La Cittadella di Varsavia e l’aiutante colonnello Francesco Nullo

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Syberia, Aleksander Sochaczewski

A Varsavia tutti sanno dove si trova la statua del colonnello Francesco Nullo, molti sanno anche come mai è arrivato in Polonia. È ormai un personaggio entrato nei libri di storia, un simbolo dei rapporti tra Polonia e Italia. Ma cos’ha in comune con Varsavia, con la Cittadella o, più specificamente, con il X padiglione della Cittadella, dove nel 1835 c’era una prigione politica zarista? C’è mancato poco che proprio Francesco Nullo finisse qui nel 1863, come successe al suo aiutante tenente Luigi Caroli, arrestato il 5 maggio 1863 nella battaglia di Krzykawka vicino a Olkusz.

Nel 1863 scoppiò la rivolta di gennaio (pl. powstanie styczniowe), il che suscitò grande scalpore in tutta l’Europa e particolarmente in Italia. Come ha scritto Stefan Kieniewicz, lo storico più eminente della rivolta del gennaio: “All’ovest c’è ancora un paese, l’Italia, in cui la simpatia verso la Polonia è dichiarata unanimemente, non solo tra i compagni di Mazzini  Garibaldi, ma anche tra i patrioti moderati. I polacchi erano idealmente e la loro causa era coerente con il Risorgimento italiano. A febbraio e marzo in tutte le città maggiori d’Italia si svolsero manifestazioni pro-polacchi, si raccolsero donazioni, migliaia di persone firmarono petizioni nelle quali chiedevano si aiutasse la Polonia”. Anche se sia Mazzini che lo stesso Garibaldi non prevedevano alcuna iniziativa militare italiana in Polonia, sperando invece in un intervento militare eropeo, alcuni loro compagni nonostante le loro riserve decisero di partire per la Polonia. Così nacque la cosiddetta legione italiana. Garibaldi esitò ad appoggiarli, nonostante suo figlio Menotti volesse comandare la spedizione. Alla fine solo circa 30 persone partirono per la Galizia e da lì attraverso il confine raggiunsero i polacchi che combattevano nel Regno di Polonia. Tra questi c’erano il colonnello Francesco Nullo e Luigi Caroli.

Come hanno scritto Ewa e Bogumił Liszewscy, autori del libro sulla partecipazione degli stranieri alla rivolta di gennaio: “Luigi Caroli era nato a Bergamo nel 1834 in una famiglia mercantile patriota. Ereditò una grande fortuna del padre, ottenne una formazione solida per quei tempi. Era un grande atleta e cavaliere, un ottimo schermidore, un donnaiolo soprannominato affettuosamente “signor Gigio”. All’inizio servì in un’unità della cavalleria piemontese. Fu promosso tenente per i suoi meriti militari nelle battaglie contro l’Austria.”

Nel 1863 decise di aiutare la Polonia in guerra. Una scelta dettata dal cuore più che dalla ragione. La legione italiana partì da Cracovia il 2 maggio 1863, insieme all’esercito di Józef Miniewski. Armi ed equipaggiamento li ricevettero a Krzeszowice. I soldati italiani si distinsero dai partigiani polacchi per le loro camicie rosse garibaldine. Già durante la loro prima battaglia di Krzykawka, appena attraversato il confine, la legione italiana, di cui facevano parte anche dei francesi, andò in rotta e Francesco Nullo morì in battaglia. Quelli  che non riuscirono a scappare dal campo di battaglia furono fatti prigionieri: Luigi Caroli, Emil Andreoli, Alessandro Venanzio, Ambrogio Giupponi, Febo Arcangeli di Bergamo, Giuseppe Clerici di Como, i fratelli Lucio e Giacomo Meuli di Viadana, Achille Bendi di Forli, il francese Louis Alfred Die, un livone che fingeva di essere francese Charles Richard e i polacchi: Józef Czerny- Szwarcenberg di Cracovia e Ferdynand Gajewski di Podgórze (oggi una zona di Cracovia della riva destra). I prigionieri furono messi in detenzione a Olkusz e poi dal 20 maggio 1863 detenuti in un carcere a Częstochowa.

