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Home Blog Page 186

Masuria, la regione dei mille laghi

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Sappiamo che ci sono tanti laghi in Europa, ma l’unicità della Masuria deriva dalla ricchezza dei suoi tesori naturali e culturali. Non solo, ma la regione è anche facilmente accessibile grazie alle infrastrutture turistiche ben sviluppate.

Tutti coloro che visitano la Masuria riportano con sé a casa la memoria delle superfici argentee dei laghi, dello sventolio delle vele delle imbarcazioni, dei cesti colmi di funghi dopo una raccolta fortunata, dello spettacolo abbagliante di colline e di boschi lussureggianti. La vista di colonie di cormorani o di cicogne e cigni è comune. Altri apprezzano le radure assolate, le foreste di conifere, le impenetrabili paludi.

Ci sono circa 3 mila laghi in quest’area della Polonia. Il più grande è Sniardwy, con una superficie di 113,8 km quadrati; Hańcza è invece il più profondo (108,5 m, la profondità media è di 38,7 m); Jeziorak è il lago più lungo (27,45 km). Gli specchi d’acqua più piccoli sono spesso nascosti da una fitta vegetazione e sono difficili da raggiungere. Spesso creano ruscelli che li collegano.

Pioniere nella navigazione dei laghi della Masuria è stato il Gran Maestro dell’Ordine Teutonico Winrich von Kniprode, che nel 1379 viaggiò attraverso la regione da nord a sud in un’imbarcazione di legno. Talvolta bisognava trasportarla via terra da lago a lago e questo ispirò al Gran Maestro l’idea di canali artificiali per connettere i vari specchi d’acqua. All’epoca questa restò soltanto un’idea, che trovò realizzazione 470 anni più tardi.

Il paesaggio della Masuria è tutelato dalle leggi polacche, che hanno istituito un Parco Paesaggistico nel cuore del Distretto dei Laghi. Ci sono oltre 100 riserve naturali visitabili. Quella del lago Lukajno è stata inserita nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità UNESCO.

Viaggio a Cracovia, la città della letteratura

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Cracovia è una città piena di favola e di magia. Il suo nome parrebbe rimandare ad un’antichissima leggenda. L’etimologia di “Cracovia” ( in polacco “Krakòw”) è da rintracciarsi in “Krakus” (o Krak o Grakch), il nome del leggendario principe polacco, che sconfiggendo il famelico drago che viveva lungo la Vistola, presso la collina di Wavel, divenne il fondatore della città di Cracovia.

La città è stata la capitale del paese fino al 1596, anno in cui il re Sigismondo III Wasa decise di spostare la sua residenza ufficiale a Varsavia. Cracovia rimane tutt’oggi il principale centro culturale della Polonia, uno dei centri artistici e universitari più importanti di tutta l’Europa Centrale. La città polacca è infatti sede dell’Università Jagellonica, una delle università più antiche del continente, la cui fondazione risale al 1364. Cracovia conta una popolazione di oltre 754.000 abitanti, ai quali si aggiungono infatti ben 150 000 studenti universitari. Camminando per le sue strade è facile avvertire lo spirito giovane e il fermento culturale che anima la città.

Photo by Michel Wolgemut, Wilhelm Pleydenwurff (Author), Public domain (Licence)

 

 

 

 

 

 

Non a caso, Cracovia è stata insignita del titolo di capitale europea della cultura nel 2000 e il 21 novembre 2013 è entrata a far parte del Network delle Città Creative UNESCO, in qualità di città creativa della letteratura, ospitando nel giugno del 2018 l’Annual Meeting delle Città Creative UNESCO. La nomina UNESCO è stata festeggiata collocando nella suggestiva piazza del mercato (Rynek Główny) delle lettere dell’alfabeto giganti per formare la scritta “Miasto literatury”, città della letteratura.

Un titolo ben meritato, dal momento che Cracovia ogni anno ospita due festival della letteratura, una fiera del libro e moltissime letture di poesie pubbliche. Sempre in città ha sede la libreria più antica d’Europa, nonchè l’Istituto polacco del libro (Instytut Książki), organizzazione con lo scopo di promuovere la letteratura polacca nel mondo. 

Tanti sono gli scrittori e i poeti della città, non vi stupirà vedere poeti che compongono per strada, ragazzi nei cafè intenti a scrivere davanti al loro pc, autori che declamano versi durante una lettura pubblica in un pub. Tra i più illustri letterati cracoviani possiamo annoverare alcuni premi Nobel per la letteratura come i poeti Czeslaw Milsoz e Wislam Symborska, o scrittori come Stanislaw Lem e Slawmoir Mrozek. A Cracovia visse anche lo scrittore polacco Józef Teodor Nałęcz Konrad Korzeniowski, noto ai più come Joseph Conrad, il celebre autore di “Cuore di tenebra”. Per onorarlo ogni anno ad ottobre si tiene in città un festival della letteratura internazionale, il “Conrad Festival”. Tantissimi gli ospiti, gli scrittori provenienti da tutto il mondo che vengono accolti nei teatri, nei musei, nei caffè, nelle chiese e nelle sinagoghe della città.

