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Home Blog Page 174

Abruzzo, cammini spirituali e culturali tra montagne e mare

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Stupendi borghi antichi incastonati in scenografiche aree montane e pedemontane attraversate da una ragnatela di percorsi spirituali, storici, religiosi e culturali. L’Abruzzo è un gioiello, non toccato dal turismo di massa, da scoprire attraverso la sua diversificata offerta di natura, arte, storia, mare, montagne e una cucina di forte identità che affonda le radici nel mondo agro pastorale che per millenni ha costituito la forma di vita prevalente.

BORGHI

Uno degli elementi più interessanti offerti dallo splendido territorio è rappresentato, senza dubbio, dagli stupendi borghi antichi, spesso fortificati. Essi sorsero in maggior parte in epoca medievale e quasi tutti furono edificati interamente in pietra viva. Rocca Calascio è una rocca in provincia dell’Aquila, all’interno del Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga. La Rocca si erge al culmine di un’altissima vetta (m. 1500 sul livello del mare). Posta a dominio del versante meridionale del Gran Sasso, della Valle del Tirino e della Piana di Navelli ha sempre svolto un’importante funzione di sorveglianza: era, infatti, la parte più elevata di un sistema di punti di avvistamento per il controllo del territorio. Il castello è spettacolare soprattutto per il luogo in cui è situato, a dominio di un paesaggio mozzafiato tra cielo e terra che lo ha reso un set cinematografico per diversi film tra cui ricordiamo fra tutti, le produzioni americane “Lady Hawke” e “Il nome della rosa” e lo splendido “Il viaggio della sposa” che hanno contribuito a renderlo famoso in tutto il mondo.

A brevissima distanza troviamo il borgo di Santo Stefano di Sessanio, ad un’altitudine di 1250 metri, che conserva ancora caratteristiche storiche ed architettoniche del Trecento e del Quattrocento.

Lungo la strada arriviamo a Campo Imperatore, situato a quasi 1800 metri d’altezza nel mezzo del massiccio del Gran Sasso d’Italia. Si estende per oltre 25 km con un’ampiezza massima di 8 km ed è parte del Parco Nazionale del Gran Sasso Monti della Laga. Questo altopiano viene anche chiamato “Piccolo Tibet” perché in estate i verdi pascoli, ricchi di fiori in primavera, assumono la fisionomia di vere e proprie steppe.

Civitella del Tronto è nota soprattutto per la fortezza che si presenta come una delle più imponenti opere d’ingegneria militare. In Europa è la seconda fortezza per grandezza: si estende per 500 metri di lunghezza e copre una superficie di 25.000 mq.

Campli ha conservato molti insigni monumenti romanici e gotici e diversi palazzi antichi come la casa del Farmacista e la Casa del Medico. Di particolare rilevanza è la è sicuramente la Scala Santa, attigua alla Chiesa di San Paolo, capace di toglierci tutti i peccati, donarci l’indulgenza plenaria, farci resuscitare come immacolati.

CAMMINI

Il Cammino di San Tommaso

Quindici giorni di cammino per i 313 km che separano Roma e la Cattedrale di San Tommaso Apostolo a Ortona sul Mar Adriatico. Le bellezze della Città Eterna, la storia dell’Appia Antica, i Monasteri Benedettini di Subiaco, l’area archeologica di Alba Fucens, le pagliare di Tione, l’Abbazia di San Clemente a Casauria, il Santuario del Volto Santo di Manoppello, le Sorgenti Sulfuree del fiume Lavino, il Miracolo Eucaristico, il Castello di Crecchio sono alcune delle incredibili emergenze naturali, culturali, religiose e storiche che si incontrano lungo il percorso che trae fondamento storico dal pellegrinaggio compiuto da Santa Brigida – protettrice d’Europa – da Roma alla cripta di San Tommaso a Ortona intorno al 1370.

