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A Loreto e Ancona i Polovers Days 2024: per incontrare i polacchi che liberarono le Marche 80 anni fa

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Un’edizione speciale per l’80° anniversario della liberazione

Loreto e Ancona si preparano ad accogliere i Polovers Days 2024, un’edizione speciale delle giornate dell’amicizia italo-polacca promosse dagli innamorati di Polonia. Dopo il successo riscosso a Macerata dal rinomato pianista di Varsavia Wojciech Świętoński in occasione del vernissage della mostra “Vis-à-vis” a Palazzo Buonaccorsi, il ricco programma dei Polovers Days nei giorni 17 e 18 luglio è pensato per onorare “i ragazzi del Generale Anders”, ovvero soldati, ufficiali ed ausiliarie del 2° Corpo Polacco che liberarono le Marche nell’estate 1944.

Commemorazioni ufficiali e tributo ai liberatori

Ricorre quest’anno l’80° anniversario del passaggio del fronte nella nostra regione durante la Seconda Guerra Mondiale, e in occasione delle commemorazioni ufficiali organizzate da UdsKiOR (Ufficio per i veterani e le vittime dell’oppressione) e l’Ambasciata di Polonia a Roma con le municipalità di Loreto e Ancona, i Polovers non possono far mancare il giusto tributo di memoria e riconoscenza nei confronti di chi si batté eroicamente e gratuitamente “per la nostra e la vostra libertà” nella Campagna d’Italia, anche a prezzo della propria vita.

Eventi del 17 luglio a Loreto

Si parte mercoledì 17 luglio a Loreto presso il Cimitero Militare Polacco (uno dei 4 in Italia) ove riposano 1.112 soldati polacchi: qui alle 17:30 si celebrerà la Santa Messa solenne in suffragio dei Caduti del 2° Corpo, con l’appello della memoria, la cerimonia di conferimento di onorificenze e la deposizione delle corone, cui presenzieranno le massime autorità civili militari e religiose. Cui prenderà significativamente parte la figlia del Generale Anna Maria Anders e,  in un’encomiabile e commovente testimonianza di umanità e senso civico, anche gli ultimi veterani polacchi ultracentenari giunti da tutto il mondo per rendere onore ai loro compagni d’arme.

Alle ore 20:15 dal palco allestito sul Belvedere di Porta Mariana di fronte la statua bronzea del papa polacco San Giovanni Paolo II, TPE Società di Progetti Educativi con il Consolato Onorario di Polonia in Ancona e Polovers offriranno al pubblico il concerto per pianoforte e archi Sonata Liberationis” opera musicale di grande pathos dedicata alla liberazione di Ancona del 18 luglio 1944 da parte delle truppe polacche, composta ad hoc dal M° Artur Tomasz Tomacki ed eseguita in anteprima mondiale dall’eccezionale ensemble composto da Marianna Humetska (piano, Leopoli), Krzysztof Wójtowicz (violoncello, Cracovia), Anna Wójtowicz  (violino, Cracovia), Paweł Wójtowicz (violino, Cracovia), Piotr Augustyn (viola, Cracovia). L’ingresso è gratuito.

Al termine del concerto, i Polovers si sposteranno presso il Santuario della Santa Casa di Loreto dove accolti dall’Arcivescovo Prelato Mons. Fabio Dal Cin, renderanno il loro sentito omaggio alla Vergine Lauretana, che proprio durante la pandemia di 3 anni fa li tenne a battesimo nel Museo Pontificio del Palazzo Apostolico.

La giornata si chiuderà poi in grande stile con un momento festoso aperto alla cittadinanza nell’antistante piazza della Madonna: qui i rappresentanti dell’Associazione dei Polacchi in Italia si daranno appuntamento per danzare insieme ad amici, turisti e curiosi la maestosa marcia polonaise, secondo una tradizione del 16° secolo consolidata lo scorso anno anche ai Polovers Days di Macerata.

Eventi del 18 luglio ad Ancona

Il 18 luglio si ricorda l’eroica presa di Ancona a seguito delle cruente battaglie sul Chienti e di Filottrano (ove persero la vita oltre 400 persone fra militari e civili). Il 2° Corpo Polacco, comandato dal generale Władysław Anders, svolse un ruolo cruciale nella liberazione delle Marche nel 1944. Durante la campagna d’Italia, il corpo contava circa 55mila uomini, inclusi circa 1.500 donne dei servizi ausiliari. Questi soldati erano per lo più cittadini polacchi arrestati dall’NKVD (la polizia segreta russa responsabile delle grandi purghe che operò in Polonia con la Gestapo nazista): dapprima deportati nei gulag sovietici, furono liberati grazie all’accordo Sikorski-Majskij del 1941. Con l’avvio dell’operazione Barbarossa, molti di loro furono rilasciati e formarono il ricostituito esercito polacco che si unì agli Alleati nel teatro di guerra del mediterraneo. La conquista del capoluogo dorico da parte dei polacchi fu tanto cruciale nella Guerra di Liberazione quanto la più spesso citata battaglia di Monte Cassino, poiché l’importanza strategica del porto per i rifornimenti consentì l’ulteriore avanzata degli Alleati verso il nord Italia.

Al mattino ore 9:30 si terrà innanzi alle massime autorità, alle associazioni combattentistiche, d’arma e partigiane la cerimonia commemorativa dell’80° anniversario dell’entrata dei liberatori polacchi attraverso Porta Santo Stefano, con la deposizione delle corone di alloro anche presso l’attiguo monumento ai Lancieri dei Carpazi, inaugurato nel 2022.

Nel pomeriggio dalle 17:45 lo Stadio Dorico in Viale della Vittoria si prepara a far riecheggiare i fasti della grande Polish Parade di 80 anni fa. Dapprima con l’inaugurazione della mostra storico-iconografica curata da TPE Il Generale dalla terra inumana” che narra l’epopea del generale Anders e del 2° Corpo Polacco illustrandone lo straordinario contributo alla liberazione dell’Italia – in tale occasione saranno distribuite anche copie del prestigioso catalogo bilingue prodotto da TPE in collaborazione con i Polovers (il concerto di Loreto e la mostra ad Ancona fanno parte del progetto finanziato dei fondi del Ministero degli Affari Esteri polacco). Saranno presenti anche i rievocatori in uniformi e jeep originali dell’Accademia di Oplologia e Militaria.

Presso l’attiguo l’info point dell’Esercito Italiano allestito e curato dal personale del Comando Militare Esercito “Marche” gli interessati potranno ricevere informazioni riguardanti le opportunità professionali offerte, con particolare riferimento al Bando di Arruolamento per Volontari in Ferma Prefissata di un anno (VFP1). Poi, imediatamente a seguire, alle 18:30 si terrà l’emozionante concerto dell’Orchestra di Rappresentanza dell’Esercito Polacco, che eseguirà un repertorio internazionale di marce marziali e brani tradizionali polacchi ed italiani lungo l’alberato Viale della Vittoria fino al Monumento ai Caduti del Passetto, da cui si gode il suggestivo affaccio sull’Adriatico e il Monte Conero.