Da questo punto di vista il quartiere ebraico è una delle zone dei più vivaci della città. Tantissimi sono gli eventi legati alla letteratura ebraica, e non solo, che si tengono a Kazimierz. Uno su tutti il Festival della Cultura Ebraica di Cracovia (Festiwal Kultury Żydowskiej w Krakowie). Tra giugno e luglio, per circa una decina di giorni si tengono vari concerti, manifestazioni, mostre e letture pubbliche. Si aprono i teatri, i pub, i ristoranti e non solo. Diviene infatti possibile visitare le sette sinagoghe di Cracovia, anche durante l’ora delle funzioni religiose. Tanti i simboli e i misteri affascinanti del luogo. Il numero sette è considerato un numero magico in molte differenti culture, in particolare nella cultura ebraica. Questo ritorna sovente nei testi sacri e nella cabala come il numero della mediazione umana e divina. Inoltre si offrono anche visite guidate al cimitero e ebraico e al ghetto. Ascoltando musica klezmer e gustando piatti della tradizione, potrete leggere e ascoltare molte delle favole ebraiche che sono state raccontate per secoli a Cracovia.

Tra una lettura e l’altra, Cracovia vi delizierà con le sue architetture e con cibi della tradizione polacca, come ad esempio i pierogi. Potrete ammirare la Dama con l’ermellino di Leonardo Da Vinci presso il Museo Nazionale, restare a bocca aperta ammirando il soffitto della basilica di Santa Maria, passeggiare nella piazza del mercato dando un’occhiata ai splendidi gioielli di ambra tipici dell’artigianato locale.

La città della letteratura è il perfetto scenario per una favola d’altri tempi, ma anche un centro culturale ricco di fermento e aperto alle nuove tendenze letterarie internazionali. Se non conoscete la lingua polacca non fatevi intimorire, tantissimi ragazzi polacchi parlano un perfetto inglese, e non solo. In città troverete anche molti libri tradotti in inglese o in italiano e molta disponibilità da parte degli abitanti nei confronti di chi si avvicina alla cultura polacca.

Photo by McZusatz (Author), CC 2.0 (Licence)

Zamość, la città ideale

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Zamość è detta “Perla del Rinascimento”, “Padova del Nord” o anche “Città dei Portici” ed è sicuramente la più “italiana” delle città polacche, per lo meno nel suo aspetto architettonico. Il centro della città, fondata nella regione di Lublino nel Cinquecento e da allora rimasto pressoché intatto, è stato inserito nella lista dei Patrimoni dell’Umanità UNESCO nel 1992.

Zamość è nata per volontà (e con il denaro) dell’etmano Jan Zamoyski ed è stata progettata dall’architetto italiano Bernardo Morando. Morando ricevette un’opportunità unica da Zamoyski, quella di creare dal nulla un intero centro urbano, architettonicamente perfetto, omogeneo nello stile, che combinasse armoniosamente funzioni amministrative, accademiche, culturali e difensive. Secondi i principi dell’Umanesimo sulla perfezione del corpo umano, Morando la creò a immagine e somiglianza dell’uomo. La testa e il cervello erano il Palazzo Zamoyski; la spina dorsale la via Grodzka; il cuore il municipio. Grandi bastioni, come mani e piedi, erano usati a supporto e protezione. L’Accademia Zamoyski aveva il ruolo di polmone culturale.

Anche la forma degli edifici non era casuale. Il Collegio è esattamente 15 volte più piccolo della città e può contenere 3.000 persone, tante quante una città ideale si supponeva dovesse ospitare. Oggi la simmetria, l’ordine e i portici ricordano i centri delle città europee meridionali, come Sabbioneta, Pienza o Vila Real de Santo Antonio in Portogallo.

Dopo la fondazione Zamość accolse nuovi venuti da altri paesi e altre fedi. I primi a ricevere il privilegio di insediarsi e costruire i loro luoghi di culto furono armeni ed ebrei sefarditi. Il censimento condotto nel 1591 ci dice che vi abitavano polacchi, ruteni, armeni, greci, tedeschi, ungheresi, ebrei e persino scozzesi. All’epoca la città aveva mille abitanti.

