Ferrara Segreta

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La Cattedrale di Ferrara

Ferrara appartiene ai sogni. Sospesa nella pianura, si nasconde tra le pieghe della nebbia per apparire quando la luce riesplode sul fiume. È un dialogo a distanza quello tra la città e il Po, ma entrambi ricordano quando la corrente accarezzava le banchine del porto urbano.

Acqua e terra, fango di palude, bruschi risvegli, sguardi inquieti a scrutare l’orizzonte che si alza e si abbassa seguendo ritmi antichi eppure sempre difficili da decifrare: siamo in un mondo mobile, che solo la faticosa opera dell’uomo ha stabilizzato in qualche modo. Sin quando dura.

Oggi servono i versi di Ludovico Ariosto per vedere una delle bellissime di ogni tempo che aspetta, sciolti i capelli al vento, il ritorno dell’amato vittorioso a poppa dell’ammiraglia nemica catturata. Per un veneziano, questo riporta alla mente immagini consuete e il ricordo di una delle peggiori sconfitte di San Marco. Perché la donna in attesa è Lucrezia Borgia e il celebre marito è Alfonso I d’Este, Signore di Ferrara e famoso come il “duca artigliere”. Il poeta di Reggio Emilia celebrava il trionfo estense nella Seconda Battaglia di Polesella, combattuta il 22 dicembre 1509. L’alto livello del Po, quel giorno, aveva messo le navi veneziane, in cerca di rivincita, a tiro dei cannoni ferraresi trascinati sugli argini.

Castello Estense

La gentile e gioiosa Ferrara, la città di palazzo Schifanoia, nome emblematico; della Dama di Palazzo Isabella d’Este, marchesa di Mantova; del primo teatro d’Europa, una rinascita dopo la fine di quelli dell’Antichità; di poeti e artisti, filosofi e giuristi, ma anche la fucina ingegnosa e versatile del nuovo padrone dei campi di battaglia: il cannone. Singolare città dove tutto inizia in un modo e termina in un altro. Al pari della sua struttura urbana, spaccata in due prima dalla natura e poi da volontà umana. Al di là e al di qua del fiume all’inizio; cuore medievale, il nucleo compatto della zona sud-orientale, ed espansione successiva, il poderoso sviluppo dell’Addizione Erculea, poi. Proiettata a nord e concepita sotto il governo del duca Ercole I d’Este, da cui il suo nome, e perfetto esempio di utopia umanistico-rinascimentale.

Non solo. Libero Comune e quindi Signoria di una dinastia longeva e importante, quella degli Este, diventa parte delle Legazioni dello Stato della Chiesa: perde una delle corti più brillanti d’Europa, un tempio dell’arte e della cultura dove venivano celebrati i fasti della riscoperta del pensiero classico, in particolare neoplatonico, per trasformarsi in periferia di un potere chiuso in sé stesso e lontano. La memoria del glorioso passato strangolata da un presente senza orizzonte: perché anche la sconfinata pianura si trasforma in limite e trappola, a volte.

Via delle Volte

Eppure tutto intorno racconta un’altra storia e suggerisce un diverso futuro possibile. La città restituisce agli abitanti la linfa vitale che scorre tra i mattoni, intessuta alle strade e pronta ad affacciarsi dalle finestre. Ciò che è stato, semplicemente, non muore ma si rigenera. Di continuo. Come questa terra appesa ai capricci del Po, sempre incerto su quale via seguire e se dilagare o meno oltre gli argini. E allora Ferrara muta pelle, trasformandosi da animale anfibio in signora della terra polverosa, cotta dal riverbero del sole per ripiombare tra le dense e odorose cappe spumose d’autunno che avvolgono e stritolano. Anche i pensieri.

In questa tensione tra attaccamento a quanto è stato e proiezione verso il nuovo e l’inesplorato si trova la chiave per cercare di comprendere la città, la sua storia e il presente. Forse anche l’unico modo concreto per provare a decifrarne l’avvenire. Ferrara è un’opera d’arte. Certo, nel senso che racchiude e conserva innumerevoli tesori di grande valore. Soprattutto, però, perché rappresenta un perfetto esempio di come l’uomo intervenga su città e territorio per adattarli ai propri bisogni e speranze. Entrambi, in fondo, parti essenziali della natura e delle creazioni della nostra, specialissima, specie. Il messaggio trovato venendo qui e rilanciato da ogni angolo della città, dai volti scolpiti da artisti insonni e dalla crudezza della vita, ripetuto dalle mille voci di una storia viva nelle parole di ogni giorno.

Alla fine del viaggio, anche a Ferrara resta la sensazione di aver tralasciato molto. Forse troppo. Luoghi non visti, personaggi dimenticati, storie non raccontate. Percezione inevitabile che accompagna ogni vero “viaggio in Italia”: impossibile riuscire a esaurire gli stimoli offerti dal Bel Paese, la cui vicenda artistica e politica solca il tempo con le stigmate della genialità.