Sarà sempre della ottima musica a concludere la giornata, grazie al duplice momento in omaggio della Polonia organizzato presso la Mole Vanvitelliana dall’Istituto Polacco di Roma in collaborazione con il Consolato Onorario della Repubblica di Polonia in Ancona e l’AIPNM, come di consueto inserito nel cartellone della rassegna Ancona Jazz Summer Festival 2024. Alle 19:00 Silvia Manco piano/voce partirà da una poesia di Wislawa Szymborska (premio Nobel 1996) per dar vita al recital “Ella in heaven”; mentre alle 21:30 sarà la volta di O.N.E. Quartet, combo tutto femminile dal sapore più contemporaneo e crossover, con l’italiana Francesca Remigi alla batteria.

Un’opportunità unica per celebrare l’amicizia italo-polacca

Durante i Polovers Days, sarà possibile acquistare le spille czerwone maki (papaveri rossi) ideate dalla Scuola di Lingua e Cultura “Anders” di Marche e Umbria in ricordo della battaglia di Monte Cassino, devolvendo un’offerta a supporto dall’Associazione Italo Polacca Nuova delle Marche.

Ma i più golosi, grazie all’opera di maestri pasticceri Foligni, Giuliodoro e Santini custodi della ricetta originale dei forni militari polacchi aperti negli anni ’40 nell’attuale Piazza Pertini , potranno gustare in bar, forni e pasticcerie del capoluogo la ricetta originale delle polacche – croissant a pasta sfogliata rinforzati con uno strato interno di pasta di mandorle, ricoperti da una sottile glassa di zucchero, che si mangiano solo in Ancona.

Insomma, i Polovers Days sono un’opportunità unica per celebrare la storica amicizia tra Italia e Polonia, ricordando i sacrifici dei soldati polacchi durante la Seconda Guerra Mondiale. Oltre che con le celebrazioni ufficiali, con una serie di eventi culturali che includono fotografia, musica e spiritualità, artigianato e arte pasticceria, danza e concerti. Tutte le info e gli aggiornamenti su polovers.it e sulle pagine social.

Un progetto promosso da:

POLOVERS® – Innamorati di Polonia

Consolato Onorario della Repubblica di Polonia in Ancona

ANDERS Scuola di Lingua e Cultura Polacca di Macerata Perugia e Ancona

AIPNM Associazione Italo Polacca Nuova delle Marche

Partner:

TPE Società Progetti Educativi

Patrocini: 

Ambasciata della Repubblica di Polonia a Roma

Ufficio Consolare presso l’Ambasciata della Repubblica di Polonia in Italia

Istituto Polacco Roma

IPN Istituto della Memoria Nazionale polacco

Associazione dei Polacchi in Italia

Consiglio Regionale – Assemblea Legislativa delle Marche

Comune di Loreto

Comune di Ancona

Prelatura della Santa Casa di Loreto

ANCI Marche

ANCR Associazione Combattenti e Reduci Federazione di Macerata

L’Ambasciatore Franchetti Pardo consegna l’Onorificenza dell’Ordine della Stella d’Italia a Wojciech Fałkowski e dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana a Umberto Magrini

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od lewej/ da sinistra: Luca Franchetti Pardo, Wojciech Fałkowski

L’Ambasciatore d’Italia in Polonia Luca Franchetti Pardo ha consegnato ieri (09.07.2024), alla presenza di diversi esponenti del mondo politico e culturale polacco, l’onorificenza dell’Ordine della Stella d’Italia, con la classe di Ufficiale, al Prof. Wojciech Fałkowski, accademico specializzato in storia medievale e direttore del Museo del Castello Reale a Varsavia. Come sottolineato dall’Ambasciatore Franchetti Pardo, il Direttore Fałkowski ha contribuito a diffondere la conoscenza dell’arte e della cultura italiana ad un crescente pubblico polacco, supportando l’organizzazione di numerose mostre d’arte di opere italiane. In particolare, l’Ambasciatore ha ricordato l’importante mostra “I risvegliati”, esposta lo scorso anno al Palazzo Reale di Varsavia, che, attraverso un ampio numero di opere di principali maestri italiani, ha permesso al pubblico polacco ed internazionale di approfondire la conoscenza degli albori del Rinascimento italiano. Nel ringraziare il Presidente della Repubblica e l’Ambasciatore per l’onorificenza ricevuta, il Prof. Fałkowski ha evidenziato il suo forte legame con la cultura italiana, una tradizione che il grande pubblico deve riscoprire al fine di comprendere le profonde relazioni alla base della storia dell’Europa.

Oggi (10.07.2024) Luca Franchetti Pardo ha consegnato l’onorificenza dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana con la classe di Commendatore al Dott. Umberto Magrini, fondatore dell’impresa Partnerspol e già insignito, nel 2008, del Cavalierato dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana. L’Ambasciatore ha ricordato il prezioso sostegno fornito dal Dott. Magrini ai rifugiati ucraini – soprattutto donne e bambini – in fuga dalla guerra, e i servizi loro offerti al fine di superare i diversi traumi legati alla guerra. L’Ambasciatore ha anche evidenziato le forti sinergie createsi con il tessuto locale e con le istituzioni polacche ed italiane, in primis con l’Ambasciata d’Italia a Varsavia. Il Dott. Magrini ha espresso il suo ringraziamento per l’onorificenza ricevuta, affermando che tale riconoscimento è il risultato di un costante e stretto lavoro di squadra con i membri dell’azienda. L’imprenditore ha poi chiosato con l’importanza della funzione sociale dell’impresa e con la centralità della solidarietà, valore fondamentale della dignità umana in contrapposizione all’indifferenza, uno dei mali della società contemporanea.

“Le siciliane” Gaetano Savatteri

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Durante la Fiera Internazionale del Libro di Varsavia si è svolto un incontro sul libro “Le siciliane” del giornalista Gaetano Savatteri, cui è intervenuta italianista e redattrice di Gazzetta Italia Agata Pachucy moderata da Adam Szaja, giornalista e autore del blog smakksiazki.pl. La traduzione in polacco è stata appena pubblicata dalla casa editrice Bo.wiem dell’Università Jagellonica.