Inizialmente venivano trattati bene, siccome le autorità russe non sapevano nemmeno cosa fare con gli stranieri, ovvero cittadini di un paese con cui la Russia aveva buoni rapporti diplomatici, in più il trattamento dei prigionieri lo controllava il duca Aleksander Szachowski, che comandava gli eserciti russi in quella zona. Per questo gli italiani imprigionati mantenevano il morale alto, alcuni aspettavano una liberazione imminente. Però il 17 giugno 1863 li trasferirono tutti nella Cittadella di Varsavia, nel X padiglione, ormai famoso in tutta Europa, gli umori peggiorarono. Caroli e i suoi compagni non sapevano che da Pietroburgo fosse arrivato un ordine riguardante il trattamento duro dei prigionieri, che magari mirava a scoraggiare chi fosse pronto a partecipare alla rivolta.

A quel tempo sembrava che la guerra europea si stesse avvicinando: le autorità zariste non volevano essere troppo indulgenti verso i cittadini dei paesi occidentali. La detenzione nella Cittadella di Luigi Caroli e dei suoi compagni durò solo due settimane; in quel periodo la corte marziale agiva rapidamente. Erano evidentemente colpevoli, colpevoli di partecipazione alla rivolta contro le autorità zariste, tanto più che i detenuti non celavano i motivi per i quali erano arrivati in Polonia. Non sappiamo in quale cella furono detenuti Caroli e i suoi amici. È probabile che fossero in una cella comune, visto che il numero di prigionieri era molto alto. Imprigionati per la partecipazione alla rivolta rischiavano la pena capitale o l’esilio in Siberia, la fucilazione però veniva raramente ordinata. In genere se un prigioniero non veniva fucilato subito sul campo di battaglia o qualche giorno dopo e invece arrivava nel X padiglione, era praticamente sicuro di finire in Siberia. Spesso la pena capitale veniva attenuata qualche giorno dopo la sentenza e sostituita con l’esilio. E fu proprio così in questo caso: il granduca Costantino, che risiedeva ancora a Varsavia e fu uno sostenitore del trattamento favorevole, decise di attenuare la pena capitale. I cittadini italiani furono condannati da 7 a 12 anni di katorga (schiavitù penale) in Siberia. La katorga fu la pena più grave, molto più severa dell’esilio o della prigione in quella zona: la katorga prevedeva che il prigioniero fosse incatenato e svolgesse lavori forzati in Siberia.

Emil Andreoli, uno dei prigionieri sopravvissuti alla katorga, ritornò a casa e scrisse: “Fino ad oggi mi domando perché, invece di fucilarci onestamente o di impiccarci, il governo russo ci abbia mandato in Siberia. Non è la Siberia cento volte peggio della morte?” La sua opinione la sostengono i dipinti commoventi di Aleksander Sochaczewski nel Museo del X Padiglione. L’artista trascorse più di 20 anni in esilio in Siberia. Una volta ritornato creò una struggente collezione di dipinti siberiani (120 opere), il più famoso di quali si chiama “L’Addio all’Europa”, mostrato dal 1900 a Londra, Bruxelles, Vienna, Cracovia e Lviv. Rappresenta un gruppo di esiliati politici e criminali che attraversano il confine tra l’Europa e l’Asia negli Urali. Un aspro paesaggio invernale e le facce degli imprigionati esprimono una profonda disperazione e riflettono gli animi degli esiliati italiani. Per i polacchi la Siberia non era totalmente estranea, ma per gli italiani vivere a quelle temperature era uno shock.

