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POLONIA OGGI: E-commerce, la Polonia supera Italia e Francia

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Quasi il 55% dei polacchi acquista on-line piazzando la Polonia al secondo posto in Europa alle spalle della sola Germania. Secondo la ricerca di RetailMeNot, i polacchi comprano sempre di più su Internet. Nel 2015, 21 milioni di utenti polacchi hanno fatto acquisti via web, per un giro di affari di 5,12 miliardi di euro. La crescita degli acquisti on-line è aumentata di circa il 21% rispetto all’anno precedente: le previsioni indicano che nel 2016, si spenderà un miliardo di euro in più del 2015. RetailMeNot anticipa che quest’anno l’utente medio cadrà in tentazione comprando qualcosa on-line sei volte, spendendo circa 50 euro. Le ricerche dimostrano che l’e-commerce polacco si sviluppa ad un ritmo vertiginoso: “Le indagini indicano che verrà stabilito un nuovo record: nel 2017 valore degli acquisti supererà i 7 miliardi di euro”, spiega Mike Lester, vice presidente e direttore generale responsabile per i nuovi mercati di RetailMeNot. “I polacchi sfruttano volentieri i vantaggi che l’e-commerce offre. Acquistando on-line, non siamo condizionati dagli orari dei negozi e possiamo facilmente paragonare i prezzi rendendo più facile risparmiare qualcosa”. In Polonia ci sono più “e-clienti” che in Francia o Italia, nonostante sia meno popolosa. Per quanto riguarda il numero di persone che acquistano on-line, la Polonia è al quarto posto in Europa.

firma.pb.pl

Ulteriori informazioni: www.gazzettaitalia.pl/it/polonia-oggi

La nascita della macchina espresso

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Ce ne vuole di intuizione per guardare una locomotiva a vapore e concepire una macchina per il caffè. Eppure proprio questo ha fatto il torinese Pier Teresio Arduino che, dopo aver prestato servizio militare nel genio ferrovieri, nel 1910 brevetta la Victoria Arduino, ovvero il primo successo globale nella storia dell’espresso. Questa macchina, assieme ad altre duecento, è esposta al Mumac, Museo delle macchine per caffè, di Binasco, vicino a Milano. La maggior parte è proprietà di Enrico Maltoni, il più importante collezionista ed esperto italiano del settore.

Una macchina futurista

Quella di Arduino non era la prima macchina per fare l’espresso in assoluto, ci avevano già provato un altro torinese, Angelo Moriondo, che aveva presentato una macchina per fare il caffè veloce nel 1884, e il milanese Luigi Bezzera, che aveva brevettato una macchina nel 1901 e l’anno dopo ceduto la licenza a Desiderio Pavoni, quest’ultimo con bottega a Milano, in via Parini. Ma sarà la Victoria Arduino (1910), con i suoi meccanismi che ricalcano quelli della caldaia di una locomotiva, a entrare trionfalmente nei bar di mezza Italia. Si trattava di apparecchi monumentali, di rame e ottone, con elementi decorativi. Le vittorie, i leoni e tutto lo zoo che campeggiava sulla sommità di questi aggeggi erano cesellati a mano, autentiche mini opere d’arte. Arduino poi aveva uno spiccato senso dello spettacolo e quindi brevetta nella sua macchina un dispositivo che chiama «di accensione dei liquidi alcolizzati». In pratica, quando il barista faceva il punch, incendiava i vapori dell’alcol al momento di servirlo al cliente. Non serviva a nulla, ma era una bellezza che sollevava gridolini d’entusiasmo.

La pubblicità per la Victoria Arduino viene disegnata da uno dei più noti cartellonisti dell’epoca, il livornese Leonetto Cappiello che nel 1922 è il primo a legare in un manifesto la macchina per l’espresso con il treno espresso. Siamo in epoca futurista, in un periodo in cui la velocità è ritenuta un valore ed è quindi perfettamente al passo con i tempi l’uomo che si sporge dal treno in corsa e ghermisce al volo una tazzina di caffè appena fatto.

Attenzione, però: se noi oggi bevessimo il caffè uscito da una di tali apparecchi, lo troveremmo disgustoso. Ai nostri giorni le macchine funzionano con l’acqua a pressione, mentre al tempo utilizzavano il vapore e il risultato era un caffè molto scuro e molto amaro, che a stento riconosceremmo come un espresso.

Si apre l’epoca dell’espresso crema

Per arrivare all’espresso crema, ovvero al caffè con la schiumetta che tanto piace agli italiani, e non solo, bisogna attendere un bel po’ d’anni, ovvero fino al 1948 quando il barista milanese Achille Gaggia mette a punto per il suo locale di viale Premuda la prima macchina in grado di fare l’espresso crema. Si apre una nuova epoca.

