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Giustizia e avanguardia sociale di Venezia

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Lungo tutto il Rinascimento, e fino al Seicento inoltrato, Venezia alimentò molto il suo stesso mito: l’emblema della città – bene in vista sulla sommità di Palazzo Ducale – è la Giustizia. La Repubblica Serenissima, caduta nel 1797 dopo quasi un millennio di storia, si identifica profondamente con l’idea di una giustizia equanime e dunque il doge diviene nell’immaginario il massimo amministratore e custode di questa Giustizia, poiché il doge è Venezia.

Il diritto vigente a Venezia era un diritto “proprio”, ossia particolare della Serenissima, per distinguerlo dal diritto comune (di derivazione romana) che, in quanto diritto dell’Impero, era considerato universale. Escludendo formalmente il diritto romano dalla propria giurisprudenza (sebbene nella sostanza ne derivasse in buona parte) i veneziani affermavano con grande forza la loro indipendenza. I giudici erano membri della classe patrizia, cui era concesso l’arbitrium in fase di giudizio, presupponendo che fossero in grado di risolvere i casi secondo equità (ovvero secondo il supremo interesse della Serenissima). Per capire lo spirito con cui la giustizia veniva amministrata a Venezia è sufficiente tradurre l’iscrizione latina che sta sopra la porta d’ingresso all’Avogaria di Palazzo Ducale: “Prima di ogni cosa indagate sempre scrupolosamente, per stabilire la verità con giustizia e chiarezza. Non condannate nessuno, se non dopo un giudizio sincero e giusto. Non giudicate nessuno in base a sospetti, ma ricercate le prove e, alla fine, pronunciate una sentenza pietosa. Non fate agli altri quel che non vorreste fosse fatto a voi”.

Il filosofo francese Saint Didier, in visita a Venezia nel corso del Seicento esclamerà, scandalizzato: “Gli inferiori sono completamente esenti da qualsiasi riguardo verso i loro superiori”. Gli farà eco Monsieur Payen, un altro francese, che sul finire di quel secolo ricordava con meraviglia in un suo libro di memorie la gran libertà che si godeva a Venezia e l’imparzialità con cui era applicata la legge: “In qualsiasi parte della Repubblica un padrone non aveva il diritto di battere il suo servo, qualunque cosa avesse commesso; poteva solo rimproverarlo, scacciarlo o denunciarlo alla giustizia. Se avveniva che un servo battesse il padrone, poteva essere assolto provando di averlo fatto per legittima difesa”.

Riprende il Saint-Didier: “Non esistono divertimenti che il Popolo non divida con la Nobiltà… Esso può unirsi a loro in qualsiasi luogo, alle feste e nelle baldorie pubbliche, senza nessun obbligo, e questi stessi Nobili non esigono dai sudditi a ogni ritrovo alcun rispetto esteriore che li metta in soggezione!”

Ancora un filosofo francese, Montesquieu, scrive che “è difficile trovare in qualunque altro luogo tanto rispetto e obbedienza verso le Autorità come a Venezia”. Più ancora dell’obbedienza, tuttavia, era l’affetto che il Governo aveva saputo ispirare. E nulla può meglio descrivere il vero clima politico che regnava a Venezia di questo grido, sfuggito al Granduca Paolo Petrowitz, figlio di Caterina di Russia, che approda a Venezia per un glorioso viaggio nel 1782: “Ma… questo popolo è UNA FAMIGLIA!”

Abolizione della tratta degli schiavi

Il primo paese a proibire la tratta degli schiavi fu la Repubblica Serenissima di Venezia nel 960, con la promissione del XXII Doge Pietro IV Candiano. La cronaca di Andrea Dandolo ci fa sapere però che un altro doge, Orso Partecipazio, già dall’876 aveva promulgato una legge che vietava di vendere, comprare, trasportare per mare schiavi o comunque prestar denaro a stranieri che esercitassero la tratta.

Il divieto di commercio non escludeva la proprietà o la schiavitù in sé, e che spesso le famiglie veneziane tenevano schiavi e schiave comprati altrove; ma il dato fondamentale è che ufficialmente, a rischio di sanzioni quali la mutilazione, la morte, la confisca dei beni e la scomunica, nessuno poteva vendere o comprare schiavi. Siamo nell’anno 960!

Bisognerà poi aspettare il 1750 perché Sebastião José de Carvalho e Melo abolisca lo schiavismo nei confronti dei nativi delle colonie portoghesi. In epoca moderna una svolta di portata mondiale nel processo di abolizione avvenne in Inghilterra, tra il 1792 e il 1807, quando il parlamento approvò lo Slave Trade Act, innescando così un processo che avrebbe portato all’abolizione da parte delle altre potenze coloniali. Nel trattato del 30 marzo 1814, concluso a Parigi tra la Francia e la Gran Bretagna, furono assunti da parte francese impegni formali di abolizione della tratta, seguiti poi da analoghi impegni da parte dei Paesi Bassi (15 giugno 1814).

Alla fine del XIX secolo, tutta l’Africa era stata spartita in colonie, e praticamente tutti i regimi coloniali avevano imposto l’abolizione della schiavitù. Nel continente africano tuttavia il commercio continuava in paesi come l’Etiopia, che lo proibì solo nel 1932. Un’altra pietra miliare fu la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, il cui articolo 4 vieta la schiavitù in tutte le sue forme. Yemen e Arabia Saudita la abolirono nel 1962. La Mauritania nel 1980 è stato l’ultimo paese ad abolire ufficialmente ogni forma di schiavitù.