Cosa distingue gli abitanti dell’isola più grande del Mediterraneo da quelli delle altre regioni italiane? Esistono varie teorie. Una appartiene al giornalista dello storico quotidiano palermitano “L’Ora” Vittorio Nisticò che dice che i siciliani si dividono in quelli dello scoglio (che non possono immaginare di vivere lontano dalla Sicilia) e quelli del mare aperto (che lasciano l’isola senza problemi). L’altra, che mi sembra migliore e più precisa, descrive la sicilianità con il termine sicilitudine coniato dallo scrittore e pittore palermitano Crescenzio Cane e poi reso celebre da Leonardo Sciascia. Sicilitudine è una condizione dello spirito. Come scrisse Cane nel suo saggio del 1959, questo stato nasce dalla paura e dalla solitudine che assalgono chiunque viva in Sicilia, terra di illusioni e delusioni, di impulsi e tirannie: prima il fascismo, poi la mafia. Secondo Sciascia, è anche una malinconia venata di dolcezza, un senso di fragilità bilanciato da una reazione istintiva e onesta a ciò che non ci piace e a ciò che vorremmo cambiare. È una profonda consapevolezza di sé, una spinta all’azione e alla conoscenza, il segno distintivo di una civiltà che non si arrende alle difficoltà. Se la sicilitudine è paura, lo è paura nel senso positivo. È il coraggio di stare in guardia e allo stesso tempo di rischiare. E di sentirsi vivi.

Mi sembra che queste parole descrivano perfettamente le donne che incontriamo nelle pagine del libro di Savatteri, il cui tratto comune è certamente la voglia di agire e di cambiare il proprio destino. Insieme all’autore, facciamo un viaggio nel tempo per incontrare santa Rosalia, patrona di Palermo, Franca Viola, simbolo dell’emancipazione femminile, la giornalista e scrittrice Giuliana Saladino, la “vecchia dell’aceto” che nel Settecento preparava le pozioni per avvelenare i mariti, la cantante Rosa Balistreri e l’editrice Elvira Sellerio, nonché la ribelle Goliarda Sapienza e tante altre grandi donne. Savatteri mostra la loro indipendenza, la loro natura intransigente e il loro enorme coraggio. Sono donne capaci di opporsi alla mafia, di lottare per la giustizia e di cambiare abitudini che le danneggiano. Sono un ottimo esempio per tutti nel mostrare che non sempre sono necessari gesti eroici, a volte è sufficiente iniziare con i cambiamenti nel nostro ambiente immediato per cambiare le sorti della storia.

Marcin Patrzałek, il giovane musicista che ha conquistato il pubblico italiano

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foto: Klaudia Kurek

Marcin Patrzałek è un chitarrista, musicista e compositore di Kielce, noto soprattutto per gli arrangiamenti di chitarra, che alla fine del 2018 hanno registrato oltre 70 milioni visualizzazioni online. Marcin, nonostante la giovane età, può vantarsi di aver vinto già due famosi programmi televisivi: uno in Polonia, ”Must Be The Music” nel 2015, e di recente, alla fine dello scorso anno, uno show italiano ”Tu Si Que Vales”. Ho parlato con Marcin del suo lavoro, dell’amore per la musica e dei suoi legami con l’Italia.

K.R.: Com’è nato il tuo amore per la musica?

M.P.: Possiamo dire che ho cominciato a suonare per puro caso. Nell’estate del 2010, quando avevo 10 anni, i miei genitori volevano trovarmi un’attività, un hobby. A mio padre è venuta l’idea di farmi iscrivere ad un corso di dieci giorni di chitarra classica nella mia città natale, Kielce. All’inizio non ne ero molto convinto visto che prima di allora non avevo fatto niente di simile. Tuttavia, dopo la prima lezione, è emerso che c’era un grande potenziale per continuare a studiare: la chitarra è diventata rapidamente qualcosa di naturale per me e ho iniziato subito a dedicarci molto tempo, esercitandomi. Dopo i primi 3 mesi di studio ho vinto il mio primo concorso, il Concorso Provinciale di chitarra classica. È stata una grande sorpresa per me e per la mia famiglia, perché il tempo di apprendimento è stato veramente breve. Poi ho cominciato a dedicare sempre più ore allo studio e ho iniziato a interessarmi ad altri stili e alla musica in generale. Attualmente suono lo stile classico, il flamenco, il fingerstyle, il jazz e cerco di combinare tutti questi stili con una sola chitarra e di creare soluzioni musicalmente davvero uniche. Compongo anche musica da film e musica elettronica e ho intenzione di introdurre questi tipi di musica nelle mie performance e nei miei concerti. Nessuno nella mia famiglia è mai stato un musicista professionista, tuttavia, mio nonno e mio padre sono molto interessati alla musica. Mio nonno da giovane ha suonato in una jazz band, invece mio padre per hobby (anche se di altissimo livello) si occupa della lavorazione del suono. Entrambi sono per me fonte di ispirazione e anche i più importanti critici delle mie composizioni.

Come descriveresti il tuo stile?

Lo stile che presento è davvero rarissimo. Uso la cassa della chitarra come un batterista usa la batteria, e con le unghie e i polsi faccio uscire dei suoni completamente non associati a questo strumento. Voglio usare la chitarra per suonare come un’intera band o un’intera orchestra sinfonica, il che non è facile, visto che richiede l’uso di molte complicate tecniche. Cerco di presentare un approccio molto individuale. Come ho già detto ho imparato chitarra classica, chitarra flamenca spagnola, jazz e chitarra acustica e cerco di combinare tutti questi stili in uno solo per creare uno spettacolo speciale, almeno lo spero. Lo stile è così nuovo e individuale che non esiste un percorso „corretto” di apprendimento. Ed è quello che mi piace. Si potrebbe specificare questo stile come un „fingerstyle” ma ho un approccio alla chitarra molto individuale e tale specificazione non è affatto importante.

Dove trovi l’ispirazione per creare le tue composizioni?

È molto difficile per me dire dove trovo l’ispirazione. Prima di tutto ascolto costantemente musica e penso che questa abitudine sia cruciale. Ammetto che ascolto raramente la musica di chitarra, preferisco concentrarmi su altri generi, partendo dal metal, passando per la musica sperimentale, il pop, il rap, il jazz, ecc. Il fatto che così tante diverse sonorità mi circondino costantemente mi spinge ad esprimermi con la chitarra in modi decisamente diversi dall’approccio tradizionale alla chitarra acustica. Quando compongo o arrangio spesso sono guidato da una sorta di impulso spontaneo che mi fa creare uno schema di un’intera canzone in un tempo molto breve. E poi per i successivi mesi con cura lo elaboro nei dettagli.

Nel 2015 hai vinto il programma polacco ”Must be the Music”. Come mai hai deciso di partecipare al talent show italiano?

