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Stary Młyn

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Grzegorz Wojciechowski, mio padre, racconta una storiella particolare ogni volta che gli viene chiesto il perché ha lasciato la città, un lucroso business, un comodo appartamento in centro ed i suoi amici raccolti durante quarant’anni della sua vita a Łódź. Aveva appena vent’anni quando la sua lontana zia lo chiamò per invitarlo nel suo podere nella Polonia centrale. Grzegorz sapeva che la zia, discendente di un ramo di nobili latifondisti, disponeva di un patrimonio di centinaia di ettari, una piccola palazzina, stalle oltre a numerosi edifici di industria agricola tra cui addirittura un mulino e una piccola fucina. Quando si incontrarono la zia gli propose l’eredità in cambio dell’impegno di mio padre di occuparsene in prima persona senza vendere nulla e assicurando una tranquilla pensione alla zia. Grzegorz però scappò la stessa notte, senza dire una sola parola alla zia. Secondo me non c’è poi tanto da stupirsi, per un giovane e curioso del mondo questo sembrava una responsabilità troppo grande. Era la fine degli anni Sessanta e lo stato comunista polacco cercava di eliminare qualsiasi grande proprietà terrena rimasta nelle mani dei privati, per trasferirle sotto il controllo dei PGR (Aziende Agricole Nazionali). Così alla fine diedero alla zia di mio padre una casa in città e una bella pensione in cambio del podere. Cresciuto e poi padre di tre figli mio padre si pentì spesso di aver rifiutato l’offerta della zia, ma allo stesso tempo chi di noi sarebbe contento di restare incatenato per il resto della vita in un unico luogo, e per di più nell’età in cui ci si sente in grado di poter far tutto?

Quel ricordo dell’occasione persa insieme all’amore per la vita di campagna che in fondo è parte dello spirito del popolo polacco, spinse mio padre a cercare il modo di sostituire l’eredità perduta. Da piccolo ho viaggiato in tutta la Polonia con miei genitori, sia andava in vacanza ma in ogni luogo Grzegorz si informava dei costi di un qualche piccolo podere, una casa vecchia in mezzo al nulla, un mulino… Finché una sera mio padre tornò da uno dei suoi viaggi solitari e mostrandoci fiero dalla porta gli stivali di gomma sporchi di fango gridò a mia madre: “guarda Beata, questo è il fango dalla Nostra terra!”.

E così, siamo diventati Masuri, ovvero idealisticamente parte di quel popolo antico delle terre al nord della Masovia, dove scorrazzarono per secoli i cavalieri teutonici, i prussiani e quindi l’Armata Rossa. Territori ritornati polacchi dopo la seconda guerra mondiale in cui furono insediati polacchi trasferiti forzosamente da paesi e terre che un tempo facevano parte della Polonia: Ucraina Occidentale, Bielorussia, Lituania.

Il podere acquistato da mio padre era una valle stretta tra alberi e paludi e un ruscello che cominciava la sua vita nelle poco lontane colline Dylewskie. Il nonno materno venuto a visitare la futura casa della sua unica figlia, munito di capello e bastone di mogano, sentenziò: “… palude, moschini e malaria”. Grzegorz però era deciso: “qui, tra queste melma ricostruirò un mulino che mi è stato tolto, così come è stato tolto ai poveri tedeschi che da questo luogo dovettero scappare cinquant’anni fa.” E nel tempo farà di tutto per renderlo come se fosse stato costruito un secolo e mezzo fa. Una visita al vicino museo all’aria aperta di architettura di Masuria a Olsztynek diede ai miei genitori l’ispirazione per la costruzione del podere. Così la casa, il mulino che ospita la pensione, la stalla e i vari edifici circostanti hanno muri, tetti e finestre nello stile prussiano e il modernissimo Ytong è stato coperto di mattoni recuperati dalle macerie dei vecchi edifici prussiani. Inoltre la casa è situata nell’esatto posto dove fu costruito un mulino all’inizio del diciassettesimo secolo. Non solo la casa ma anche i rialzamenti e i quattro laghetti che circondano il mulino sono posizionati seguendo i segni lasciati dagli interventi di chi visse questo luogo nei secoli. Si può ancora vedere la vecchia diga prussiana, un viale di salici che portava da un villaggio all’altro lungo il fiume e vicino al centro della industria agricola di un tempo, ovvero al mulino. Insomma, tutto è lì come se le guerre non avessero toccato questa terra, eccetto il banja russo, voluto dai miei genitori amanti della sauna, e realizzato dai maestri ucraini capaci di costruire ancora come ai vecchi tempi.