Le prigioni del Castello Estense

Perché questo è quanto resta di Ferrara, mentre ci si allontana verso sera e la luce radente del tramonto allunga le ombre, sfumando i contorni. Ci si rende conto di aver incontrato il lascito di donne e uomini di straordinario valore, nei quali l’abilità e l’importanza personali sono semplici manifestazioni contingenti, inserite nel contesto del loro tempo e di vite particolari, ma la cui vera radice si trova nelle profondità segrete della Penisola. Chiamiamolo come facevano i nostri antichi progenitori genius loci, se così fa piacere, ma nel senso che pare esisterne uno capace di abbracciare l’intero spazio tra le Alpi e la Sicilia, con un’estensione a occidente verso la Sardegna e isole varie sparse per il Mediterraneo e il Mondo. Da esso se ne generano di infiniti particolari, unità molteplice nel segno del frattale, l’ente geometrico frazionato in cui si riproduce quello intero di partenza. Qualunque sia la scala.

L’Italia, dunque, come insieme di frattali capaci di declinare in mille modi l’unità di fondo all’insegna del talento e della creatività. In ogni campo. Un dato spesso ricordato, ma non sempre approfondito a sufficienza, meno ancora fatto proprio da quanti abitano questa terra. L’avventura di Ferrara, città nata da volontà umana e adattata di continuo alle necessità concrete senza negare spazio alla possibilità dell’utopia, ne è un esempio perfetto.

Quanto incisiva possa risultare l’azione dei singoli individui, del resto, è dimostrato dalla vicenda degli Este. La famiglia veneta di ascendenza franca, infatti, esercita la propria egemonia e il governo effettivo per un arco di tempo lungo, ma non così tanto da giustificare a prima vista il fatto di venire associata per sempre e ovunque alla città. Perché Ferrara ed Este sono una coppia inscindibile. Per tutti. La ragione risiede nell’intensità con cui alcuni suoi membri sono intervenuti nel modellarne lo spazio urbano e sociale. Andando ben oltre ai puri bisogni del momento.

Palazzo dei Diamanti

Sia chiaro, un progetto come l’Addizione Erculea supera di gran lunga le necessità militari messe in luce dalla Guerra del Sale. In fondo, il duca Ercole I poteva accontentarsi di una nuova cinta bastionata allargata. Invece, vuole una “città nuova”, che sia ornamento spirituale per sé stesso e la dinastia, certo, ma anche in grado di dare corpo e forza al futuro urbano di Ferrara. In una prospettiva sicuramente non di corto respiro.

Se il disegno di Ercole I, tradotto in sostanza da Biagio Rossetti, risulta perfino sovrabbondante, è perché in breve lo stato estense perde slancio espansivo e poi si vede ridotto alle sole Modena e Reggio. La splendida e grande capitale immaginata si trasforma in una sonnacchiosa città di provincia. Siamo ben distanti dal destino sognato dai suoi duchi per il centro incavallato sul Po. L’Addizione Erculea stupisce ancora oggi non solo e non tanto per la modernità, per altro recuperata dall’urbanistica antica, per concezione e realizzazione, quanto per essere riuscita a interpretare il moto espansivo urbano accompagnandolo o, per meglio dire, guidandolo per secoli. Un lungimirante interventismo socio-economico da cui ci sarebbe molto da imparare, specie in un’epoca votata alla consumazione effimera di tempo e risorse.

Palazzo Schifanoia Salone dei Mesi, particlare

Se c’è un insegnamento generale da distillare dopo il nostro viaggio è proprio questo: la bellezza è il bisogno di coltivare una visione di ampio respiro e di lungo periodo. Ben oltre gli angusti confini dell’umana esistenza, almeno. Solo così si spiegano anche singole opere quali il Castello e la Cattedrale, ma anche costruzioni per così dire “minori”, quale palazzo Schifanoia. Anzi, sotto certi aspetti sono proprio tali realizzazioni meno ambiziose a fornire la migliore chiave di lettura di una cultura: se anche per un edificio destinato al divertimento episodico si destinano risorse e intelligenza in grande quantità, significa dispiegarsi su orizzonti quasi infiniti.

Avere coscienza della propria fragile limitatezza, ma agire come se si fosse eterni: non è forse il destino migliore dell’essere umano? Gli Este sembrano averlo compreso alla perfezione. Forse perché nutriti dal pensiero classico, riversato nelle loro menti dall’amorevole cura con cui i bambini venivano educati, oppure per il talento nell’intercettare il sentimento prevalente di epoche
sempre sospese tra percezione di una fine imminente e speranza in un domani libero da paure.

Sempre gli Este: senza dimenticare che sono solo gli eredi di una tradizione già ricca quando Obizzo II diventa Signore della città. Costruita e sviluppata nelle pieghe dell’avventura comunale in grado di produrre il capolavoro del Duomo. Non so se sia proprio un caso la persistenza nella titolazione al guerriero San Giorgio: simbolo di virtù eroiche, che spingono ad affrontare qualunque pericolo e ogni prova pur di continuare a inseguire un ideale difficile. Il parallelo con la figura di Eracle/Ercole, divinizzato dopo le celebri dodici fatiche compiute per riscattare la colpa di cui si è macchiato, balza subito agli occhi. Certo, Giorgio non ha un crimine iniziale da cui emendarsi, ma essendo uomo resta comunque macchiato dal peccato originale.

Il messaggio sembra essere chiaro. Non c’è ostacolo che la volontà umana non possa superare lungo la faticosa via della redenzione e della salvezza, in questa e nell’altra vita. Tocca a noi. Alla nostra determinazione. Alla perseveranza. Al coraggio nell’affrontare la strada necessaria, qualunque essa sia. Un’impostazione senz’altro fatta propria da quanti hanno governato questa città tra Medioevo e Rinascimento. Quella che si ritrova cesellata in ogni pietra e mattone di Ferrara.