La geopolitica tra Polonia, Italia e Turchia

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Francesco Sidoti

Durante la presidenza Obama, sono rivelatori tre viaggi. In Turchia ha compiuto il suo primo viaggio all’estero e ha pronunciato un discorso importantissimo nel quale dichiarava che la precedente politica americana era stata messa da parte e che gli Stati Uniti non erano mai stati in guerra con l’Islam. In Italia ha compiuto l’ultimo viaggio, incontrando Papa Francesco, che rinnova la tradizione dei Pontefici che hanno saputo parlare un linguaggio universale, in una linea per molti versi simile a quella di Obama, premio Nobel per la pace. A Varsavia invece Obama ha detto che la Polonia rappresenta un modello di transizione alla democrazia; “uno dei nostri alleati più stretti e un leader nell’Unione europea”.

Per secoli la storia mondiale è stata raccontata in maniera unilaterale, dando preminenza a punti di vista nazionalistici, espansionistici, bellicosi. Oggi ci sono problemi globali che nessun paese da solo è in grado di risolvere, dai cambiamenti climatici alle crisi finanziarie, dai movimenti migratori alla proliferazione nucleare. Al fine di affrontare in sicurezza questi problemi globali, la Polonia, la Turchia, l’Italia, sono fondamentali. E sono tre storie di successo, che possono e debbono essere raccontate senza complessi d’inferiorità. Perché hanno molto da insegnare, proprio nel settore della sicurezza.

Il successo della sicurezza in Polonia non è secondo al successo straordinario dell’economia. Il paese che era la sede eponima dell’alleanza internazionale dei paesi comunisti è diventato ora, invece, un paese centrale nell’Alleanza atlantica. Il sistema polacco della sicurezza era totalmente integrato nello stile e nella cultura comunista ed ora è diventato un modello di efficienza sia sul piano interno sia sul piano internazionale. È una grande storia di successo. La Polonia è un grande Paese anche perché è una grande potenza della sicurezza democratica internazionale.

Anche la Turchia è una storia straordinaria di successo democratico. Un paese che era travagliato da colpi di Stato, terrorismo, crisi economiche, è diventato in pochissimi anni un paese caratterizzato sia da un’economia che si sviluppa a ritmi travolgenti sia da una democrazia dove il confronto politico è vibrante, acceso, senza esclusione di colpi, ma è rimasto dentro la cornice democratica. È a tutti noto che esiste oggi una situazione difficile in Turchia, ma si può meravigliare soltanto chi non conosce la storia delle democrazie, dove il conflitto è endemico e spesso aspro, ma sempre è motore di rinnovamento e di crescita.

Nella sicurezza democratica il successo italiano non è meno rilevante. Un paese che per anni era stato caratterizzato dall’immagine della mafia e che aveva subito l’assassinio di grandi protagonisti della giustizia e della politica, oggi è invece caratterizzato dalla vittoria della democrazia sulla mafia. Quelli che erano ritenuti gli imprendibili capi dei capi mafiosi, sono stati tutti catturati e sono tutti in carcere, sottoposti ad un durissimo regime di detenzione. A Palermo c’è un sindaco notoriamente fortemente antimafia; nella regione Sicilia c’è un presidente notoriamente fortemente antimafia. Contro il crimine organizzato in Italia c’è un’esperienza fuori dal comune, una legislazione d’avanguardia, successi investigativi clamorosi. Molti dei più famosi mafiosi sono in galera, anche quei casalesi resi celebri da Roberto Saviano sono stati debellati. Ogni giorno vengono appioppati secoli di carcere, sequestrate proprietà illecite, arrestati latitanti.

Nel passato c’è l’essere stato potenza imperiale sia per la Turchia che per la Polonia; un passato che è certo finito, perché oggi contano soltanto le alleanze giuste e leali nella democrazia globale, ma che deve essere adeguatamente ricordato, perché alcuni hanno la tendenza a ricordare soltanto quella storia dell’Europa che fa comodo a interessi locali, particolari, egoistici.

Non ci saranno pace e stabilità nel mondo senza una Turchia pienamente e vigorosamente impegnata in Medio Oriente; senza una Polonia autorevolmente e incisivamente impegnata in Europa; senza un’Italia credibilmente e attivamente impegnata nel Mediterraneo.