Tutto ciò crea un clima fuori dal tempo, che forse ha influito sia sulla mia scelta di cercare la tradizione, gli antichi stili di vita e studiare storia dell’arte, sia quella di mio fratello Filip di scrivere sull’architetto ideatore dello “stile prussiano” di Schinkl, sia sui produttori della serie televisiva di TVP “Miłość nad Rozlewiskiem” e chi sa a cosa spingerà Jakub, mio fratello più piccolo….

Stary Młyn nad Rozlewiskiem ricostruisce una realtà perduta che inevitabilmente colpisce e ammalia i nostri ospiti e induce ad immaginare come sarebbe bella una terra senza guerre e distruzioni, un’Europa multiculturale e ricca di diverse espressioni di vita e di persone che amano e rispettano la natura.

Un’oasi nel cuore della Masuria

Stanco dei quotidiani ritmi frenetici della vita varsaviese, un giorno ho accettato la proposta di Matis Wojciechowski di passare un week end allo Stary Mlyn. Il tempo di preparare una frugale valigia e siamo partiti in direzione Ostroda. Man mano che ci allontanavamo da Varsavia il paesaggio, ed anche il traffico, si ammorbidivano mentre ascoltavo il racconto della storia che lega i Wojciechowski allo Stary Mlyn. Guidavo immaginando di veder galoppare eserciti di cavalieri teutonici su quella natura che man mano diventava sempre più ondulata. Panorami sagomati da glaciazioni che oggi sono oasi di libertà e natura a poche ore di macchina dalla capitale. Dopo circa tre ore abbiamo svoltato dalla strada principale diretta a Ostroda, Elblag e quindi a Danzica, per infilarci in una remota arteria, contrappuntata ai lati da filari di alberi. Un muretto di sassi segna l’entrata dello Stary Mlyn, all’indirizzo Nastajki 14, 14-100 Ostróda. Si scende qualche metro e si arriva nel piazzale tra la vecchia stalla, il lago e la casa adiacente al mulino. C’è silenzio. Ritrovo il piacere di ascoltare i mie passi sulla pavimentazione a ciottoli. La sensazione è di essere finiti in una dimenticata ruga di una natura selvaggia intrisa di corsi d’acqua che è ancora in grado di imporre i suoi ritmi all’uomo. La famiglia Wojciechowski, papà, mamma, e i fratelli più giovani Filip e Jakub, ci accolgono calorosamente. Matis è il figliol prodigo che di tanto in tanto torna all’ovile, io vengo trattato come quarto fratello. Nei tre giorni passati a Stary Mlyn la tavola era perennemente imbandita, in cucina l’infaticabile Beata sfornava senza sosta ottime pietanze della tradizione polacca, Grzegorz raccontava affascinanti storie e avventure di quelle terre. Nella dependance che confina con il mulino di tanto in tanto mi rifugiavo in pause lettura sprofondando sulla poltrona con vista sul caminetto mentre dalle finestre si vede e si ascolta il moto eterno del mulino spinto e schiaffeggiato dall’acqua. Quando esce il sole i colori si ravvivano ed è impossibile resistere al piacere di uscire a vagare tra i laghetti. E poi la sera attraversare il ponticello per raggiungere la casetta in legno-banja, al cui interno, sul tavolo illuminato a lume di candela ho giocato la partita a Risiko più strana della mia vita, alternando gli spostamenti delle armate alle sudate dentro la cabina-sauna riscaldata a legna e ai tuffi notturni nel lago gelido. È così che Stary Mlyn è diventato un ricordo indelebile e un luogo in cui tornare per sintonizzarsi sui ritmi imposti dalla natura.

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POLONIA OGGI – Ministero dello Sviluppo Economico: presto attenuazione degli oneri per le piccole imprese

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Giovedì scorso, durante una conferenza stampa, il ministro dello sviluppo economico, Mateusz Morawiecki, ha presentato il progetto per l’introduzione di strumenti a supporto delle piccole imprese polacche. Esso prevede, tra l’altro, l’attenuazione dello statuto dei lavoratori e la facilitazione del ricupero dei debiti dai creditori. Secondo Morawiecki, le attuali disposizioni scoraggiano gli imprenditori ad assumere un maggior numero di persone, stabilendo l’obbligo di istituire Fondi Sanitari Aziendali e creare un regolamento per il compenso e il lavoro. Per questo motivo non vengono creati nuovi posti di lavoro e vengono firmati più contratti atipici. Il ministero propone quindi un aumento da 20 a 50 la soglia del numero di dipendenti che rende obbligatoria l’istituzione dei fondi. Il progetto disciplina, inoltre, il funzionamento della pubblica amministrazione e la successione delle imprese. Morawiecki ha sottolineato l’importanza di mettere in atto una strategia volta a combattere le zona grigie del Paese, che rappresentano oltre il 24% del PIL polacco.

