Giulio Andreotti cardinale senza tonaca della politica italiana

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di Lino Bortolini

 

Nato a Segni, piccolo paese della Ciociaria, a tre anni rimase orfano del padre, deceduto a seguito di una malattia contratta al fronte della I^ guerra mondiale. La mamma allevò tre bambini con la misera pensione di vedova di guerra. Una mamma triste e taciturna che si incupì alla morte della figlia appena diciottenne. Giulio Andreotti visse un’infanzia di povertà e di tristezza passata in parrocchia come capo dei chierichetti e  a in amicizia con tre seminaristi, unici compagni di gioco, ma tutti tre infine diventati cardinali.  Durante l’estate la mamma lo mandava a Roma dalla nonna e dalla zia Mariannina.

Le stesse gli diedero alloggio in seguito perchè potesse frequentare le scuole superiori nel Liceo Tassoni insieme ai figli della grande nobiltà romana. In quella scuola conobbe ragazzi diventati poi famosi registi, attori, professionisti, imprenditori.

Da studente universitario si iscrisse alla FUCI facendosi notare per il suo attivismo. Presidente della Federazione Universitari Cattolici Italiani era Aldo Moro che nel 1943 fu chiamato alle armi. Andreotti lo sostituì nella carica senza che Moro avesse dato le dimissioni. Per evitare di fare il militare si era fatto assumere come bibliotecario in Vaticano dove già lavorava Alcide De Gasperi. Lo sponsorizzava all’epoca il cardinale Montini, futuro Paolo VI. De Gasperi Andreotti e Moro con la benedizione di Papa Pacelli, rifondarono un partito che Mussolini aveva sciolto: la democrazia Cristiana. Andreotti era dotato di una intelligenza eccezionale, ma le radici del suo successo si possono riassumere sinteticamente già partendo dalla sua infanzia e gioventù. La mancanza del padre e la infinita depressione della madre gli instillarono nella mente e nel cuore quella freddezza lucida ed po’ cinica che mai lo abbandonò. La frequentazione dei seminaristi prima e del Vaticano poi gli aprì dal punto di vista psicologico strade normalmente impensabili  verso una visione distaccata del mondo. Ma fu soprattutto la burocrazia vaticana a permearlo di sagacia, pazienza e prudenza nel memorizzare le notizie e valutarle sotto diverse prospettive.

Andreotti si creò da subito, appena eletto deputato e segretario di De Gasperi un archivio personale minuzioso, ordinatissimo e col tempo diventato immenso, dove andava registrando corrispondenze, documenti, assemblee, interviste in modo da potersi eventualmente difendere e casomai, a sua volta, accusare.

La conoscenza di famiglie fra le più importanti della aristocrazia romana lo portò a sviluppare per conto del Vaticano, che aveva ricevuto da Mussolini, grandissimi terreni alla periferia di Roma, una spregiudicata urbanizzazione che avrebbe fruttato immense ricchezze speculative.

La amicizia con registi ed attori molto famosi spinse Andreotti ad erogare molti contributi per la ricostruzione di Cinecittà e questa lo ricambio’ con una strepitosa e crescente pubblicità sulla sua figura di astro della politica, di ministro e Premier.

Tutta la provincia di Frosinone, la Ciociaria nella quale lui era nato, fu investita da una industrializzazione quasi forzata. Da quelle parti, a Fiuggi, si tenevano sempre più frequentamente i congressi della Democrazia Cristiana, gli incontri politici più importanti e reclamizzati. Era il suo serbatoio di voti preferenziali.

Il declino della sua figura cominciò con lo scandalo dei petroli scoperto nel 1980. Fu salvato dal doversi difendere in tribunale dall’accusa di corrotto e corruttore da un voto del Parlamento. Ma in seguito subì a Perugia una condanna come mandante dell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli che lo aveva duramente attaccato sull’argomento tangenti in uno scandalo che appunto riguardava il contrabbando di petroli. Poi fu assolto per insufficienza di prove in appello.

Rimase dimostrato il fatto che Andreotti aveva nominato il comandante della Guardia di Finanza, finito in galera, che era stato al Comiliter di Palermo e frequentatore di Lima capo della corrente andreottiana in Sicilia. Contro Andreotti furono intentati 27 processi per scandali vari riferiti alla sua DC. Fu sempre assolto per insufficienza di prove dopo che aveva in ogni occasione dichiarato di non saperne nulla. Disse a questo proposito: “Non mi accusano delle guerre puniche solo perchè sono successe tanto tempo fa!”.

In realtà la sentenza di Palermo che sancì la sua contiguità con la mafia  e nello stesso tempo lo assolve solo per la prescrizione del reato resta una gravissima e infamante macchia nera sulla sua immagine di uomo e di politico.

Altro episodio storico che intercetta la vita di Andreotti fu la fine di Aldo Moro. Tutti sanno che se Aldo Moro fosse stato liberato dalle Brigate Rosse avrebbe provocato la disfatta sia della Democrazia Cristiana, ma in particolare la fine politica di Andreotti, che aveva ottenuto la fiducia al suo sesto governo proprio il giorno del suo rapimento, sia quella del partito comunista di Enrico Berlinguer. Moro in sostanza fu sacrificato alla real politique proprio dai suoi più fidati.

La DC ed il PCI restaurarono le istituzioni corrotte che provocarono però a distanza di pochi anni il crollo della Prima Repubblica e l’indebitamento dello Stato che ancora oggi, e chissà per quanti anni ancora, grava sull’Italia tutta.

Giulio Andreotti nel suo profilo curvo di grande mediatore e di brillante ma cinico interprete di un mondo cattolico ormai scomparso, come illustra Forattini in una sua ultima vignetta che lo presenta al suo arrivo davanti a San Pietro sulla porta dell’aldilà, si e’ portato via nella sua gobba una scatola nera contenente tanti piccoli e grandi segreti. Che dire della sua interpretazione del mondo cattolico? Che dire delle tante tangenti fatte da lui affluire in Vaticano sul conto Spelman? Il cardinale senza tonaca fu per 50 anni lo statista della Democrazia Cristiana, ma si può dire che fu vero statista un uomo così terribilmente di parte?

Le sue battute piu’ celebri :

– il potere logora chi non ce l’ha

– tra il vero ed il falso c’è sempre una via di mezzo. Basta dire le cose a metà

– la legge è fatta per essere interpretata

– meglio tirare a campare che tirare le cuoia

– chi non vuol fare sapere una cosa non deve confidarla nemmeno a se stesso

A proposito della spartizione delle tangenti con tutti i partiti e dello spreco della pubblica amministrazione: “quando ce n’è, ce n’è per tutti!”

Il tempo ha accantonato Andreotti perchè Andreotti era figlio del suo tempo: un furbissimo opportunista, un preparatissimo impiegato dello stato, ma anche un mancato innovatore e modernizzatore.