La città vecchia è lunga 600 m e larga 400 m. Ha tre piazze: Wielki (Grande), con funzione rappresentativa, Solny (del Sale) e Wodny (dell’Acqua), destinate ai mercati. La Piazza Grande è circondata da edifici colorati costellati di portici. Gli edifici in stile armeno hanno invece facciate orientaleggianti. Il Municipio, un tempo austero e a un solo piano, oggi reca un torre di 52 m e una grande scalinata frontale.

L’ambra, l’oro del Baltico

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L’ambra è considerata un patrimonio nazionale in Polonia. Il 90% della produzione globale proviene dalle coste del mar Baltico. Si tratta di resina fossilizzata di alberi di conifere vecchi di 40 milioni di anni. Nel mondo se ne conoscono almeno un centinaio di tipi diversi, ma l’ambra polacca è tra le più rinomate per la sua trasparenza e luminosità. La capitale dell’ambra è Danzica, che a questo materiale ha dedicato anche un museo e una fiera annuale. L’ambra viaggia lungo la rotta commerciale che collega il bacino baltico-scandinavo a quello mediterraneo da moltissimi secoli.

Basti pensare che gli Etruschi erano disposti a pagarla tanto quanto l’oro. I Greci, riconoscendone il colore simile al miele, la paragonavano alle lacrime pietrificate delle figlie di Helios, dio del sole. Le prime testimonianze della raccolta dell’ambra a scopo commerciale risalgono a 4.500 anni fa. Oltre che come decorazione, veniva utilizzata in pratiche religiose, nella creazione di amuleti e come moneta. Raggiunse l’Europa meridionale 2.000 anni più tardi. A Roma la compravano i membri dell’aristocrazia senatoria e la si trovava anche nella tesoreria imperiale.

Nell’Alto Medioevo veniva trasportata dalla Lituania ad Aquileia e a Roma, dove marcanti provenienti dalla via della seta la scambiavano con merci esotiche. I cavalieri teutonici, che arrivarono lungo le coste del Baltico all’inizio del XIII secolo, divennero ricchi grazie al commercio di questa risorsa preziosa. Avevano il monopolio sull’estrazione, la proprietà e la lavorazione. Dovettero passare molti anni prima che gli artigiani di Danzica potessero metterci le mani per creare capolavori come la corona di Jan Sobieski o la famosa Camera d’Ambra del re di Prussia Federico I. Quest’ultima è andata perduta durante gli ultimi giorni della seconda guerra mondiale, ma una replica è disponibile a Carskoe Selo, vicino a San Pietroburgo.

L’ambra non è soltanto un materiale prezioso a scopo decorativo. E’ anche una preziosa risorsa nella ricerca paleontologica e botanica. Spesso blocchi d’ambra contengono insetti, frammenti di piante, piccoli rettili, il tutto rimasto intatto per milioni di anni.

La battaglia che fermò l’avanzata del comunismo in Europa

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La battaglia decisiva della guerra polacco-bolscevica (1919-1921) è nota come “Miracolo sulla Vistola”. Questo nome le venne attribuito dalla Democrazia Nazionale, partito di ispirazione nazionalista avversario del maresciallo Józef Piłsudski, che intendeva così ridimensionare il merito di quest’ultimo nella vittoria. Molti furono i fattori che contribuirono a che l’esercito polacco sconfiggesse i russi, a partire dalla presa degli equipaggiamenti radio dei nemici. Alla battaglia di Varsavia è riconosciuto un ruolo paragonabile a quello della battaglia di Vienna del 1683, quando le forze polacche guidate da Jan Sobieski impedirono un’invasione turca dell’Europa. A Varsavia nel 1920 fu impedito che a invadere il continente fosse il bolscevismo.

Nel 1918 la Polonia aveva riconquistato l’indipendenza da soli due anni ed era già minacciata da un’invasione russa. Il 2 luglio 1920 il Comandante dell’Armata Rossa sul fronte occidentale, Michail Tuhačevskij, così ordinò: “Il destino della rivoluzione internazionale dev’essere acceso qui, nell’Ovest, e il sentiero di questo fuoco globale deve passare sul cadavere della Polonia… A Vienna, Minsk, Varsavia – Marciamo!” L’avanzata del 1° reggimento di cavalleria iniziò il 5 giugno.

Stalin, che all’epoca era commissario delle truppe a sud, aveva pianificato di attaccare Leopoli, Budapest e Vienna. Forse aiutò involontariamente la Polonia perché Lenin esitò prima di accettare di muovere in direzione di Varsavia, il che rallentò l’offensiva.

Piłsudski nel frattempo aveva preso il comando del Consiglio di Difesa Nazionale e colse assieme al generale Tadeusz Rozwadowski un’apertura favorevole ai polacchi tra il fronte russo occidentale e meridionale. Il 6 agosto Piłsudski diede l’ordine di contrattaccare attraverso il fiume Wieprz.

