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Alla ricerca dell’opposizione perduta

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Non è facile oggi descrivere la situazione politica della Polonia, e l’operazione è ancor più ardua se cerchiamo di spiegarla ad un pubblico italiano che, come hanno mostrato le recenti elezioni, è ampiamente entrato in un’era post ideologica.

La Polonia, come gran parte dei paesi dell’Est Europa usciti dall’influenza sovietica, vive oggi un problema di elaborazione del proprio passato. Una situazione fisiologica se pensiamo che i polacchi solo nel 1918 recuperarono la propria indipendenza dopo 150 in cui la terra di Chopin aveva perso la sovranità suddivisa tra Prussia, Impero Austro-Ungarico e Russia. Una indipendenza che durò poco più di 20 anni, fino a quando nel settembre del 1939 la Germania pretestuosamente attaccò la Polonia spartendone poi il territorio con la Russia nel famigerato patto Ribbentrop-Molotov. E non dimentichiamo che la conferenza di Pace di Parigi, cui partecipò lo stesso Molotov, al termine della Seconda Guerra Mondiale non ridiede alla Polonia i suoi confini prebellici. Ora il lettore del terzo millennio potrebbe giustamente notare che da quei fatti è passato quasi un secolo. Vero ma mentre nell’Europa occidentale dal 1945 ad oggi c’è stato il tempo di elaborare e in qualche modo sopire gli strascichi, culturali e geografici, del conflitto e dei nuovi confini usciti, all’Est la situazione è diversa. La cappa sovietica ha solo congelato per oltre 40 anni aspirazioni e reciproche rivendicazioni nazionali dei vari paesi che, caduto il muro di Berlino e recuperata una forza economica ed una classe dirigente all’altezza, hanno iniziato solo da pochi anni a costruire un percorso politico autenticamente indipendente. E di questa situazione oggi se ne vedono gli effetti in tanti paesi dell’Est Europa, Polonia inclusa.

A guardare le scelte dell’attuale governo polacco, al di là del poterle condividerne o meno, è evidente la caparbietà nel voler mostrare una totale autonomia nazionale nell’affrontare le complesse questioni politiche che, al contrario, in molti casi dovrebbero essere concordate con l’Europa, di cui la Polonia fa parte, essendo tra l’altro il Paese che da anni riceve il maggior numero di fondi europei, peraltro avendo il grande merito d’essere in grado di spenderli completamente, cosa questa su cui l’Italia avrebbe molto da imparare. In questo clima è evidente e comprensibile che la presenza di un diffuso sentimento di patriottismo, unito ad un profondo radicamento cattolico del Paese, porti vantaggio ad una specifica parte politica, in particolare a quella che meglio negli ultimi anni ha saputo giocare sulle priorità ideali e di vita quotidiana dei polacchi, ovvero da un lato sentirsi parte di una nazione forte e orgogliosa che cerca di recuperare terreno sul piano internazionale e dall’altro sviluppare politiche di supporto per la famiglia, la natalità e le pensioni. Posizioni gradite alla chiesa la cui importanza nella società polacca non è comprensibile completamente se dimentichiamo che il cattolicesimo è stato uno straordinario collante per i polacchi anche quando il loro stato non esisteva più, e anche quando durante il comunismo le chiese erano dei laboratori di avanguardia in cui si sviluppava l’opposizione a quel regime.

All’interno di questa cornice politico-culturale sorprendono allora meno le tante leggi e prese di posizione del governo polacco che suscitano reazioni, ed a volte anche dissidi e procedure di infrazione, nella comunità europea. La legge sul Tribunale Costituzionale, la posizione sulle quote di migranti, i tentativi di limitare ulteriormente il diritto all’aborto in un Paese che ha già la legge più restrittiva d’Europa ed ancora la proposta della Legge di Degradazione per punire a distanza di lustri chi ebbe un ruolo decisionale nell’esercito ai tempi del comunismo, sono il risultato politico di una volontà maggioritaria nel Paese che però non rappresenta tutta la Polonia.