Il Tratturo Magno

Ci sono 300.000 passi da muovere per arrivare dall’Aquila a Foggia, qualche decina di chilometri in più da percorrere rispetto agli originari 244 di lunghezza del Tratturo Magno. I pastori impiegavano 15 giorni con le loro pecore, ma era un tempo molto variabile: dipendeva in gran parte dalle condizioni meteorologiche e dallo stato di salute delle greggi alla partenza e poi, come sempre, dagli imprevisti.

Il Sentiero della Libertà

Il Sentiero della Libertà è un cammino di natura storica all’interno dello splendido Parco Nazionale della Majella. Lungo circa 60 km è di fatto un attraversamento di quella che durante la II Guerra era la Linea Gustav e quindi una vera e propria via di fuga percorsa da migliaia di giovani italiani e prigionieri alleati all’indomani della firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943 che di fatto spaccò in due la penisola italiana proprio nel cuore delle montagne abruzzesi e laziali.

Il Cammino dei Briganti

Il Cammino dei Briganti è un itinerario di circa 100 km e percorribile in 7 giorni che si snoda tra Abruzzo e Lazio sull’antica linea di confine tra lo Stato Pontificio e il Regno Borbonico, seguendo le orme dei fuorilegge che dominavano la zona a cavallo tra la Marsica e il Cicolano nel Lazio.

Il Cammino Naturale dei Parchi

È un viaggio che partendo da fondi valli storici si dirige verso alcune piccole grandi meraviglie del nostro Paese nascoste tra i boschi dei nostri monti e quindi spesso sconosciute. Con il suo itinerario il Cammino Naturale dei Parchi unisce le diverse aree protette che si susseguono nel percorso tra l’Aquila e Roma creando una rete che, passando per diverse regioni, promuove la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale, ambientale e anche religioso, e favorisce lo sviluppo del turismo sostenibile.

MONTAGNE

L’Abruzzo ha i massicci più elevati dell’intero Appennino con cime che sfiorano i tremila metri con i due terzi della superficie regionale posti al di sopra dei 750 mt di quota. Questa poderosa catena montuosa si spinge fino a poche decine di km dalla costa. Qui trovano rifugio alcune rare specie animali tra cui il camoscio, l’orso bruno marsicano, il lupo appenninico. Oltre 150 sono gli itinerari escursionistici ed una decina di sentieri con possibilità di trekking e di escursioni a piedi, a cavallo ed in mountain bike.

Il Parco Nazionale del gran Sasso e Monti della Laga comprende il massiccio del gran Sasso, che è il più importante complesso montuoso dell’Appennino con la maestosità delle sue vette, tra cui il Corno Grande, che con i suoi 2912 mt rappresenta il più alto dell’intera catena; esso ospita il ghiacciaio del Calderone, l’unico dell’Appennino nonché il più meridionale d’Europa.

Il Gran Sasso era anche una delle mete preferite di Papa Wojtyla, che amava trascorrere gran parte delle sue vacanze presso la chiesetta di San Pietro della Ienca, oggi noto come santuario di Papa Giovanni Paolo II.

Il parco Nazionale della Majella, al centro dell’Abruzzo. Aspra e imponente la Majella è la montagna che ha forgiato l’identità dell’intera regione.

Il Parco Regionale Sirente Velino, a cerniera tra la conca aquilana e la Marsica, è noto agli sciatori per la presenza di Ovindoli e di Campo Felice, tra le più importanti stazioni sciistiche. Vari i comprensori sciistici, tutti attrezzati con moderni impianti di risalita e ricchi di tracciati di ogni difficoltà, ideali sia per lo sci alpino sia per lo snowboard: Roccaraso, con la vicina Rivisondoli, offre un carosello di 119 km di piste, quasi tutte assolate. Ottima anche la varietà di itinerari per sci alpinismo e l’opportunità di sperimentare discipline particolari come lo sleddog.