rp.pl

Ulteriori informazioni: www.gazzettaitalia.pl/it/polonia-oggi

Jesolo, un mare d’attrazioni

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Jesolo è una città evoluta per servizi, comfort, organizzazione della viabilità, sicurezza, qualità, offerta di strutture ricettive e occasioni per il tempo libero. Quindici chilometri di spiaggia dorata e attrezzata, che scende dolcemente verso il mare, che si stendono tra l’ombreggiata Pineta e i più moderni e attrezzati stabilimenti dell’Adriatico. Da 13 anni a Jesolo viene assegnato il riconoscimento internazionale della Bandiera Blu per la qualità dei servizi e la limpidezza del mare. Cui si unisce la Bandiera Verde dei pediatri italiani per essere particolarmente adatta ad accogliere famiglie con bambini. L’isola pedonale più lunga d’Europa, che dalle 8 di sera alle 6 del mattino Jesolo diventa uno sconfinato salotto, traboccante di allegria e  divertimento. L’isola pedonale che può essere percorsa tutta d’un fiato grazie al ‘Gondolino’, un trenino che permette di spostarsi comodamente lungo tutta l’area pedonale.

Sono oltre trecento gli appuntamenti che sono organizzati durante[cml_media_alt id='115160']12[/cml_media_alt] l’anno e fanno di Jesolo una meta turistica attiva d’inverno e d’estate, tra i quali Miss Italia, il Lungomare delle Stelle, Jesolo Air Extreme, mostra Sculture di Sabbia, concerti e tanti eventi sportivi.

Sono quasi quattrocento strutture alberghiere (tra queste due hotel a cinque stelle), oltre a camping, appartamenti, villaggi turistici, tutte strutture ricettive di alta qualità e adatte a soddisfare ogni esigenza.

Jesolo è anche piacere per la buona tavola, tradizione e prodotti della terra a Jesolo si mescolano in un vivace connubio che vede nella ristorazione una delle più importanti eccellenze della città. Tradizione marinaresca da un lato e vita di campagna dall’altro, costituiscono l’essenza del gusto e del mangiar sano, vanto della terra veneta. [cml_media_alt id='115161']dufvnm55dzyta5ft443w45j2cb7ea8448057411394f741c53fcf1652_jolly-roger.jpg[/cml_media_alt]Naturalmente, per una città internazionale come Jesolo, non mancano i sapori di ogni parte del mondo.

Jesolo è anche 150 chilometri di percorsi ciclabili, parchi tematici, un Golf Club, impianti sportivi e grandi eventi.

Jesolo è facilmente raggiungibile grazie ai collegamenti diretti che consentono di raggiungere la città comodamente dagli aeroporti di Venezia e Treviso.

Jesolo, divertimento assicurato!

I parchi di divertimento rientrano tra le eccellenze di Jesolo e sono unici nel loro genere.

[cml_media_alt id='115158']notturna_cuba_libre[/cml_media_alt]E quando il sole scompare all’orizzonte sul mare, a Jesolo c’è tutto un popolo che esce allo scoperto.

JESOLO BY NIGHT: Si comincia con l’aperitivo per poi immergersi nelle atmosfere dei grandi eventi come le grandi feste in spiaggia del Faro. A Jesolo nascono tendenze della notte che diventano must in Italia e all’estero. Decine di locali fanno a gara per proporre ogni sera sensazioni, suoni, colori e spettacoli. Musica e ritmi del mondo passano per Jesolo e grandi sorprese sono attese anche quest’anno.

Jesolo fashion, un’oasi per gli amanti dello shopping

Una località unica, anche nel regalarvi una passeggiata che si estende per tredici chilometri, da un capo all’altro, senza soluzione di continuità tra negozi, ristoranti, locali, piazze e attrazioni.