Nel medesimo anno la Pavoni si affida al genio di Giò Ponti. Questi riprende un’idea che qualcuno aveva già avuto, ma ancora non si era diffusa: rovesciare la caldaia dell’acqua. Le macchine da verticali ora diventano orizzontali. E così resteranno. Di nuovo Pavoni chiede a Bruno Munari di progettare una macchina. Nel 1956 dalla matita del designer esce il modello subito ribattezzato diamante per via delle sfaccettature. L’apparecchio è composto da elementi di lamierino colorato, tinte e dimensioni possono essere cambiate in base alle richieste del cliente.

La Faema, dopo gli esordi in accoppiata con Gaggia, ha scelto di camminare da sola e nel 1961 produce un modello destinato a cambiare le sorti del caffè espresso. Si tratta della E 61, dove il numero rappresenta l’anno ed “e” per eclissi (il 15 febbraio c’era stata un’eclissi totale di sole). È la prima macchina a pompa, ovvero utilizza l’acqua attingendola direttamente dai tubi, senza tenerla in una cisterna. Inoltre imbibisce d’acqua la polvere di caffè prima che sia attraversata dall’acqua bollente ad alta pressione. In questo modo si estrae dalla miscela una maggior quantità di aromi. La E 61 ha avuto una diffusione enorme, tanto che ancor oggi non è difficile riconoscerne qualcuna nei bar italiani, religiosamente conservata come una reliquia.

La mano degli architetti

L’anno dopo, siamo nel 1962, la Cimbali Pitagora disegnata dai fratelli Achille e Pier Giacomo Castiglioni vince il Compasso d’oro, massimo riconoscimento per il design (e rimarrà l’unica macchina da bar ad aver ottenuto questo riconoscimento, che andrà invece nel 1979 alla caffettiera casalinga della Alessi, progettata dal tedesco Richard Sapper). Ormai la produzione è definitivamente passata da artigianale a industriale, e si vede: le macchine sono più semplici e lineari, in modo da poter essere assemblate a moduli. La produzione sempre più standardizzata inaridisce un po’ le innovazioni del design, con qualche significativa eccezione, come la Faema progettata da Giorgio Giugiaro nel 1991, uno dei modelli più recenti esposti in questa affascinante cavalcata nella storia delle macchine per il caffè.

POLONIA OGGI: I vincitori del premio “Teraz Polska”, orgoglio della Polonia

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Lunedì 30 maggio, a Varsavia, si è svolta la serata “Teraz Polska” (“Adesso Polonia”), durante la quale hanno ricevuto l’importante riconoscimento aziende, servizi, innovazioni e le amministrazioni locali migliori del Paese. Quest’anno, il premio, è stato consegnato a 15 aziende, 8 servizi, 2 progetti innovativi e 3 comuni. “Il concorso di quest’anno è stato uno dei più interessanti dal punto di vista della diversità di prodotti e servizi presentati. Scegliere i vincitori, sulla base delle valutazioni di esperti, non è stato un compito facile”, dice Michał Lipiński, presidente del concorso Teraz Polska. “Con soddisfazione osserviamo che ogni anno ci sono sempre più aziende che offrono innovative soluzioni nelle loro industrie – aggiunge -. Siamo convinti abbiano un enorme potenziale per diventare un fiore all’occhiello dell’economia polacca nel mondo”. Il logo di Teraz Polska gode di grandissima fiducia tra i consumatori. É garanzia di qualità aiutando i polacchi nella scelta dei propri acquisti. Scegliendo un prodotto su cui vedono la bandiera bianco-rossa e il riconoscibile logo di Teraz Polska, hanno la certezza che questo sia di buono e prodotto in Polonia. Hanno ricevuto il premio C-Eye, “Prodotto polacco del futuro”, il comune di Międzyzdroje, il Museo dell’Insurrezione di Varsavia e la Federazione Polacca di Pallavolo per l’organizzazione della World League.

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I limoni liguri

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Il benvenuto ce l’hanno dato il rumore del ruscello e i limoni sugli alberi. Le nuvole che inizialmente annunciavano la pioggia, si sono dissipate definitivamente. Mentre scendevamo lungo le vie ancora vuote, ci accompagnavano i raggi forti del sole ed lo sciabordio dell’acqua il cui suono, di notte, deve diventare veramente calmante. Quanto le spiagge del Mar Adriatico sono di solito sabbiose, tanto le coste del Mar Ligure sono di solito rocciose, tagliate dalle falesie, sulle quali sono state costruite in modo solido e quasi impossibile le città con delle case colorate, dipinte come per una mostra. Non so se i loro abitanti se ne rendano conto, quanta confusione e quante emozioni suscitano le loro case, in realtà spesso trascurate, che contengono solo il minimo indispensabile, in cui però cova una bellezza modesta verso la quale sono rivolti gli occhi di tutto il mondo.