L’idea, come la maggior parte delle cose nella mia vita, è stata spontanea. I miei genitori lavoravano in Italia quando erano studenti, e hanno dei bei ricordi di quei tempi, specialmente mia mamma, che parla fluentemente l’italiano e ama la cultura italiana. È stata lei a parlarmi a lungo dell’Italia, paese che mi interessava molto. L’anno scorso è stato molto proficuo per quanto riguarda la diffusione del mio lavoro all’estero. Alla fine del 2017 uno dei miei arrangiamenti ha ricevuto più di 30 milioni di visualizzazioni su internet e, pochi mesi dopo, il video con una mia interpretazione del Capriccio di Paganini ha ricevuto 14 milioni di visualizzazioni, ed anche il mio arrangiamento della 5^ sinfonia di Beethoven nel corso di un mese ha registrato 14 milioni di visualizzazioni. E la maggior parte degli utenti che seguivano le mie composizioni erano stranieri. Non avrei mai immaginato di ottenere tali risultati e il fatto che la mia musica sia stata accolta in modo così positivo all’estero mi ha fatto riflettere. Ho pensato: “vale la pena di presentarsi ad un pubblico più vasto!”. Così ho inviato diverse mie registrazioni al programma Tu Si Que Vales. Ed il resto è arrivato da solo.

Come ti sei trovato a lavorare nel programma con gli italiani?

Il mio soggiorno in Italia non è stato noioso nemmeno per un momento! Gli italiani sono estremamente energici ed aperti alle nuove amicizie, il che ha creato un’atmosfera davvero unica. Le persone che lavoravano al programma erano molto amichevoli e disponibili, il che è stato veramento d’aiuto vista la pressione generale legata alla realizzazione dello show. Tuttavia la sorpresa più bella per me è stata quando, dopo l’annuncio della mia vittoria, tutti i membri della produzione italiana che guardavano il programma dal backstage hanno cominciato a saltare di gioia ed applaudire! Io ero sul palco, ma da quello che mi ha raccontato la mia famiglia ho saputo che tutti erano veramente felici del risultato. Ed è una grande gioia per me perché volevo davvero ottenere la simpatia degli italiani, visto che ero uno straniero. È un ricordo davvero simpatico che al solo pensiero mi fa sorridere!

Hai già avuto occasione di esibirti in vari paesi. Come ti è sembrato il pubblico italiano?

Come ho già detto gli italiani sono molto calorosi quindi suonare per loro è puro piacere, senza contare che quelle che ho fatto in Tu Si Que Vales erano delle esibizioni davvero piene di energia! Quindi posso parlare solo bene del pubblico perché sono stato accolto incredibilmente bene ed in più ho ricevuto una standing ovation sia da parte degli spettatori che della giuria. Le emozioni che mi hanno fatto provare sono state straordinarie e quindi non posso fare altro che ringraziare con tutto il cuore il pubblico italiano ed anche i polacchi che vivono in Italia per il loro sostegno!

Ti senti in qualche modo vicino all’Italia?

I miei inizi con la chitarra sono legati ai brani classici e un gran numero dei compositori e degli artisti più geniali sono italiani quindi, da musicista, trovo naturale apprezzare questo paese. L’Italia è un paese molto musicale, per questo la sento vicina e non vedo l’ora di tornarci per suonare. Inoltre i miei genitori sono profondamente legati all’Italia, molto spesso ricordano i tempi quando lavoravano lì e… quasi lo dimenticavo… a casa mia regna la cucina italiana!

Piani per il futuro?

Ovviamente vorrei che il mio futuro fosse nel mondo della musica. Mi piacerebbe studiare al prestigioso Berklee College of Music di Boston, negli Stati Uniti. Lì vorrei dedicarmi alla composizione di musica da film con la chitarra come strumento principale. Oltre a studiare mi concentro molto sullo sviluppo personale, voglio andare oltre la chitarra. In futuro, spero di combinare musica elettronica e musica d’orchestra con uno stile unico della chitarra. Per ora sono solo progetti ma lavoro intensamente per realizzarli. Molte sono le occasioni che arrivano inaspettate, nel 2019 farò concerti quasi ininterrottamente fino a settembre, la maggior parte fuori della Polonia (per esempio in Sudafrica, in Norvegia, Francia, Malta, Italia, ecc.). È un grande piacere per me, ma si tratta anche di una difficile sfida perché a maggio avrò l’esame di maturità e non è per niente facile cercare di combinare questi tutti questi impegni con lo studio.

Blu Zaffiro, la magia del Lago di Garda

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foto: Luca Del Sole

Un aprile insolito colora di tinte primaverili i parchi e i balconi di Peschiera del Garda, dove anche i ponti sui canali, come da tradizione, si vestono di gerani per salutare l’arrivo della bella stagione. L’emergenza che ha sorpreso l’Europa e il mondo ha lasciato il suo segno anche qui. Aprile, che tradizionalmente dà inizio alla stagione turistica accogliendo migliaia di affezionati che affollano il centro storico e il lungolago, sembra oggi sussurrare. La quiete che abbraccia la città è surreale, ciononostante l’atmosfera che si respira nel silenzio in riva al lago è magica.

Amata per il suo sole, il mare e le grandi isole, l’Italia più bella è anche quella del Nord, fatta di cime selvagge uniche al mondo, verdi pascoli, pendii innevati e scenari mozzafiato di cui sono teatro quei laghi che, a cavallo tra la Pianura Padana e le montagne più belle d’Europa, costellano la cinta delle Alpi come le gemme di un diadema che adorna il capo di una dama bellissima. Quel Nord, a volte frettolosamente associato all’idea di austerità, freddezza, di sola operosità, che troppo spesso soccombe nel confronto con l’iconografia stereotipata della pizza e del mandolino che ha sdoganato l’immagine dell’Italia nel mondo, ma che in realtà racchiude un patrimonio di bellezza, arte e cultura che offre l’imbarazzo della scelta a chi ne faccia la meta del proprio viaggio.  Basti pensare che dei cinquantacinque siti annoverati tra il patrimonio culturale e naturale del mondo che è possibile ammirare lungo tutta la penisola, ben venticinque si trovano nell’Italia settentrionale. Tra questi Venezia e la Sua Laguna, le Dolomiti, le Colline del Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene o ancora, le Opere di Difesa Veneziane, l’Orto Botanico di Padova e la stessa città di Verona. Esempi di una ricchezza senza tempo, che inesorabilmente seduce chiunque giunga nel Nord-Est d’Italia.

Ed è proprio qui che giace il lago di Garda, già Benaco nella tradizione romana, che si presenta come la sintesi armonica di tanto fascino. Le sue acque nascono infatti nel cuore delle Dolomiti, tra le meraviglie del parco naturale Adamello Brenta e percorrendo le tortuose anse del fiume Sarca ne alimentano il bacino dalla foce di Torbole, per poi riversarsi nel Mincio, cinquanta chilometri più a sud, dalla riva di Peschiera, lambendo i maestosi bastioni veneziani eretti a difesa della città del Quadrilatero. Un microcosmo di colori e profumi intensi, fatto di litorali e promontori inconfondibili. Luoghi unici, tra cui gli scoscesi pendii sulla sponda occidentale, tappezzati dalle antiche limonaie la cui bellezza incantò Johann Wolfgang von Goethe nel suo Grand Tour in Italia, o altri di rara suggestione come il santuario della Madonna della Corona. Sospeso tra terra e cielo, si erge incastonato nella roccia del Monte Baldo, a strapiombo sulla Val d’Adige nell’entroterra del versante levantino. A paesaggi fiabeschi si affianca la magnificenza delle sontuose opere architettoniche che si possono ammirare nell’area, quali la villa in stile neogotico-veneziano dell’Isola di Garda, Villa Bettoni a Gargnano o il complesso del Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera, monumentale opera nata dall’incontenibile estro di Gabriele D’Annunzio ed ultima residenza del Vate.

