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Il sogno realizzato dello studente di storia mancato

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foto: Simone Mutti

Dato che è passato qualche lustro da quando, fiero di una copiosa chioma ben pettinata con la riga in parte e il ciuffo, frequentavo i banchi dell’amato Liceo Classico Marco Polo, posso pubblicamente ammettere che non è che fossi uno studente modello.

Per carità non ero neanche un disastro, diciamo che mi assestavo su un livello di salvifica mediocrità. Salvifica nel senso che in qualche modo riuscivo a raggiungere il minimo per salvare l’anno scolastico e andare avanti. In italiano e geografia astronomica avevo voti discreti, in greco e latino carpivo la sufficienza per il rotto della cuffia, in matematica e fisica ero insufficiente ma… – si c’è un salvifico ma – in storia e filosofia me la cavavo bene. E così inevitabilmente quando ho preso un 48/60 alla maturità, portando all’orale Italiano e Storia, sono entrato a casa trionfante comunicando che mi sarei iscritto all’università di Storia e Filosofia. La reazione fu fredda per usare un eufemismo. “E poi cosa farai? Ti pare che riuscirai a trovare un lavoro?” Così passai l’estate a cercare una facoltà “utile, che mi avrebbe fatto trovare un lavoro”. Alla fine scelsi di studiare Giurisprudenza nell’Università più antica del mondo: Bologna. Quel ragazzo, con in tasca la laurea in legge, dopo diverse peripezie lavorative, tra cui l’esser stato perfino amministratore di condominio, è finito a fare il giornalista che si sa, come si suol dire in Italia, “piuttosto che lavorare è meglio fare il giornalista”. Un mestiere particolare in cui si è costretti a parlare e scrivere di tutto anche se spesso non si conosce granché della materia di cui si tratta.

Ora fatta questa premessa immaginatevi la reazione dello studente mancato di Storia e Filosofia, ovvero io, alla notizia che avrei moderato Alessandro Barbero, eccezionale storico, eccelso divulgatore, celebre personaggio televisivo, protagonista di meravigliosi podcast sui più disparati temi storici dalla “Vita sessuale nel Medioevo” a “Chi è stato San Francesco”, da “Hitler non voleva la guerra?” a “Le Brigate Rosse e il caso Moro”. Un professore di storia capace di appassionare alla materia un pubblico intergenerazionale e delle più diverse estrazioni sociali; un personaggio che ha un seguito pari ad una rock star, con nugoli di persone che si dichiarano suoi vassalli e gli dedicano pagine social.

foto: Simone Mutti

Lo studente di storia mancato che è in me si è quindi messo furiosamente al lavoro per affrontare l’ossimoro “moderare Barbero”. Come si fa a moderare un fiume in piena di conoscenza trasmessa con straordinario pathos? Diciamo che a Barbero il massimo che si possa fare è dargli il microfono in mano proferendo quattro parole: “dica quel che vuole”.

Però sono un giornalista e la deontologia del mestiere mi impone di mettere tutti allo stesso livello, perché in fondo siamo tutti umani, così come quel giorno di qualche anno fa a Varsavia quando attraversai lo sbalordito cordone di sicurezza per porre una domanda all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, senza batter ciglio, si fece intervistare.

E questo è uno di quegli aneddoti vissuti che esaltano questo mestiere e che mi fanno pensare a Humphrey Bogart che in “Deadline”, quando dà il via alle rotative, sentenzia: “È la stampa bellezza, la stampa, e tu non puoi farci niente!”.

foto: Simone Mutti

E così, il 25 maggio scorso, eccomi sul palco principale della Fiera Internazionale del Libro di Varsavia, dove l’Italia è paese ospite d’onore. Nella sfilza di interessanti autori del ricco calendario italiano uno degli assi è sicuramente il professor Barbero che alle 15 si presenta puntualissimo sul palco accompagnato da Fabio Troisi direttore dell’Istituto Italiano di Cultura che ha il grande merito di accollarsi la presentazione dell’incontro. Io da bravo giornalista mi sarei preparato delle domande ma invece comincio chiedendo che effetto gli fa questa Varsavia in rutilante sviluppo architettonico. Barbero parte subito dicendo che in fondo il vecchio Palazzo della Cultura gli sembra esteticamente più interessante dei nuovi grattacieli che lo circondano. Applauso a scena aperta di una sala gremita di centinaia di persone con altre che seguono dall’esterno mentre i più smaliziati si sono direttamente distesi a terra davanti al palco. Dopo qualche altra riflessione gli chiedo se questa sorprendente attrazione intergenerazionale per la storia sia dovuta, oltreché al merito del divulgatore, anche ad un bisogno dell’uomo contemporaneo di dare un senso alla sua esistenza. Barbero prende il là e decolla sul rapporto tra storia e popoli, ricordando quei Paesi che fanno della storia uno strumento di propaganda, di identità, per arrivare a parlare di una contemporaneità in cui a volte si rischia il pericolo di vivere in una bolla di eterno presente. La brava traduttrice trasforma l’italiano in polacco e io rilancio con domande sugli speciali rapporti storici tra Italia e Polonia e poi ancora sul raccontare l’Italia come continente di culture. Il professore risponde ammaliando il pubblico con il suo modo di raccontare che ti fa letteralmente scorrere davanti agli occhi le cose che spiega. Una narrazione che non vorresti mai interrompere perché mentre Barbero mulina il suo braccetto, con il suo abitudinario gesto dall’alto in basso, tu sai che ti stai arricchendo di nozioni.