La seconda delle cinque terre

“Cinque terre” è un tratto di costa della riviera ligure nella provincia della Spezia che comprende cinque città collocate in un paesaggio pittoresco: Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso. Queste città sono situate abbastanza vicino, per questo siamo in grado di visitarle tutte in un giorno, soprattutto se viaggiamo in macchina. A Manarola l’80% dei passanti sono turisti, che a volte sbattono uno contro l’altro all’incrocio di due vie, indecisi in quale ristorante entrare. Quelli collocati vicino al mare sono concentrati sul turismo. Vale la pena mangiarci se vogliamo pranzare con una vista del mare davanti. Altrimenti si può cercare una trattoria nascosta dentro la città e là provare i piatti tipici della zona, ovvero i frutti di mare ed il pesce. Le colli che circondano la città sono divise in modo regolare dalle vigne, e a volte divise dagli alberi d’oliva che le coprono orgogliosamente con la propria ombra. Davanti ad una delle case notiamo un mulino ad acqua di legno, dall’altra parte della strada invece i limoni grassottelli pendono da un albero e attraggono tutti i passanti con il proprio puro profumo aspro-dolce. Sulla piazza davanti alla chiesa sono seduti gli anziani di città esponendo al sole i loro volti pieni di rughe e sempre sorridenti. Fino alla costa ci accompagnano i cani locali, presi subito dopo in braccio dai figli dei loro padroni. Un itinerario roccioso ci conduce lungo la linea d’acqua fino ad un piccolo golfo al quale stanno seduti sulle rocce gli inglesi, facendosi una pausa in marcia.

Arrivati a Manarola possiamo a viso aperto permetterci di rallentare il passo, il tempo sembra adeguarsi al nostro ritmo il quale, immerso nell’italianità rallenta da solo. Il sentiero che va lungo la costa diventa una lunga terrazza con una vista panoramica, sulla quale velocemente si crea un traffico di persone, visto che ogni passante vuole fermarsi un attimo per godersi la veduta. Sul sentiero notiamo dei piccoli spazi di sosta, con dei nomi evidentemente strani come “piazzetta degli uccelli morti”. Degli animali morti non ci sono, per fortuna, possiamo quindi tranquilli riprendere il fiato all’ombra.

Tutte le città del Parco Nazionale Cinque Terre sono collegate con un itinerario di trekking, e per tutti quelli meno attivi sia da Genova sia dalla Spezia circola un treno con cui senza problemi e senza fretta visiteremo tutte e cinque i paesi.  Il sentiero più importante e il più romantico del Parco Nazionale è la Via dell’Amore che collega Riomaggiore e Manarola. Insieme alle 5 città fa parte del Parco Nazionale Cinque Terre e del patrimonio mondiale dell’umanità UNESCO.

Cosa ci meraviglia?

Quanto lo sfarzo suscita l’ammirazione, tanto la semplicità è piacevole e suscita l’apprezzamento. Per questo la folla resta a bocca aperta dalla meraviglia, visitando una basilica o un palazzo, ma respira a polmoni pieni toccando i vecchi muri di una casa di pietra nascosta nell’ultima strada, oppure toccando una dura erba di una falesia, dalla quale le piccole rocce sotto i nostri piedi scivolano e cadono nel profondo del mare. Si svegliano in noi degli istinti primigeni di una voglia di convivenza con la natura e di formare un’unità con essa e creare in suo onore una bellezza mozzafiato.

Il turchese del mare brilla al sole, e lo specchio d’acqua illuminato getta raggi chiari verso le case sulle rocce, i cui colori sembrano vivere. Così come secoli fa, i greci costruivano davanti al monumento di Zeus un bacino pieno d’oliva, la quale illuminata dai raggi solari gettava una luce d’oro al dio. Così chiunque dovesse dubitare, una volta visto il monumento che brilla di color d’oro riprendeva la propria fede. E nello stesso modo oggi a Manarola il ruolo dell’olio d’oliva lo svolge l’acqua del mar Ligure. Lo specchio d’acqua, riflettendo la luce solare, illumina tutta la città, mostrando la bellezza della convivenza dell’architettura con la natura, in modo che se qualcuno dovesse dubitare, crederà.