Lungo il suo percorso sarete stregati dalla bellezza avvolgente del “fashion italiano”. Concept store vi invitano a nuove esperienze sensoriali, a toccare gli oggetti fra giochi di luce ed essenze profumate.
Le creazioni dei più grandi stilisti calamitano l’attenzione da seducenti vetrine. Spazi di tendenza dedicati ai giovani, agli sportivi, ai single e ad altri mind style, o brulicanti e vitali spazi di contaminazione e sperimentazione vi accolgono con linee e forme dall’inimitabile creatività.

In questa strada, bella come un film, tutto l’anno si racconta, si assapora e si acquista il meglio del “Fashion Design” mondiale e del “Made in Italy”.

www.jesolo.it

Szydło: V4 compatto sulle politiche migratorie dell’UE

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“Il Gruppo di Visegrád è compatto sulla politica migratoria dell’UE: non possiamo partecipare a programmi di trasferimento o ad altre forme di gestione centrale dei migranti”. A parlare è Beata Szydło, ieri, in occasione della riunione del V4 a Praga. Il gruppo, di cui Polonia terrà la presidenza per i prossimi 12 mesi, ha discusso di importanti questioni riguardanti il flusso migratorio in Europa, il vertice della NATO a Varsavia e l’imminente referendum in Regno Unito sulla permanenza nell’UE. Parlando della crisi dei profughi, il premier polacco ha sottolineato la prontezza dei paesi della regione nell’aiutare a rinforzare le frontiere esterne dell’Europa ed ha offerto anche aiuto umanitario e cooperazione ai paesi terzi per la lotta contro terrorismo. Sulla questione Brexit la Szydło ha dichiarato che la permanenza del Paese nella Comunità è “vantaggiosa ed attesa da tutti” e che il Regno Unito ha già ottenuto il massimo dall’accordo con l’UE.

rp.pl

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Celon Pharma creerà un antidepressivo dalla ketammina

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La società farmaceutica Celon Pharma ha deciso di dare una nuova vita ketammina, noto come farmaco anestetico o, al di là dell’uso sanitario, come stupefacente. Numerose ricerche hanno dimostrato che la ketammina può risultare un’opportunità per le persone che soffrono di alcune forme di farmaco-resistenza ai normali farmaci per la depressione. La società polacca ha iniziato le ricerche sul farmaco, cambiando leggermente la sua formula e la modalità di somministrazione. Maciej Wieczorek, presidente e fondatore di Celon Pharma, ha annunciato che la società ha ricevuto il consenso per proseguire con le proprie ricerche dall’Agenzia Europea per i Medicinali. Questo beneplacito, aprirà le porte alla registrazione del farmaco sui mercati europei.

 pulsinnowacji.pb.pl

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Il caffè a Napoli, un modo per dire “ti voglio bene”

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In realtà, quando si vuole parlare degli italiani, generalizzare è sempre sbagliato: l’Italia è una penisola che racchiude molteplici culture e tradizioni, talvolta simili, talvolta molto differenti tra loro. Nel nostro bellissimo Paese è possibile trovare almeno venti diverse sfumature di italiano, una per ogni regione. Le regioni che hanno favorito la nascita della maggior parte degli stereotipi internazionali legati alla figura dell’italiano sono forse quelle del Sud Italia: napoletani, calabresi, pugliesi e siciliani in testa.

In questo articolo vi parlerò proprio dei napoletani e vi descriverò in breve come “sopravvivere” all’esperienza di “quarto tipo” con il Popolo Napoletano.

Nel caso vi trovaste nei pressi di Napoli vi consiglio vivamente di visitare la città, per almeno tre motivi: le caratteristiche del luogo, il cibo, i napoletani.

Il suo lungomare, di recente, è stato chiuso al traffico e riservato ai pedoni: è un ottimo luogo per una passeggiata pomeridiana, ad esempio al tramonto, dove potrete godere del bellissimo paesaggio e, in un sol colpo d’occhio, potrete ammirare il golfo di Napoli con le sue isole Ischia, Procida e Capri.

Camminando per il lungomare vi suggerisco di acquistare una porzione di taralli “nzogna e pepe” che, se proprio lo volete sapere, sono fatti con grasso di maiale e pepe.
Il napoletano DOC di solito accompagna questi ottimi taralli con una birretta e magari dopo ci sposa anche una bella “sfogliatella”, riccia o frolla, entrambe eccellenti o, perché no, un ottimo babà che è una variante del babà polacco.

