochissimi, ma non gli bastano lo stesso; deve comparire, pagare l’alloggio, la carrozza, due servitori, essere sempre elegantemente vestito. Comincia a frequentare la prima biblioteca pubblica polacca, fondata una ventina di anni addietro dal vescovo Józef Andrzej Załuski, noto storico e avversario dichiarato dei Czartoryski e della loro politica filorussa. Viene a conoscere il dotto vescovo, con cui ha lunghi colloqui su argomenti storici e di attualità. I contatti con Załuski gli permettono di raccogliere una quantità considerevole di notizie di prima mano – ma tutt’altro che obiettive – sugli sviluppi politici in Polonia, che egli metterà poi a frutto nella sua Istoria delle turbolenze di Polonia. Tuttavia, la sua familiarità con Załuski gli aliena assai probabilmente il clan dei Czartoryski. Riesce però ad avvicinarsi al re; frequenterà regolarmente il Castello Reale per conversare con Stanislao Augusto durante il rito mattutino della pettinatura, ma non leggeranno insieme l’Ariosto, benché il sovrano abbia espresso inizialmente tale desiderio. Il fatto è che il re, come leggiamo nella versione italiana dei “Mémoires” (Storia della mia vita, III, Mondadori, 1996), “capiva l’italiano, ma non abbastanza bene per parlarlo e ancor meno per gustare il grande poeta”.

Comunque, l’agognato posto di segretario regio gli sembra più vicino; ma il diavolo ci mette la coda. Nel marzo del 1766 Casanova litiga, a causa di una ballerina italiana, con un generale polacco amicissimo del re, Franciszek Ksawery Branicki, e, ritenendosi offeso, molto coraggiosamente lo sfida a duello. Ferisce l’avversario piuttosto gravemente e riporta egli stesso una leggera ferita. Si trova poi in pericolo di vita, perché un feroce subalterno del generale intende vendicarlo. Riparato in un convento, viene tormentato dai chirurghi polacchi che vorrebbero amputargli la mano ferita, temendo la cancrena, o forse per far piacere a Branicki. Riesce a salvare la mano e stende una dettagliata relazione dell’accaduto che sarà pubblicata in italiano con il titolo “Il duello” nei suoi “Opuscoli miscellanei” (Venezia, 1780) ed entrerà dopo, con qualche modifica, a far parte dei Mémoires.

Decide poi di assentarsi per un po’ di tempo da Varsavia aspettando che le acque si calmino, e probabilmente anche per poter guadagnare qualcosa al tavolo da gioco, lontano dalla corte. Compie quindi un viaggio di circa sei settimane nella Polonia sudorientale, ricevuto da alcuni magnati nei loro vasti possedimenti. A Krystynopol, in Ucraina, visita il ricchissimo Franciszek Salezy Potocki, voivoda di Kiev. A Zamość, bel borgo rinascimentale, Klemens Zamoyski gli mette a disposizione “un appartamento bello ed elegante, ma sprovvisto di tutto: in Polonia, infatti, si usa così, perché si suppone che un uomo dabbene viaggi con tutto ciò he gli occorre”. A Lwów (oggi Lviv) lo ospita l’influente Katarzyna Kossakowska, acerrima nemica del re, come il veneziano giustamente ribadisce; purtroppo non possono comunicare, perché la dinamica signora non conosce né il francese, né l’italiano. A Podhorce in Podolia lo riceve Wacław Rzewuski, alto grado militare, ma anche autore di opere teatrali e poeta.