Il 13 agosto una delle battaglie più importanti della storia polacca ebbe inizio. I russi incontrarono una fiera resistenza a Radzymin, nei pressi di Varsavia, e la cittadina passò di mano per ben cinque volte. Vicino a Modlin, sul fiume Wkra, la 5° armata del generale Władysław Sikorski contrattaccò il 16 agosto. Il piano, meticolosamente preparato da Piłsudski, costrinse i russi a ritirarsi verso la Prussia. Sorpreso dal volgere degli eventi, Tuhačevskij non ebbe il tempo di organizzare una ritirata, che avvenne in maniera confusa. Sul fiume Niemen il generale Rydz-Śmigły siglò la vittoria polacca e decine di migliaia di soldati russi furono fatti prigionieri.

Come larga parte della storia dell’Europa orientale, anche la battaglia di Varsavia è abbastanza trascurata dalla storiografia occidentale nonostante l’importanza. Un valido punto di partenza per colmare questa lacuna può essere “1920 Bitwa Warszawska”, film diretto da Jerzy Hoffman uscito nel 2011.

Messaggio del Ministro Moavero Milanesi agli italiani all’estero

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Pubblichiamo di seguito una lettera del Ministro degli Affari Esteri Enzo Moavero Milanesi rivolta agli italiani all’estero in occasione dell’8 agosto, Giornata del sacrificio italiano nel mondo:

Cari Amici,

in occasione del 62° anniversario della tragedia della miniera di Marcinelle, in Belgio, desidero condividere con voi qualche breve riflessione, per rendere omaggio ai 262 minatori che l’8 agosto del 1956 persero la vita a Bois du Cazier.

Fra i morti si contarono 136 italiani, una tragedia immensa, una ferita profonda che l’Italia ricorda con la solenne Giornata del Sacrificio del Lavoro, in onore di tutti i lavoratori italiani ovunque nel mondo. Ci inchiniamo davanti alla memoria di tanti caduti e non possiamo dimenticare un evento così drammatico che segna indelebilmente la nostra storia.

La stessa coscienza dell’allora nascente integrazione europea ne è rimasta scossa. Solo dopo il disastro di Marcinelle l’Alta Autorità della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), fondata cinque anni prima, iniziò ad affrontare le questioni relative alla sicurezza sul lavoro. In precedenza, infatti, erano state negligentemente trascurate, nonostante lo stesso Trattato Ceca prevedesse dei riferimenti ai principi sociali e ai diritti base dei lavoratori.

Tuttavia, non possiamo non constatare come, ancora oggi – purtroppo – la legislazione in materia sociale dell’Unione Europea sia nel suo complesso carente, specie se comparata alla copiosa normativa emanata in altri settori. Un difetto di azione delle istituzioni comuni e dei governi degli Stati membri che, in giornate come questa, appare tristemente anacronistico.

Stiamo discutendo molto, negli ultimi anni, di rinnovamento europeo, di rilancio dell’Unione in una maggiore sintonia con i suoi cittadini. In una simile prospettiva, come chiesto da più parti, va data priorità all’Europa sociale, a un coerente tessuto di regole europee adeguate a garantire l’idonea tutela di chi lavora e una severa prevenzione degli incidenti nei luoghi di lavoro.

L’impegno del Governo italiano è di agire a fondo in tutte le sedi, nazionali ed europee, affinché ci sia una scelta di campo netta e siano prese le decisioni indispensabili. Dobbiamo fare ancora molto ed è davvero tempo di rompere i biasimevoli indugi del passato. Chiediamo all’Unione di adottare, rapidamente, una ben articolata agenda sociale, degna del suo nome, che includa nuove iniziative e riprenda le buone idee già messe sul tavolo anni addietro, ma mai concretizzate.

Lo dobbiamo alle innumerevoli vittime che oggi commemoriamo tutte, stringendoci al simbolo di Marcinelle. Lo dobbiamo al lacerante dolore dei loro famigliari. Lo dobbiamo alla nostra Italia che la Costituzione proclama, solenne, essere “fondata sul lavoro”.

Riflettendo sul lavoro non possiamo non rievocare i tanti italiani che lasciarono le terre natie cercando all’estero un futuro migliore per se e per i propri figli, spesso affrontando viaggi incerti e pericolosi, condizioni impervie di vita. Siamo stati, fino ai primi anni sessanta del ventesimo secolo – appena ieri – una nazione di emigranti nel mondo.