Continuando per il lungomare vi consiglio di visitare Piazza del Plebiscito e via Roma, ottima via per fare shopping. Nelle varie traverse di Via Roma troverete vari locali dove è possibile magiare bene a prezzi ragionevoli. In particolare non può assolutamente mancare la classica pizza napoletana, quella originale, la vera, unica “a pizz”.

Vi consiglio un gusto tradizionale, Margherita o “Marenara”: la prima dedicata alla Regina Margherita e la seconda preferita dai marinai. La vera “marinara” non contiene acciughe.

In generale sulla pizza tradizionale non c’è nè frutta nè pesce, queste sono aggiunte successive, direi addirittura recenti, introdotte per adattare la pizza a tutti i palati.

Se avete studiato a lungo la lingua italiana e vi troverete per i vicoli di Napoli, probabilmente potreste non comprendere la lingua e sentirvi spiazzati. No panic! E’ tutto “normale”, indovinate un po’? La stragrande maggioranza dei napoletani, quando è tra napoletani, parla in… napoletano!!!

Non stupitevi quindi, detto tra noi anche gli Italiani delle altre regioni si comportano allo stesso modo.

Il napoletano è una lingua che unisce al suo interno centinaia di anni di dominazioni, in particolare è possibile cogliere al suo interno fonemi che assomigliano molto a parole arabe, francesi e spagnole.

Non stupitevi allora se le persone si chiamano tra loro a voce alta, se non vengono usati i citofoni, o venite trattati come conoscenti anche la prima volta che incontrate qualcuno. Fa parte della nostra tradizione, del nostro modo di essere, forse eccessivo, forse difficilmente comprensibile perché unico in Italia.

Il napoletano, dicevo, non è un dialetto ma una lingua a parte. Vediamo alcuni esempi che possono aiutare a chiarificare la situazione:

“presto” si dice “ambress”, veramente presto/prestissimo “ambress ambress”,

“adesso” si dice “mò”, ma se vuoi proprio che succeda in questo preciso istante diventa “mò mò”,

“all’ultimo momento” invece diventa “nganne gnanne” (in gola in gola).

Altri termini che doppiano sono “lentamente” che si trasforma nella coppia “chiane chiane”, mentre invece “adagio” diventa “cuonc cuonc”, “completamente” diventa “sane sane”, “meticolosamente” diventa “pile pile” (pelo pelo), “disteso” diventa “luong luong”, “di nascosto” diventa “aumma aumma”.

Il napoletano ha il verbo “eccere”, che è la coniugazione del pronome personale “eccolo”. Viene coniugato sempre in forma presente ed indica contemporaneamente la persona e la lontananza fisica dal soggetto a cui si riferisce:

– oiccan – oilloc -oillan, -oebbiccan -obbilloche -oebbillanne.

Molte delle parole inizianti per “g” perdono la lettera iniziale, ad esempio “gatta”, diventa “jatta”, “genero” diventa “jennere”, giorno ”juorne” poi ci sono altre parole che in italiano iniziano per “s” e in napoletano cambiano in “n’s..” come ad esempio sposato “n’surat”, sporco diventa “n’svat”, sopra “n’coppe”,

Ovviamente con ogniuno di questi termini c’è tanto di gesto associato, ma diventa veramente difficile descriverli testualmente. Non vi preoccupate, li noterete immediatamente appena inizierete la comunicazione con un napoletano.

Gli Italiani ed in particolare i napoletani fanno parte di quel gruppo, che il nostro ingegnere e filosofo contemporaneo Luciano De Crescenzo definisce, “popolo d’amore” insieme a spagnoli, irlandesi, greci e… polacchi! Tutti popoli che preferiscono vivere “abbracciati” l’uno con l’altro invece che seguire la strada della della privacy e dell’individualismo.

Questo porta a essere un po’ “chiacchieroni”, a sapere tutto di tutti, quindi un po’ “càpére” (parrucchiere), ad essere sempre un po’ lamentosi “chiagnazzare” (piangioni, che piangono sempre) ed essere un poco “mmérius” (invidiosi).

Uno degli stereotipi falsi che riguardano il napoletano è che sono stanchi e senza voglia di lavorare, in realtà i napoletani lavorano eccome, anzi, sono alla continua ricerca di lavoro, e quando non c’è, se lo inventano!

Il problema è che, essendo un popolo d’amore, viviamo con tristezza e malinconia la separazione dalla nostra terra, d’altro canto il lavoro per tutti non c’è e quindi… ci si arrangia alla meglio.

L’inventiva napoletana [ma anche polacca – red. ;)] è famosa nel mondo con il nome “arte di arrangiarsi”!