Legge veneziana a tutela del lavoro minorile

10 marzo 1396, dichiarazione del Consiglio dei Quaranta: “Sempre e più frequentemente si presentano molte persone all’Ufficio della Giustizia Vecchia per chiedere di essere autorizzate a collocare fanciulli e fanciulle di ambo i sessi presso artigiani di questa città di vari mestieri ed arti. Spesso accade che i maestri aggirino il controllo legale ponendo a carico dei predetti fanciulli le imposizioni che loro aggrada, che spessissimo sono contro Dio e la sua Giustizia. Gli stessi genitori di tali ragazzi spesso non hanno alcun rispetto dei loro figli e nessuna considerazione del loro vero profitto. Il predetto nostro Ufficio della Giustizia Vecchia a unanimità dei suoi componenti fa voti che il Senato ponga un preciso divieto ai notai di rogare simili atti e patti, a tutela e difesa di quei fanciulli e per amore della Giustizia”.

Tale Legge viene perfezionata qualche anno più tardi con la seguente dichiarazione:

“E per altro nessun notaio, in qualunque modo costituto, sia per incarico imperiale che dei Veneziani, osi o presuma di intraprendere o far intraprendere in qualunque modo o stratagemma che comporti un qualsiasi utilizzo dei bambini e delle bambine in attività lavorative, di servizio o di accompagnamento” (il 25 settembre 1402).

Condizione della donna

(estratto da un articolo di Roberta De Rossi, La Nuova Venezia)

Le donne della Serenissima avevano diritti sui figli e sui propri beni personali, godevano di libertà nella vita sociale e nella gestione in proprio di attività economiche, nell’arte, nel mondo intellettuale: spazi di autonomia d’azione e pensiero che le donne degli altri stati europei non potevano neppure lontanamente sognare, tra XVI e XVIII secolo, al punto da elaborare – con Arcangela Tarabotti, Moderata Fonte, Lucrezia Marinella – uno dei primi nuclei del pensiero femminista in Italia.

Le donne veneziane avevano la possibilità di nominare i tutori dei propri figli, avevano una patria potestà che non esisteva altrove. Potevano disporre dei propri beni e dettare testamento, al punto che le norme prevedevano esplicitamente che i mariti non dovessero essere presenti alla dettatura, per non condizionarle, come hanno dimostrato studi recenti (di Anna Bellavitis). Potevano gestire caffè, negozi, attività economiche senza essere sottoposte alla tutela di un uomo. Questo è stato possibile perché Venezia era una Repubblica e non una monarchia e perché era una civiltà mercantile: un’economia dove il ruolo della famiglia era strategico, come pure quello delle donne a partire proprio dalla famiglia.

La prima donna laureata al mondo, e la prima giornalista

Il Palazzo Ca’ Loredan appartenne a lungo a un ramo della nobile famiglia dei Corner: tra le sue mura è nata e vissuta Elena Lucrezia Corner Piscopia, che conseguendo il dottorato in filosofia nel 1678 (il 25 giugno) divenne la prima donna laureata al mondo. Elena Corner conseguì la nomina nella cattedrale di Padova, gremita all’inverosimile, con una dissertazione su Aristotele. Aveva da poco compiuto i trent’anni. Schiva, modesta e timida, Elena morì giovane, a 38 anni: oltre all’italiano, conosceva il greco, il latino, l’ebraico, il francese, lo spagnolo e l’arabo, tanto da meritarsi l’appellativo di Oraculum Septilingue.

Venezia può anche vantare la prima donna giornalista e direttrice di un giornale: Elisabetta Caminer Turra, nata nel 1751, iniziò a scrivere giovanissima collaborando con il padre Domenico a “L’Europa Letteraria”. Si trasferì a Vicenza nel 1769 per sposare il naturalista Antonio Turra, e cinque anni dopo fondò “Il Giornale Enciclopedico”, uno dei principali periodici illuministi italiani. Il suo salotto divenne in quegli anni il punto di riferimento di scienziati e letterati italiani.

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POLONIA OGGI: Alto rischio di obesità tra i bambini polacchi

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Le organizzazioni dei genitori chiedevano da tempo, al governo, l’introduzione di consigli nutrizionali personalizzati. Le autorità hanno introdotto l’anno scorso uno speciale programma di educazione alimentare, che ha coinvolto le abitudini alimentari di 380 mila bambini. La percentuale di coloro che presentano un problema con l’obesità è diminuito dell’1%, scendendo al 20,9%. Si sono osservati dei cambiamenti anche nelle abitudini alimentari: è aumentato il numero di bambini che fanno colazione. mentre è diminuito quello di coloro che sgarrano mangiando tra i pasti. L’iniziativa è stata coordinata dall’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione nel quadro del programma denominato “Mantieni l’equilibrio”. Quest’anno, però, non vi sono fondi per la continuazione del piano. Medici e genitori chiedono quindi al governo l’istituzione di un servizio medico dedicato all’educazione nutrizionale dei bambini nei primi 3 anni di vita. I nuovi dati mostrano che nel 2025 il problema dell’obesità coinvolgerà il 18% degli uomini e il 21% delle donne polacche. Altre ricerche classificano la Polonia al 33° posto su 42 paesi per l’incidenza del problema dell’obesità nei bambini tra gli 11 e i 15 anni. Nel 2014, nel paese, il 14,8% dei bambini presentava problemi legati all’obesità.

focus.pl

Ulteriori informazioni: www.gazzettaitalia.pl/it/polonia-oggi

Un percorso dentro l’anima di Napul’è

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Napoli fu fondata dai greci nel VII secolo a.C. e divenne una delle maggiori città della Magna Grecia grazie alla sua conformazione di porto protetto da colline lussureggianti e dal clima mite. Percorrendo i suoi innumerevoli e fittissimi vicoli si riscontrano i segni architettonici tipici delle varie culture che dominarono la città nel corso dei secoli. Nel 1734 Napoli divenne la residenza della famiglia reale borbonica, della quale ospita tuttora la memoria e le immense raccolte artistiche e archeologiche.