Anche in Europa, siamo andati stranieri, in paesi stranieri, cercando lavoro. Partivamo, sovente con grandi disagi, alla volta di quegli stessi Stati europei (Belgio, Francia, Germania e altri) nei quali adesso possiamo

andare a lavorare: cittadini dell’Unione Europea, fra altri cittadini della medesima Unione Europea, con analoghi diritti e doveri. Ecco, la libertà di circolazione dei lavoratori rappresenta un oggettivo, nodale risultato positivo dell’integrazione del ‘vecchio continente’.

Fu difficile trovare uno spazio, in tessuti sociali diversi dal nostro, fra non poche ostilità e anche prove di solidarietà: ma fu possibile per tanti, tantissimi. Gli italiani emigrati e i loro discendenti hanno saputo inserirsi, a pieno titolo, con valore e vigore, nelle realtà estere in cui si erano recati. Le arricchirono con la loro opera, intellettuale e manuale. Tutti ce lo riconoscono e in alcuni paesi – pensiamo proprio al Belgio di Marcinelle – sono ascesi anche ai massimi livelli delle responsabilità di governo.

Riflettiamo con consapevolezza e giusto orgoglio su queste esperienze di molti fra i nostri padri e nonni. Riconosciamo, con convinto rispetto, il loro inestimabile contributo alla storia d’Italia e dei luoghi dove si recarono. Non scordiamoci mai dei loro sacrifici. Pensiamoci, quando vediamo arrivare in Europa i migranti della nostra travagliata epoca.

Cari Amici italiani, ovunque siate nel mondo, dovete sapere che la dedizione con la quale, quotidianamente, assolvete ai vostri doveri lavorando, rende migliore il nostro Paese e contribuisce alla sua reputazione positiva. Vi giunga, dunque, il saluto fraterno del Governo e di tutti i compatrioti, nella speciale giornata dedicata a coloro che, proprio sul lavoro, hanno offerto il sacrificio estremo. Insieme, siamo affettuosamente vicini alle famiglie delle vittime di Marcinelle e delle tragedie del lavoro di ogni tempo.

Vi ringrazio per quanto avete fatto e state facendo per la nostra Italia.

FashionPhilosophy PRE-PARTY

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Da Łódź, attraverso Bielsko-Biała, a Katowice torna FashionPhilosophy

La prima edizione di FashionPhilosophyWeek Poland si è svolta dieci anni fa, tuttavia dopo quattordici stagioni si è fermata. Dopo due anni d’assenza del marchio in Polonia FashionPhilosophy è riapparsa a Berlino e Milano per tornare nel Paese in una nuova forma. Il prossimo autunno si ricomincerà a Katowice, nello spazio post industriale della vecchia walcownia di zinco. Il marchio ha indicato il suo ritorno con l’evento FashionPhilosophy PRE-PARTY, che si è svolto il 29 giugno in via Ratuszowa a Bielsko-Biała.

Sulla passerella sono state presentate le collezioni di designer provenienti da Polonia, Germania e Brasile: Barbara Piekut – Mo.Ya Fashion, Marion Rocher – Rockmädchen, Kamila Kosowska – Kamy Mady In Krakow, Aline Celi, Marta Kuszyńska, Karolina Ratyńska – Kaya by Karo, Jarosław Ewert i Maciej Zien.

PRE-PARTY ha innovato discostandosi dalla forma dai precedenti eventi polacchi di moda con passerella all’aperto, tra i palazzi d’Art Nouveau e con la festa aperta al pubblico. Tutto questo coerente allo scopo del marchio ovvero promuovere e commercializzare la moda d’autore nel mercato polacco. Le diverse sfilate erano tutte collegate dall’attenzione alla bellezza femminile. Nella passerella regnava dolcezza ma anche forza ed energia lanciata dalla musica dal vivo dei dj di Bielsko-Biała, una città finora assente nella mappa del mondo della moda, nonostante la relazione storica con l’industria tessile polacca, che ha attirato l’attenzione dei critici, media e altri rappresentanti del settore della moda. Tutto per celebrare la nuova era nella storia del marchio e preparare gli appassionati di moda alle nuove esperienze.

Vale la pena di sottolineare il ritorno di FashionPhilosophy perchè attualmente in Polonia non si svolge una settimana della moda tipo quelle di Berlino o Milano. FashionPhilosophyFashionWeek Poland è il maggiore evento di moda nel Paese. Una manifestazione in grado di attrarre artisti, acquirenti, persone famose, media e appassionati della moda da tutto il mondo. Le sfilate e la fiera contemporanea danno l’opportunità ai designer di mostrare le loro nuove collezioni, agli investitori di fare le ricerche sul mercato e sulle tendenze, alle modelle di salire gradini nella loro carriera, al pubblico di conoscere meglio una forma d’arte indossabile: ovvero la moda. Le sfilate internazionali di moda in Polonia allargano gli orizzonti e danno migliori opportunità per promuovere i designer e creare contatti commerciali, il tutto si traduce in uno sviluppo vigoroso della moda d’autore in Polonia quale frutto del connubio tra arte e business.