A ben vedere, il napoletano “ten semp ‘a che ffa” (ha qualcosa da fare), vivendo alle falde di un vulcano che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Per il napoletano “vivere” la vita è la priorità n° 1, per cui anche prendere il caffè, incontrare gli amici, cenare con la famiglia sono impegni, cose importanti; una frase classica che potreste sentire è <<scusami, ti devo lasciare tengo promesso un caffè a un amico”.

Il caffè a Napoli è un modo diverso per dire “ti voglio bene, ci tengo a te” anche in senso amicale: non stupitevi quindi di vedere che in continuazione si cerca di “offrire” il caffè l’uno con l’altro, è un gioco d’amore.

Visto che avete avuto la pazienza e la cortesia di leggere interamente questo articolo da buon napoletano vi chiedo, “ve pozz offrì nu bellu cafè?” 🙂

POLONIA OGGI: Nel 2017 arriverà la nuova banconota da 500 zloty

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500 zł

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La NBP (Banca Nazionale Polacca) ha intenzione di introdurre il prossimo anno la nuova banconota da 500 zloty con l’effige di re Giovanni III di Polonia. La ragione dell’introduzione del nuovo valore nominale è la richiesta di nuove banconote. Finora, la NBP, ha rinnovato le banconote da 10, 20, 50 e 100 zloty, per prolungare la loro usabilità. Il nuovo valore nominale diventerà un’esigenza del mercato nel giro di qualche anno, perché la Polonia si sta sviluppando e sta aumentando la richiesta di contanti. “Vent’anni fa erano i 200 zloty la banconota di riserva, oggi dobbiamo introdurre un nuovo formato”, ha commentato il presidente della NBP. Altro motivo dell’introduzione del nuovo valore nominale è che i lavoratori guadagnano di più: negli anni ‘90 il salario minimo era 600 zloty, oggi invece è di 2800 zloty. Inoltre è più conveniente stampare una banconota da 500 zloty invece di due banconote da 200 e una da 100 zloty.

finanse.wp.pl

Ulteriori informazioni: www.gazzettaitalia.pl/it/polonia-oggi

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GAZZETTA ITALIA 57 (giugno-luglio 2016)

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“L’Italia è il Paese dei sogni, del sole, del buon cibo, della cultura e del vino. Amiamo il vostro modo di esprimere le emozioni, il saper vivere, il sorriso alla vita”, parla così Marek Kondrat, in una lunga intervista rilasciata in questo nuovo bellissimo numero di Gazzetta, che ospita altre interessanti interviste a Massimiliano Caldi, direttore d’orchestra alla Filarmonica Baltica di Danzica, e della Filarmonica Moniuszko di Koszalin, a Kasia Likus, esperta di interior design e moda dell’omonimo Gruppo Likus, a Katarzyna Tomaszewska, artista di Breslavia vincitrice del Premio Arte Laguna, e al fotografo Grzegorz Lityński che ha realizzato un curioso e simpatico caleidoscopio di ritratti di italiani che vivono e lavorano in Polonia. Gazzetta poi propone uno spettro di mete last minute in Italia a partire da Jesolo, una delle spiagge adriatiche (in copertina) più ricca di servizi e attrazioni per il turista, e poi ancora Perugia, Camogli, Valle Elvo. In tema di viaggi c’è anche un un approfondimento sulla città di Ząbkowice Śląskie. Come sempre non mancano le tante rubriche di lingua, con un interessante minidizionario del dialetto napoletano, e angolo linguistico, da questo numero in collaborazione con Serafina Santoliquido e di cucina, tra cui la vera storia della carbonara. Insomma tantissimi motivi per godersi Gazzetta Italia, l’unico magazine bilingue polacco-italiano!