Motivazione con cui l’UNESCO ha inserito il sito nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità (1995).

Quando si attraversano le strade di Napoli si viene investiti dal brulichio di gente e dal trambusto delle voci che ben presto si trasformano in storie se ci si sofferma ad ascoltare, con discrezione, i racconti quotidiani dei crocchi improvvisati. È da questa immagine iniziale che si dirama la trama della città “porosa”, il cui tessuto socio-antropologico si manifesta nei volti dei suoi abitanti spesso descritti secondo stereotipi ormai desueti.

La città/mondo descritta da molti viaggiatori del Grande Tour, la città stratificata e verticale, la città che “il mare non bagna” e quella spesso “ferita a morte” vive di contraddizioni secolari, ma soprattutto di bellezze incomparabili che lasciano attonito lo sguardo dello spettatore quando si posa ad ammirare il suo golfo. Prima di passare dentro il suo autentico ventre, fatto di vicoli, piazze, chiese e monumenti, consiglierei di partire dall’alto della sua collina di San Martino rivolgendo lo sguardo sulla baia della metropoli: da qui due monumenti simbolici che sovrintendono allo scorrere del tempo storico vigilando severi sulle trasformazioni della città: Castel Sant’Elmo e la Certosa di San Martino.

Da questa altura collinare si scorge il fitto tessuto di strade e intrico rubano, che si dirama da Posillipo a Pizzofalcone (nucleo originario della città greca della Neapolis del V secolo a.C.) fino all’articolata trama delle stratificazioni architettoniche succedutesi nel tempo che hanno formato l’attuale metropoli.

Da qui possiamo addentrarci nell’intreccio di vie attraverso cardi e decumani incrociando via Toledo che segna l’incrocio della città spagnola con i suoi quartieri resi ancora più misteriosi dalla fitta geometria. Questo percorso, i cui fili non è facile dipanare, spinge la curiosità del visitatore a conoscere i misteri di Napoli e a soffermarsi su ogni angolo dalle mille sorprese.

Così è possibile scendere nella Napoli sotterranea che può essere esplorata nel sottosuolo tra altrettanti misteri per poi riemergere e visitare una delle meraviglie dell’arte scultorea che è il Cristo velato del Sammartino nella sua ancora più misteriosa Cappella del Principe di San Severo. E, poi, passare dalla piazza di San Domenico Maggiore dove è d’obbligo una sosta per assaporare le delizie della storica pasticceria Scaturchio degustando un ottimo caffè prima di arrivare a conoscere la magia dei vicoli tra San Gregorio Armeno e San Lorenzo, regno sovrano dell’artigianato dei presepi napoletani.

Per una sosta culinaria conviene fermarsi, con l’imbarazzo della scelta tra le mille pizzerie e osterie tipiche, ad osservare la folla in attesa alla pizzeria Di Matteo: l’unica prenotazione che si accetta è quella a voce gridando il proprio nome! Tra queste strade ci si muove come affabulati da un racconto che si snoda nella storia per arrivare a scoprire, in via Mezzocannone, una delle prime università europee fondata nel 1224 da Federico II e ritrovarsi poi ad esplorare la ricchezza artistica e architettonica della biblioteca della Casa del Salvatore con annesso cortile rinascimentale, unico nel suo genere.

Lungo il percorso del decumano principale si arriva al Duomo con annessa cappella di San Gennaro, patrono dei napoletani e simbolo di culto tra sacro e profano riservato a fedeli e laici, insieme alla ricca collezione di arte scultorea bronzea e orafa, meraviglioso tesoro arricchitosi nel tempo attraverso le donazioni di nobili e sovrani. Da qui arrivare poi al Maschio Angioino che, oltre a rappresentare un simbolo della potenza regale della città, è andato cambiando nome (Castel Nuovo, per esempio), seguendo i destini delle varie dinastie succedutesi nel tempo. A pochi passi dal castello, si può raggiungere Palazzo Reale: consiglio di accedervi attraverso lo Scalone Reale del Picchiatti per poi visitare i sontuosi ambienti fino ad arrivare alla meravigliosa Biblioteca Nazionale con vista sul golfo. Così come non si può fare a meno di visitare il teatro San Carlo, uno dei più antichi teatri europei e famoso per la sua storia musicale e la sua bellezza architettonica, posto difronte alla Galleria Umberto I. In questa magica enclave, attraversando la piazzetta Trieste e Trento, si arriva in Piazza Plebiscito dove è possibile ammirare l’articolata trama del porticato con la cupola della chiesa dedicata a San Francesco di Paola.