A questo punto sono talmente a mio agio che gli chiedo della “fine della storia”, che sarebbe simbolicamente avvenuta con l’entrata delle truppe napoleoniche a Jena dopo aver vinto l’omonima battaglia del 1806, una teoria emersa dalle riflessioni di Hegel, Kojeve e Fukuyama. “Ma dai il fatto che la storia possa finire è solo un divertente aneddoto, l’illusione che le democrazie liberali e il capitalismo diffuso avessero esaurito il confronto sociale tra gli uomini è superata da tempo, è un’idea figlia del nostro modo europa-centrico di vedere la storia,” ribatte Barbero a cui allo scadere, tiranno, del tempo faccio ancora in tempo a chiedere “Cosa scriverà uno storico tra 50 anni quando dovrà parlare dei primi 25 anni del 2000?”.

“Magari gli storici daranno una enorme importanza all’epidemia di Covid del 2020 dicendo è stato l’inizio dell’epoca delle grandi epidemie. Oppure no? E poi gli storici tra 100 anni scriveranno ancora nelle nostre lingue o in cinese? Chissà! Al momento mi fermo qui con le previsioni. Grazie a tutti!”, saluta Barbero prima di raggiungere lo stand dell’Italia e firmare pazientemente centinaia di copie di libri di adoranti lettori concedendo un’infinità di sorrisi per gli altrettanti infiniti selfie cui si presta.

Il video completo sull’intervento di Alessandro Barbero alla Fiera Internazionale del Libro di Varsavia è disponibile QUI.

foto: Simone Mutti

Ollywell, la bella storia dei funghi medicinali

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Ollywell è uno dei primi produttori di integratori a base di funghi medicinali in Europa, primo in Polonia con una produzione al 100% locale, l’azienda integrata verticalmente dalle materie prime al prodotto finale, con una farm vicino a Varsavia, nei pressi del Parco Nazionale di Kampinos. A presentarci l’azienda è il titolare Oliver Mathew.

Come è nata l’idea dei funghi funzionali?

Sono un microbiologo, mi sono laureato in birrificazione in Germania e poi sono venuto in Polonia dove ho proseguito la mia formazione alla facoltà di Business Internazionale presso l’Università Economica di Varsavia. Non avrei mai immaginato che un giorno avrei gestito un’azienda che produce funghi. Nel corso degli anni ho lavorato prima come maestro birraio, arrivando ad avere un mio birrificio artigianale, e poi ho lavorato nel commercio al dettaglio commerciando integratori alimentari. Poi è successa una cosa divertente: un giorno, durante una pausa al lavoro, sono uscito dall’edificio dell’azienda e ho notato crescere nell’erba la “Morchella esculenta” nel giardino. Essendomi sempre interessato ai funghi ho iniziato ad approfondire l’argomento e a un certo punto è nata l’idea imprenditoriale. Dopo la pandemia COVID e le precedenti esperienze di vita, volevo iniziare un’attività legata alla salute. La visione era semplice: avere prodotti salutari di alta qualità per la mia famiglia e i miei amici.

Da dove hai iniziato?

Ho iniziato dalla preparazione del progetto, realizzando alcune prove e discutendo con esperti internazionali del settore. Nel frattempo ho cercato un luogo adatto per il laboratorio e l’impianto di produzione, perché non sarebbe stato possibile crearlo in centro città, anche se spero di avere un giorno una farm urbana. Penso che in futuro sarà sempre più importante avere produzioni locali e indipendenti dalle lunghe catene di approvvigionamento. Poi ho iniziato a costruire il team facendo grande attenzione perchè un team giusto è la base del successo di qualsiasi progetto. Sono stato fortunato a incontrare le persone adatte. C’è stato quindi l’investimento e da lì in poi tutto il progetto ha cominciato a svilupparsi dinamicamente. Abbiamo iniziato con un lavoro di ricerca e sviluppo per elaborare il metodo di coltivazione dei funghi medicinali in circostanze controllate e un sistema per estrarre le sostanze nutrienti dai corpi fruttiferi. Ci abbiamo lavorato per quasi un anno e mezzo e solo dopo è stato possibile creare il marchio Ollywell.

È facile coltivare i funghi medicinali? Quali sfide avete affrontato?

Non è facile. La sfida è stata quella di ricreare le condizioni naturali di crescita dei funghi in un ambiente controllato anche dal punto di vista sanitario, in quanto stiamo coltivando a scopo medicinale. Tutto questo comporta un notevole dispendio di denaro. I funghi assorbono tutto dall’ambiente circostante, quindi dobbiamo mantenere l’ambiente sterile se vogliamo ottenere il meglio da un determinato fungo. Un’altra sfida è stata quella di sviluppare un metodo di estrazione adatto. I funghi contengono chitina, che non viene digerita dal corpo umano, per questo è così difficile arrivare a tutte le sostanze benefiche per la salute. Abbiamo quindi pensato di rompere le pareti della chitina e siamo riusciti a farlo utilizzando l’estrazione a ultrasuoni. Non è stato facile, ma ha funzionato.