CUCINA

L’Abruzzo ha una cucina più tipica delle zone interne, fatta di piatti semplici e saporiti ma di grande qualità, di carni ovine, di zuppe e minestre, di formaggi, salumi ed erbe aromatiche cui si affianca la cucina marinara. In grande evidenza lo zafferano di Navelli, gli arrosticini, gustosi spiedini di ovino divenuti un successo internazionale, i maccheroni alla chitarra, forse la più riuscita delle declinazioni regionale del piatto nazionale per eccellenza, gli spaghetti; per quanto i primi piatti degni di nota sono le scrippell m’busse, sottili crepes spolverate di pecorino e cannella e ricoperte di brodo ed il rinomato timballo, anch’esso a base di crepes ed infine le virtù, tipico piatto teramano preparato utilizzando i resti delle provviste invernali di legumi assieme alle primizie primaverili. Tra le carni da menzionare l’agnello e il castrato cotti sulla brace, il tacchino alla canzanese e i già citati arrosticini. Famoso è il brodetto di pesce, saporita zuppa con cozze vongole scampi seppie etc. Tra i sapori d’Abruzzo ci sono poi grandi vini ed eccellenti olii; tra i vini il Montepulciano d’Abruzzo rosso, il Cerasuolo rosato e il Trebbiano bianco. Gli olii extravergini d’oliva contano su tre grandi DOP: Aprutino-Pescarese, Colline teatine e Pretuziano-Colline teramane. Infine si ricorda che l’Abruzzo è uno dei più forti produttori italiani di tartufi. Per fine pranzo trionfano i distillati e i liquori di erbe, tra cui i famosi Centerba, Nocino, Genziana.

foto: archivio Regione Abruzzo

Rafał Lemkin, che coniò la parola “genocidio”

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Si avvicina anche quest’anno il Giorno della Memoria, che ricorda le vittime del genocidio ebraico da parte del Terzo Reich. Molti di noi hanno una nozione intuitiva di molte parole, ma se ci fermiamo a ragionare sul modo migliore per definirle ci troviamo improvvisamente in difficoltà. Se usiamo la parola genocidio tutti pensiamo allo sterminio di un intero gruppo etnico, al tentativo consapevole di renderlo estinto. La definizione giuridica di questo termine richiede tuttavia una maggiore precisione.

Il termine è stato coniato da un giurista polacco di origine ebraica, Rafał Lemkin, nel 1943. E’ quello che un linguista chiamerebbe un composto neoclassico, ossia una parola che unisce un prefissoide e un suffissoide di origine greca, latina o entrambe: genos è una parola greca che indica una tribù, una razza, un’etnia; -cide deriva invece dal latino caedo, ossia uccidere. Lemkin fu testimone della tragedia della Shoah, che lo colpì negli affetti più cari. Oltre a lui, l’unico nella sua famiglia a sopravvivere fu il fratello. Per questo motivo fece pressione perché il genocidio diventasse un crimine riconosciuto dal diritto internazionale.

I suoi sforzi furono premiati dall’adozione della Convenzione ONU per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio nel dicembre 1948. Essa definisce il genocidio “ciascuno dei seguenti atti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale

a) uccisione di membri del gruppo;
b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a
provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo;
e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.

La convenzione impone anche un dovere generale degli Stati che l’hanno ratificata a prevenire e punire il genocidio. Fin dalla sua adozione la convenzione ha mostrato grossi limiti. Molti sottolineano la difficoltà di applicarla a casi specifici e secondo alcuni la definizione sarebbe troppo restrittiva. I critici della convenzione fanno notare per esempio che i gruppi fatti bersaglio per motivi politici o sociali non sono protetti dalla convenzione, che inoltre circoscrive alle persone l’obiettivo di un genocidio, escludendo atti contro l’ambiente che ne garantisce la sopravvivenza o la loro specificità culturale. La difficoltà dell’applicazione sta anche nel fatto che non è sempre facile provare oltre ogni ragionevole dubbio l’intenzione genocida. I membri dell’ONU hanno dimostrato più volte di essere abbastanza restii a intervenire, si pensi al caso del Ruanda.

I sostenitori di questa fattispecie di reato restano comunque convinti della sua specificità e gravità. Evidenziano semmai che la parola ha subito un processo di inflazione, un po’ come è capitato a parole come fascismo. La banalizzazione della parola genocidio nel discorso pubblico ha recato un danno al suo significato.