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POLONIA OGGI: La Giornata del Bambino e il mercato dei giocattoli

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La Giornata del Bambino di quest’anno in Polonia potrebbe battere tutti i record nel mercato dei giocattoli a causa della coincidenza con il primo pagamento del programma “500+”. Il mercato dei giocattoli in Polonia è in costante crescita, se messo a confronto con gli altri paesi europei. Il giro d’affari è di 2,5 miliardi di zloty, mentre quello europeo ne vale 56. Il prezzo medio di un giocattolo comprato in Polonia è stimato sui 36 zloty, che equivale a 75 euro spesi in un anno pro capite, mentre la media dell’Europa Occidentale è di 340 euro. Ma, come sottolineano gli economisti, il mercato polacco è molto dinamico e per questo sta attirando produttori e venditori da tutto il mondo.

forsal.pl

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Il Museo Ferrari: quando una macchina diventa un’opera d’arte 

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“La vittoria più bella è quella che deve ancora venire”, disse Enzo Ferrari, credendo nel successo e nella vittoria del marchio aveva creato. Queste parole significative ci portano alla prima sala del museo e ci ha accompagnano per tutta la visita, durante la quale facciamo un viaggio nel tempo, dal 1950, quando ancora la casa automobilistica fondata da Enzo Ferrari faceva i primi passi, fino ad oggi, quando la Ferrari è diventata una delle aziende più note al mondo. Cinque sale espositive sono suddivise in 8 parti che presentano la storia del progetto, della produzione nonché le tappe del perfezionamento della macchina da corsa per farla diventare invincibile. Ogni sezione è accompagnata da una breve, quasi poetica descrizione della visione degli ingegneri e dei designer che contribuirono al successo del marchio; una descrizione dei sogni e alla fine dell’amore per la macchina, che diventa qualcosa di più di un semplice veicolo.

Il marchio che ci meraviglia

Tutti in modo automatico ma gentile mi augurano una buona visita, la quale inizia con l’incontro con il modello 290 MM. Esso è situato in una parte centrale, all’ingresso della prima sala espositiva, in modo che, passandogli accanto, abbiamo voglia di guardare subito cosa si nasconde dietro la macchina. Tra i visitatori ero curiosamente l’unica donna, oltre la partner di uno spagnolo che a Modena mi aveva chiesto indicazioni su come arrivare al museo. La mostra nel museo viene aggiornata alcune volte all’anno. Una sezione è dedicata alla Formula 1, dove possiamo ammirare gli esemplari, che, grazie alle loro vittorie hanno contribuito al successo del cavallo rampante. Dalle immagini alle pareti ci guardano piloti che una volta erano seduti negli abitacoli morbidi delle macchine che oggigiorno vengono esposte nelle sale del museo. Sul pianerottolo, salendo delle scale strette, ci imbattiamo nel modello 166 MM prodotto nei primi anni 50, dietro cui è nascosta una sezione delle autovetture dove troviamo i modelli come Innocenti F128, 250 GT Berlinetta e Dino 246 (la prima Ferrari a motore centrale-posteriore stradale) e Ferrari 360 Modena. Le carrozzerie perfettamente tirate a lucido, brillano in una luce bianca artificiale, riflettendo e deformando leggermente tramite le forme arrotondate degli specchietti, i volti meravigliati dei visitatori e le loro macchine fotografiche. Le macchine, naturalmente, non si possono toccare, ma è veramente difficile resistere alla tentazione di sfiorare almeno con la punta delle dita le forme ondulate delle carrozzerie lucide oppure della tappezzeria, esposta agli occhi dei visitatori nella sala accanto.

Il cuore della macchina e dei modelli unici

Il Museo offre la possibilità di conoscere tutti i segreti delle vetture Ferrari, ed anche di guardare al loro interno, presentando la parte più preziosa di esse, ovvero il cuore della macchina. Accanto ad un potente motore, viene presentato un prototipo senza la carrozzeria della Ferrari 408 4RM, che non è mai entrata in produzione. Davanti ad essa i visitatori si piegano, allungando il collo perché nemmeno il più piccolo dettaglio gli possa sfuggire. Invece nella sezione “Uniche e segrete” veniamo introdotti ad un mondo riservato solamente a pochi, visto che in quella sala ampia si possono ammirare i modelli unici di macchine, come la F60 America, prodotte solamente in pochi esemplari.

Una visita al museo Ferrari non è solo un viaggio nella storia della società, ma anche una cavalcata nell’evoluzione dell’industria automobilistica italiana. È poi anche una vera e propria esperienza estetica, con la possibilità di rendersi conto di quante diverse forme l’arte può assumere.

“Le è piaciuto?”, mi ha chiesto lo stesso uomo che all’ingresso aveva controllato il mio biglietto. “Sì, onestamente non mi aspettavo che questa visita avrebbe potuto farmi un’impressione così positiva”, ho risposto con sincerità, “Queste vetture sono, infatti … opere d’arte”, concludiamo all’unisono. Ed è difficile avere un’altra opinione mentre si lascia il museo Ferrari.