Da qui finalmente si arriva a respirare l’atmosfera marina con l’imprescindibile passeggiata sul lungomare Caracciolo per ammirare da lontano l’isola di Capri e poi entrare nel Borgo Marinari, l’isolotto occupato dalla mole di Castel dell’Ovo in cui morì l’ultimo imperatore romano Romolo Augustolo deposto da Odoacre nel 476 d.C., data fatidica che diede inizio alla caduta dell’Impero Romano. In questo peculiare borgo, che sembra sospeso sull’acqua, si può apprezzare l’arte culinaria napoletana tra una miriadi di ristoranti che invitano ad entrare per il solo odore di mare emanato dalle loro cucine.

Oltre questo particolare percorso, ma ve ne sono mille altri ancora! L’eccentrica verità che Napoli ci comunica è rappresentata dal susseguirsi di molteplici fili narrativi che l’attraversano e che non smettono mai di rivelarci le numerosissime sfaccettature di una realtà sempre in movimento, fatta di voci e colori che segnano ancora oggi la sua originalità e di cui “si ha sete ancora” come canta uno dei suoi più acuti e originali interpreti, Pino Daniele.

POLONIA OGGI: Le celebrazioni per il 72° anniversario della battaglia di Monte Cassino

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Ieri, mercoledì 18 maggio, il presidente polacco Andrzej Duda, ha partecipato alle celebrazioni del 72° anniversario della vittoria della battaglia di Monte Cassino. La battaglia di Monte Cassino si svolse tra il 17 gennaio e il 19 maggio 1944 e si concluse con la vittoria dei soldati del Secondo Corpo Polacco che riuscirono a conquistare la collina del monastero. Durante i combattimenti 923 soldati persero la vita, 2931 furono feriti e 345 furono i “dispersi”. Durante le celebrazioni, il presidente Duda, ha tenuto un discorso di ringraziamento verso i veterani presenti e ha reso omaggio a tutti i caduti. Inoltre, il presidente, ha sottolineato che “se molti polacchi non avessero versato il proprio sangue per la libertà, oggi non avremmo l’Unione Europea”. Il capo di Stato polacco si è dimostrato molto orgoglioso del fatto che questi soldati hanno contribuito a ridare la libertà alla Polonia e all’Europa: “Onore e Gloria agli eroi”, ha detto il Presidente rivolgendosi ai veterani. Duda non ha dimenticato il contributo dei soldati di origine ebrea, ucraina e bielorussa che hanno combattuto per la libertà sotto le insegne polacche.

pap.pl

Ulteriori informazioni: www.gazzettaitalia.pl/it/polonia-oggi

Un giorno a Pisa

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Sembra che la torre pendente e la città di Pisa siano un po’ come due piccioncini, almeno nel modo in cui la torre viene collegata alla città. Devo ammettere che anch’io per tutta la vita ho sognato di fare una foto ricordo tipo “una maestra di Kung-Fu che salva un monumento in pericolo di crollo”, però la mia guida locale non mi ci ha fatto nemmeno pensare: “Vuoi fare la scema anche tu?”. I pisani sicuramente preferirebbero che i turisti avessero progetti più ambiziosi di una foto con la torre pendente, una pizza Margherita o una passeggiata per la via principale piena di negozi.

Durante un tour organizzato dal Comune di San Giuliano Terme ho scoperto che questa parte della Toscana ha da offrire molto di più. Basta dedicare un attimo di attenzione e si riescono ad esplorare luoghi ancora poco conosciuti dalla maggior parte dei turisti. Vi aiuto a farlo con piacere!

Fondazione Cerratelli

Probabilmente nessuno al mondo può vantarsi di una raccolta così ampia di costumi d’opera, costumi teatrali e cinematografici, ce ne sono più di 30.000! Nella sede presso Villa Roncioni si possono ammirare ad esempio alcuni costumi originali dei protagonisti delle più note opere di Puccini. A che serve questa fantastica collezione? Non soltanto per il piacere degli occhi, ma anche per dare una mano ai futuri maestri di sartoria. Quale giovane designer non sogna di imparare su tali modelli? Ho avuto il piacere di poter affittare uno dei costumi e metterlo per la cena di gala presso la splendida Villa Alta, se vi trovate lì a breve, prendete in considerazione questa opportunità!

Certosa di Calci

Il convento dell’Ordine Certosino dalla prima metà di XIV secolo. Ben conservato, consente di immaginare molto bene com’era la vita dei frati di clausura. Vi raccomando un giro con la guida! Vi racconterà tra altro che nel convento si poteva parlare solo la domenica, per cui i gatti certosini non miagolavano mai perchè sicuramente sapevano che non si poteva interrompere la continua meditazione.

Frantoio Toscano del Rio Grifone

Che cosa sarebbe una visita in Toscana senza una degustazione d’olio d’oliva e di vino, con una vista sulle famose colline baciate dai raggi del sole? Qui vedrete come si spremeva l’olio un tempo e come lo si fa oggi. Assaggerete anche i tipici piatti toscani, il vino e la grappa casereccia. Una bellissima tradizione famigliare che i proprietari  condividono volentieri con i loro ospiti.

Terme di San Giuliano

Qua ci si può sentire come i romani che andavano ai bagni pubblici e dimenticavano il resto del mondo. Piscine, grotte con microclima, idromassaggi e l’impressione che il chiasso e la fretta non siano mai esistiti. Inoltre il ristorante è di livello mondiale: potete immaginare gelato ai porcini, la faraona e il semifreddo di castagne. Ci potrei proprio vivere!

E nella città di Pisa?

