“Chiese chiuse”, Tomaso Montanari

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In queste settimane la casa editrice Austeria pubblicherà la versione polacca del libro “Chiese chiuse” di Tomaso Montanari, storico dell’arte e rettore dell’Università per Stranieri di Siena. Sarà il primo libro dell’autore pubblicato in polacco. A seguire presentiamo la premessa al libro dello stesso autore.

Introducendo il mio Privati del patrimonio (apparso, in questa stessa collana, nel 2015) avvertivo che non avevo «l’ambizione di esaurire il tema della privatizzazione della cultura», e che per esempio rimanevano «quasi del tutto fuori […] il cruciale nodo dell’aggressione perpetrata dagli interessi privati allo spazio pubblico delle città storiche (esemplarmente rappresentato dalle Grandi Navi, che stuprano quotidianamente la Laguna di una Venezia che si è potuta ribattezzare Benettown) e la crescente mercificazione del patrimonio ecclesiastico. Ho cercato di occuparmi del primo tema in un altro libro (Le pietre e il popolo. Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città italiane, Minimum fax, Roma 2013), e spero di trattare in futuro anche il secondo». Il libro che state leggendo è il tentativo di dar corpo a quella speranza, di onorare quella implicita promessa. La prima cosa da dire è che le circa 85.000 chiese storiche italiane, che da sole rappresentano probabilmente la maggior parte del «patrimonio storico e artistico della Nazione» (Costituzione della Repubblica, articolo 9, comma 2), sono un bene pubblico. Almeno da un punto di vista morale, tutto il patrimonio della Chiesa è pubblico, e lo è a causa di una storia incancellabile:

i cultori dei rapporti tra Stato e Chiesa conoscono le antiche ascendenze di questa concezione per così dire “pubblicistica” dei beni ecclesiastici, e di quelli culturali in particolare. Essa può farsi risalire, per limitarci nel tempo, all’Ottocento quando perfino l’intervento eversivo (ma sarebbe meglio dire “redistributivo”) veniva giustificato con il fatto, ritenuto pacifico, che l’asse ecclesiastico era in qualche modo parte integrante del patrimonio pubblico. Pubblico era il patrimonio perché pubblicistica era la posizione della Chiesa nell’ancien régime, e perché il patrimonio si era formato quando v’era commistione tra le competenze dello Stato e della Chiesa, tra società civile e società religiosa […] Si trattava, in buona sostanza, di un retaggio storico indiscusso perché frutto di una storia millenaria nella quale Stato e Chiesa costituivano due aspetti di una medesima realtà. 

Oggi, questo straordinario patrimonio pubblico – che contiene alcuni degli apici della storia dell’arte universale – è in gran parte privatizzato nei fatti: cioè negato. Sono sempre di più le chiese accessibili a pagamento, o destinate ad attività economiche redditizie o addirittura alienate. E sono tantissime quelle di cui siamo privati nel modo più radicale: a causa del loro abbandono, del loro degrado. A volte, del loro crollo. O, semplicemente, a causa della loro chiusura. C’è, poi, un modo più insidioso e sottile per chiudere le antiche chiese alla loro funzione pubblica. Ed è quello di negarne il valore culturale: che non è affatto riducibile, come vedremo, alla loro (dubbia) definizione di «beni culturali di interesse religioso». Nelle prossime pagine ci caleremo, dunque, in quella che può apparire, e invero è, una galleria degli orrori, materiali e morali. Ma vedremo anche come questo «bello ovile» di cui ogni italiano si sente, seppur in modi diversi, «agnello» potrebbe trovare una nuova funzione, che non sostituisca, ma affianchi felicemente, quella religiosa. Vorrei che fosse subito ben. chiaro che questo libro non vuole essere un atto di accusa verso i custodi – quelli religiosi e quelli civili – delle chiese italiane. Nonostante la diminuzione del clero e lo scemare della pratica religiosa, la Chiesa italiana ha fatto negli ultimi anni davvero moltissimo per tutelare il suo – il nostro – patrimonio culturale. E le soprintendenze, esauste e scientemente fiaccate da una politica immemore del bene comune, danno quotidianamente il sangue per difendere le chiese storiche. Ma la mancanza di fondi e di personale, e una scala di valori, totalmente ribaltata, che mette al primo posto i Grandi Musei schiavi dell’incasso, le mostre, gli eventi, sembrano condannare a morte tutto ciò che non rende. Per questo, il primo scopo del libro che state leggendo è accendere un riflettore sulle chiese italiane. È necessario mettere le mani avanti sulla limitazione del campo: parlerò quasi esclusivamente di chiese, ed eventualmente dei complessi monumentali che le contengono. Più vasto, e non meno doloroso, sarebbe il discorso sulle biblioteche, sugli archivi e sui musei ecclesiastici, per non parlare dei beni culturali non sacri ma di proprietà ecclesiastica. Naturalmente, in moltissimi casi gli stessi monumenti accolgono un patrimonio storico e artistico che comprende tutti questi tipi di beni, accomunati da una stessa sorte: perire, o salvarsi, insieme. Ma, se medesima è la sorte, diversi devono essere i modi e gli strumenti per impedire che essa si riveli fatale.

Un’ultima, doverosa avvertenza. Ho scritto questo libro da storico dell’arte: il tema non è quello – oggi assai frequentato in ambito ecclesiale, a livello internazionale ancor più che in
Italia – delle redundant churches in generale2, ma quello – più ristretto, anche se in Italia di fatto preponderante – delle chiese antiche: che sono, indissolubilmente, edifici di culto e
monumenti. Ma non è un libro scientifico, di ricerca: è un libro scritto “per fatto personale”. Per il dolore viscerale che provo di fronte alla rovina, materiale e morale, di una parte crescente di questo patrimonio, tanto esteso quanto vario. Dunque, l’ho scritto per quello che sono: un cittadino della repubblica, ma anche un cristiano cattolico, credente e praticante. Benché il libro contenga una serie di spunti e suggerimenti per cambiare concretamente lo stato delle cose, il suo orizzonte è quello della mentalità, delle idee e dei sentimenti. Il suo scopo principale è impostare il dibattito pubblico in modo nuovo: andando al di là della folta “letteratura amministrativa” prodotta dal ministero per i Beni culturali e dalla Conferenza episcopale italiana, e provando a indicare le ragioni ultime per cui i cittadini italiani e i cristiani devono salvare le loro chiese storiche. Mantenendole intatte, aperte al pubblico e al servizio del pieno sviluppo della persona umana.

Due sono, dunque, le stelle polari che orienteranno il viaggio: la Costituzione, e il Vangelo. Erano i due libri che si trovavano sul tavolo degli studenti di Barbiana: e don Lorenzo Milani è ancora l’insuperato modello di un esser cristiano che non nega, ma avvera fino in fondo, l’essere cittadino di uno Stato laico, democratico.