La vera nota stonata non è il fatto che il Paese possa avere fasi emotive più o meno nazionaliste o conservatrici, ma è l’assoluta incapacità della parte più progressista della società polacca a farsi rappresentare e quindi di conseguenza a bilanciare l’indirizzo del Paese. Come in ogni sana democrazia c’è bisogno di una rappresentazione di tutte le posizioni politiche e di una conseguente sintesi politica che tenga conto, seppur privilegiando la maggioranza, dei vari sentire ideali e politici di un intero paese. In Polonia le strade delle maggiori città si popolano spesso di cortei composti da migliaia di manifestanti che protestano con forza contro molte scelte governative, in particolare contro la Legge sul Tribunale Costituzionale o le proposte di restrizione sull’aborto, ma questo spaccato di società che vede spesso sfilare fianco a fianco studenti, intellettuali, manager ovvero la parte di società più evoluta e progressista che vive nelle aree più urbanizzate, non ha partiti cui votarsi. La Platforma Obywatelska (Piattaforma Civica) oggi all’opposizione in Polonia, che molti superficialmente e schematicamente associano al Partito Democratico italiano, è in realtà un partito che non ha più una identità definita, incapace di sposare coraggiosamente alcune delle battaglie portate avanti dal popolo delle piazze, e così anche gli altri partiti dell’opposizione non hanno mostrato in questi anni la capacità né di raccogliere il malcontento di chi non condivide l’azione di Governo né tantomeno di esprimere personalità politiche all’altezza. Il tutto confermato ed aggravato dal fatto che in Polonia la percentuale di votanti arriva a fatica al 60%, ovvero praticamente metà del corpo elettorale non ritiene che ci sia alcuna proposta politica in grado di rappresentarli. Il vero nodo politico che pesa sul futuro di questo importante e strategico Paese dell’Unione Europea è quindi la mancanza di rappresentazione politica di un enorme spaccato sociale e culturale.

Polonia, ora lo sviluppo è legato alla ricerca di manodopera

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Antonino Mafodda, direttore dell’ufficio ICE di Varsavia, fa il quadro delle relazioni e delle prospettive economiche tra Italia e Polonia.

Nella visione di sviluppo economico della Polonia recentemente si palesa l’ombra di scelte politiche che sembrano avviare il paese verso un’economia più nazionalista, cosa ne pensa?

“Come è noto, il compito degli Uffici dell’Ice-Agenzia è un compito di analisi tecnico-settoriale basata su statistiche, dati macro e micro economici, richieste di assistenza da parte delle aziende italiane e polacche. Fare previsioni di carattere politico, anche se in senso lato, non fa parte dei nostri compiti istituzionali. Operando comunque a stretto contatto con le aziende non mi è sembrato di cogliere preoccupazioni in questo senso né abbiamo ricevuto segnalazioni in merito da parte delle numerose aziende che assistiamo di “discriminazioni” basate sul fatto di venire da un paese estero. Certo sarei più contento di non leggere dei dissidi tra la Polonia e l’Unione Europea su temi importanti e così credo che la pensino i tanti operatori che fanno business con la Polonia, ma, ripeto, non percepiamo delle discriminazioni, né ne abbiamo notizia e ovviamente ci auguriamo che ciò non accada in futuro.”

Crede che il governo italiano, visto l’ingente relazione economica tra i due paesi, dovrebbe avviare maggiori consultazioni e collaborazioni con la Polonia nell’ottica di costruire un rapporto privilegiato con un paese geograficamente così strategico?

“Italia e Polonia fanno parte dell’Unione Europea e quindi continuamente coinvolti, insieme a tutti gli altri Paesi, in tutti i tavoli tecnici e politici che riguardano pressoché tutti i campi di azione e di interesse degli Stati. Quello che si dovrebbe fare e che le istituzioni pubbliche operanti in Polonia fanno con grande scrupolo, è capire quali possono essere le sinergie da rafforzare ed i settori dove la Polonia potrebbe crescere ancora o avrebbe interesse a sviluppare più intensamente i rapporti sia a livello istituzionale che fra singole aziende, con l’Italia. Penso alle nuove tecnologie, alla farmaceutica, alla cosiddetta industria 4.0, ai rapporti tra l’imprenditoria giovanile (start-up) solo per menzionare alcuni campi di azione. Fra un anno la Gran Bretagna uscirà a tutti gli effetti dalla UE ed è noto quale sia l’importanza di questo paese per la Polonia e le migliaia di aziende polacche, che hanno sede in Regno Unito. Questo quadro cambierà dopo la Brexit? Probabilmente sì, ma in che modo, con quali caratteristiche e quali settori riguarderà più e prima di altri? È presto per dirlo, ma va monitorato attentamente. Credo che il continuo scambio di informazioni e dialogo, che consenta di capire quale direzione stiano prendendo gli avvenimenti, in particolare quelli che hanno a che fare con l’economia, sia di vitale importanza e valga molto di più di protocolli formali, avendo sempre in mente che condividiamo una legislazione, quella della UE, che è un vincolo fondamentale e unisce profondamente i nostri due paesi e le nostre economie, come dimostra il crescente interscambio che nel 2017 ha superato i 20 miliardi di Euro e testimonia di rapporti economico-commerciali intensi e di reciproco vantaggio.”