Altre attrazioni del museo

Per coloro che desiderano realizzare il sogno di sedersi al volante di una delle macchine Ferrari, la fabbrica della Ferrari situata nelle vicinanze del museo offre ai turisti la possibilità di noleggiare un modello scelto per 10 minuti (il prezzo è da 50 a 80 euro). Invece ai visitatori più giovani appassionati della Ferrari, il museo offre, grazie ad un simulatore virtuale, la possibilità di fare un giro in Formula 1 (25 euro).

Invece se vogliamo portare con noi un souvenir con il logo della Ferrari, il museo ospita anche un piccolo negozio, dove possiamo comprare quasi tutto: partendo dalle t-shirt, cappelli, custodie per cellulari e terminando con dei …. ciucci per bambini.

Come arrivare?

Il museo si trova a Maranello vicino a Modena. Se non viaggiate in auto, la soluzione migliore è quella di arrivare a Modena in treno e dall’autostazione locale prendere l’autobus 800 con cui arriverete nei pressi del museo. Il biglietto di ingresso al museo costa 15 euro, bambini e ragazzi fino a 18 anni (accompagnati dai genitori) 5 €.

POLONIA OGGI: Solaris in gara per il miglior Bus Europeo dell’anno

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Il produttore polacco di pullman Solaris parteciperà al concorso per il titolo di “Bus Europeo dell’anno”. “Per Bus Euro Test 2016 abbiamo scelto un mezzo elettrico e innovativo”, dice Andreas Stecker, presidente di Solaris Bus & Coach. Il nuovo Solaris Urbino 12 elettrico è dotato di una batteria di 240kWh che possono essere ricaricate utilizzando un pantografo durante la sosta alle fermate oppure attraverso un connettore in deposito di tipo plug-in, rendendo l’autonomia di Urbino praticamente illimitata. Solaris ha già fornito tali veicoli alle città di Barcellona, Berlino e Amburgo e in Polonia a Inowroclaw, Ostroleka, Cracovia e Varsavia. Nel 2004, nel Bus Euro Test,ha gareggiato per Solaris il modello Urbino II con motore a combustione interna, arrivato molto vicino alla vittoria. Solaris è leader europeo nello sviluppo di veicoli elettrici: dal 2001 produce filobus e dal 2011 autobus. “I mezzi elettrici sono il futuro del trasporto pubblico”, ha dichiarato Strecker. Il fatturato di Solaris nel 2015 è stato di circa 1,7 mld di zloty.

rp.pl

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La Costituzione polacca del 3 maggio 1791

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“La Costituzione del 3 maggio è probabilmente il bene pubblico più puro che sia mai stato dato all’umanità”Edmund Burke

Nella storia della legislazione polacca, scriveva Stanisław Smolka, “non esiste un altro atto insignificante come la Costituzione di Maggio. La sua durata fu come un soffio: un anno solo. Essa fu soffocata nella culla. Ciò nonostante il suo ricordo incancellabile rimane molto caro; è sempre vivo e presente nell’immaginario nazionale, nonché nei cuori e nella coscienza dei polacchi.” Sono parole importanti, eppure la conoscenza delle esperienze costituzionali polacche, da parte della dottrina giuridica europea, è piuttosto scarsa. Questo è stato, ed è ancora oggi, un grande errore; la Polonia infatti è ricca di tappe importanti nel panorama giuridico, oltre che storico.

Basti ricordare che nel 1505, durante il regno degli Jagelloni, venne emanato l’atto del “Nihil Novi”, che viene considerato come “il documento che ha dato inizio al parlamentarismo polacco, e che stabiliva un principio fondamentale nell’affermazione seppur primordiale del costituzionalismo”. Secondo tale norma, una legge non poteva essere approvata dal Re senza il consenso di Camera e Senato. Nel 1574 si afferma inoltre un altro passo importante con la sottoscrizione degli “Articuli Henriciani”, dal nome di Henryk Walezy, neoproclamato Re della Rzeczpospolita Obojga Narodów, Repubblica polacco-lituana; questi articoli, nel codificare i nuovi principi di governo, stabilirono espressamente che il re non poteva più ricevere la corona su base ereditaria, ma solo in seguito a libere elezioni viritim, e si affermò altresì che fosse suo obbligo convocare il Sejm (Parlamento) almeno ogni due anni per 6 settimane. Insomma, passaggi non da poco, se li osserviamo con gli occhi del costituzionalista.

