Vitigni d’Italia: il tokaj friulano

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Che l’Italia e la Francia si contendano da sempre il primo posto quanto a Paesi produttori di vino è noto a tutti, anche ai non addetti ai lavori. Gli scaffali con i vini Italiani e i vini Francesi sono ovunque quelli più ampi nei supermercati e nei negozi di tutto il mondo.

jakot tokajNon tutti però sanno che l’Italia supera di gran lunga la Francia in quanto a numero di vitigni autoctoni, cioè vitigni che sono presenti da sempre, da quando è dato storicamente accertare, sul suo territorio in aree più o meno ampie di esso. Si calcola che contro i circa 500 vitigni autoctoni italiani la Francia possa opporne una quarantina appena. Certo, alcuni di quelli francesi hanno avuto successo nel mondo e sono diventati anzi ‘gli internazionali’, perchè si sono dimostrati capaci di attecchire e di produrre ottimi vini un po’ dovunque. Basti pensare all’onnipresente Cabernet Sauvignon o al Sauvignon blanc entrambi di origine bordolese, o all’altrettanto onnipresente Chardonnay proveniente dalla Borgogna. Ma in prospettiva futura, la ricchezza e la diversità del patrimonio ampelografico italiano può rivelarsi, e si sta già rivelando, la carta vincente nella competizione sul mercato globale.

In questa serie di articoli a tema enogastronomico, faremo una carrellata sui vitigni d’Italia, dai più caratteristici a quelli che solo da poco sono saliti all’onore delle cronache.

Uno dei vitigni fortemente legato alle tradizioni della regione in cui è ampiamente diffuso e si esprime ai massimi livelli, è il tocai. In Friuli il vino da tocai è il classico ‘bianco’ servito in osteria all’ora dell’aperitivo quando si chiede il tajut, il ‘taglietto’, ad indicare il segno sul bicchiere che indicava il giusto livello di liquido da servire. Che questo vitigno sia particolarmente amato dai friulani lo dimostra anche un detto locale per cui “cul Tocai a sparissin duc’i mai”(col Tocai spariscono tutti i mali).

Purtroppo da un paio d’anni il nome tradizionale di questo vitigno e del vino che se ne ottiene è stato bandito in seguito a una disputa legale con l’Ungheria che ne chiedeva l’uso esclusivo per il vino proveniente dalla regione di Tokaji, e si sa, le denominazioni territoriali hanno sempre la precedenza su quelle della varietà di uva. Basti però, a testimoniare la profondità del legame con la sua terra di origine, il nome scelto a sostituire quello bandito: semplicemente friulano.

È probabile che i frequenti scambi tra questa regione e i paesi dell’Europa centro orientale siano alla base del cortocircuito linguistico per cui il vitigno più rappresentativo del Friuli sia anche il nome di una città dell’Ungheria, e del suo vino – famosissimo nel mondo. Un cortocircuito in cui tutti rivendicano la primogenitura del nome. In un documento del 1632 nel patto matrimoniale tra la contessa Aurora Formentini e il conte ungherese Adam Batthyany erano comprese “300 viti di tocai” che la sposa portava in dote, il che testimonia la presenza in Friuli di viti ‘tocai’ ancora più antica.

Ma la battaglia sul nome in realtà non avrebbe ragione di esistere se si guarda a quello che questi nomi indicano: due vini completamente diversi l’uno dall’altro. Dolce e intenso il Tokaji ungherese, sempre secco il Tocai friulano. Considerando anche il particolare non secondario per cui il vitigno alla base del vino ungherese non è affatto il tocai friulano, bensì un vitigno autoctono locale, il furmint. Che qualcuno poi giocando con l’etimologia delle parole ha voluto collegare per assonanza al nome della suddetta contessa friulana … Insomma una matassa linguistica difficile da sbrogliare.

Un primo dato di chiarezza si è fatto recentemente studiando il DNA delle uve e stabilendo piuttosto un legame del tocai friulano con il sauvignonasse, un vitigno un tempo piuttosto diffuso in Francia.

In Friuli la battaglia persa sul nome ha generato molti malumori e c’è anche chi, non si vuole rassegnare a non scrivere più sulle proprie bottiglie che quello è vino Tocai, e quindi continua a farlo … magari scrivendolo al contrario (vedi figura).

Come vitigno, il tocai dà una produzione buona e costante ma risente degli eccessi di umidità. Predilige terreni di media fertilità calcarei non troppo siccitosi. Per questo ha trovato sistemazione ideale nelle zone collinari calcaree del Collio Goriziano e nella zona ciottolosa delle Grave in Friuli, che garantiscono un buon drenaggio allontanando i pericoli di ristagno dell’acqua e di eccessiva umidità.

Il vino prodotto da queste uve non è particolarmente aromatico, e accanto a note fruttate presenta solitamente sentori di fiori bianchi e vegetali. In bocca è rotondo, a volte strutturato, spesso poco acido. Presente una nota amara che diventa preponderante se vinificato male. Le migliori espressioni di questo vino vanno bevuti dopo due o tre anni dalla vendemmia, e allora esprimono fino in fondo la finezza del gusto e i tipici sentori minerali e una nota amarognola di mandorla e fieno.

Si sposa egregiamente a piatti di pesce alla brace, spaghetti alle vongole, tacchino al forno, e per tradizione si può abbinare a prosciutto di San Daniele durante l’aperitivo. Se vogliamo tentare un abbinamento con piatti tipici della cucina polacca è sicuramente da provare con la cotoletta di maiale ‘schabowy’ o un arrosto, sempre di maiale. Buono anche l’abbinamento con un piatto di sushi.

Il tocai friulano essendo ampiamente diffuso in Friuli e in parte anche in Veneto, entra a far parte di molte delle denominazioni di origine di queste regioni. Tra le principali ricordiamo solo Collio Goriziano, Colli orientali del Friuli, Friuli-Grave, Friuli-Isonzo e Lison-Pramaggiore.

In Polonia è possibile trovare alcuni vini di tocai dei produttori leader della regione quali Russiz Superiore e Roncus a prezzi che oscillano intorno ai 90 Z?oty a bottiglia.

 

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