Anche alla luce dei numerosi eventi organizzati da Ice Varsavia quali sono i settori produttivi e merceologici in cui negli ultimi sei mesi ha notato maggiore crescita dei rapporti tra Italia e Polonia, e quali sono quelli con maggiore potenziale di sviluppo?

“I 2/3 dell’interscambio fra i due paesi avviene nell’ambito di prodotti e tecnologie finalizzati alla produzione e parte della “catena del valore” dei vari settori industriali. Credo che l’evoluzione dei molti settori produttivi sia, ancora, la maggior opportunità per le aziende sia italiane che polacche. In particolare le tecnologie ed i macchinari di ultima generazione, legati ai processi di automazione industriale, cui cominciano ad essere molto attenti i produttori polacchi, sono i settori in cui vi sono maggiori opportunità. La Polonia sta crescendo molto, per esempio nel settore aeronautico, legato, con quello della costruzione delle imbarcazioni da diporto, all’evoluzione dei nuovi materiali. Altresì sta aumentando la produzione e la qualità nell’industria dell’arredamento, oltre che in molti beni di consumo che sono legati all’evoluzione dei vari tipi di imballaggio e l’Italia è un importantissimo fornitore di know how e macchinari per tutti i settori che ho appena citato ai quali se ne potrebbero aggiungere altri.”

La bassissima disoccupazione unita ad una crescente richiesta di personale qualificato e ai continui investimenti crede che farà alzare in modo significativo il costo della manodopera in Polonia?

“La difficoltà di reperire manodopera e quadri tecnici è la maggiore delle preoccupazioni sia fra le aziende già presenti che fra quelle che pensano di stabilirsi in Polonia ed ha implicazioni, già visibili, non solo nel costo del lavoro che sta registrando un’accelerazione importante, ma sulla possibilità di organizzare uno dei principali fattori della produzione, vale a dire il lavoro. Tutti lamentano la veloce turnazione dei dipendenti, attirati da salari sempre maggiori offerti da “nuovi entranti” o da importanti multinazionali che hanno da questo punto di vista una possibilità di gestione maggiore del fenomeno agendo su grandi numeri e su un orizzonte temporale più ampio. La preoccupazione c’è e riguarda nel suo complesso il “vantaggio competitivo” della Polonia, che dovrà puntare su settori sempre più evoluti non legati, in modo fondamentale, al costo della manodopera. Nel medio termine credo sia questa la sfida più importante che la Polonia ha davanti ma ci sono molti segnali che possa vincerla, basti vedere quale sforzo le autorità stiano facendo per incoraggiare l’innovazione nelle aziende con crediti e fiscalità agevolata e nell’attirare investimenti nell’information technology. Nell’occasione mi permetto di ricordare che Ice Varsavia sta dialogando molto con le istituzioni polacche che “gestiscono” questi fenomeni per creare progetti comuni fra aziende innovative italiane e polacche e fra la rete dei Parchi Tecnologi polacchi e quelli italiani. Nei prossimi giorni un’importante delegazione composta da imprenditori, Centri di Ricerca e Università polacche parteciperà alla 4^ “Borsa dell’Innovazione” che si terrà a Napoli, così come un’importante presentazione sui macchinari utensili italiani verrà fatta in occasione della prossima Fiera di Poznan dedicata a questo settore. Ricordo anche che per avere informazioni sulle nostre attività basta inviare una mail al nostro indirizzo varsavia@ice.it o consultare il nostro sito www.ice.it che dà notizie sulle nostre attività riguardanti non solo la Polonia ma tutti i 70 mercati nei quali l’Ice è presente con la sua rete di uffici.”