L’insurrezione di gennaio (1863), il canto del cigno del romanticismo polacco

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Nei 123 anni di occupazione straniera che la Polonia scontò dalla fine del Settecento alla fine della Grande Guerra ci furono diverse insurrezioni armate miranti alla riconquista dell’indipendenza. Tra le maggiori c’è la cosiddetta Insurrezione di Gennaio (powstanie styczniowe), che esplose il 22 gennaio 1863 e proseguì fino all’autunno 1864.

Come l’Insurrezione di Novembre (powstanie listopadowe) del 1830, scoppiò nel zabór russo, la zona di occupazione sotto il controllo dello zar. L’ascesa al trono di Alessando II nel 1855 aveva infuso nei polacchi la speranza che i rapporti con Mosca potessero cambiare. Questa convinzione si tradusse in un attivismo politico e culturale che i russi frenarono con l’instaurazione della legge marziale, ma che servì comunque a preparare l’organizzazione della rivolta qualche anno più tardi. Gli irredentisti tennero testa alle truppe zariste per diversi mesi, ma la rivolta terminò come quelle che l’avevano preceduta: con una sonora sconfitta.

Il romanticismo aveva contribuito in maniera nient’affatto secondaria alla costruzione di un vero e proprio mito insurrezionista, all’affermazione dell’idea che l’indipendenza andasse strappata con la forza all’occupante attraverso la lotta armata. Già Mickiewicz aveva parlato della Polonia in termini messianici: una Nazione che, al pari di Gesù Cristo, si sacrifica per poi risorgere e per la salvezza propria e di tutti i popoli europei. E’ un’immagine suggestiva e potente, ma la realtà, come si sa, ha la tendenza a ricordarsi di noi anche quando la ignoriamo e a farcela pagare per questo.

Il fatto che poeti e artisti glorificassero la superiore forza morale che i polacchi opponeavano ai russi non impediva a questi ultimi di opporre a loro volta la superiore forza delle armi di cui disponevano. Della disfatta si poteva costruire un mito, ma lo spettacolo della repressione era comunque violento. Questo martirio patriottico tese a riproporre quello della generazione precedente e fu altrettanto vano, per quanto si cercasse di attribuirgli un significato etico.

Il prezzo pagato dai polacchi per l’insurrezione fu se possibile maggiore di quello pagato per le iniziative di sedizione precedenti. Ci furono esecuzioni, incarcerazioni, deportazioni in Siberia, confische e l’ennesima ondata di emigrazioni a cui si era già assistito dopo l’insurrezione del 1830, ma questa volta i russi non si fermarono qui. Quel poco che restava alla Polonia in termini di autonomia fu soppresso. A Varsavia un’università russa prese il posto della Szkoła Główna e la lingua russa fu imposta come lingua ufficiale dell’insegnamento, dell’amministrazione e del commercio. Alla Polonia fu persino tolto il proprio nome: sebbene lo zar conservasse il titolo di re di Polonia, il regno assunse una denominazione molto più anonima, quella di kraj nadwiślański (il Paese sulla Vistola).

La repressione, la rifora agraria, il mutamento della società e l’incipiente industrializzazione si accompagnarono nella seconda metà dell’Ottocento a una polemica antiromantica. Finito era il tempo dell’idealismo sentimentale intorno alla lotta armata, insensato e anacronistico. Bisognava puntare sul progresso sociale ed economico, sull’istruzione degli strati sociali più bassi e sul rafforzamento della classe media. Attraverso una lenta e graduale rigenerazione civile si sarebbe potuto pensare ad un’eventuale riconquista dell’indipendenza, ma in una prospettiva di lungo periodo, non più immediata e violenta.

“La rivolta” di W.S. Reymont per la prima volta nelle librerie italiane

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In Italia il centenario dell’Indipendenza della Polonia appena trascorso è stato accompagnato dall’uscita di una perla della letteratura polacca rimasta finora nascosta al pubblico italiano e scovata dall’intraprendente casa editrice Edizioni della Sera: si tratta de La rivolta, l’ultimo romanzo del premio Nobel Władysław Stanisław Reymont.