FashionPhilosophyFashionWeek Poland si svolgerà due volte l’anno e presenterà i trend per le stagioni seguenti. Non per caso si è scelta Katowice. Il cuore della Slesia nasconde alcuni degli edifici di architettura post industriale più belli in Polonia. Le collezioni sono una cosa e l’ambiente della sfilata è un’altra. La nuova casa di FashionPhilosophy sarà il Museo dell’industria siderurgica di zinco Walcownia, l’unico edificio post industriale nella città che sia rimasto inalterato. In Slesia non c’è un altro, così severo e ampio, più di 5 mila metri quadrati, spazio chiuso che possa offrire un tale carattere all’evento. La forza post industriale, lo sfondo delle vecchie macchine della zincheria, alcune ancora in grado di funzionare, saranno il back ground di contrasto con le collezioni presentate. L’impressione estetica è perfettamente garantita.

La nuova edizione si svolgerà il prossimo ottobre 2018 in Slesia, ma l’attività di FashionPhilosophy non si limiterà ad una regione. Già oggi la festa FashionPhilosophy Fashion Week Berlino viene considerata evento ufficiale che apre la settimana della moda di Berlino. Non vogliamo limitare la moda polacca geograficamente ma spingerla verso le capitali europee.

FashionPhilosophy ha spiegato le ali di nuovo grazie a Kasia Stefanow (MyStyle Events), Łukasz Rzebko (Extomusic Event Agency) e Tomasz Zajda (Direttiva S.r.l).

Ferzan Özpetek, un po’ italiano, un po’ turco, innamorato di Kieślowski e Szymborska

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Ferzan Özpetek, turco d’origine e italiano d’adozione. Dopo alcune esperienze in teatro si avvicina al cinema lavorando come aiuto regista. Debutta nel 1997 con “Il bagno turco” che ottiene un grande successo di critica e di pubblico. Da lì inizia la sua carriera contrassegnata da successi continui. In questo mese d’agosto esce nelle sale polacche il suo dodicesimo film “Napoli velata”.

Non tutti sanno che Lei in realtà doveva studiare negli Stati Uniti, poi all’improvviso è sbarcato a Roma…
Stavo andando in America e poi di punto in bianco ho cambiato idea e sono andato a Roma, non so perchè. Mi piaceva molto il cinema italiano ma amavo anche il cinema francese, inglese, americano quindi non è stato un motivo fondamen­tale. È stata una cosa abbastanza strana. Sono quelle decisioni che non sai come spiegare. Nella vita facciamo tante volte delle scelte d’istinto, senza motivo credo.

Sente una forte appartenenza alle sue radici?
Mi definisco come un regista italiano quello di sicuro perché dal punto di vista professionale sono cresciuto in Italia. Poi per quanto riguarda la nazionalità…forse mi sono un bel po’ allontanato dalla Tur­chia perché da quarantadue anni abito in Italia. Ma adesso che Lei mi ha fatto questa domanda mi sono reso conto che non sento un’appartenenza a un solo paese. Penso che conti molto essere delle persone prima di tutto.

E questo si vede anche nei suoi film che si concentrano sulle persone, relazioni ed emozioni. Tante volte nel Suo lavoro con gli attori si vede il richiamo ai grandi Maestri del cinema…
Ci sono tantissimi registi che amo ma il mio preferito rimane Vittorio De Sica per il suo rapporto con gli attori. Ho sempre ammirato proprio la sua virtù di dirigere gli attori per tirarne fuori l’essenza. Questa è la cosa che conta di più per me. Poi ci sono tanti altri straordinari registi come Michael Powell, Stanley Kubrick, Antonio Pietrangeli. Potrei continuare l’elenco all’infi­nito perché i registi che ammiro sono tanti.

Oltre ai protagonisti anche l’ambientazione svolge un ruolo importante nelle Sue opere, diventa essa stessa protagoni­sta al pari degli attori. Lei è un esperto nel far vedere il volto nascosto delle città note…
Le persone contano molto ma i posti altrettanto credo. “Le fate ignoranti” l’ho ambientato al Gasometro a Roma. Gra­zie al clamoroso successo del film in Italia, il quartiere ha avuto un boom di vendite degli appartamenti e gli immobiliaristi mi hanno ringraziato. Quando ho fatto il mio primo film “Il bagno turco” tanti amici, non riconoscendo le location, sono venuti da me chiedendo dove avevo girato. Erano invece posti che tutti vedevano ogni giorno. Spesso è una questione d’inquadratura, di ripresa, dell’angolazione che dai al luogo. Ma la cosa che conta più di tutto sono le persone e il loro rapporto con l’am­biente. Quando scrivo la sceneggiatura e poi comincio a fare le prove con gli attori e vado con loro sul posto, le idee iniziali possono cambiare.