Quali proprietà hanno i funghi medicinali?

I funghi sono organismi molto interessanti, con molte proprietà che apportano benefici al nostro organismo e rafforzano il sistema immunitario. Sono una fonte di sostanze attive che fanno bene all’organismo. I funghi funzionali possono essere considerati degli adattogeni, in quanto per migliaia di anni hanno supportato il corpo umano e il suo sistema con i polisaccaridi a catena lunga e vari triterpenoidi. Nella medicina popolare i loro benefici sono noti dai secoli. Vengono utilizzati anche nella medicina di paesi asiatici come Cina, Giappone e Corea. Personalmente, ritengo che il termine adattogeno in questo caso corrisponda piuttosto alla visione moderna del mondo in cui viviamo, in cui lottiamo con i fattori come lo stress e cerchiamo i prodotti che migliorano il nostro benessere, che rafforzano la nostra immunità e aiutano a ristabilire l’equilibrio.

Qual è il tuo fungo preferito?

Senza dubbio amo tutti i funghi che coltiviamo. Chaga è considerato il re nel nostro ambiente. È ricco di antiossidanti e si dice che rafforzi il sistema digestivo e supporta la salute dell’intestino e del fegato. Negli ultimi trent’anni su questo fungo sono state condotte delle ricerche da parte di diverse università della Polonia, del Nord Europa e degli Stati Uniti. Cordyceps è il nostro orgoglio, poiché lo coltiviamo su larga scala a ciclo continuo. Un fungo molto interessante è Shiitake, che ha proprietà antivirali, può migliorare il livello di colesterolo ed è una fonte di vitamina D. La mia ragazza adora invece Reishi, che ha delle proprietà antistress e anti-tensione e si dice che migliori la qualità del sonno e la rigenerazione dell’organismo. Ma ognuno può trovare qualcosa per sé.

Quali progetti per il futuro? 

Di recente sono successe molte cose. Stiamo sviluppando il nostro marchio, partecipiamo a varie fiere e conferenze. In settembre visiteremo il convegno micologico a Monopoli, in Puglia. Siamo in grande attesa per questo evento. L’Italia è da anni un player importante per quanto riguarda i funghi medicinali; i consumatori italiani sono più informati e consapevoli a proposito di questo tipo di integratori. Sarà un onore per noi parlare insieme agli italiani del mondo dei funghi. Ci auguriamo nasca una collaborazione a lungo termine.

Venezia 81: Agnieszka Holland in giuria alla Mostra del Cinema

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Inizia oggi (28 agosto) la 81^ Mostra Internazionale dell’Arte Cinematografica di Venezia con 58 paesi rappresentati e 85 film nella selezione ufficiale di cui 21 nel concorso principale. Quest’anno non ci sono film polacchi in nessuna delle sezioni ma nella giuria del concorso principale spicca il nome della regista Agnieszka Holland che l’anno scorso con il “Green Border” ha vinto il Leone d’Argento. Il programma della Mostra, come tutti gli anni, permetterà agli spettatori, da un canto, la possibilità di fuggire nel mondo della fantasia, di staccarsi dalla quotidianità piena di contraddizioni e crudeltà, dall’altro invece offrirà tanto spazio alla riflessione sui problemi della nostra contemporaneità. “Consapevole delle responsabilità che competono a un evento culturale di rilevanza mondiale, la Mostra opta per le ragioni del confronto, introduce punti di vista diversi, non si sottrae alle polemiche che ne potrebbero conseguire, certa che solo nella dialettica e nella discussione risieda il seme della possibile soluzione ai conflitti e alle contrapposizioni più irriducibili che segnano il nostro tempo”, afferma il Direttore Alberto Barbera.

Tra i film in concorso ben cinque italiani portati dai registi: Gianni Amelio, Luca Guadagnino, Maura Delpero, Fabio Grassadonia, Antonio Piazza e Giulia Louise Steigerwalt. Vedremo anche “Maria” di Pablo Larrain, “The room next door” di Pedro Almodovar, “Joker: folie a deux” di Todd Phillips e altri. Fuori concorso invece ben quattro serie d’autore di Alfonso Cuarón, Rodrigo Sorogoyen, Thomas Vinterberg e Joe Wright. Dopo lo sciopero di tutto il mondo artistico statunitense dell’anno scorso sul tappeto rosso quest’anno vedremo tantissime star di Hollywood tra cui: Angelina Jolie, Joaquin Phoenix, Lady Gaga, Brad Pitt, Nicole Kidman, Julianne Moore, Tilda Swinton, Cate Blanchett e molti altri.