Un tesoro, quello del lago di Garda, dai mille volti, che non cessa mai di sorprendere, in un’alternanza di scorci mozzafiato tra cui le incantevoli spiagge di Parco Baia delle Sirene e borghi tra i più belli d’Italia, come Tremosine, dove ci si emoziona alla vista di panorami magnifici e Malcesine, dove il Castello Scaligero, Palazzo dei Capitani e il suggestivo porticciolo sono il lascito di tradizioni secolari condivise dalle regioni Veneto, Lombardia e Trentino. Un’eredità che è testimonianza di un crocevia di civiltà che hanno lasciato tracce indelebili del loro passaggio. Dagli insediamenti romani di cui rimangono le meravigliose vestigia delle ville di Desenzano e Sirmione, al retaggio culturale risultato dei fitti rapporti commerciali intrattenuti da sempre con i vicini popoli del centro Europa, gli elementi che contribuiscono a creare un’identità tanto caratteristica del territorio non si contano.

Non stupisce che il lago abbia ammaliato e ispirato con le sue bellezze artisti di tutto il mondo. Dell’ammirazione di Goethe si è già detto, ma le forme del Benaco sono immortalate anche dal magistrale acquerello di Joseph Mallord William Turner e dal pennello di Jean-Baptiste-Camille Corot. Nemmeno il Sommo Poeta tralascia di menzionare i luoghi del Garda. Nel Canto XX (63 – 78) dell’Inferno ritroviamo infatti il lago e Peschiera, che Dante Alighieri cita nel narrare le origini della negromante Manto. Infine, un’ode particolarmente accorata alle grazie del luogo è quella cantata da Valerio Catullo, intimamente legato alla città di Sirmione, di cui racconta la bellezza nel Carme XXXI del suo Liber. Quella stessa Sirmione, protesa sulle azzurre acque del lago, teatro del fatidico incontro tra Ezra Pound e James Joyce, tanto voluto dal saggista statunitense e di cui proprio questa primavera è ricorso il centenario.

L’elenco dei nomi illustri che lo hanno amato proseguirebbe, ma il Garda va ricordato anche per la memoria storica di cui è intriso. Dalle guerre napoleoniche, passando per le Guerre d’Indipendenza combattute per liberare la regione dal giogo austriaco, senza dimenticare gli ultimi anni della Seconda Guerra Mondiale. A seguito della firma dell’armistizio l’8 settembre 1943, il lago diviene scenario del tramonto della dittatura fascista. Con l’avanzata delle truppe anglo-americane che risalgono la penisola dal meridione, Mussolini trasferisce il quartier generale del proprio governo sulla sponda lombarda, dando vita alla Repubblica Sociale Italiana, ricordata ancora oggi come la Repubblica di Salò, dal nome della città sede dei Ministeri della Cultura Popolare e degli Esteri del regime. Scelta per il suo posizionamento strategico e per la vicinanza all’alleato tedesco, la località fece da sfondo ad una delle più controverse pagine della storia d’Italia.

A conclusione di questa breve parentesi storica mi preme riportare una curiosità che assume un valore particolare nello scrivere su queste pagine. Nell’ammirare l’imponenza dei muraglioni di Peschiera, non si può fare a meno di ricordare che queste fanno parte di quelle Opere di Difesa Veneziane che si è menzionato in precedenza e che, il caso vuole, siano state elevate al rango di patrimonio mondiale dell’umanità in occasione della 41esima sessione del Comitato UNESCO tenutasi proprio a Cracovia. Su quelle stesse mura nel 2019 torna a campeggiare orgoglioso il Leone di San Marco, simbolo della Repubblica di Venezia, di cui la trabeazione di Porta Verona era stata deturpata a seguito dell’invasione delle truppe di Napoleone Bonaparte nel 1797 che segnò la caduta della Serenissima. La preziosa scultura in marmo ridona l’antico splendore all’accesso principale della città fortificata, unendosi all’iscrizione latina mai rimossa che cita: “Disce haec moneat praecelsa leonis imago ne stimules veneti cev leo in hoste vigent” – “Questa eccelsa immagine del leone ti dissuada dal provocare i veneti, giacché essi contro il nemico hanno il vigore del leone”. La storia del Leone Alato di Peschiera del Garda rimanda, inevitabilmente, a quella di un altro Leone Marciano, quello che dopo quasi un secolo, grazie all’impegno del Comitato Ambasciatori di San Marco e del Comune di Venezia, ha ripreso il suo posto sulla facciata dell’Istituto di Storia del PAN (Accademia Polacca delle Scienze), all’angolo tra Rynek Starego Miasta e ulica Dunaj a Varsavia. Un aneddoto, una semplice curiosità, addirittura forse una forzatura, ma che qui, tra queste righe, mi piace interpretare come il simbolo di un antico legame tra la patria di Chopin e quella Serenissima Repubblica di Venezia che diede i natali ad Antonio Vivaldi.

Il Garda è il più grande tra i laghi d’Italia: con un’estensione di 368 chilometri quadrati, le sue acque bagnano le provincie di Verona, Brescia e Trento. Il clima particolarmente mite e la bellezza del territorio ne fanno da sempre una delle mete turistiche predilette di visitatori da tutto il mondo. La zona offre pressoché infinite possibilità di svago. Al camping e al relax della balneazione sulle rive del lago, si aggiungono innumerevoli itinerari escursionistici ed enogastronomici, oltre che le attrazioni dei grandi parchi di divertimento di Gardaland, Canevaworld e Movieland, il tutto coordinato da un’intensa e puntuale attività degli enti locali impegnati nella valorizzazione del patrimonio culturale, nello sviluppo e nella promozione del turismo. L’attrattività del Garda è poi confermata da numeri importanti. Secondo i rapporti pubblicati nel 2019, le tre province rivierasche si posizionano tutte tra le prime dieci italiane per flussi turistici. Se poi si osservano i dati relativi a quella di Verona, con oltre 13 milioni di presenze, il turismo gardesano incide addirittura per oltre il 75% della performance complessiva della provincia scaligera. I turisti stranieri ammontano al 76%, con una predominanza di soggiornanti provenienti da Germania e Olanda. Di particolare rilievo è anche la quota di visitatori polacchi, con un aumento rispetto all’anno precedente di circa il 12% per un totale di oltre 200.000 presenze.