Oltre a detenere il primato temporale ponendosi come prima Costituzione scritta in Europa, nonché seconda al mondo dopo quella degli Stati Uniti del 1788, di cui “assorbe parte dei suoi principi liberali”, la Costituzione polacca del 1791 si afferma in modo del tutto particolare; potremmo dire, usando un termine latino, sui generis rispetto alle esperienze giuridiche che si susseguiranno nel resto d’Europa:  non si va a delineare come elemento di rottura (a differenza di quella francese del settembre 1791), ma si afferma in modo pacifico, pur collocandosi tra gli eventi più importanti della settecentesca fase di trasformazione dello Stato (da Ancién Regime a Stato moderno); essa è il frutto non di una guerra civile, ma di una evoluzione del sistema politico; non di una frattura rivoluzionaria, ma di un progresso culturale. La Konstytucja 3-go maja racchiudeva sia contenuti tradizionali che elementi di novità e di riforma: il passaggio dall’Unione alla monarchia costituzionale si guadagnò il nome, appunto, di “rivoluzione pacifica”; il francese Louis Bonafous sottolineava che la costituzione polacca era stata creata “senza i soldati, senza le armi, senza nessuna violenza.” Simili considerazioni esprimeva Antoine-Joseph Gorsas, che scrisse: “La Polonia è libera. E senza spargimento di sangue, ha dato vita alla più bella rivoluzione.” Anche il filosofo e scrittore britannico di origine irlandese Edmund Burke, criticando certe prassi del movimento rivoluzionario francese, annotò: “Se ci sono dei miracoli in questo secolo, uno è accaduto in Polonia.”

La particolarità di questo percorso è da intravedere anzitutto nel ceto nobiliare polacco, principale attore politico e nazionale. La peculiarità di questo ceto è infatti insolita rispetto al resto d’Europa; una studiosa come Beata Maria Pałka, a riguardo, scrive che “la nobiltà rappresentava il 10% dei polacchi, contro, ad esempio, l’1% di quella francese”. La loro posizione sociale infatti era particolarmente marcata, tanto che venne definita da più autori come “democrazia nobiliare”, e le sue ideologie di aurea libertatis influirono in maniera decisiva nel processo costituzionale, caratterizzato in primo luogo dalla tutela delle libertà acquisite dalla nobiltà; si potrebbe parafrasare, richiamando l’antico celebre motto del Re francese Luigi XIV “Lo Stato sono io” (L’Etat c’est moi), che nell’esperienza polacca la nobiltà avrebbe potuto dichiarare “Lo Stato siamo noi”. Ma la nobiltà non era l’unica a spingere verso un processo riformatore; è infatti con l’ascesa al trono polacco-lituano del re illuminista Stanislao II Augusto Poniatowski che si apre un nuovo capitolo della storia, e soprattutto una fase cruciale nella ricerca dell’identità dello Stato polacco; anni che sono denominati dalla storiografia come “il periodo delle riforme”, che andarono a interrompere il cosiddetto periodo di ristagno intellettuale denominato “notte sassone”.

I due grandi ideologi che contribuirono alla stesura furono i sacerdoti Stanisław Staszic e Hugo Kołłątaj, l’uno monarchico e l’altro repubblicano; essi andarono a teorizzare la respublica polacca non più come una mera difesa del liberum veto e dei privilegi nobiliari, ma come la delineazione di un vero governo, basato su una reale limitazione dei poteri e su una prima tutela dei diritti civili; un progresso culturale che era frutto della storia, origine di processi e di riforme antecedenti, di risvolti culturali che contribuirono a creare una stagione riformatrice di cui la Costituzione di maggio è solo l’ultimo e più alto prodotto, e che si fa strada dal 17 novembre 1789, quando il Sejm nominò una deputazione allo scopo di preparare una bozza di Costituzione.

Il ruolo principale all’interno di questo nuovo organo fu ricoperto da Ignacy Potocki. Tale progetto venne discusso con la fondamentale mediazione di un italiano, Scipione Piattoli, personaggio chiave nella mediazione politica tra le due parti, che fu definito da un eminente storico quale Aleksander Gieysztor, come “un vero e proprio tramite tra le posizioni monarchiche e quelle repubblicane, collaborando con entrambe nella stesura del progetto costituzionale”. Intorno alla Carta si formò un vero e proprio pactum di salda fede patriottica, all’insegna del motto “Il re con il popolo, il popolo con il Re”. D’altronde, già nelle considerazioni sul governo di Polonia di Rousseau del 1771, emerse un concetto romantico più che illuministico; in quest’ottica la nazione appare come un’entità storico-culturale, prima ancora che un aggregato tra classi differenti, e fu anche questo che diede vita ad una lunga fede quasi “religiosa” al testo costituzionale. Anche per ciò la Costituzione del 1791 ha svolto, pure nella storia contemporanea, un ”ruolo fondamentale nella coscienza dell’indipendenza della Polonia, che cancellata per 123 anni dalle mappe d’Europa, rimaneva salda e viva nella mente e nel cuore dei polacchi”; ne è dimostrazione il fatto che, dopo aver riacquistato l’indipendenza perduta, la Costituzione del 1921 (nel suo preambolo) fa esplicito riferimento alla Costituzione di Maggio.