33° Forum Economico a Karpacz, attese molte autorità polacche e italiane

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Dal 3 fino a 5 settembre nell’albergo “Gołębiewski” a Karpacz si svolgerà il 33° Forum Economico, “È il momento dei nuovi leader: dare forma al futuro insieme” questo lo slogan della prossima edizione. Il Forum di Karpacz è organizzato dall’Istituto degli Studi Orientali che è una delle più grandi piattaforme d’incontro dell’Europa centrale e orientale, dove vengono sollevante non solo le questioni di sicurezza, le prospettive di sviluppo economico, le sfide contemporanee e il superamento delle crisi, ma si presentano anche soluzioni concrete e idee innovative. Tra i temi chiave che verranno discussi al XXXIII Forum economico ci saranno l’impatto della guerra in Ucraina sul piano della sicurezza globale, il Green Deal, lo sviluppo etico, l’intelligenza artificiale e le sfide economiche nelle crisi del terzo decennio del XXI secolo. Durante il forum sono previsti: 350 dibattiti e 6 sessioni plenarie, ci saranno anche eventi speciali, workshop, conferenze stampa, serate di gala e concerti. Il partner principale del Forum economico è l’Ufficio del Maresciallo del Voivodato della Bassa Slesia. In questi giorni Karpacz ospiterà circa 6000 persone, tra rappresentanti della politica, dell’economia e della cultura, provenienti dal tutto il mondo. Tra gli ospiti polacchi hanno finora assicurato la loro presenza: Krzysztof Gawkowski, vice primo ministro polacco e ministro degli Affari Digitali; Dariusz Klimczak, ministro delle Infrastrutture; Władysław Kosiniak-Kamysz, vice primo ministro e ministro della Difesa; Jerzy Lis, rettore dell’Università di Scienze e Tecnologie AGH di Cracovia; Krzysztof Bosak, vice maresciallo del Sejm. Tra i numerosi ospiti italia attesi segnaliamo: l’Ambasciatore d’Italia in Polonia Luca Franchetti Pardo, e poi Fabio Antonacchio, responsabile dell’Ufficio di Cooperazione Internazionale, Guardia di Finanza; Mauro Migliorini, presidente Cittaslow International; Patrizio Bianchi, rettore 2004-2010, ministro dell’Istruzione 2021-2022, Università degli Studi di Ferrara. Il giornale bilingue Gazzetta Italia è anche quest’anno media partner dell’evento.

Di seguito è riportato un elenco preliminare degli ospiti selezionati e confermati per il 33° Forum Economico:

Viaggi nello spazio e nel tempo, l’Italia in “Doctor Who”

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“Doctor Who” è una serie di fantascienza britannica, prodotta dalla BBC dal 1963. È diventata una serie di culto che ha influenzato diverse generazioni di registi di film e programmi televisivi. Ha vinto numerosi premi ed è entrata nel Guinness dei primati come la serie di fantascienza più longeva del mondo, oltre ad aver trasmesso contemporaneamente un episodio nella maggior parte dei paesi. La serie narra le avventure di un alieno appartenente a una razza chiamata Signori del Tempo, conosciuto come il Dottore, che viaggia attraverso il tempo e lo spazio a bordo della sua nave TARDIS. Nonostante sia una produzione britannica, i personaggi visitano molti luoghi e sono testimoni di innumerevoli eventi storici sulla Terra e non solo… ma anche in Italia!

Nel loro primo viaggio in Italia, il Primo Dottore (William Hartnell) ed i suoi compagni arrivano nell’antica Roma nell’episodio “The Romans” del 1965. Godono di una vacanza italiana per diverse settimane, che viene interrotta da mercanti di schiavi. Inoltre, il Dottore propone accidentalmente all’imperatore Nerone l’idea di bruciare Roma. Si parla anche dell’Impero Romano nell’episodio del 2005 “The End of the World”, quando in un lontano futuro il Nono Dottore (Christopher Eccleston) riferisce che il nuovo Impero romano ha conquistato l’intera Europa.

Forse a causa del rogo, la successiva avventura italiana del Dottore avviene solo nell’episodio del 1976 “The Masque of Mandragora”, quando il Quarto Dottore (Tom Baker) e la sua compagna Sarah Jane (Elisabeth Sladen) arrivano nell’Italia del XV secolo. I personaggi devono impedire a Mandragola di ingoiare la luna, ma sono ostacolati dagli intrighi di palazzo e dalle azioni di una setta minacciosa. Nonostante il tema italiano, l’episodio è stato girato in Galles.

Come tutti sanno, il Galles non è italiano, ma fortunatamente tutte le strade portano a Roma. L’episodio del 2008 “The Fires of Pompeii” è stato girato nel famosissimo studio cinematografico Cinecittà, situato nella periferia di Roma. Proprio a Roma vogliono arrivare il Decimo Dottore (David Tennant) e la sua compagna Donna (Catherine Tate). Purtroppo, a causa di alcuni calcoli errati, i due protagonisti finiscono a Pompei, un giorno prima dell’eruzione del Vesuvio. Devono risolvere il mistero del perché l’oracolo, le cui profezie diventano sempre realtà, non vede l’imminente eruzione del vulcano. Tuttavia, l’ostacolo maggiore è la corsa contro il tempo, dato che l’eruzione vesuviana non può essere evitata. “The Fires of Pompeii” è stata la prima puntata girata al di fuori del Regno Unito nella versione rinnovata della serie. Si è trattato di un’impresa di grande portata, con l’impiego di un numero enorme di comparse e di effetti speciali, ma le difficoltà sul set non hanno impedito la realizzazione di alcune scene di grande effetto. Lo stesso Vesuvio è stato filmato dalla troupe e successivamente utilizzato nell’episodio. La combinazione di riprese reali ed effetti speciali ha reso possibile creare le scene dell’eruzione.