Paradiso indiscusso degli sportivi, amatori e professionisti, il Lago di Garda offre grandi spazi e strutture di prim’ordine. Particolarmente adatto alla pratica degli sport a vela è un punto di riferimento per il windsurfing e kitesurfing, mentre la presenza di percorsi panoramici e suggestivi attraggono ogni anno migliaia di cicloturisti, ciclisti e triatleti. A tal proposito è estremamente interessante il progetto Garda Bike, tuttora in corso d’opera, che prevede la realizzazione di una pista ciclabile di quasi 200 km che consentirà di compiere il giro del lago attraverso un percorso che si snoda lungo tutto il suo sviluppo costiero. Infine, la particolare conformazione delle alture che circondano il bacino, fanno dell’area un vero e proprio santuario dell’arrampicata sportiva. Lungo le strapiombanti pareti del Garda sono infatti presenti una moltitudine di falesie, dove i rocciatori possono cimentarsi lungo le vie tracciate nella Dolomia che emerge a picco dal blu delle profondità del lago. Impossibile quindi non ricordare la città di Arco di Trento, sulla sponda settentrionale. Dal 1987, la città dell’omonimo castello ospita infatti il Rock Master, prestigiosa competizione internazionale di arrampicata che ogni anno richiama sul Garda i migliori tra i free climbers al mondo.

Ritengo pretenzioso cercare di condensare in poche righe tutto quello che il lago offre, le emozioni che suscita: semplicemente non è possibile. Ma perché non provare almeno a condividerne un po’?

Ricordo ancora quando durante le estati, da bambino, percorrevo la gardesana orientale per raggiungere le Dolomiti di Brenta dove ero solito trascorrere qualche settimana. Quelle crode hanno segnato la mia esistenza, ma la vista del Lago di Garda, con le sue spiagge e le sue isole, circondato da boschi e montagne, da allora, non ha mai smesso di togliermi il fiato ogni volta che torno. Uno spettacolo che rapisce il cuore, che culla chi si lasci trasportare. Personalmente considero un privilegio il poter passeggiare sul lungolago respirando il profumo dei pini mentre i cigni scivolano eleganti e fieri sull’acqua. Sono nato in Liguria, sono legato alla mia terra e il mare è una parte importante di me, ma a tutti quelli che mi chiedono quali luoghi d’Italia io suggerisca di visitare nel loro viaggio, rispondo sempre con la stessa domanda: “Conosci il Veneto? Conosci il Lago di Garda?”

Non è dato sapere cosa aspettarsi dall’estate oramai alle porte, ma è molto probabile che sarà diversa da quelle cui siamo abituati. Si può immaginare che i vicoli dei borghi medievali non brulicheranno di gente e che le spiagge, sotto il sole di luglio, saranno meno frequentate del solito. Il traffico per le strade sarà meno congestionato e l’aria un po’ più pulita. La sera ci sarà meno rumore, forse meno musica, ma nel silenzio, con il solo suono dello sciabordio delle onde che si increspano accarezzando i ciottoli sulla battigia, il lago, ne sono sicuro, sembrerà ancora più magico.

E tu? Conosci il Lago di Garda?

Il fascino nascosto della Valpantena

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Alla scoperta di una valle sopra Verona rimasta autentica e capace di offrire al visitatore esperienze in natura, oltre ad attrarre i winelover più esigenti.

Nomen omen, dicevano gli antichi. E passeggiando o pedalando tra boschi e vigneti in Valpantena si può comprendere il perché questo nome significhi “Valle di tutti gli Dei”.

Viti, ulivi, ciliegi, ma anche prati e boschi che coprono vasta parte dell’area, oltre alle imponenti cave di marmo rosso veronese, sono infatti il contesto naturale che attrae gli amanti della natura e delle attività all’aria aperta, ma anche i winelover in cerca di un’espressione intensa nelle terre che rientrano nella denominazione della Valpolicella.

Tra Medioevo e Rinascimento la nobiltà veronese ha fatto della bassa Valpantena il proprio luogo di villeggiatura, costruendo ville e piccoli castelli circondati da mura, generando una separazione tra nobiltà e mondo rurale che si accentua nel periodo della dominazione veneziana. Ecco perché oggi, tra i boschi e a valle, ville venete e cantine sono milestone di un paesaggio che affascina.

ESPERIENZE NELLA NATURA

La Valpantena si estende a nord-est dalla città di Verona fino alle pendici delle Prealpi venete, attraversando boschi e borghi che conservano il fascino della tradizione. È da sempre un luogo di interesse naturalistico, grazie alla sua posizione geografica, alla varietà di ambienti naturali e alla ricchezza della flora e della fauna. La zona è anche ideale per il birdwatching, considerata la presenza di numerose specie di uccelli migratori.

Percorsi escursionistici ed esperienze in vigneto, cicloturismo, arrampicata, equitazione, rafting, pesca, golf rientrano nel ventaglio di attività che la Valpantena offre al visitatore. Tra le attrazioni naturali in valle spicca il Ponte di Veja, un arco naturale di roccia che si erge per 50 metri di altezza, creato dall’erosione di un antico fiume sotterraneo. Sotto il ponte si trova una grotta dove si possono osservare stalattiti e stalagmiti.

A ridosso della valle, il Parco naturale della Lessinia si estende per oltre 10mila ettari tra boschi, prati e malghe, dove l’escursionista – a piedi, in bici o a cavallo – può completare l’esperienza gustando i sapori autentici di una terra rimasta quasi incontaminata. Più a est, in direzione della Valpolicella classica, il Parco delle Cascate di Molina offre l’opportunità di trekking affascinanti fino a una serie di cascate d’acqua immerse nel verde.

PARADISO PER WINELOVER

Nella trama avvincente di storia, arte e spiritualità si innesta la vocazione vitivinicola della Valpantena. Protetti dalla natura, vigneti e uliveti sono parte integrante del genius loci. La valle è parte del comprensorio della Valpolicella ed è stata riscoperta soprattutto negli ultimi trent’anni grazie ad un nucleo di cantine storiche. Le sue caratteristiche geomorfologiche dei suoli (soprattutto calcarei) e l’ambiente poco antropizzato consentono di ottenere vini eleganti e vibranti, che possono essere preservati nella loro integrità senza concentrazioni e affinamenti eccessivamente invasivi.

È proprio dal mondo del vino che è partito il progetto Rete Valpantena (www.valpantena.org), un network creato per valorizzare la vallata promuovendo l’identità, il patrimonio umano e culturale in tutte le sue espressioni. Le aziende agricole e vitivinicole Bertani, Brigaldara, Costa Arènte, La Collina dei Ciliegi, Pernigo e Ripa della Volta hanno avviato il percorso coinvolgendo anche Villa Pellegrini e Villa Arvedi, due incredibili esempi di architettura veneta, e il laboratorio di lievitisti InFermentum.

La Collina dei Ciliegi con il Relais Ca’ del Moro, Costa Arènte e Brigaldara con la Locanda Case Vecie offrono anche ospitalità di ottimo livello in collina ed esperienze gastronomiche speciali.