Abbiamo incontrato Laura Pillon, traduttrice e curatrice de La rivolta, per una chiacchierata.

Perché è stata scelta La rivolta di W.S. Reymont?

Il libro si inserisce nella collana I Grandi Inediti ideata da Giorgio Leonardi per la casa editrice romana Edizioni della Sera di Stefano Giovinazzo. La serie raccoglie chicche della letteratura straniera otto-novecentesca offerte al pubblico italiano in prima edizione nazionale. La lungimiranza del direttore della collana e dell’editore ha fatto sì che anche La rivolta (Bunt), un testo breve ma denso di contenuti, sia stata tradotta per la prima volta in lingua italiana.

Di cosa parla?

La rivolta. Una fiaba è stata edita per la prima volta in volume nel 1924, l’anno dell’assegnazione del Nobel della letteratura e, come suggerisce il sottotitolo baśń scelto dallo stesso Reymont, è una fiaba, anche se un po’ sui generis

Perché sui generis?

Perché se è vero che gli animali sono gli unici veri protagonisti di questa storia ambientata in uno spazio e in un tempo indeterminati, quello che appare in effetti come un romanzo breve è una fiaba dalle tinte fosche e sanguinose e destinata a un pubblico adulto. L’opera ha pure un forte sapore allegorico e, pur prestandosi a svariate interpretazioni, senza dubbio racchiude un’amara riflessione di Reymont sul tema della rivoluzione, influenzata anche dall’evoluzione socio-politica degli eventi del 1905 e del 1917 in terra polacca, cui lo scrittore ha assistito in prima persona.

Animali, rivoluzione, una riflessione ispirata da eventi storici: tutto ricorda La fattoria degli animali di Orwell…

È vero, ma numerose sono anche le differenze tra le due opere. Interessante sicuramente un dato: appena uscito, il libro è stato tradotto in tedesco e in olandese – il che fa di quella italiana la terza traduzione a livello mondiale – per poi cadere nell’oblio a livello europeo e nazionale. Durante la guerra, Orwell si è interessato alla situazione storica polacca, non so se anche alla sua letteratura, non ci sono prove che sia venuto a conoscenza del libro o che l’abbia letto in traduzione. Fatto sta che non è stato il primo a raccontare il tema della rivoluzione in chiave ferina, preceduto da Reymont di ben quasi un quarto di secolo.

Com’è stato tradurre un’opera scritta negli anni ‘20 del Novecento?

Con entusiasmo ho accettato l’opportunità offertami dalla casa editrice Eds tramite il prof. Andrea Ceccherelli dell’Università di Bologna, che si è occupato della revisione linguistico-scientifica e della postfazione. Sapevo che sarebbe stata una sfida stimolante! Mi sono concentrata soprattutto nel tenere ben distinti i vivaci dialoghi tra gli animali dalle sequenze descrittive della natura. Il cane Rex, il lupo Cianca e gli altri personaggi in maniera realistica e convincente parlano davvero la loro lingua. Mi sono dovuta ingegnare, permettetemi il termine, quando facevano uso di proverbi o di frasi fatte ispirate alla saggezza popolare che erano prive di una corrispondenza italiana, ma che rimanevano sempre legate al mondo naturale. E poi mi sono sforzata di rimanere aderente al talento di Reymont di scrivere per immagini: le descrizioni dei paesaggi sono poetiche e talvolta persino cinematografiche da sembrare quasi un technicolor su carta!

