Stary Młyn

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Grzegorz Wojciechowski, mio padre, racconta una storiella particolare ogni volta che gli viene chiesto il perché ha lasciato la città, un lucroso business, un comodo appartamento in centro ed i suoi amici raccolti durante quarant’anni della sua vita a Łódź. Aveva appena vent’anni quando la sua lontana zia lo chiamò per invitarlo nel suo podere nella Polonia centrale. Grzegorz sapeva che la zia, discendente di un ramo di nobili latifondisti, disponeva di un patrimonio di centinaia di ettari, una piccola palazzina, stalle oltre a numerosi edifici di industria agricola tra cui addirittura un mulino e una piccola fucina. Quando si incontrarono la zia gli propose l’eredità in cambio dell’impegno di mio padre di occuparsene in prima persona senza vendere nulla e assicurando una tranquilla pensione alla zia. Grzegorz però scappò la stessa notte, senza dire una sola parola alla zia. Secondo me non c’è poi tanto da stupirsi, per un giovane e curioso del mondo questo sembrava una responsabilità troppo grande. Era la fine degli anni Sessanta e lo stato comunista polacco cercava di eliminare qualsiasi grande proprietà terrena rimasta nelle mani dei privati, per trasferirle sotto il controllo dei PGR (Aziende Agricole Nazionali). Così alla fine diedero alla zia di mio padre una casa in città e una bella pensione in cambio del podere. Cresciuto e poi padre di tre figli mio padre si pentì spesso di aver rifiutato l’offerta della zia, ma allo stesso tempo chi di noi sarebbe contento di restare incatenato per il resto della vita in un unico luogo, e per di più nell’età in cui ci si sente in grado di poter far tutto?

Quel ricordo dell’occasione persa insieme all’amore per la vita di campagna che in fondo è parte dello spirito del popolo polacco, spinse mio padre a cercare il modo di sostituire l’eredità perduta. Da piccolo ho viaggiato in tutta la Polonia con miei genitori, sia andava in vacanza ma in ogni luogo Grzegorz si informava dei costi di un qualche piccolo podere, una casa vecchia in mezzo al nulla, un mulino… Finché una sera mio padre tornò da uno dei suoi viaggi solitari e mostrandoci fiero dalla porta gli stivali di gomma sporchi di fango gridò a mia madre: “guarda Beata, questo è il fango dalla Nostra terra!”.

E così, siamo diventati Masuri, ovvero idealisticamente parte di quel popolo antico delle terre al nord della Masovia, dove scorrazzarono per secoli i cavalieri teutonici, i prussiani e quindi l’Armata Rossa. Territori ritornati polacchi dopo la seconda guerra mondiale in cui furono insediati polacchi trasferiti forzosamente da paesi e terre che un tempo facevano parte della Polonia: Ucraina Occidentale, Bielorussia, Lituania.

Il podere acquistato da mio padre era una valle stretta tra alberi e paludi e un ruscello che cominciava la sua vita nelle poco lontane colline Dylewskie. Il nonno materno venuto a visitare la futura casa della sua unica figlia, munito di capello e bastone di mogano, sentenziò: “… palude, moschini e malaria”. Grzegorz però era deciso: “qui, tra queste melma ricostruirò un mulino che mi è stato tolto, così come è stato tolto ai poveri tedeschi che da questo luogo dovettero scappare cinquant’anni fa.” E nel tempo farà di tutto per renderlo come se fosse stato costruito un secolo e mezzo fa. Una visita al vicino museo all’aria aperta di architettura di Masuria a Olsztynek diede ai miei genitori l’ispirazione per la costruzione del podere. Così la casa, il mulino che ospita la pensione, la stalla e i vari edifici circostanti hanno muri, tetti e finestre nello stile prussiano e il modernissimo Ytong è stato coperto di mattoni recuperati dalle macerie dei vecchi edifici prussiani. Inoltre la casa è situata nell’esatto posto dove fu costruito un mulino all’inizio del diciassettesimo secolo. Non solo la casa ma anche i rialzamenti e i quattro laghetti che circondano il mulino sono posizionati seguendo i segni lasciati dagli interventi di chi visse questo luogo nei secoli. Si può ancora vedere la vecchia diga prussiana, un viale di salici che portava da un villaggio all’altro lungo il fiume e vicino al centro della industria agricola di un tempo, ovvero al mulino. Insomma, tutto è lì come se le guerre non avessero toccato questa terra, eccetto il banja russo, voluto dai miei genitori amanti della sauna, e realizzato dai maestri ucraini capaci di costruire ancora come ai vecchi tempi.