Naturalmente già solo passeggiare per la città stessa è un piacere, soprattutto se andando a vedere la famosa torre facciamo un salto al Museo Nazionale di San Matteo oppure alla mostra Angeli dello scultore polacco Igor Mitoraj. Vale la pena di camminare attentamente attorno alla famosa Cattedrale in Piazza dei Miracoli, su una delle pareti si possono trovare dei buchi disposti verticalmente. Secondo la leggenda è una traccia degli artigli del diavolo. Dicono che non si possano contare, perchè ogni volta il risultato varia. Non ho avuto coraggio nemmeno di provare!

Cosa mangiare?

Assicuratevi di provare la Cecina, viene fatta con farina di ceci, spesso servita in un panino con diversi condimenti oppure come antipasto. Conviene assaggiarla a il Montino. Sicuramente vi toccherà fare la fila, però ne vale la pena. Inoltre, prima di tornare a casa nella valigia va messo un pacco di pasta Martelli ed una bottiglia di vino toscano buonissimo, non vi preoccupate, ce ne sono mille (io ho scelto quello di Cortona). E per una cena squisita (che in Toscana ci si deve concedere!) vi aspetta un simpaticissimo e incredibilmente talentuoso chef Luca Micheletti alla Locanda Sant’Agata.

Dove pernottare?

Se cercate uno luogo conveniente posso raccomandare Hotel La Pace che si trova a poca distanza dalla stazione centrale e a pochi passi dai più importanti musei e monumenti nella città. Se invece preferite la pace e una bella vista sulle colline dolci di mattina allora Airone Pisa Park Hotel vi piacerà sicuramente. In entrambi i casi incontrerete proprietari gentilissimi, colazioni deliziose e lo staff con conoscenza dell’inglese, il che in Italia può essere molto utile!

Da dove volare?

A Pisa si può arrivare direttamente con le linee economiche dagli aeroporti di Danzica, Cracovia e Varsavia-Modlin, purtroppo soltanto durante la stagione estiva (aprile – novembre). Io ho volato con Alitalia (cambiando volo a Roma).

Più foto e informazioni dettagliate su tutte le mete citate le trovate sul mio blog www.via-italiana.com

Buon viaggio!

Duda: il summit NATO di Varsavia come risposta alle minaccie all’UE

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Ieri, il Presidente polacco Andrzej Duda, ha tenuto un discorso alla NATO Defense College di Roma durante il quale ha dichiarato che il summit della NATO dovrà rispondere ai diversi problemi che minacciano l’Europa. Nel suo intervento, intitolato “Il summit della NATO in Polonia: il punto di vista polacco”, ha portato l’attenzione sulle forze militari della NATO che, secondo Duda, devono essere aumentate, specialmente ad Est. Oltre a questo, il Presidente, ha fatto riferimento all’annessione della Crimea e all’aggressione ai danni dell’Ucraina che minacciano i fondamenti della sicurezza europea. Ha anche aggiunto che la situazione in Nord d’Africa e Medio Oriente è preoccupante e instabile. Per questo, il Presidente, ha sottolineato che il summit della NATO “deve lanciare un messaggio semplice e chiaro, un messaggio che parlerà della nostra unità, della nostra capacità di difendere la nostra libertà e, finalmente, di raggiungere la stabilità”. Il Presidente ha proposto una semplice agenda per il summit basata solamente su 3 punti: un apparato difensivo forte, rimanere aperti al dialogo anche con gli oppositori e, infine, l’incremento dei membri della NATO. Un altro punto importante del discorso ha riguardato i rapporti con la Russia: “Non vogliamo tornare ai tempi della Guerra Fredda, ma dobbiamo impegnarci di più per sviluppare un dialogo con la Russia che rispetti l’integrità territoriale di tutti i paesi”, ha auspicato il Presidente. Successivamente, Duda, si è dichiarato soddisfatto per l’approvazione del nuovo “pacchetto difesa” per l’Ucraina e le buone relazioni con Georgia e Moldavia.

pap.pl

Ulteriori informazioni: www.gazzettaitalia.pl/it/polonia-oggi

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Trani, la città con la cattedrale sul mare