L’ultimo episodio che riguarda l’Italia è “The Vampires of Venice” del 2010. L’Undicesimo Dottore (Matt Smith) porta due dei suoi compagni, Amy (Karen Gillan) e Rory (Arthur Darvill) a Venezia nel XVI secolo come parte del loro regalo di nozze. Purtroppo, la loro gita romantica viene interrotta dallo strano comportamento delle studentesse di una misteriosa scuola femminile, gestita da una direttrice che teme molto il sole veneziano. Sebbene l’ambientazione sia Venezia, l’episodio è stato girato in Croazia.

Che nessun viaggiatore nello spazio e nel tempo non debba fare a meno di un viaggio in Italia, lo sanno tutti. L’Italia rimane una destinazione turistica popolare, anche se il tipo di viaggi sembra insolito. La serie ha cambiato la forma, il regista e verrà trasmessa in tutto il mondo. Le nuove avventure del Quindicesimo Dottore (Ncuti Gatwa) sono disponibili dal 11 maggio su Disney+ in tutto il mondo.

Adalbert’s Tea – emozioni nel mondo del tè

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tłumaczenie it: Aleksandra Rutkowska

Quand’è l’ultima volta che hai provato una vera sensazione di gioia? Potrebbe sembrare strano pensare che questa sensazione possa derivare da una semplice attività quotidiana come bere un tè. Però su questo Adalbert’s Tea offre una nuova prospettiva. Creata con il pensiero di portare emozione e felicità nella vita quotidiana, la nuova collezione d’infusi “Adalbert’s Tea Emozioni” sorprenderà con una rinfrescante e sottile nota della frutta matura composto con l’espressività del gusto del tè nero di Ceylon. Ma non è finita qui! 

Un’esperienza unica la garantisce l’originale confezione con finestrino sotto il quale è nascosto un messaggio evocativo che incoraggia a scoprire i momenti speciali della vita, ispirando e stimolando emozioni positive. La Collezione Adalbert’s Tea è dedicata a chi desidera qualcosa di più di un semplice tè. È una filosofia, un approccio alla cultura del bere il tè. È un omaggio a quei momenti, rituali, in cui ci concentriamo su di noi. È un modo di ritrovare la calma, la felicità, di rilassarsi portando unicità e piacere nella vita di tutti i giorni.

Per rendere l’esperienza più piacevole, il brand offre la possibilità di partecipare al concorso a premi in cui si può vincere ogni settimana fino al 31.05.2024. Non perdere quest’occasione, sffrutta la possibilità di sentire in quale modo puoi rendere la vita piacevole con Adalbert’s Tea.

“Perché la vita con Adalbert’s Tea può essere più emozionante”

Tutto iniziò con la passione e l’amore per il tè che si trasformò in un’impresa. I fondatori della marca Adalbert’s Tea hanno la visione di creare gusti ed esperienze uniche per il consumatore polacco. Nella ricerca costante della perfezione e della migliore qualità i fondatori di Adalbert’s Tea sono andati a Sri Lanka, nel cuore della più nobile varietà di tè al mondo. Durante la loro esperienza hanno tenuto in considerazione non solo la qualità del gusto e dell’olfatto delle foglie li coltivate ma anche il modo di raccoglierle, il processo di essiccazione e dell’ulteriore elaborazione. Gli accuratamente selezionati blend del tè di Ceylon, raccolti a mano, diventano ora la base delle miscele speciali di Adalbert’s Tee connettendo efficacemente la tradizione e l’innovazione con grande rispetto per la natura e l’uomo. Grazie a questo ogni tazza di infuso fermentato diventa un’occasione per provare una sensazione di vera gioia sia per le papille gustative che per il cuore.

Ogni tazza del nostro tè è un momento di calore ed armonia, di concentrazione, una piccola riposante oasi lontana dal trambusto della vita quotidiana. Come lo sappiamo? Perché ogni foglia di tè che arriva nelle nostre confezioni ha la sua propria storia. Una storia scritta sotto il cielo del Sri Lanka. Il viaggio delle foglie che inizia nel luogo dove nascono e finisce a casa tua, filtrato attraverso l’acqua per riscaldare la tua tazza e il tuo cuore. Non c’è altro tè che trasmetta in modo così autentico e diretto il tesoro della terra da cui proviene. Quando aprirai la tua confezione, scoprirai il mondo che ci ispira e che ci motiva a creare queste speciali miscele del tè.

“L’amore in ogni goccia” è per noi molto di più di uno slogan. È la promessa che ogni sorso dell’infuso di Adalbert’s Tea diventerà per te una fuga dalla quotidianità, un contatto con la terra calda che l’ha prodotto, un piccolo ma significativo momento di felicità”, racconta Beata Fabia-Hołda, co-creatrice del marchio Adalbert’s Tea.