Come hanno scritto Ewa e Bogumił Liszewscy: “Gli italiani, ammanettati, percorsero migliaia di chilometri. Giunsero alla loro destinazione. vicino a Nerczyńska Kadai, in inverno, dove gli aspettava un lavoro duro nelle miniere d’argento. Spesso sognavano la fuga o la ribellione, ma Caroli riteneva che fossero idee illusorie e nel tempo libero imparò il polacco. Fu affascinato dalle poesie di Juliusz Słowacki e lui stesso cominciò a scrivere poesie. La famiglia, con cui manteneva rapporti epistolari, gli mandava un po’ di denaro, grazie al quale la vita di Caroli e di suoi compagni fu meno insopportabile. E tuttavia tutti i tentativi da parte della famiglia e di persone influenti nel mondo diplomatico di convincere lo zar di ridurre la pena non servirono a nulla.”

L’amnistia fu annunciata nel 1886, ma purtroppo Caroli morì prima. Karolina Firlej-Bielanska, l’autrice del libro Nullo e i suoi compagni, pubblicato nel 1923 scrisse: “Malato nell’anima e nel corpo, stava morendo lentamente; lo consumavano le sfide per la sopravvivenza e la nostalgia per il Bel Paese. Morì di encefalite il 8 giugno 1865”. Nelle sue lettere ai familiari scrisse “La vita di un prigioniero è molto dura, ma quanto è più facile sopportarla, quando il proprio cuore è fiero di completare una sfida ed è pieno di ricordi dolci”. Andreoli e gli altri italiani imprigionati ritornarono a casa.

Il 5 gennaio 1937 la “Gazzetta di Lviv” (pl: Gazeta Lwowska) scrisse: “Riorganizzando l’archivio comunale a Bergamo sono stati ritrovati testamenti manoscritti di due cittadini, che diedero le loro vite per la Polonia, cioè di Francesco Nullo, morto a Krzykawka e di Luigi Caroli, morto tra i ghiacci della Siberia. Entrambi i testamenti furono scritti nel 1853, prima di partire per la Polonia”.

Ricordandosi della loro storia tragica, vale la pena visitare il Museo del X Padiglione della Cittadella di Varsavia in via Skazańców 25 (mercoledì- domenica, dalle 10 alle 17). Nella parte della mostra dedicata alla rivolta del 1863 troverete una targa con il nome di Luigi Caroli e una bellissima statuetta del colonnello Francesco Nullo. Si deve aggiungere che tra gli imprigionati nel X Padiglione, oltre a famosi nomi della storia polacca, quali Romuald Traugutt, Roman Dmowski e Józef Piłsudski, troveremo anche personaggi che hanno segnato la storia mondiale. Feliks Dzierżyński fu imprigionato nel X Padiglione quattro volte, la sua cella (nella quale fu detenuto nel 1908) è stata individuata al pianoterra del museo. Nel 1906 fu imprigionata anche Rosa Luxemburg, nel 1904 Jakub Furstenberg-Hanecki, il braccio destro di Vladimir Lenin, uno degli organizzatori della rivoluzione bolscevica del 1917. Negli anni 1861-1862 fu incarcerato anche il padre del sommo scrittore Joseph Conrad, Apollo Nałęcz-Korzeniowski (cella al pianoterra) che riceveva le visite del piccolo Józef Korzeniowski, a tutti noto come Joseph Conrad.

Appena sarà completata la nuova sede del Museo dell’Esercito Polacco e il Museo della Storia della Polonia, l’intera Cittadella sarà aperta ai visitatori. sarà creata una Cittadella dei Musei (il Museo della Storia di Polonia, il Museo dell’Esercito Polacco, insieme ai già esistenti: Museo del X Padiglione della Cittadella di Varsavia e il Museo di Katyn).

Jan Engelgard

Direttore del Museo del X Padiglione di Cittadella di Varsavia (reparto del Museo dell’Indipendenza a Varsavia)

traduzione it: Justyna Bryłka
foto: Jan Engelgard