Essa però venne applicata, come sappiamo, per pochissimo tempo. Nel 1792, appena 1 anno dopo, il re fu costretto ad aderire alla Konfederacja targowicka, di magnati polacchi sotto l’egida della Russia di Caterina II. Russia e Prussia imposero il ritorno delle antiche leggi e consuetudini, per poi procedere ad ulteriori spartizioni. Ma l’importanza del costituzionalismo polacco, che ha segnato l’affermazione della Nazione, resta ancora oggi nella storia europea. Emblematiche, a riguardo, le parole del nostro Giovannino Guareschi: “la voce della Polonia è un dolore dignitoso di gente usa da secoli ad essere schiacciata e a risorgere. Di gente che viene uccisa sempre ma che non muore mai. (…) Ogni cosa in Polonia, ogni gesto, ogni accento, parla della passione polacca.” Soprattutto la Costituzione.

Grande successo per i film di Kieślowski a Roma

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Lunghe code e sale piene al cinema stanno accompagnando il 14esimo festival cinematografico polacco, quest’anno dedicato a Krzysztof Kieślowski, che si sta svolgendo all’interno del Palazzo delle Esposizioni a Roma. La rassegna “Passione Kieślowski” è uno degli eventi del Festival della cultura polacca “Corso Polonia” ed è un’iniziativa dell’Istituto Polacco di Roma. I quotidiani italiani sottolineano che il regista, morto 20 anni fa, è stato uno dei più grandi e apprezzati artisti nel XX secolo grazie al suo genio e singolarità. Durante il festival saranno mostrati 40 film, compresi cortometraggi e documentari, firmati dal regista. Sabato scorso, giorno dell’inaugurazione della rassegna, era presente un’ospite speciale: l’attrice francese Irene Jacob che ha recitato in due film di Kieślowski (“La doppia vita di Veronica” e “Tre colori. Rosso”). Il 3 e 4 giugno sarà invece Jerzy Stuhr a presentare altre due pellicole del regista che lo vedono protagonista. Le serate stanno avendo un grande successo tra il pubblico. All’esterno del Palazzo si registrano lunghe code già un’ora e mezza prima dell’inizio delle proiezioni .

rp.pl

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Niccolò Paganini, il violinista del diavolo

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Niccolò Paganini (Genova 27/11/1782 – Nizza 27/5/1840). Terzogenito, nasce da Antonio Paganini e Teresa Bocciardo. Ha 2 fratelli, Carlo, anche costui violinista e Biagio, vissuto un anno appena, entrambi nati prima di lui e due sorelle, Angela e Nicoletta, entrambe, invece, più giovani. Niccolò apprende i primi rudimenti musicali da suo padre, operaio al porto di Genova, ma anche bravo chitarrista e mandolinista dilettante. Si appassiona così alla chitarra, strumento che non abbandonerà mai, approfondendone, anzi, la tecnica e la scrittura. Giovanissimo, viene affidato al musicista Giovanni Servetto e più avanti a Giacomo Costa, celeberrimo violinista. È a Genova che si esibisce per la prima volta in pubblico, assieme a suo fratello Carlo, durante le feste del carnevale 1793. Un anno dopo – e ancora l’anno successivo – sotto la guida di Costa, il giorno 26 maggio, suona di nuovo in pubblico, durante le solennità per i festeggiamenti del santo patrono nella Chiesa di San Filippo Neri. Un’altra esibizione pubblica la effettua, questa volta, in occasione della festa di Sant’Eligio, nella Chiesa di Santa Maria delle Vigne, il 1° dicembre del 1794.