Il presidente Duda in Italia per ricordare tre grandi polacchi

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Il presidente Andrzej Duda e sua moglie sono partiti venerdì per l’Italia. Sabato scorso, a Napoli, Duda ha dichiarato che la sua visita è per ricordare tre grandi personaggi polacchi: Gustaw Herling-Grudzinski, Igor Mitoraj e Stanislaw Papczynski. Quest’ultimo è stato canonizzato ieri in Vaticano. Duda si è mostrato molto contento della sua visita ai luoghi della memoria di Herling-Grudzinski proprio il 4 giugno, 27 anni dopo le prime libere elezioni in Polonia. “Gustaw Herling-Grudzinski è stato un grande testimone della nostra storia – ha detto il presidente -. Era contento quando, dopo il 1989, la Polonia ha cominciato a riguadagnare la propria indipendenza e sovranità”. Sabato, il presidente e sua moglie, hanno visitato la mostra a Pompei delle sculture di Igor Mitoraj, dove sono esposte 30 opere monumentali dell’artista polacco, morto nel 2014. Il presidente ha detto che le sculture di Mitoraj sono una importante testimonianza della cultura europea e che l’artista, pur creando le sue opere in Francia e Italia, è rimasto un vero polacco. Il terzo compatriota che il presidente ha voluto ricordare è Stanislaw Papczynski, fresco di canonizzazione in piazza San Pietro. In Vaticano, si è svolto ieri un incontro tra i coniugi Duda e Papa Francesco.

pap.pl

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La Venaria Reale

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Il complesso della Venaria Reale, alle porte di Torino, è un unicum ambientale-architettonico dal fascino straordinario, uno spazio immenso, vario e suggestivo, dove il visitatore non può che restare coinvolto in atmosfere magiche raccolte in un contesto di attrazioni culturali molteplici: spettacoli, eventi, concerti, mostre d’eccezione si alternano infatti ad occasioni di svago, contatti diretti con la natura, relax, intrattenimento sportivo e cultura enogastronomica.

La Venaria Reale è il Borgo antico cittadino, scrigno di eventi e vicissitudini storiche, è l’imponente Reggia barocca che, con i suoi vasti Giardini, rappresenta uno dei più significativi esempi della magnificenza dell’architettura e dell’arte del XVII e XVIII secolo. I nuovi splendori e la strepitosa qualità delle architetture della Reggia restaurata, l’immensità e la bellezza dei Giardini e degli spazi naturali del Parco, consentono di trascorrere amabilmente il proprio tempo immergendosi in sensazioni nuove e cogliendo esperienze diverse, secondo una concezione moderna ed alla portata di tutti i palati. La Venaria Reale, dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità, si colloca al centro del circuito delle Residenze Reali del Piemonte ed è connessa con il sistema museale di Torino.

La Venaria Reale non è un “museo”, ma una “Reggia per i contemporanei”: un grande spazio ed un’opportunità irrinunciabile dedicati al piacere, alla gioia di vivere. Quasi ogni giorno alla Venaria si alternano concerti, spettacoli, esibizioni, attività culturali e di divertimento che coinvolgono ogni tipo di pubblico in uno spazio strepitoso che si amplifica con sorprese e rimandi continui. È un luogo cui bisogna dedicare almeno una giornata per la ricchezza della sua offerta.

La Reggia e i Giardini

Restituita alla magnificenza barocca cui fu ispirata alla metà del Seicento dal duca Carlo Emanuele II di Savoia, la Reggia di Venaria è un immenso complesso monumentale, tornato simbolo di modernità e cultura. La sua inaugurazione, avvenuta nell’ottobre 2007 dopo due secoli di abbandono e degrado ed otto intensi anni di restauro, è stata la tappa finale del progetto di recupero promosso dall’Unione Europea e curato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dalla Regione Piemonte, considerato il più grande cantiere d’Europa nel campo dei beni culturali. Dalla sua apertura La Venaria Reale si è attestata tra i primi siti culturali più visitati in Italia.

L’edificio monumentale, di 80.000 metri quadrati di superficie, vanta alcune delle più alte espressioni del barocco tra cui l’incantevole scenario del Salone di Diana progettato da Amedeo di Castellamonte, la solennità della Galleria Grande e della Cappella di Sant’Uberto con l’immenso complesso delle Scuderie, opere settecentesche di Filippo Juvarra, le fastose decorazioni, la celebre imbarcazione Peota Savoia, realizzata a Venezia, e la spettacolare Fontana del Cervo nella Corte d’onore, rappresentano la cornice ideale del Teatro di Storia e Magnificenza, il percorso espositivo dedicato ai Savoia che accompagna il visitatore lungo quasi 2.000 metri, tra piano interrato e piano nobile della Reggia.  