Tutto ciò crea un clima fuori dal tempo, che forse ha influito sia sulla mia scelta di cercare la tradizione, gli antichi stili di vita e studiare storia dell’arte, sia quella di mio fratello Filip di scrivere sull’architetto ideatore dello “stile prussiano” di Schinkl, sia sui produttori della serie televisiva di TVP “Miłość nad Rozlewiskiem” e chi sa a cosa spingerà Jakub, mio fratello più piccolo….

Stary Młyn nad Rozlewiskiem ricostruisce una realtà perduta che inevitabilmente colpisce e ammalia i nostri ospiti e induce ad immaginare come sarebbe bella una terra senza guerre e distruzioni, un’Europa multiculturale e ricca di diverse espressioni di vita e di persone che amano e rispettano la natura.

Un’oasi nel cuore della Masuria

Stanco dei quotidiani ritmi frenetici della vita varsaviese, un giorno ho accettato la proposta di Matis Wojciechowski di passare un week end allo Stary Mlyn. Il tempo di preparare una frugale valigia e siamo partiti in direzione Ostroda. Man mano che ci allontanavamo da Varsavia il paesaggio, ed anche il traffico, si ammorbidivano mentre ascoltavo il racconto della storia che lega i Wojciechowski allo Stary Mlyn. Guidavo immaginando di veder galoppare eserciti di cavalieri teutonici su quella natura che man mano diventava sempre più ondulata. Panorami sagomati da glaciazioni che oggi sono oasi di libertà e natura a poche ore di macchina dalla capitale. Dopo circa tre ore abbiamo svoltato dalla strada principale diretta a Ostroda, Elblag e quindi a Danzica, per infilarci in una remota arteria, contrappuntata ai lati da filari di alberi. Un muretto di sassi segna l’entrata dello Stary Mlyn, all’indirizzo Nastajki 14, 14-100 Ostróda. Si scende qualche metro e si arriva nel piazzale tra la vecchia stalla, il lago e la casa adiacente al mulino. C’è silenzio. Ritrovo il piacere di ascoltare i mie passi sulla pavimentazione a ciottoli. La sensazione è di essere finiti in una dimenticata ruga di una natura selvaggia intrisa di corsi d’acqua che è ancora in grado di imporre i suoi ritmi all’uomo. La famiglia Wojciechowski, papà, mamma, e i fratelli più giovani Filip e Jakub, ci accolgono calorosamente. Matis è il figliol prodigo che di tanto in tanto torna all’ovile, io vengo trattato come quarto fratello. Nei tre giorni passati a Stary Mlyn la tavola era perennemente imbandita, in cucina l’infaticabile Beata sfornava senza sosta ottime pietanze della tradizione polacca, Grzegorz raccontava affascinanti storie e avventure di quelle terre. Nella dependance che confina con il mulino di tanto in tanto mi rifugiavo in pause lettura sprofondando sulla poltrona con vista sul caminetto mentre dalle finestre si vede e si ascolta il moto eterno del mulino spinto e schiaffeggiato dall’acqua. Quando esce il sole i colori si ravvivano ed è impossibile resistere al piacere di uscire a vagare tra i laghetti. E poi la sera attraversare il ponticello per raggiungere la casetta in legno-banja, al cui interno, sul tavolo illuminato a lume di candela ho giocato la partita a Risiko più strana della mia vita, alternando gli spostamenti delle armate alle sudate dentro la cabina-sauna riscaldata a legna e ai tuffi notturni nel lago gelido. È così che Stary Mlyn è diventato un ricordo indelebile e un luogo in cui tornare per sintonizzarsi sui ritmi imposti dalla natura.

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