Jasna Góra, capitale spirituale di un popolo di pellegrini

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Nel suo primo pellegrinaggio a Częstochowa papa Giovanni Paolo II disse che Jasna Góra è un luogo in cui si può sentire battere il cuore della Chiesa e della Nazione. Durante il suo pontificato Wojtyła visitò il monastero ben sei volte. Il profondo significato che Jasna Góra ha per i polacchi diventa palese soprattutto il 15 agosto, giorno dell’Assunzione di Maria, quando migliaia di pellegrini attraversano l’ingresso del monastero per portare omaggio alla Madonna Nera. Questa tradizione è vecchia quasi quanto il convento medesimo e, benché le cronache non menzionino nessuna particolare rivelazione legata a questo luogo, la fede nell’effigie della Vergine è rimasta incrollabile nei secoli.

Secondo la leggenda la Madonna Nera difese il monastero durante il cosiddetto Diluvio (Potop szwedzki), quando gli svedesi invasero la Polonia-Lituania a metà Seicento. Il monastero fu assalito più di una decina di volte ma è l’assedio dell’inverno del 1655 ad aver avuto la maggiore eco nella storia. La tradizione vuole che dalla rottura di quell’assedio da parte delle forze polacche partisse la riscossa contro gli svedesi e l’importanza della protezione accordata dalla Vergine ai polacchi indusse il re a proclamarla persino regina di Polonia. A Jasna Góra si incrociano quindi fede e patriottismo.

Leggendaria è anche l’origine del dipinto della Madonna Nera: esso sarebbe “apparso” nel monastero nel 1384, due anni dopo essere stato commissionato dal principe Władysław Opolczyk. Prima di raggiungere Częstochowa avrebbe compiuto un lungo viaggio da Gerusalemme attraverso Costantinopoli e Belz. Da allora è diventato oggetto di culto. Sempre secondo la tradizione l’immagine risalirebbe all’evangelista Luca, che l’avrebbe dipinta sulla sulla tavola sulla quale la Sacra Famiglia desinava. Le ricerche più recenti indicano che si tratta di un’effigie bizantina del XIII secolo. I tagli sulla guancia della Madre di Dio sono un memento dell’invasione del 1430.

Una gran parte degli edifici di cui si compone il complesso monastico sono in stile manierista e barocco e sono circondati da strutture difensive costruite da Krzysztof Mieroszewski tra il 1620 e il 1676. La basilica fu costruita prima del 1463, per poi essere riedificata nel 1690-95 e all’inizio del Settecento aveva oramai perso le sembianze originarie. Gli interni, ornati da quadri di Karl Dankwart e modanature di Adalbert Bianchi, sono tra i più ricchi interni barocchi in Polonia.

L’Ordine Paolino non salvaguarda solamente gli alti valori spirituali e patriottici di cui il luogo è simbolo, ma anche un vero e proprio tesoro di cultura e di storia, fatto di oggetti liturgici e di offerte votive, inclusa quella di Giovanni Paolo II: un cuore dorato, una fusciacca insanguinata che indossava quando subì l’attentato di Ali Agca, la croce papale e rosari d’ambra. L’attaccamento di questo pontefice a Jasna Góra è ulteriormente testimoniato dal fatto che, poche ore prima di morire, diede la sua benedizione a due corone destinate alla Madonna di Częstochowa.

Per l’ambasciatrice israeliana la Polonia è luogo ideale per una conferenza sul Medio Oriente

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Il Dipartimento di Stato USA e il Ministero degli Affari Esteri polacco hanno annunciato una conferenza congiunta sul Medio Oriente che si svolgerà il 13 e 14 febbraio a Varsavia. Un’attenzione particolare sarà rivolta durante la conferenza al ruolo che l’Iran gioca nello scacchiere mediorientale. Il suo programma missilistico sta diventando sempre più un motivo di preoccupazione. Nel 2018 la frequenza dei test missilistici iraniani è aumentata in modo significativo. Teheran sostiene che si tratti di test a solo scopo difensivo.