Il suo primo debutto ‘in concerto presso un’accademia’, lo tiene, invece, al Teatro di Sant’Agostino, il 25 luglio del 1795. In questo periodo Paganini, intanto, si sta perfezionando in armonia e in composizione con l’operista genovese Francesco Gnecco. Due anni più tardi egli si trasferirà a Parma, ancora per consolidare la sua formazione di armonia e composizione, con il violinista Alessandro Rolla prima e con Ferdinando Paer e Gasparo Ghiretti, poi. Tornato a Genova, si reca subito dopo in Toscana, prima a Livorno, quindi a Lucca, dove il 22 gennaio del 1805 viene nominato Primo Violino della Cappella Nazionale della Repubblica. Stabilitosi presso la corte di Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone, impartisce lezioni di violino. Tra il 1810 e il 1813 Paganini lavora in Lombardia e in Emilia-Romagna. A Milano entra in contatto con l’editore Giovanni Ricordi e lì stringe una durevole amicizia con Gioacchino Rossini. Il 29 ottobre del 1813 esegue, per la prima volta, l’opera “Le streghe” al Teatro alla Scala e, nel corso di oltre 20 anni, percorrerà tutta l’Italia e l’intera Europa, soggiornando a Roma, a Berlino, a Londra, a Parigi, malgrado sia estremamente cagionevole di salute per aver contratto la tubercolosi. Incorre in guai giudiziari per bancarotta e viene condannato a pagare debiti di gioco e un indennizzo per aver sedotto e, in un certo senso, rapito una giovane, sposata e per giunta, minorenne. Nel 1817 muore suo padre. Nel 1824, a Como, Paganini avvia una relazione con Antonia Bianchi, una cantante, con la quale convive per quattro anni. Nel 1825, il 22 luglio, nasce Achille Ciro suo unico figlio, ma soltanto tre anni più tardi si separa dalla sua compagna, ottenendo però dal giudice l’affidamento del bambino. Nel 1827, intanto a Roma, gli viene conferito il titolo di Cavaliere dello Speron d’Oro. Nel 1831 muore sua madre.

I primi contatti con il mondo polacco li ha nel 1810 quando compone  l’affascinante “Polacca con variazioni” e quando, nel 1818, a Piacenza, incontra il violinista Karol Lipiński. Nel 1829 finalmente si reca a Varsavia per partecipare, il 24 maggio, alla cerimonia d’incoronazione di Nicola I Re di Polonia. Lì, nel 1830 compone la straordinaria Sonata “Varsavia”. Molte personalità del mondo della musica, tra cui Federico Chopin, assisteranno ad un concerto che il musicista italiano terrà in quella capitale, dove deciderà di sostare per oltre due mesi, riscuotendo, per tutto il tempo, una infinità di successi, tanto che dovrà protrarre il suo soggiorno in Polonia ancora un altro mese, per esibirsi ancora a Breslavia, prima di raggiungere, in agosto, la meta successiva: Berlino.

Niccolò Paganini, ormai in condizioni precarie di salute, trascorre gli ultimi anni della sua vita, tra medici e, anche, tra avvocati. Nel gennaio del 1839 si reca a Genova e da lì si trasferisce a Nizza per curarsi, ma ormai senza alcuna speranza di guarire. Il 27 maggio dell’anno successivo, infatti, smette di vivere.

Però la vicenda biografica di Paganini non si concluderà con la sua scomparsa. Le autorità ecclesiastiche, a causa di un probabile malinteso tra Paganini e il sacerdote che lo ha assistito nei momenti estremi, vieteranno i suoi funerali e la sua sepoltura in terra consacrata: il grande violinista viene considerato un empio! Dopo interminabili vicissitudini, solo nel 1876 le sue spoglie mortali troveranno finalmente una collocazione definitiva nel Cimitero della Villetta di Parma.

Tra le sue opere vanno ricordate, “I Capricci per violino solo”, composti nel 1817, il “Carnevale di Venezia”, la Sonata “Napoleone”, i cinque “Concerti”, composti fra il 1816 e il 1830, “Le Streghe”, del 1813, i lavori: “Dal tuo stellato soglio”, del 1818-19, “Non più mesta”, del 1819 e “I Palpiti”, del 1819; la Sonata con variazioni “Pria ch’io l’impegno”, del 1819 e gli inni nazionali, tra cui “La Maestosa Sonata sentimentale”, del 1828; oltre alla copiosa Musica da Camera, come i “15 Quartetti per violino, viola, violoncello e chitarra”, le “37 Sonate per violino e chitarra”, del 1829 e i “43 Ghiribizzi per chitarra sola”, del 1820.

Una curiosità! Ecco come appare la figura di Niccolò Paganini, a detta del pittore Ludwig Emil Grimm in una lettera al fratello Wilhelm, riportata da Roberto Grisley: «Una persona pallida e magra, ‘stanca e sazia di vita’, con i capelli neri a ciocche e la sciarpa al collo, con l’ampia fronte contrapposta alla parte inferiore del viso sorprendentemente corta e con l’asimmetria delle due guance che sembrano confermare l’assenza di denti». E poi «Con un naso ‘non meno celebre del suo talento’», affermazione, questa, della stampa francese di allora.