Dopo sedici anni è tornato a Istanbul a girare un film basato sul Suo libro „Rosso Istanbul”, il rapporto con l’ambiente cambia anche quando gira in Turchia?
La mia formazione è italiana e non si riesce a svincolare da un certo meccanismo che si è imparato. A Istanbul sono stato benissimo, ho lavorato con una troupe meravigliosa e di grande passione. Ambientare e girare nella mia città ha avuto un grande significato per me. L’ho vista con altri occhi. Mi ha emo­zionato. Volevo girare nella casa dove ho vissuto da bambino, ma non esisteva più, al suo posto c’era un grattacielo. Ho girato comunque sul Bosforo dove trascorrevo le estati. A Roma ulti­mamente ho avuto molte difficoltà perché comunque è una città che soffre le riprese. I romani non sopportano quando si ferma il traffico, ma il prossimo film lo farò sicuramente a Roma.

Ha già qualche idea?
Ho quasi finito la sceneggiatura di un nuovo film che racconta una persona che non riesce mai a stare ferma. Non perché è agitata ma perché i suoi interessi e la sua creatività la por­tano a fare sempre cose diverse. Io stesso sono così: il pros­simo aprile faccio Madame Butterfly all’opera di San Carlo a Napoli, ho scritto il nuovo film, forse comincio a scrivere il terzo romanzo. La mia vita è condividere le cose che amo e che mi piacciono e per questo faccio cinema, per questo condivido le foto e altro sui social. L’idea del condividere cioè vedere o par­tecipare insieme, offrire del proprio ad altri, vedere insieme la stessa cosa ma ognuno a modo suo è molto affascinante. Mi piace una frase di Marco Ferreri che dice “i film senza gli altri non esistono, gli altri sono insieme a noi autori dei film”. Gra­zie alla condivisione istantanea mi sono avvicinato molto ai miei spettatori, li faccio partecipi della mia creazione e se la gente poi mi dice che ha visto diverse volte i miei film, se mi racconta che qualcosa gli è piaciuto in modo particolare questa è una grande soddisfazione per me.

Invece a Napoli ha girato per la prima volta, dopo Lecce e Roma è arrivata l’ora di raccontare Napoli?
Sei anni fa, mentre curavo la messa in scena di La Traviata al San Carlo, ho vissuto un mese e mezzo a Napoli, ho conosciuto tante persone, sono entrato nelle case, mi sono documentato sulla storia della città, ho visto la vita. Sono stato rapito e da lì è nata l’idea di farci un film.
Racconto la Napoli che ho amato subito quando ci sono arrivato per la prima volta: la Napoli del centro storico, una Napoli antica e borghese, Piazza del Gesù, Piazza dei Martiri, Piazza San Domenico Maggiore e su e giù per Spaccanapoli. Anche gli interni li ho scelti con cura. Ai due principali sono legato anche affettivamente. La casa di Adele (Anna Bonaiuto) è un’antica casa nobiliare piena di opere d’arte usata dal cinema due volte sole: da Rossellini per Viaggio in Italia e da De Sica per L’oro di Napoli. La casa di Adriana (Giovanna Mezzogiorno) è quella di Flora, una mia carissima amica.

La Sua Napoli è misteriosa ma anche piena di simboli…
Giusto, ci sono simboli attorno ai quali fin dalle prime scene gira il film. All’inizio ho pensato di aprirlo con la vista di Napoli. Poi invece parlando con la mia scenografa abbiamo comin­ciato a riflettere su cosa di preciso voglio raccontare di questa città. Siccome mi piacciono molto le scale mi ha fatto vedere la scala del Palazzo Mannajuolo. Sono rimasto colpito. Era il destino in qualche modo perché tutto il film è basato sull’oc­chio e sull’utero e questo palazzo sembrava tutte e due. Per un’apertura era perfetto. Un altro simbolo che ritorna è il velo. Mi è capitato di assistere alla “figliata”, un rito arcaico legato alla cultura napoletana dei femminielli, la rappresentazione di un parto maschile. Tra attori e pubblico c’è un telo semitraspa­rente, perché la verità va più sentita che guardata. E appunto perché “Napoli velata” mi chiedevano sempre? Perché il velo non nasconde ma svela, grazie al velo ci si vede più dettaglia­tamente tante sfumature del viso. Così come nel Cristo velato il velo rivela, coprendole, le forme del viso. Lo spettacolo mi ha conquistato a tal punto che ho deciso di usarlo in parte per l’apertura del film ma ho cambiato tante cose e l’ho fatto a modo mio.