Progetto italo-polacco per studiare in riva al mare

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Il progetto Masterclass Calabria è il risultato di due idee nate a 3000 km di distanza: in Polonia cresce la domanda di persone che parlino italiano e parallelamente aumenta l’offerta turistica in Calabria, una regione tra le più belle al mondo ma ancora poco conosciuta. Come coniugare il tutto? La risposta è tanto semplice quanto entusiasmante: un corso di italiano in spiaggia! L’idea, partita quasi per gioco, si è trasformata in un progetto articolato e ben strutturato capace di offrire, oltre al corso di italiano per polacchi e di polacco per Italiani, una vacanza tra natura, cultura e cucina.

Gli ideatori di Masterclass Calabria sono Agnieszka Gajewa (insegnante di italiano, madrelingua polacca, vicepresidente dell’Associazione Culturale “Dante Alighieri” di Wroclaw) e Domenico Procopio (chef e titolare del Ristorante Pizzeria HbarH di Davoli – CZ). Il progetto, nato nel 2017, ha avuto una fondamentale svolta nel 2018 con la collaborazione di Polonia2go (società appartenente al gruppo Bosetti operante nel settore della consulenza alle imprese italiane e polacche), il gruppo Archeologico Jonico (curatore delle escursioni culturali proposte ai turisti), l’agenzia di Viaggi Iorfida di San Caterina dello Ionio (coordinatrice dei servizi offerti in loco), l’Hotel Villa Susy di Davoli e un consorzio di proprietari di appartamenti per offrire il pernottamento agli ospiti.

Il corso in spiaggia si rivolge principalmente a chi voglia imparare l’italiano o il polacco rapidamente ed in modo intensivo. È strutturato su diversi livelli, dai principianti agli avanzati, e prevede sei lezioni settimanali, dal lunedì al sabato, ciascuna della durata di 3 ore. Durante le lezioni vengono sviluppate e potenziate le quattro abilità linguistiche (parlare, ascoltare, leggere, scrivere) attraverso attività di vario tipo che includono anche il gioco e la simulazione di situazioni reali. L’approccio didattico è essenzialmente comunicativo, allo scopo di fornire allo studente tutti gli strumenti necessari per utilizzare attivamente la lingua italiana in diversi contesti: vita quotidiana, scuola, lavoro, vita sociale. Alla fine del corso lo studente otterrà un attestato del livello acquisito, rilasciato dalla Società Dante Alighieri.

L’idea del villaggio diffuso nasce per offrire un approccio turistico innovativo che permetta ai partecipanti di vivere appieno il centro cittadino, attraverso la fruizione di servizi di accoglienza, trasporto e ristorazione. Alloggiando in appartamenti o hotel, a seconda delle rispettive esigenze, si godrà della vicinanza al locale fulcro del villaggio diffuso (in questo caso specifico rappresentato dal Ristorante Pizzeria HbarH – Accabaracca) dove sono situati la reception, gli ambienti comuni, l’area ristoro e la spiaggia attrezzata. L’HbarH nasce nel 2007 e nel corso degli anni si è affermato come punto di riferimento per i turisti della zona: dalla cucina principalmente a base di pesce, alla pizza cotta nel forno a legna, passando attraverso l’esclusivo servizio-spiaggia e cocktail bar, il locale offre la possibilità di trascorrere una vacanza in completo relax. Il titolare e chef Domenico Procopio ha creato un menù in grado di conciliare la tradizione mediterranea con l’innovazione e l’influenza di cucine straniere senza perdere il carattere prettamente italiano: piatti come il polipo ceci e bufala con ketchup artigianale o la ricciola grigliata con salsa yogurt all’aneto e riduzione di pomodoro ne sono un esempio. Il ristorante ha deciso di valorizzare la cultura enologica della regione che negli ultimi anni ha visto aziende vinicole affermarsi con prepotenza sulla scena nazionale e internazionale. Anche la selezione di birre artigianali è stata studiata in maniera accurata ed è volta a far conoscere il nuovo mondo della birra italiana.