In un incontro dei Ministri degli affari esteri dell’Unione Europea svoltosi lunedì a Bruxelles il Ministro polacco Jacek Czaputowicz ha dichiarato di aver parlato con i suoi omologhi europei a proposito della conferenza: “Ho informato che non è diretta contro nessun Paese. Tutti gli Stati membri dell’UE sono invitati alla conferenza. Vogliamo presentare un programma positivo per il Vicino Oriente, anche per quanto riguarda l’aiuto umanitario e la soluzione al problema migratorio. Ci sono anche minacce alla sicurezza, come la proliferazione di armi, lo sviluppo di sistemi missilistici e il terrorismo”. Czaputowicz ne ha parlato anche con il capo della diplomazia UE Federica Mogherini, che tuttavia non parteciperà alla conferenza a causa di impegni pregressi in Africa. Il Ministro rispedisce al mittente le accuse secondo le quali la Polonia sta facendo da cavallo di Troia degli Stati Uniti per turbare l’unità europea: “No, la Polonia è sostenitrice della politica comunitaria. Siamo anche a favore del mantenimento dell’accordo nucleare [con l’Iran]. Vogliamo creare nuove opportunità di collaborazione. Vediamo la necessità di occuparci seriamente del problema mediorientale e dell’avvicinamento delle posizioni di USA e UE”.

Dura la reazione delle autorità iraniane, che hanno reagito con una certa irritazione nei confronti di quello che ritengono un atto ostile da parte di Varsavia. Il quotidiano Teheran Times ha commentato molto criticamente l’iniziativa della Polonia di ospitare la conferenza. Secondo il giornale iraniano in lingua inglese, Teheran non dimenticherà questo “tradimento” da parte della Polonia. Il giornale ricorda che durante la seconda guerra mondiale, dopo l’accordo Sikorski-Majskij, 150.000 polacchi trovarono rifugio in Iran e l’ospitalità dei suoi abitanti fu riconosciuta da tutto il mondo. Per il Teheran Times oggi c’è “una relazione aperta e segreta tra i governi di Polonia e Stati Uniti”, che fa sì che Varsavia non si muova in maniera indipendente sullo scacchiere internazionale. Per gli iraniani Jaroslaw Kaczyński, Donald Tusk e Mateusz Morawiecki sono politici sottomessi che preferiscono giocare secondo le regole americane.

L’ambasciatrice israeliana Anna Azari ha dichiarato che la Polonia è un buon posto in cui organizzare una conferenza sul Medio Oriente perché “è neutrale su questo tema”. Ha poi aggiunto in un’intervista a Rzeczpospolita che “Israele crede che sia meglio discutere che combattere, quindi [l’idea di una] conferenza ci piace. Sulla possibilità di una partecipazione del Premier d’Israele Netanyahu, ha detto che non bisogna dimenticare che il 9 aprile ci saranno le elezioni, ma “se un gran numero di ministri degli esteri dei Paesi arabi confermerà la propria presenza, possiamo sperare che anche il Premier Netanyahu verrà a Varsavia”. Sarebbe l’ennesima occasione per discutere e migliorare le relazioni israelo-polacche.

Morricone si congeda un’ultima volta dal pubblico polacco

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Secondo gli annunci fatti dagli organizzatori e dallo stesso compositore, il concerto che Ennio Morricone ha tenuto sabato scorso alla Tauron Arena di Cracovia segna il suo addio al pubblico polacco. Vincitore di due premi Oscar, il primo alla carriera nel 2007 e il secondo per la colonna sonora di “The Hateful Eight” di Tarantino nel 2016, il compositore e direttore d’orchestra italiano ha festeggiato il suo novantesimo compleanno lo scorso novembre e ora intende concentrarsi esclusivamente sulla scrittura musicale. La visita di sabato a Cracovia è la sua nona in Polonia. Morricone, che si è esibito con l’Orchestra Sinfonica Nazionale ceca, è considerato uno dei maggiori compositori di musica per il cinema.