Abbiamo parlato di Italia e Turchia, spostiamoci un attimo in Polonia. Nel 2015 è stato ospite del Forum del Cinema Euro­peo Cinergia a Łódź…
Sono andato a Łódź insieme a Kasia Smutniak che è una mia amica, oltre al fatto che abbiamo fatto un film insieme. Sono stato anche a casa dei nonni di Kasia e quindi ho visto la cam­pagna polacca. La Polonia mi ha fatto molto effetto. Ho notato tante somiglianze con gli altri paesi ma dall’altro canto ci sono anche le cose sottili che fanno la differenza. La luce, un piatto, uno sguardo che ti fa pensare di essere proprio in Polonia.

Quando Lei parla delle piccole cose, dell’attenzione ai det­tagli mi vengono in mente i film di Kieślowski oppure le poe­sie di Szymborska…
Sono pazzo di Kieślowski! È stato un attento osservatore della vita. I suoi film invitano alla riflessione e anche con il racconto semplice sono profondi e toccanti. Della Szymborska invece sono stato amico. Sono incantato delle sue poesie. Ci siamo incontrati per la prima volta alla Fiera del Libro di Torino e dopo ci siamo rivisti in diverse occasioni. Le ho dedicato “Magnifica presenza” e l’ho citata ne “Il cuore sacro” nel momento in cui dalla borsa della protagonista cade il libro delle poesie. È stata una presenza forte nella mia vita. Tra le mie ispirazioni polacche ci sono anche Pawlikowski e Polański. Regista che la gente con­testa ultimamente ma che io apprezzo molto. È un grande arti­sta ma non con tutti se ne può parlare apertamente a causa del clima molto duro oggi e dell’atmosfera di scandalo perenne che lo circonda. Per me lui rimane un regista straordinario.

GAZZETTA ITALIA 70 (agosto-settembre 2018)

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Una lunga intervista al regista italo-turco Ferzan Ozpetek apre il nuovo numero di Gazzetta Italia. Ozpetek tra le altre cose racconta la genesi del suo ultimo film “Napoli velata”, uscito in questi giorni nelle sale polacche, e il suo amore per Kieślowski e Szymborska. Gazzetta Italia 70, con la bella copertina firmata da Jurek Krakolkowski, propone tanti articoli di viaggio e cultura tra cui storie di fantasmi al Colosseo, ritrovare sé stessi a Orsigna sulle orme di Terzani, Venezia descritta da una guida per polacchi e illustrata dalle straordinarie foto di Philippe Apatie e poi ancora innamorarsi delle Marche! Ma c’è anche tantissima moda con il reportage sull’evento FashionPhilosophy Pre-Party a Bielsko Biała, l’articolo sul saggio finale della scuola Via Moda e poi un approfondimento sulla stilista Patrizia Pepe. In questo numero inizia la nuova rubrica linguistica “Giro d’Italia seguendo i dialetti” che aiuterà a capire da dove derivano tante parole italiane, come Ciao o Pizza, a volte usate in tutte le lingue del mondo. Tanto spazio alla cucina con ricette, rubriche e la storia di Casa Italia, uno dei più autentici ristoranti italiani di Varsavia. E poi ancora musica con l’intervista a Francesco Bottigliero, musicista italiano a Breslavia, sport con tutti i protagonisti dell’ultimo Torneo di Calcetto Italiani in Polonia svoltosi a Cracovia, e lifestyle con il resoconto della terza edizione del Premio Gazzetta Italia che tra sfilate di Łukasz Jemiol e Salvatore Piccione, ha visto la consegna dell’ambito Premio a Krzystof Zanussi, Grażyna Torbicka, Massimiliano Caldi e al direttore del Wawel di Cracovia Jan Ostrowski.

Polonia Oggi: In arrivo due film sul 303° squadrone polacco della RAF

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Il 31 agosto ci sarà la première del film “Dywizjon 303. Historia prawdziwa” (303° Squadrone. La storia vera), basato sul libro di Arkady Fiedler dedicato ai piloti polacchi che combatterono nella battaglia d’Inghilterra. Fiedler è stato scrittore e corrispondente di guerra, autore di 32 libri. Durante la guerra ebbe modo di conoscere numerosi piloti polacchi e in particolare Witold Urbanowicz, a capo del 303° Squadrone, uno di 16 squadroni polacchi nella RAF. Il figlio di Arkady, Marek, si è detto convinto che suo padre sarebbe stato felice del film. Attualmente dirige il Museo-Laboratorio Letterario dedicato a suo padre. Il 17 agosto ci sarà invece la prima di un film di produzione inglese dedicato allo stesso argomento, “303 Squadron: Battle for Britain”.

pap.pl