Beata Fabia-Hołda

Falsi amici: le trappole della traduzione

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Nel vasto universo delle lingue, il polacco e l’italiano emergono come due affascinanti sistemi linguistici, ognuno con le proprie peculiarità e intricati labirinti di significato. Tuttavia, quando si tratta di traduzione, ci sono delle trappole insidiose che possono confondere anche i traduttori più esperti: i cosiddetti “false friends” o falsi amici.

In linguistica i falsi amici sono tutte quelle parole appartenenti a due lingue diverse che, nonostante possano sembrare simili o avere una radice comune, in realtà hanno significati completamente diversi. Questi ingannevoli termini possono creare confusione durante la traduzione e richiedono un’attenta considerazione per evitare fraintendimenti linguistici.

Uno degli esempi più evidenti è rappresentato dalle parole “tapeta” in polacco e “tappeto” in italiano. A prima vista queste parole sembrano avere somiglianze, ma i loro significati sono completamente divergenti. Tappeto in italiano indica un tessuto di un certo spessore e morbido, utilizzato per coprire il pavimento, mentre tapeta in polacco si riferisce alla carta da parati, impiegata per adornare le pareti interne degli edifici.

Nonostante le apparenze, queste due parole condividono una radice etimologica comune, derivando entrambe dal latino “tapétum” e, ancor prima, dal greco “tápes”, che a sua volta risale alla radice persiana “tap”, con il significato di “tessere”, riferito quindi al tessuto. Il tappeto è stato un elemento centrale nella vita di molte società per secoli, utilizzato per delimitare spazi sacri, proteggere dal freddo e dalla sporcizia, e rendere più accoglienti gli ambienti domestici.

Sebbene la derivazione etimologica sia la stessa, le due parole hanno acquisito significati differenti a causa del diverso utilizzo che le popolazioni ne hanno fatto. Nel contesto storico e geografico dell’Impero Romano, la presenza abbondante di pietra naturale in Italia ha permesso la costruzione di edifici solidi, come ad esempio il maestoso Anfiteatro Flavio, meglio conosciuto come Colosseo, che è composto nella sua maggior parte di travertino, una pietra molto comune nelle zone limitrofe della città di Roma.

Nell’antica Roma, dove le case in pietra garantivano un’adeguata protezione dalle intemperie, i tappeti venivano utilizzati a terra per conferire comfort durante i banchetti, consentendo agli ospiti di consumare il cibo stando seduti sul pavimento. Ci spiega bene Petronio nel suo celebre Satyricon all’interno del capitolo dedicato alla Cena di Trimalchione, che i generosi banchetti che il ricco offriva ai suoi invitati si svolgevano sul pavimento perché solo al proprietario e agli invitati più illustri veniva data la possibilità di mangiare stesi su un letto (di nome triclinio) e per tutti gli altri non c’era altra possibilità di mangiare stando seduti per terra. Vista poi l’abbondanza di vino che veniva offerto ai commensali, a questi, tramortiti dall’alcool, non rimaneva altra scelta che accoccolarsi sui tappeti e dormire.

Mauro Tucciarelli

Al contrario, nelle regioni del nord Europa, dove la pietra era meno disponibile, si utilizzavano prevalentemente materiali meno isolanti come il legno nella costruzione delle case e capanne e i tessuti “tapétum” venivano utilizzati a scopo protettivo dalle avversità climatiche, dunque come rivestimento protettivo delle pareti. Inoltre dobbiamo considerare anche che i tappeti, specialmente quelli pregiati provenienti da regioni come la Persia, venivano appesi alle pareti come decorazioni nelle dimore delle classi nobiliari, e dunque ben esposti in quanto considerati simboli di ricchezza e status.

Tutte le lingue sono intrinsecamente collegate e in italiano esistono parole di ritorno come “tappezzeria” e “tappezzare”. Il termine tappezzeria deriva dal francese “tapisser” e dal latino “tapes” e indica attualmente qualsiasi tessuto o rivestimento impiegato nell’arredamento interno degli edifici o delle automobili, mentre nel linguaggio colloquiale italiano “fare tappezzeria”, che in polacco si potrebbe tradurre con il detto “podpierać ściany”, ha il significato di stare in disparte in un contesto sociale, un chiaro riferimento alla tappezzeria che riveste le pareti interne delle case.

Un’altra delle intriganti vicende linguistiche che attraversa il confine tra polacco e italiano riguarda le parole “dywan” e “divano”. Questi due termini, pur apparentemente simili, conducono a mondi concettuali differenti, offrendo uno spunto interessante per esplorare la storia e l’evoluzione del loro significato nel tempo. La parola diwan in polacco ha il significato di tappeto nella lingua italiana. Questa bizzarra e apparentemente illogica connessione ha in realtà una spiegazione ben precisa.