Rientra a Varsavia verso la fine di giugno e si accorge immediatamente che tutti, il re compreso, gli sono contrari. Invece di festeggiarlo, gli si chiede perché sia tornato. Riceve poi una lettera anonima che spiega i motivi di tale atteggiamento nei suoi confronti: si sarebbe sparsa la voce che lui fosse un pessimo soggetto, per averne combinate di tutti i colori a Parigi (ed era vero). Quanto alle sue gesta parigine – l’imbroglio ai danni della credula marchesa d’Urfé, le cambiali false – a parlarne a Varsavia fu quasi certamente Marie-Thérèse Geoffrin, rinomata intellettuale e amica carissima di Stanislao Augusto, arrivata nella capitale polacca il 22 giugno 1766 su invito del sovrano. Ma il colpo di grazia lo diede al veneziano colui che egli considerava un ottimo amico, August Moszyński, architetto di corte e uomo di fiducia del re. Casanova, nelle Memorie, lo chiama “una persona veramente squisita” e “il generoso Mossinski (sic)”, senza sapere che fu proprio lui a rovinarlo. In quel torno di tempo Moszyński scrisse infatti a Stanislao Augusto una lettera che costituisce un vero e proprio atto di accusa contro il veneziano, definito pericoloso intrigante, baro e spia, oltre che scroccone. Ai primi di luglio Casanova riceve l’ordine di lasciare Varsavia; il re, che ci teneva a non inimicarsi troppo gli stranieri di qualche importanza, gli regala però la bella somma di mille ducati, con cui potrà pagare i propri debiti. Parte dalla capitale polacca intorno alla metà di luglio 1766, diretto a Breslavia, appartenente allora alla Prussia. La Polonia, tuttavia, tornerà presto al centro della sua attenzione: infatti, pochi anni più tardi, scriverà un’opera ad essa dedicata.

A differenza dei Mémoires, la scrive in italiano. Il titolo completo suona: “Istoria delle turbolenze di Polonia dalla morte di Elisabetta Petrovna fino alla pace fra la Russia e la Porta ottomana” (Gorizia, 1774). L’opera riguarda l’arco di tempo che va – o che piuttosto dovrebbe andare, perché dei previsti sette volumi ne nasceranno soltanto tre – dal 1762 al 1770 circa. Si tratta di un periodo effettivamente molto turbolento e confuso – basti menzionare la guerra civile provocata dalla cosiddetta Confederazione di Bar, schiacciata poi dai russi – che precede immediatamente la prima spartizione del Paese (1772). Come abbiamo già avuto modo di accennare, l’Istoria è basata in larga misura sui materiali raccolti dall’autore a Varsavia, nella biblioteca pubblica e soprattutto conversando con testimoni oculari o comunque con personaggi bene informati, anche se non proprio imparziali, come il vescovo Załuski. Fu una mole di notizie troppo spesso contraddittorie – gli esponenti della fazione filorussa non raccontavano di sicuro le stesse cose che i loro avversari politici – che si rivelò troppo pesante per il povero Casanova. Il suo libro è farraginoso, vi manca un filo conduttore, l’autore vi si perde ogni tanto lui stesso; probabilmente anche per questo ebbe delle difficoltà con il suo editore goriziano che lo indussero a interrompere la stesura dell’opera. Ciononostante l’Istoria merita la nostra attenzione per la vastità del suo impianto, per la ricerca di una documentazione direttamente alle fonti, e soprattutto per una serie di giudizi corrispondenti alla verità storica: il ruolo determinante della Russia, l’importanza dell’intervento turco, la carenza di un forte potere interno in Polonia, la contraddizione tra la libertà sfrenata dei nobili che rende ingovernabile lo stato e la feroce schiavitù che opprime i contadini, cioè la stragrande maggioranza della popolazione.

Il libro di Casanova, interrotto a metà, non ebbe certamente molta diffusione; malgrado i suoi difetti, esso rimane a testimoniare l’interesse per le drammatiche sorti della Polonia nella seconda metà del XVIII secolo, che vi fu in Italia e in particolar modo nella Repubblica di Venezia, anch’essa ormai molto debole e minacciata dallo straniero.

 

 

L’autore dell’articolo: Krzysztof Żaboklicki è professore all’Università di Varsavia, traduttore di libri dall’italiano al polacco e autore del testo “Storia della letteratura italiana” (Titolo originale: Historia literatury włoskiej, Casa Editrice PWN, 2008).