pap.pl

Era diretto a Danzica ma atterra a Malta, disavventura per un 75enne

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A Natale un polacco di 75 anni originario di Danzica è andato a visitare la figlia, residente in Gran Bretagna. Il 6 gennaio la figlia lo ha riaccompagnato all’aeroporto di Leeds-Bradford per il suo rientro in Polonia. A causa di altri impegni la donna ha salutato il padre senza aspettare il suo imbarco. Qualche ora dopo l’uomo è atterrato, ma a Malta invece che a Danzica. L’anziano signore è riuscito in qualche modo a imbarcarsi sull’aereo sbagliato nonostante il biglietto specificasse chiaramente che la sua destinazione non era Malta. Per di più, una volta a bordo dell’aereo, l’uomo ha mostrato il suo biglietto al personale per chiedere quale fosse il suo posto. Di nuovo nessuno si è accorto dell’errore e il qui pro quo è emerso soltanto dopo l’atterraggio. A Malta ha avuto la fortuna di incrociare una donna di nazionalità polacca, che ha notato che il 75enne, visibilmente disorientato, stava cercando di ottenere aiuto in polacco al Centro Informazioni Turistiche. L’uomo non aveva con sé né soldi, né un telefono, ma grazie all’aiuto ricevuto è riuscito finalmente a rientrare a Danzica. Ryanair ha ammesso l’errore e si è scusata. Tuttavia l’anziano viaggiatore non l’ha presa bene e ha detto alla figlia che non vuole più volare. “Mio padre mi ha detto che non vuole venire da me l’anno prossimo. […] Quando gli ho parlato mi ha confessato di avere gli incubi. Mi preoccupo per lui ma spero che tutto si risolva per il meglio”, ha detto la figlia dello sventurato 75enne.

polsatnews.pl

Cresce il divario tra ricchi e poveri

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Nel 2018 il reddito reale pro capite ha raggiunto 31.080 złoty (7.228 €) e questo denaro viene speso principalmente per l’acquisto di alimentari, per coprire le spese di affitti, servizi, bollette energetiche, contributi previdenziali e assicurativi, ma anche vacanze, costi di trasporto e altri consumi. Non è una cifra di cui la Polonia possa andare fiera; il reddito relativo pro capite in Europa è grosso modo pari al doppio e solo l’area metropolitana di Varsavia si avvicina alla media europea. Una ricerca effettuata da Gfk, che analizza i livelli di reddito non a livello dei voivodati ma di quello delle amministrazioni locali di secondo livello, ossia i distretti (powiaty), rivela che il potere d’acquisto degli abitanti della capitale è pari all’87% in più della media nazionale. Nei distretti locali più poveri scende fino al 60% della medesima media. Osservando la mappa della ricchezza della Polonia si nota come la Vistola segni la linea di confine tra le aree più ricche a ovest e quelle più povere a est. E’ un divario che il Paese si porta appresso da molto tempo, senza la necessità di scomodare l’epoca delle spartizioni o la seconda guerra mondiale. Tuttavia, secondo il sociologo Piotr Maliski, i dati non ci mostrano tanto l’esistenza di due distinte Polonie, quanto la distanza del Paese dal resto dell’Europa. “Essenzialmente in ogni Nazione le capitali sono più ricche, ma possiamo ritenere ricca Varsavia se non raggiunge nemmeno la media europea? Questo dimostra piuttosto quanto abbiamo tutti da fare. E’ vero che le sproporzioni aumentano ma ciò avviene su una quota di base decisamente bassa”, dice Maliski.

money.pl

“Mr. Jones” di Agnieszka Holland in gara per l’Orso d’oro a Berlino

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“Mr. Jones”, thriller politico di Agnieszka Holland, è uno dei film che si disputeranno l’Orso d’oro alla 69° edizione del Festival internazionale del cinema di Berlino. James Norton veste i panni del protagonista, il giornalista gallese Gareth Jones, che documentò in prima persona la carestia in Ucraina all’inizio degli anni Trenta, provocata dalla collettivizzazione imposta dalle autorità sovietiche, dalle requisizioni di grano e dal maltempo. Si calcola che i morti furono tra 5 e 7 milioni. Il 69° Festival internazionale del cinema di Berlino si terrà dal 7 al 17 febbraio. Tra gli altri film che partecipano al concorso principale c’è anche “La paranza dei bambini” di Claudio Giovannesi. “Mr. Jones” uscirà nelle sale a febbraio.

pap.pl