Vista dall’alto con i suoi Giardini la Reggia disegna intorno a sé uno spazio di 950.000 metri quadrati di architetture e parchi e costituisce il perno dal quale si articolano i grandi complessi espositivi delle Scuderie Juvarriane e delle Sale delle Arti, il Centro Conservazione e Restauro (il terzo in Italia, ospitato negli 8.000 metri quadrati delle ex Scuderie alfieriane), il Centro Storico cittadino, il Borgo Castello e la Cascina Rubbianetta (oggi sede del Centro Internazionale del Cavallo) in un orizzonte di boschi e castelli che si perde a sua volta negli oltre 6.500 ettari di verde del vicino Parco La Mandria. I Giardini si presentano oggi come uno stretto connubio tra antico e moderno, un dialogo tra insediamenti archeologici e opere contemporanee, il tutto incorniciato in una visione all’infinito: con le grotte seicentesche, i resti della Fontana dell’Ercole e del Tempio di Diana, la rinata Peschiera, il Gran Parterre, le Allee, il Giardino a Fiori e delle Rose, l’attrazione del Fantacasino. Le condizioni degli 80 ettari dell’area, ancora alle soglie degli anni 2000, erano tali da non consentire più neanche la possibilità di percepire i frammenti della conformazione originale sei-settecentesca dei Giardini: un complesso progetto di restauro ha permesso in otto anni un’operazione senza precedenti, la ricostruzione vera e propria di un paesaggio con i suoi segni storici, ma anche con una peculiare attenzione all’estetica ed alla fruizione moderna con l’inserimento di oltre 148.000 nuove piantumazioni e di importanti opere d’arte dei maestri Giuseppe Penone (Il Giardino delle Sculture Fluide) e Giovanni Anselmo (Dove le stelle si avvicinano di una spanna in più).

Storia

Le origini della Venaria Reale risalgono alla metà del Seicento, quando il duca Carlo Emanuele II di Savoia decise di edificare una nuova residenza “di piacere e di caccia” per la corte: la scelta del luogo fu infatti determinata dall’essere già teatro della caccia ducale sin dal 1580, oltre che per completare la “Corona di Delizie”, il sistema di residenze di corte che i suoi predecessori avevano progressivamente edificato intorno a Torino. Da quella decisione prese le mosse una complessa ed imponente operazione urbanistica, senza precedenti nello Stato sabaudo, destinata a rimodellare totalmente il sito preesistente, Altessano Superiore, che di fatto scomparve per far posto alla nuova città. I progetti per la sua realizzazione furono commissionati all’architetto di corte Amedeo di Castellamonte che plasmò il borgo, il palazzo con i suoi servizi, i giardini e i boschi di caccia (ciò che oggi è il Parco La Mandria) in un unicum di scenografie architettonico-ambientali in modo da creare un grandioso complesso monumentale governato da un solo asse di simmetria, ancor oggi ben identificabile nella Via Maestra (oggi via Andrea Mensa) dell’abitato. Venaria Reale non nasceva infatti come una residenza a se stante, ma come un complesso articolato, in cui la parte civile si integrava con quella di corte per poi confluire, senza soluzione di continuità, con quella naturale. Il fulcro di tutto era rappresentato dalla cosiddetta Reggia di Diana, edificata fra il 1660 e il 1671, e destinata a vivere due secoli di ininterrotte modifiche, rimaneggiamenti e vicende che di riflesso influirono sulla vita sociale ed economica della città: già nel 1693 le truppe francesi del maresciallo Catinat saccheggiarono in parte il complesso, e toccò all’architetto Michelangelo Garove idearne un rifacimento a partire dal 1699, anche per rispondere alle rinnovate esigenze del gusto architettonico dell’epoca. Del resto, con l’avvento dell’ultimo duca e futuro primo re sabaudo Vittorio Amedeo II, la dinastia perseguì ambizioni regali che dovevano riflettersi e celebrarsi anche nella grandiosità delle proprie residenze: fu così che Garove ideò un’immagine più imponente per il palazzo della Venaria, direttamente influenzata dai modi dell’architettura francese del tempo: grandi padiglioni uniti da gallerie e tetti mansardati. I lavori di ingrandimento furono poi ripresi nel 1716 da Filippo Juvarra (a lui si devono la Galleria Grande, in tempi recenti detta “di Diana”, e le realizzazioni della Cappella di Sant’Uberto, dedicata al patrono dei cacciatori, della Citroniera e della Scuderia Grande) e continuati fino alla seconda metà del Settecento circa con altri architetti, tra i quali Benedetto Alfieri (che, a partire dal 1751, realizzò le maniche di collegamento dei corpi juvarriani, il maneggio, le nuove scuderie e la manica con il torrione del Belvedere per unire la cappella al palazzo). A metà del Settecento i viaggiatori francesi parlano di Venaria Reale come “la più grande e importante residenza di campagna del Re”.