Entrambe le parole trovano le loro radici nel turco “diwan”, dove il punto d’origine da indicare è probabilmente il persiano “debir”, con il significato di “scrittore” e più in generale “quaderno”. Nel turco antico questo termine veniva originariamente utilizzato per indicare i registri amministrativi dove gli scribi lavoravano seduti su comodi cuscini. Nel corso del tempo, questo termine si estese per indicare l’ambiente in cui questi registri erano conservati e, in senso traslato, l’insieme dei cuscini su cui gli scribi sedevano. Tale pratica era già consolidata durante l’epoca califfale e persistette nell’Impero Ottomano, dove il Diwan indicava anche il Consiglio dei ministri riunito accanto al sultano per trascrivere le sue decisioni. Durante tali incontri, solo il califfo aveva il privilegio di sedere su un trono, mentre gli altri membri del consiglio erano relegati a sedere a terra su tappeti e cuscini, simboleggiando la loro sottomissione al sovrano. Successivamente il tappeto imbottito “diwan” fu applicato sulle panche per permettere una maggiore comodità alle persone anziane e in questa dualità influenzò la sua presenza nelle case ottomane, dove divenne un elemento comune dell’arredamento domestico. Nel corso dei secoli, l’idea del “divano” si trasformò in un mobile autonomo, particolarmente diffuso nelle dimore signorili a partire dal XVII secolo, assumendo la forma di una poltrona. Tuttavia, in alcune culture, come in quella polacca, il concetto rimase legato all’uso come semplice oggetto per il pavimento.

La distinzione tra le parole “divano” e “sofà” rappresenta un altro interessante sviluppo linguistico. Attualmente, non esiste una differenza sostanziale tra i due elementi, ma piuttosto una variazione di terminologia tra diverse lingue. Mentre in italiano prevale il termine “divano”, nelle lingue anglosassoni come l’inglese e il tedesco o le lingue slave, si preferisce utilizzare “sofà”. Quest’ultimo termine di lingua araba e precisamente all’arabo-persiano “sofah” o “suffah” indicava una tipica panchina imbottita con cuscini posta davanti alle case a scopo di ristoro.

A chiusura del cerchio linguistico analizziamo l’etimologia del termine polacco “kanapa”, equivalente di “divano” in italiano. La parola kanapa ha un’etimologia collegata al moderno francese “canapé” che indica un tipo di divano a due braccioli e schienale basso, spesso utilizzato già nel XVIII secolo. A sua volta questo termine è collegato all’antico francese “conope”, che si riferiva dapprima alla zanzariera e successivamente a una sedia a baldacchino con attorno una tela protettiva dagli insetti.

La radice comune è latina da “conopeum” che aveva lo stesso significato di zanzariera. Tuttavia, il significato della parola si è evoluto nel tempo e la parola canapé ha acquisito il significato di un piccolo pane o toast su cui venivano serviti vari condimenti, spesso consumati come spuntino o antipasto. Questo legame tra i due significati può essere ricondotto alla forma a sandwich dei canapé che, ricordano la struttura del mobile, crea una connessione insolita tra il mobile e il concetto di cibo.

In Italiano questo termine nel tempo si è mutuato in “conopeo” che indica il panno a maglie larghe che nelle chiese copre il tabernacolo in cui sono custodite le ostie consacrate e in “canapé” che, seppur in disuso, mantiene il doppio significato di divano e tartina. Quest’ultima dualità di significato resiste anche nel francese e nel polacco tra le parole “kanapa” e “kanapka” .

Questa affascinante evoluzione linguistica mostra come le parole possano assumere significati diversi nel corso della storia e riflettere le tradizioni e le pratiche culturali delle società in cui sono utilizzate.

Per terminare questa riflessione etimologica ci addentriamo nell’inglese “couch” che deve per l’appunto il nome al suo inventore Jay Wellington Couch. Nel 1895 Couch ebbe l’idea di allargare il divano nel modo in cui lo conosciamo quest’oggi, cioè con una seduta più lunga su cui potersi anche sdraiare e riposare.

In conclusione, la storia etimologica di queste parole riflette le complesse interazioni culturali e linguistiche che caratterizzano il panorama delle due lingue. Queste parole, seppur simili, rivelano sfumature e storie uniche, offrendo uno sguardo affascinante sulla ricchezza e la diversità di concetti molto diversi, ma con una storia comune che affonda le radici nella tradizione e nell’uso culturale di queste parole nel corso dei secoli.

Gazzetta Italia (agosto-settembre 2024)

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Gazzetta Italia 106 è un’esplosione di colori, gusti, panorami, che si apre con la strepitosa foto dell’eruzione notturna del vulcano Stromboli di Sebastiano Cannavò. Oltre alla splendida isola andremo a Palermo, con le foto in bianconero di Kuba Świderek, a Sandomierz, una città all’italiana, e scopriremo la Val d’Orcia di cui ci parla Wojciech Hildebrandt, architetto, fondatore della Scuola di Architettura e Arte della Wielkopolska. Presenteremo poi “Io capitano”, il film di Matteo Garrone in uscita in queste settimane in Polonia, e daremo uno sguardo alle ultime proposte musicali italiane, senza dimenticare la cucina, con ricette e un interessante approfondimento sul cioccolato e una intervista ad Alessandro e Cristina, esperti di caffè, titolari di un noto bar di Bologna. Un numero ricchissimo in cui ci sarà anche la foto-relazione del Torneo di Calcetto Italiani in Polonia e interessanti recensioni di libri: “La fuga di Anna” di Mattia Corrente, la traduzione in polacco de “Le città del mondo” di Vittorini, “La straniera” di Claudia Durastanti e la traduzione in italiano di “Grovigli” di Tomasz Snarski. Come sempre i motivi per correre ad Empik a prendere Gazzetta sono tanti ma questa volta ce n’è uno in più: il delicato, sentito, ricordo di Jerzy Sthur scritto da Jacek Pałasinski. Buona lettura!