L’uomo che ha salvato la Torre Pendente

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fot. Matteo Bertolin

traduzione it: Agata Pachucy

Nell’ottobre del 2023 l’opinione pubblica italiana ha trattenuto il fiato. Il simbolo della città, la torre Garisenda nel centro di Bologna, rischiava di crollare. I media hanno ricordato la situazione di Pisa, dove negli anni Novanta una pericolosa inclinazione della torre minacciava una disastrosa caduta. Uno dei protagonisti di quest’ultima storia era il professore dell’Università di Torino Michał Jamiołkowski.

Le torri venivano costruite nell’Italia medievale per due motivi: per proteggere il ricco proprietario da eventuali rapine e per sottolineare il suo status sociale. Nella storia dell’Italia settentrionale, i crolli di alte torri erano piuttosto comuni. A volte, per evitare la catastrofe, si riduceva l’altezza delle torri traballanti, ma nel caso della torre di Pisa questa soluzione non era praticabile.

In questo caso, i metodi standard non hanno avuto successo. Una dopo l’altra, dieci squadre hanno provato a salvare il monumento. Ovviamente, le autorità della città non erano affatto intenzionate a raddrizzare la torre completamente. Alla fine, il compito è stato affidato a Jamiołkowski, che ha guidato una squadra di dieci specialisti. Sono stati utilizzati metodi innovativi per consentire alla forza di gravità di “raddrizzare” la struttura. La struttura è stata finalmente stabilizzata e, dopo undici anni, è stato annunciato il completamento positivo dei lavori. Un’indagine di follow-up nel 2020 ha dimostrato che il comune non dovrebbe avere problemi con il suo monumento per altri 300 anni.

Il professor Michał Jamiołkowski è diventato un eroe nei media italiani e gli è stato assegnato il titolo di cittadino onorario di Pisa. Questo straordinario ingegnere e geologo era noto anche nell’ambiente sportivo polacco, perché negli anni Cinquanta giocava a pallacanestro per la squadra Polonia Warszawa e, secondo le statistiche del club, segnava una media di sei punti a partita. Così come lo sport forma le migliori qualità di una persona, ovvero la costanza nell’azione e l’impegno per vincere, il lavoro di quest’uomo fuori dal comune lo ha portato a raggiungere le vette della professionalità nell’affrontare i progetti ingegneristici più impegnativi degli ultimi anni.

Jamiołkowski, scomparso lo scorso luglio, sarà ricordato dai polacchi come un atleta e un ingegnere eccezionale, mentre gli italiani lo ricorderanno come l’uomo che ha salvato la Torre di Pisa.

La ciociara, l’ultimo film neorealista

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Matka i córka / La ciociara

Si dice che di solito un adattamento cinematografico non sia mai all’altezza dell’originale letterario. Tuttavia ci sono adattamenti che non solo sono alla pari con il contenuto artistico del libro, ma che diventano opere d’arte indipendenti. Tra questi rientrano senza dubbio film come: Il Padrino, Via col vento o Apocalypse Now (tratto da Cuore di tenebra). Questo aspetto riguarda pure i lavori di uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento: Alberto Moravia dalle cui opere furono realizzati una trentina di film girati in gran parte da registi famosi dell’epoca come: Luigi Zampa, Damiano Damiani o Jean-Luc Godard. Ma forse ci sono solo due adattamenti che sono paragonabili con la scrittura moraviana e che sono diventati dei classici del cinema internazionale: Il conformista di Bernardo Bertolucci (basato sul romanzo scritto nel 1951) e La ciociara di Vittorio De Sica (tratto dal testo omonimo del 1957).

Matka i córka / La ciociara

Fascismo mostrato in due prospettive

Per quanto riguarda la tematica dei romanzi moraviani, possiamo individuare due tipologie più importanti: le opere appartenenti alla corrente esistenzialista e quelle, come direbbe lo stesso Moravia, riguardanti “il mito nazionalpopolare.” I due romanzi di cui ci occupiamo in questo articolo sono degli esempi perfetti visto che Il conformista appartiene alla prima categoria e La ciociara alla seconda. Entrambi i testi mostrano quel che accadde in Italia durante la Seconda guerra mondiale; ma in modi totalmente diversi: Il conformista mostra il fascismo “dal di dentro” perché il protagonista (Marcello) appartiene al sistema totalitario. La ciociara presenta l’esperienza bellica attraverso gli occhi dei civili: la protagonista è la madre di una delle marocchinate (così si definivano le violenze sessuali operate dai militari marocchini inquadrati nell’esercito francese).

Per quanto riguarda Il conformista non è una rappresentazione stereotipata dei “fascisti cattivi”. Marcello è un personaggio molto “umano”, le cui scelte sbagliate lo hanno portato al suo fallimento nella vita. Alla fine il protagonista si rende conto che quando il fascismo cade, lui “non è che un misero assassino” e quindi mostra di essere un uomo che capisce e non solo una marionetta del regime.

Matka i córka / La ciociara

La situazione è completamente diversa con Cesira de La ciociara la quale si presenta come un personaggio semplice che ha delle difficoltà nel leggere, tuttavia sa contare bene per cui riesce a lavorare nel suo negozio. La protagonista rappresenta una piccola borghese che non è consapevole di ciò che accade intorno a lei e quindi desidera solo realizzare i propri affari. Cesira non è in grado di immaginare il disastro della guerra e quale impatto può avere. Solo quando le circostanze sono veramente gravi (lei non riesce più a gestire né la sua attività professionale né rimanere a casa propria a Roma), il personaggio principale si rende conto di odiare la guerra, mostrando in tal modo il processo della maturazione della donna.

La prosa moraviana sul grande schermo

Per quel che concerne La ciociara, la sua versione cinematografica fu girata quasi immediatamente nel 1960 mentre quella de Il conformista quasi venti anni dopo la pubblicazione del romanzo quindi nel 1970. Prima di tutto, vediamo come Bertolucci realizzò il romanzo di Moravia, dando ad ogni scena un carattere simbolico attraverso la fotografia del celebre Vittorio Storaro.

Matka i córka / La ciociara

Nella prima scena osserviamo il protagonista da bambino quando incontra un uomo che desidera stuprarlo e la tragedia vissuta avrà impatto su tutta la sua vita. Questa scena è curiosamente analoga a quella dello stupro de La ciociara, visto che l’abuso sessuale si svolge vicino ad un simbolo religioso: nel caso de Il conformista, è il crocifisso. Le altre similitudini si riscontrano nel fatto che la vittima sia un bambino innocente e che l’autista con la rivoltella sembri un soldato.

La seconda scena rivela l’alienazione di Marcello durante la sua festa di matrimonio che cerca ossessivamente di apparire normale. Le nozze di Marcello sono il ritratto del fascista triste e sono analoghe alla terza scena del ballo, che si dimostra più grottesca di tutte: la folla lo cattura e lui non riesce più a scappare. L’ultima scena dimostra perfettamente che il personaggio principale si sente “inadeguato” e che probabilmente non riesce mai a trovare la tanto desiderata normalità.