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Trani, una delle pittoresche e caratteristiche cittadine pugliesi affacciate sul mare a circa 50 km a nord di Bari, è una meta turistica molto apprezzata e affascinante sia per la bellezza paesaggistica sia per il suo patrimonio storico-artistico.  La città deve senza dubbio la sua grande notorietà alla bellissima Cattedrale di San Nicola Pellegrino,  uno degli esempi più significativi dell’architettura romanica in Puglia. Progettata in una posizione scenografica, su una splendida e ampia piazza affacciata direttamente sul mare, testimonia  ancora oggi lo splendore della Trani medioevale. La Cattedrale è costruita con la particolare pietra di Trani, una varietà di tufo calcareo dalle tonalità che vanno dal bianco al rosa chiaro che al tramonto assume sfumature calde e affascinanti. Altrettanto famosi sono il campanile duecentesco alto 59 metri che domina tutta la zona costiera e il ricco portale chiuso dalla porta bronzea di Barisano da Trani del 1179. L’attuale porta è una copia dell’originale che, dopo il restauro, è conservata e visibile all’interno. Di fronte alla cattedrale è situato il Castello Svevo,  risalente al 1233 e edificato su un banco roccioso per proteggere la città  da eventuali assalti dal mare. Anticamente un fossato, forse di origine naturale, lo separava  dalla terraferma. Il castello venne poi modificato in epoca angioina e usato come carcere nell’Ottocento. Il porto di Trani è stato in passato uno dei porti principali e più importanti della Puglia crocevia delle rotte commerciali tra Oriente e Occidente. Ogni giorno molti pescatori con le loro bancherelle affollano la banchina e si attardano fino a sera a vendere il pesce appena pescato. In estate l’arrivo di numerose imbarcazioni da tutto il mondo lo fanno diventare un vero e proprio albergo sull’acqua a testimonianza che l’insenatura naturale sulla quale si erge maestoso il campanile della “Regina delle Cattedrali di Puglia” risulta ammaliante con il suo fascino storico e naturale. Percorrendolo con lo sguardo si può godere di una visuale suggestiva, quella che fa amare al turista questa città: la sfilata di bellissimi pescherecci a sinistra dai colori intensi e dai nomi evocativi, e la distesa di barche da diporto a destra, entrambi segnali di un mare “abitato”, di un porto funzionante e attrezzato, di una città che ancora guarda al mare, pur senza l’onere di una supremazia da affermare e da difendere. Merita una visita anche il Palazzo Antonacci Telesio. Edificato nel 1761 dalla famiglia Antonacci passò poi per successione ai duchi Telesio che tuttora lo abitano. Con la facciata principale rivolta verso il porto sulla odierna Piazza Quercia, dopo la demolizione delle mura federiciane nel 1845 ha subito un ampliamento sul lato est ad opera dell’architetto Luigi Castellucci di Bitonto; lo stesso architetto  adeguò pure la facciata di Piazza Quercia allo stile neoclassico. Il palazzo ospita al suo interno il Marè Resort, un lussuoso albergo, e il suggestivo Museo delle Carrozze dove si può ammirare una raccolta di 33 carrozze ottocentesche, appartenenti per lo più alla famiglia Telesio, oltre a finimenti e divise da cocchiere. Raccolta importante in quanto illustra l’abilità artigianale dell’epoca e fa rivivere la storia di un’intera classe sociale e di tutti coloro che per essa operavano. Lasciato il porto  ci si addentra verso il borgo antico e percorrendo vicoli e stradine caratteristiche si arriva al quartiere della Giudecca che testimonia l’incontro, agli inizi dell’anno mille, della storia di Trani  con quella del popolo ebraico. “In due giorni di viaggio arrivai a Trani, situata in riva del mare; grazie alla comodità del suo porto, Trani è luogo di raccolta dei pellegrini diretti a Gerusalemme; è una città grande e bella, abitata da circa 200 ebrei con a capo rabbi Eliah, rabbi Nathan il commentatore e rabbi Yaaqov”.

Questi appunti annotava nel suo diario di viaggio il grande Chacham (dottore della Legge ebraica) Beniamin da Tudela giunto a Trani nel 1165. A Trani confluirono ben 6 diaspore: gli Ebrei d’Israele fatti schiavi da Tito, gli Ebrei di Venosa cacciati dai Saraceni nel IX sec., gli Ebrei in fuga dalla Spagna islamica degli Almohadi, gli Ebrei scampati al furore antiebraico della crociata tedesca di Worms e Magonza del 1096,  quelli in fuga da Bari distrutta nel 1156 da Guglielmo I il Malo e quelli espulsi dalla Francia di re Filippo Augusto e giunti a Trani verso il 1182. Grazie alla concessione degli Svevi nel 1155 gli Ebrei tranesi vivevano nella Giudecca a pochi passi dal porto e dalla cattedrale. Il porto di Trani era a quell’epoca molto più incavato nella città e  dalla via che porta alla chiesa di Ognissanti si accedeva a un diaframma urbano tuttora conosciuto come La Galera, usata dai marinai per far stazionare i galeotti rematori. Un intero quartiere di vicoli e cortili a diversi piani con le terrazze contigue, praticamente l’una attaccata all’altra. Sembra che proprio  attraverso le vie di fughe sulle terrazze  i tranesi siano riusciti a salvarsi dagli assedi dei saraceni. Gli Ebrei tranesi si distinguevano anche nella colorazione dei tessuti e della lana, nella sartoria di classe e, non ultimo, nel diritto marittimo. Basti pensare che nel 1063 furono redatti a Trani gli Statuti Marittimi (tuttora internazionalmente validi) e, accanto al console cristiano Nicola de Roggero, gli altri due consoli firmatari erano gli ebrei Simone de Brado e Angelo de Bramo.

Ancora oggi Trani è il capoluogo ebraico della Puglia. La comunità ebraica si riunisce nella Sinagoga Scolanova mantenendo vivi gli antichi riti come quello della Hanukkah, la festa delle luci, che si svolge ogni anno a dicembre nella caratteristica piazzetta davanti al tempio. Non si può lasciare Trani senza aver scoperto e degustato la cucina tranese che utilizza ingredienti tipici della tradizione pugliese. Immancabile  il  tradizionale piatto patate, riso e cozze al forno, con l’aggiunta di cipolle, aglio, prezzemolo e, ovviamente, olio extravergine d’oliva, e poi la frittata di lampascioni, piccoli bulbi simili a cipolle usatissimi nell’Italia meridionale, e le sempre presenti orecchiette alle cime di rape, serviti nella variante tranese con tre alici e abbondante pepe.