Poesja

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Ho chiamato il mio progetto Poesja per unire la parola italiana “poesia” con il suo equivalente polacco “poezja”. Il pronome polacco “ja” significa “io” e, secondo me, l’io è la base di qualsiasi progetto letterario.

Sono una giovane scrittrice e traduttrice polacca che vuole incoraggiare altri giovani a scrivere e a condividere i loro testi. Ho cominciato a pubblicare le mie poesie in Polonia dieci anni fa e ricordo bene quanto sia stato difficile fare i primi passi. Conosco molte persone che scrivono sia in italiano che in polacco. Per questo motivo ho creato una piccola raccolta di testi e l’ho resa bilingue.

Poesja è una fusione letteraria e linguistica di qualcosa che non può essere facilmente definito. è una raccolta di testi che supera i limiti linguistici. Si tratta di un progetto che unisce i giovani scrittori e scrittrici in uno spazio sperimentale dedicato agli incontri letterari internazionali. Sono sicura che Poesja ci permetterà di toccare gli strati più sottili del linguaggio poetico.

Karolina Romano, traduzione: Lena Dominiczak
Un’opera d’arte
Ti ho scritto una poesia,
in realtà più di una,
forse troppe,
forse non avrei dovuto,
forse bastava limitarsi a un sorriso.
Eppure, ogni goccia d’inchiostro
che silenziosa si posava sul mio foglio
mi parlava di te,
e mi sembrava inevitabile disegnarti con le parole
fino ad ottenere un quadro completo
di tutto quello che sei.
E non ci si chiede mai
se l’opera vera e propria sia
frutto dell’artista o dell’ispirazione
che travolgente lo spinge a creare.
E in realtà, nemmeno importa
se a persistere nel tempo
è il connubio di due anime
che unite hanno creato Arte.

Wiktoria Gawlik, traduzione: Lena Dominiczak
l’assurdità
nell’inquietudine trovo la pace
guarda com’è bella questa assurdità
che non esiste nella tua presenza
e tu rendi tutto così normale
sai riempire il mio vuoto
oppure il deserto della mia anima
ma a volte sparisci pure tu
ed io
rimango vuota senza di te

Lena Dominiczak
passeggera
passo la notte in bianco,
ma passo dopo passo,
camminando verso

Mariusz S. Kusion, traduzione: Krzysztof Jeleń
Una notte di luglio
tra di noi c’è Italodisco che risuona. è successo così
affondati nella poltrona finché un sole migliore non riscaldi
le nostre parole di frasi complete. capirai
questi punti interrogativi così improvvisamente
come lo voglio io quando il nome ritrova il corpo
biondo. l’acquerello rivive davanti ai miei occhi
nei tuoi un verde velenoso divora le ultime occasioni
per la seconda incaranzione dell’amicizia

Patrycja Krakowińska, traduzione: Lena Dominiczak
Sala
alghe rosse
si muovono al vento a tempera
i capelli nascondono dalla folla
il grembo della vergognosa

mi sono persa qualche volta
tra le mani di marmo
groppe di cavalli teste
di Oloferne che cadono

gli zefiri soffiano sui fiori
i turisti inalano l’Arno
lo vedo sugli schermi dei telefoni
fotocamere digitali
proprio come a casa

non sento il rumore di una frattura
al collo lungo di una spalla slogata
mi alzo in punta di piedi e non capisco
quando la gente del posto mi parla troppo velocemente

nelle vicinanze qualcuno ha fatto esplodere
un’auto, qualcun altro ha scritto una poesia al riguardo
colpita al cuore, strappata, non uccisa
gli affreschi della stanza di Niobe staccati dal muro

Wiktoria Skrzypczak, traduzione della poesia di Jan Brzechwa „Kaczka Dziwaczka”
Paperella Bizzarella
Vicino al ruscello Fella
Viveva una bizzarella,
Ma anziché starci vicino,
Gironzolava un pochino.
Si recò dal parrucchiere:
“Avrebbe un chilo di mele?”
Più tardi andò dal dottore:
“Dei Cornetti, per favore”.
E poi corse dall’architetto:
“Del pollo, me ne dia un etto”.
E le papere a beccarsi:
“Magari un’oca la calci!”
Faceva tante uova sode,
E anche ai capelli le code.
E con lo stuzzicadenti
Ornava abiti aderenti.
Poi comprò del papavero
Per farne un altro papero.
Mangiando vecchie codette
Diceva: “sono trenette”.
E quando un soldo mangiò
Si trasformò tutta in bordeaux.
E disse un papero scaltro
“Si impapererà senz’altro!”
Alla fine fu comprata:
“Ne faccio una paperata”
Il cuoco la fece cotta.
Aggiunse anche la ricotta,
Ma servendola si stupì
Perché la papera sparì!
Restò solo papavero.
Mi sembrò strana, davvero.