La ciociara girata “nello spirito” del neorealismo

Per quel che concerne l’adattamento cinematografico de La ciociara, anche se fu realizzato nel 1960, quindi cronologicamente dopo il movimento neorealista1, è un film neorealista nel senso più specifico del termine. Tuttavia, non mancano anche critici che sostengono che la fine del neorealismo fu segnata nel 1960 dal film di Luchino Visconti Rocco e suoi fratelli2 e in tal senso La ciociara è una delle ultime pellicole del genere. Comunque bisogna prendere in considerazione che l’adattamento del romanzo presenta la maggior parte dei tratti caratteristici dei film neorealisti come: il motivo della Seconda guerra mondiale, le condizioni del popolo semplice, le ambientazioni in luoghi realistici e la povertà, la quale pure “recita il ruolo” nel film3. La differenza più grande sta nel fatto che ci siano attori professionisti come Sophia Loren (Cesira), Jean-Paul Belmondo (Michele), Eleonora Brown (Rosetta).

Vale la pena sottolineare che la pellicola è in bianco e nero e per questo ci sono tanti giochi di contrasti significativi. La situazione storica dell’epoca viene ricostruita meticolosamente e si possono notare alcune scene che mostrano il conflitto militare oppure altre che mostrano il popolo delle montagne.

Matka i córka / La ciociara

Per lo spettatore del XXI secolo è importante che i bombardamenti vengano girati in modo realistico senza l’uso di effetti speciali. Un’ulteriore peculiarità si esprime nella naturalezza della rappresentazione dei montanari con tutti i dettagli folcloristici. Durante il film vediamo anche l’impatto della guerra sulla popolazione civile. Comunque, la visione degli orrori della guerra non si presenta in maniera molto realistica ma piuttosto poetica, il che costituisce un valore forte della pellicola. Quel lirismo si esprime soprattutto nella colonna sonora che sottolinea l’atmosfera delle scene nonché nell’inquadratura prevalentemente per i primi piani che si focalizzano sulle emozioni dei protagonisti.

La madre e la figlia

L’aspetto che attira l’attenzione è il rapporto molto naturale tra la madre e la figlia. Cesira incarnata da Sophia Loren (all’epoca l’attrice aveva 26 anni) diventa protettiva e tenera mentre Rosetta recitata da Eleonora Brown (quando recitò nel film aveva solo 12 anni!) si mostra come una ragazza innocente e legata alla madre. La trama si svolge in modo tale che possiamo osservare gli avvenimenti attraverso il loro rapporto: la felicità di stare insieme prima della guerra (1), il viaggio verso il Sud (2;3), l’arrivo a Sant’Eufemia (4) e la scomparsa di Michele (5).

Per lo spettatore, la dimensione dell’amore tra madre e figlia diventa fondamentale, poiché “si sente” coinvolto e condivide delle emozioni guardando il film. La ciociara, come le altre opere neorealistiche, si distingue per il forte messaggio emotivo che trasmette, principalmente trattando della vita delle persone più deboli (analogamente a Ladri di biciclette con il ritratto del padre e del figlio che si vogliono bene nonostante tutte le avversità).

Inoltre la lingua dei personaggi è di un registro abbastanza semplice, come nella maggior parte dei film neorealisti. Solo Michele usa il linguaggio dell’intellettuale che esprime opinioni sulla guerra, essendo una voce “consapevole.” La pellicola presenta l’antifascista come persona totalmente diversa dai contadini. Alla fine Michele diventa il protagonista tragico che si prende cura degli altri, ma è incompreso dal popolo semplice che lo tratta da professore perché si è laureato.

Conoscere la vita attraverso la violenza

Per la maggior parte del film Cesira e Rosetta hanno un buon rapporto; tuttavia, il momento di svolta avviene con lo stupro della ragazza. Dopo quell’avvenimento cambia il legame tra madre e figlia. Prima di tutto colpisce l’espressione di Rosetta, che rimane in stato di shock psicologico (1). Poi c’è la madre che è sconvolta visto che non è riuscita a salvare la figlia (2), il che si trasforma in disperazione assoluta (3). In seguito possiamo vedere la distanza che si è creata tra le due donne (4).

Lo stupro è il momento clou di tutta la pellicola, dopo di cui la figlia diventa una prostituta, mentre la madre è completamente distrutta. È anche il momento in cui lo spettatore rimane più sconvolto: è pieno di compassione nei confronti delle protagoniste, visto che conosce la storia del crollo dell’amore familiare. La violenza subita dalla fanciulla ridefinisce tutto il suo rapporto con le altre persone e svolge nel film lo stesso ruolo del furto della bicicletta in Ladri di biciclette: presenta il destino tragico di un individuo, ma anche di tutta la nazione che vive una situazione storica analoga. Per di più il sesso, e la sua scoperta, è un tema fondamentale nella scrittura moraviana: definisce le relazioni umane e mostra il mondo così com’è. In questo senso lo stupro è in qualche modo “indispensabile” per diventare adulti e percepire il male che ci circonda.

Matka i córka / La ciociara

Sofferenza che purifica

Nella pellicola viene espresso il paradosso della liberazione: i danni subiti dai cosiddetti “liberatori” sono i medesimi, oppure più gravi, di quelli patiti dagli oppressori. La scena dello stupro diviene molto simbolica: sopra la chiesa abbandonata volano gli uccelli, mentre il tempio sembra vuoto come se dentro non ci fosse Dio. Alla fine, dopo le tante relazioni di Rosetta, la madre esprime la propria disperazione che, comunque, non fa gran impressione sulla figlia. Solo quando Cesira le parla della morte di Michele, la figlia scoppia a piangere e “si ricrea l’innocenza” in senso morale. Il dolore ha una funzione purificatrice e la fanciulla vive in qualche maniera un senso di colpa.

La ciociara è emozionante, visto che il pubblico osserva la sofferenza di persone innocenti la cui storia è commovente. Si percepisce una specie di catarsi che purifica gli spettatori, infonde pietà per gli avvenimenti dell’opera e permette al pubblico di liberarsene. L’adattamento si manifesta anche come il ritratto della guerra con tutti gli orrori legati ad essa e per questo motivo costituisce un forte e vero commento critico nei confronti di ogni conflitto militare.

 

Note

La maggior parte dei critici cinematografici dice che la fine del movimento sia stato più o meno nel 1951 http://brevestoriadelcinema.altervista.org/20-1.html (verificato il 10.02.2020).

2 Helman, A. (2012), Neorealizm: próby definicji, in: T. Lubelski, I. Sowińska, R. Syska (a cura di),  Kino klasyczne, Universitas, p. 579.

3 Ivi, p. 596.

Gazzetta Italia 105 (giugno-luglio 2024)

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