Cracovia: in arrivo 100 macchine elettriche in carsharing

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Le autorità di Cracovia sono intenzionate ad avviare il primo noleggio di macchine elettriche. Saranno disponibili circa 100 modelli di diversi tipi: 35 city car (max. per due persone), 50 macchine classe A e oltre 15 furgoncini per le consegne. Le auto saranno distribuite in 70 punti adibiti al noleggio. 40 di questi punti saranno posizionati in città vicino la tangenziale, mentre gli altri 30 in periferia. I terminali dove noleggiare le macchine, oltre ad essere disponibili a tutti i cittadini della città di Cracovia, dovranno essere anche facili da usare. Il cittadino di Cracovia imparerà così come affittare e ricaricare l’auto. Il progetto prevede anche altre comodità per i futuri utenti. Si potrà riconsegnare la macchina non solo al posto dove la si è presa, ma anche in qualsiasi altro parcheggio. Le auto avranno il permesso di muoversi sulle corsie preferenziali dei bus, entrare nel centro storico di Cracovia, parcheggiare nelle zone gratuite e usare i parcheggi comunali senza limitazioni. Il termine previsto per la realizzazione del progetto sarà rivelato il 30 giugno. Il popolare “carsharing” è attivo, ad oggi, in importanti città europee di Francia, Germania e Svezia. In Polonia, un simile progetto di noleggio di auto elettriche è in cantiere anche a Varsavia e consentirà l’uso di ben 500 mezzi ecologici.

forsal.pl

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Una scappatina a Torino? Non sarebbe niente male!

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Oltre a politica, economia e cultura, in questo numero di Gazzetta come sempre stuzzicheremo la vostra curiosità e vi possiamo garantire che nel mese di novembre non vi annoierete. Le questioni politiche, culturali e sociali di una città al nord d’Italia, situata in una regione di cui forse non sentiamo parlare spesso (ma non si tratta del Molise!) che prima erano sconosciute, a novembre vedranno la luce, anche se a novembre ce n’è poco di sole.

Vi presentiamo 50 sfumature di Torino! In questo articolo ne troverete soltanto 49, l’ultima la lasciamo alla vostra immaginazione.
Nel corso di un paio di mesi Torino, da città dimenticata e sottovalutata è diventata per me il luogo il cuore batte più forte che nel resto d’Italia (ora i Veneziani si offendono…). Un posto dove la storia si mischia con il presente e dove non scoprirai la città se non inizierai a viverci dentro. Una città piena di sfumature, una tira l’altra, che non smetti mai di scoprire. Stefano Benni, nel suo romanzo intitolato  “Il bar sotto il mare”, narra la vicenda del protagonista che si tuffa in un bar sotto acqua e vi incontra 23 misteriosi individui, ciascuno dei quali, dal cuoco al cane, si impegna a raccontare una storia. Ora anche noi ci tuffiamo dentro Torino, scendiamo giù, come il protagonista del libro, per ascoltare le mura, le voci e le storie che questa città nasconde da secoli. 
Qualcuno una volta disse: “invece di lamentarsi al buio meglio accendere la luce”. Questo qualcuno era Confucio e aveva ragione. Come veri turisti, la prima cosa che cerchiamo è la piantina della città. A Torino però non serve. Ecco quindi la prima sfumatura da notare: i torinesi hanno la magnifica ossessione dell’ordine. Bastano due passi nel centro storico e una vista dall’alto, meglio ancora se dalla Mole Antonelliana, per subire il fascino della precisione, così atipico per una città al terzo millennio di vita. A rafforzare il senso di ordine che aleggia sulla città, contribuiscono l’allineamento degli edifici e l’armonizzazione delle misure, forme e colori, pianificati in modo quasi maniacale. Questa mania dell’ordine è il risultato di una regola ferrea che nel Seicento imponeva di standardizzare gli edifici, allineandoli all’altezza fissa di 21 metri, non un centimetro di più.
Come ogni città anche Torino ha le sue leggende. Abbiamo citato la Mole Antonelliana? Ecco, c’è la gente che sussura, così forte però che lo sanno tutti, che se uno studente non si è ancora laureato, non deve salire sulla Mole, altrimenti non si laurea più. Dicono che la vista panoramica tolga il fiato (ma tranquilli, l’ho vista di persona e vi assicuro che respiro ancora!). Una vista altrettanto bella ce la regala la Chiesa di Santa Maria al Monte. Valutate voi quale vi emoziona di più!

Camminando lungo le strade in borgo Vanchiglia noterete una costruzione talmente bizzarra da far pensare ad uno scherzo architettonico. Si tratta di un edificio alto 16 metri, lungo 5 e largo, udite udite, solo 57 centimetri! Da quando è apparsa 170 anni fa i torinesi la chiamarono “fetta di polenta”. Perché “Fetta di polenta”? Perché la sua forma assomiglia ad una fetta del piatto tipico italiano, appunto gialla e semisolida. Attualmente al suo interno si trova una galleria d’arte contemporanea.

Siete ancora affamati di conoscenza e vorreste scoprire la città alla ricerca di altre cose bizzarre? Una fetta di polenta non andrebbe niente male però ad ottobre vi guarderanno male. Visitate lo slow fastfood, M**Bun, che nonostante la sua storia tempestosa ha raggiunto un grande successo in città. È un “Mc Donald” torinese: dentro vi troverete di tutto, ma la cosa più interessante è che i nomi dei panini sono in piemontese. Per esempio non chiedete un hot-dog, là potrete gustare solo “Can Caud”(cane caldo=hot dog).

A novembre però, quando il freddo comincerà a pizzicarvi le guance, provate ad assaggiare la specialità più tipica della cucina piemontese: la bagna cauda (letteralmente salsa calda) preparata con acciughe, aglio, olio e accompagnata da verdure cotte e crude. All’apparenza non troppo invitante, si rivelerà invece una pietanza deliziosa.

