Sandrone Dazieri – Alla ricerca dell’origine del male

0
11
Fot. Mario Tirelli

Con Sandrone Dazieri ci incontriamo lo scorso maggio in una stanzetta dell’ufficio stampa della Fiera Internazionale del Libro di Varsavia. Le pareti di carta ci separano dalla folla di appassionati lettori affamati di incontri con gli autori preferiti e alla ricerca di nuovi e interessanti libri. Fuori si sente un ronzio continuo ma riusciamo a parlare di varie sfumature della scrittura, dei segreti per costruire un buon personaggio e dell’origine del male. Il suo libro “Il male che gli uomini fanno” (il quarto in traduzione polacca dopo “Il re di denari”, “L’Angelo” e “Uccidi il padre”) è stato pubblicato quest’anno da Sonia Draga.

Per anni hai fatto il giornalista, lo sceneggiatore, il pubblicista e ti sei occupato di politica. Perché sei passato alla scrittura?

Quando ero ragazzo uno dei miei desideri era fare il giornalista ma mi sono reso conto che gli argomenti che interessavano a me, molto spesso non interessavano ai giornali con cui collaboravo. Mentre a me interessava andare a scavare quello che era l’underground di Milano di quel periodo perché venivo da quel mondo e volevo farne un po’ da portavoce. Ovviamente questo non è stato possibile e allora mi sono detto che per raccontare delle storie dal mio punto di vista le devo inventare. Quindi usare la fiction come modo per creare una storia universale che raccontasse quello che mi interessava. Ho cominciato con un personaggio che era un po’ il mio alter ego in quel mondo e gli ho dato voce in cinque romanzi. 

“Il male che gli uomini fanno” è molto cinematografico, ha un bel ritmo, come lo ottieni? 

Il lavoro che ho sempre fatto va un po’ contro lo stile del giallo contemporaneo italiano, perché tolgo tutto quello che non serve a creare tensione o a creare una storia vera e propria. Una storia laterale può esserci ma in connessione alla storia gialla. Devo dire che la sceneggiatura un po’ mi aiuta, perché con la sceneggiatura tu in 90 pagine devi raccontare ad esempio la vita di una persona che ha vissuto 100 anni. Il bello del cinema è che attraverso le immagini hai la capacità di stringere e in un’ora, diciamo in 100 minuti, raccontare tutto quello che vuoi. Questo cerco di farlo anche attraverso i libri. Dove è possibile togliere, tolgo. Il mio tentativo è sempre quello di far entrare le persone nella storia. Poi “Nel male che gli uomini fanno” era ancora più particolare, perché da un lato c’era ancora la mia ricerca dell’origine del male. E per farlo vedere ho pensato che dovevo costruire due storie parallele una nel passato, una nel presente, che raccontassero in modo differente la stessa caccia all’assassino nell’arco di trent’anni, senza sovrapporsi. Devo dire che è stato un lavoro complesso.

Questa storia ha anche una tripartizione di generi, perché c’è il noir del passato, il thriller del presente e anche un po’ di horror.

C’è l’horror con Amala, che è l’unica vera eroina del libro. Una ragazzina che viene rapita e torturata. Ed è l’unica veramente innocente, che ha il coraggio di lottare non solo per la propria vita, ma anche contro questo male. Non si lascia andare, cerca un modo per scappare, reagire e comunicare con qualcuno che pensa sia un altro prigioniero. Mentre tutti gli altri non sono degli eroi, quasi tutti sono delle persone che sbagliano. Nel passato abbiamo la poliziotta Itala che pensa alla fine di aver risolto il problema, ma in realtà l’ha solo spostato in avanti. Così come Gerry che pensa di risolvere le cose ammazzando la gente, ma anche questo non funziona. E comunque sì, l’idea era proprio questa, che fosse un noir con dentro un thriller, oppure un thriller con dentro un noir con dentro un horror, perché sono tutti i generi che mi piacciono.

I personaggi che costruisci per le tue storie sono sempre molto forti e carismatici. Come sono nati i personaggi di questo libro?

Io ho un processo simile per tutti i personaggi importanti, ovvero uso il metodo Stanislavskij secondo cui l’attore per provare le emozioni autentiche deve pensare a una cosa che lo riporta a sentire davvero la rabbia, tristezza ecc. Io faccio lo stesso: quei personaggi devono essere me se io fossi loro, o meglio, se io fossi nato donna, se avessi vissuto quello che ha vissuto Itala, come sarei? Come reagirei al mondo? Se io fossi un assassino malato, che ha subito queste cose, come mi agirei nel mondo? Cosa penserei? In qualche modo i personaggi principali sono sempre le mie proiezioni come se fossero delle parti di me a cui do un’identità. E ogni volta mi faccio questa domanda: cosa sarebbe successo se io fossi nato in quel modo? 

Incontro con l’autore alla Fiera Internazionale del Libro di Varsavia, (da sinistra) moderatore Adam Szaja smakksiazki.pl, interprete Natalia Mętrak-Ruda, Sandrone Dazieri / fot. Simone Mutti

Mi chiedo però se nel mondo dove il male è onnipresente e non ci fa più impressione quasi fossimo anestetizzati al male, esiste ancora la necessità di raccontare storie del genere? 

Allora, io cerco di raccontare le cose per far vedere quello che c’è dietro la superficie. Se io ti racconto l’omicidio, ti racconto una storia di questo omicidio, ti racconto una storia dell’assassino, della vittima, le ragioni, quello che è accaduto, l’ambiente, cos’è che porta a questo. E questo è un livello di approfondimento che si va a perdere. Adesso tutto passa ai talk show e diventa molto superficiale. Non si va a fondo nelle cose. Si dovrebbe veramente indagare su quello che accade, anche perché si scoprirebbe che il 90% di quello che succede dipende dalle condizioni di vita delle persone: la povertà, anche quella intellettuale e culturale. La gente vive male, soffre, non ha soldi, ha paura per il futuro, i giovani non hanno lavoro. E quindi tu devi raccontare che ci sono sempre delle cause sociali e politiche alle cose che accadono. E questa è una cosa che spesso non si vuole sentire. Si preferisce dire: quello che ha ucciso è un mostro. E quindi io cerco di interrogarmi, non credo nei mostri, credo nelle persone che stanno male. Poi sono dell’idea che la maggior parte delle persone sia brava solo che vivono in un mondo dove essere delle brave persone è considerato una diffusa sciocchezza. Credo anche che la maggior parte delle persone messe di fronte a una verità, a una spiegazione o a un racconto, la possono capire, commuoversi e arrabbiarsi. È importante permettergli di ricevere questo tipo di informazioni e di racconto che non c’è nella TV o sui giornali. E quindi, io scrivo dei libri e spero sempre che qualcosa rimanga. Diciamo che voglio che tu ti diverta ma quando chiudi il libro ti rimanga anche qualche cosa. Questo è il mio tentativo.