Il Piemonte non sarebbe Piemonte se non ci fossero i dolci. I cioccolatini e le caramelle torinesi allietano i palati degli italiani e non solo. Saltare da una pasticceria all’altra è una delle cose più piacevoli durante la pausa studio all’università. Qui tutti i pasticcini sono piccoli piccoli (non aspettatevi di entrare in una pasticceria siciliana, dove tutti i pasticcini sono grandi come panini). Proprio a Torino ha sede la fabbrica Leone, quella delle celebri pastiglie color pastello, e sempre a Torino nacque il famoso cioccolatino a forma di barca rovesciata: siamo nella patria dei gianduiotti e del bicerin, come pure di molte altre prelibatezze a base di zucchero.

I pinguini corrono il rischio di estinzione? Non a Torino! Il gelato fondamentale da assaggiare, dopo il Cucciolone, è il Pinguino, nato nella testa di un napoletano che venne a Torino nel 1884, Domenico Pepino. Proprio davanti al Museo del Risorgimento, quando la nostra testa fuma dall’abbondanza di informazioni, possiamo raffreddare il nostro palato con il gelato da passeggio, il Pinguino.

Non c’è dubbio che Torino sia una città misteriosa. Però qui non solo le mura hanno orecchie. Le mura hanno anche occhi, bocca, naso e a volte corna. Sono i mascheroni con sembianze umane, diavoli, figure grottesche che ti ritrovi davanti mentre cammini per strada, che ti scrutano con gli occhi di pietra! Si trovano al lato dei portoni, sotto i balconi, sopra le finestre. Se siamo già al tema dei mascheroni e delle figurine, vi spiego brevemente il culto del Toro a Torino. Forse non tutti immaginano l’affollamento dei tori in città. Ci sono centinaia di figure taurine sparse ovunque: sotto i portici del centro, sulle mura e anche allo stadio. I “toret” (letteralmente i piccoli tori) sono le fontane di acqua potabile a forma di toro, dalle quali ognuno potrà saziare la sete dopo una lunga camminata.

Ora vi pongo una domanda. Qual è la coppia più famosa che vive in via delle Scienze 6? Sono molto felici e hanno deciso di restare qui per sempre. Anche se ogni tanto sentono nostalgia delle amate distese sabbiose, dei figli rimasti in Egitto… Sì, sono i coniugi Kha e Merit, originari di Deir el-Medina, che ogni anno raccontano la loro storia a migliaia di visitatori che giungono a Torino apposta per visitare il Museo Egizio, secondo per importanza dopo quello de Il Cairo.

Qualche storia d’amore? È già nascosta tra le righe dell’articolo. Una storia d’amore nasce sul palato di ogni italiano e nuovo arrivato che assaggia i dolci torinesi, e nel cuore di ogni persona che viene a Torino e inizia a scoprire la città.

Torino è una città assai misteriosa che ti fa emozionare come se fossi parte di uno spettacolo: siete tu e Torino soli, c’è una storia in ogni piccola pietra, accompagnata da una melodia di fisarmonica che spunta da Via delle Scienze 6. Ci sono i teatri, c’è la cultura, ci sono chiese meravigliose, c’è il cinema. Vieni a Torino, fai due passi, alla fine scopri Torino come se volessi scoprire il carattere di una persona. Questo è il mio amore profondo: l’amore per Torino. Le vie delle città ti portano in giro, ti accompagnano lungo diversi sentieri. Torino è una città con un’anima. Immagina di essere solo, camminare fino a giungere in un posto che si chiama la Chiesa al Monte, guardi le montagne e senti che Torino ti sussurra: “Ti piace?” E ti innamori di qualcuno che ha più di mille anni. L’età non conta in questo momento! Torino ti ruba il cuore, e il solo pensiero che fra qualche mese dovrai lasciare la città, reca una tristezza profonda. Lascerò Torino come si lascia una persona che si ama, con la consapevolezza, però, che sarà qui ad aspettarmi ogni volta che deciderò di tornare, per portarmi ancora in luoghi sconosciuti e narrarmi storie inaspettate. I miei occhi pieni di meraviglia, il mio cuore pieno di gratitudine.

Inaugurata da Mattarella la mostra di Mitoraj a Pompei

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Sabato scorso il presidente della Repubblica Italiana ha aperto la mostra del famoso scultore polacco Igor Mitoraj. Le 30 sculture di bronzo, ispirate alla cultura antica, sono state posizionate tra gli scavi archeologici, al centro della città romana di Pompei. Come sottolineano anche i media, la mostra ha suscitato grande interesse fin dal primo giorno. All’inaugurazione, oltre al Presidente Sergio Mattarella, era presente anche il Ministro della Cultura, Dario Franceschini. Sergio Mattarella ha definito lo scultore polacco, che ha vissuto molti anni in Toscana, “un’artista straordinario di questi anni”. La mostra, invece, è stata definita come “un collegamento eccezionale tra antichità e contemporaneità”. Mattarella ha giudicato gli scavi archeologici come una location “assolutamente naturale” per i capolavori di Mitoraj. “Qualcuno potrebbe pensare che i capolavori di Mitoraj provengano dall’antichità”, ha aggiunto Mattarella, che non ha nascosto la propria ammirazione per l’iniziativa e per l’arte di Mitoraj. L’esposizione rimarrà aperta fino al gennaio del 2017.

pap.pl

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