Situata all’estremo sud della penisola italiana, la Calabria è circondata dalle splendide acque del Mar Ionio e del Mar Tirreno. Separata dalla Sicilia dallo stretto di Messina, la Calabria nel corso dei secoli è stata spesso terra di conquista. Visitarla significa fare un tuffo nella storia della penisola italiana, scoprendo gli insediamenti che sono stati culla della Magna Grecia, per poi lasciarsi catturare dalla bellezza dell’eredità bizantina, normanna e borbonica, tra mosaici romani, parchi archeologici (Locri Epizefiri), cattedrali (Gerace, Squillace) e chiese (Cattolica di Stilo), dipinti mozzafiato, statue che il mare ha restituito dopo secoli (Bronzi di Riace). Anche la natura sorprende con paesaggi incredibili che spaziano dal viola-blu del mare cristallino al verde del Parco dell’Aspromonte, uno dei più importanti d’Italia. Sull’Aspromonte è presente la coltivazione del bergamotto, prodotto d’eccellenza della Calabria. Una coltura che solo in questa terra, accarezzata dai torrenti ionici e circondata da dolci colline, può maturare e dare i suoi preziosi frutti usati dai più importanti marchi di profumi francesi (Chanel) e per preparare deliziose bevande dissetanti, olii profumati, liquori e prodotti per la salute di pelle e corpo. Per gli amanti del mare, il litorale offre la possibilità di godere dei raggi del sole in bellissimi stabilimenti che costeggiano lo Ionio e il Tirreno e di vivere l’emozionante esperienza di escursioni in barca e praticare molti altri sport acquatici. I sapori intensi e tradizionali della Calabria vi accompagneranno nel viaggio, molte sono le specialità italiane e regionali che potranno essere gustate: dal salame al pecorino, dalla ‘nduja al pane cotto nel forno a legna, dai grandi vini all’ottimo olio locale, il tutto per assaporare al meglio la grande qualità di una regione tutta da scoprire.

Info
mail: turismo@polonia2go.pl
telefono (Karolina Marchewka): +48 71 338 65 49

Fra i castelli dei Cavalieri Teutonici lungo la Vistola

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A sud di Danzica, lungo il fiume Vistola, si estendono alcune fra le più importanti terre colonizzate fra il XIII e il XIV secolo dai Cavalieri Teutonici, che vi hanno lasciato imponenti castelli e chiese in mattoni edificate nell’austero stile noto come gotico baltico. L’Ordine monastico-militare-ospedaliero dei Cavalieri Teutonici (il cui nome completo in latino suona: Ordo Fratrum Domus Hospitalis Sanctae Mariae Teutonicorum in Jerusalem) aveva operato in Terrasanta assistendo e curando i pellegrini tedeschi che si recavano al Santo Sepolcro dal 1099 al 1191, quando abbandonarono l’ultima roccaforte in Palestina e si trasferirono in Europa. Ottenuta l’approvazione e la protezione del pontefice Clemente III, si misero alla ricerca di una collocazione per continuare la propria missione. Nel 1211 Andrea II d’Ungheria offrì loro dei territori in Transilvania, in cambio di appoggio militare contro la bellicosa popolazione nomade pagana dei Cumani. In Transilvania i Cavalieri Teutonici iniziarono un’intensa attività di evangelizzazione-colonizzazione, creando l’embrione di un forte stato indipendente: spaventato da questa prospettiva, nel 1225 Re Andrea li cacciò dal suo regno.

Nel 1226 venne loro proposto, da parte del duca Corrado di Masovia, di insediarsi sulla Vistola per difendere i confini dalle incursioni dei Prussi (o Pruzzi) pagani, un popolo baltico che occupava i territori a nord-est del fiume, sulle cui rive costruirono una prima fortezza, Kulm (oggi Chełmno). A partire da questa prima base iniziarono lentamente a penetrare verso est sterminando le popolazioni pagane locali e annettendone i territori con il benestare del Papato e del Sacro Romano Impero. Questa penetrazione vedrà un’accelerazione dopo che il re polacco Ladislao I il Breve li chiamò a Danzica nel 1308 per chiedere il loro aiuto contro i Brandeburghesi che avevano occupato la città.

Cacciati i Brandeburghesi e massacrata la popolazione, i Cavalieri Teutonici non restituirono Danzica alla Polonia e consolidarono ulteriormente la loro posizione lungo il Baltico a ovest e a est della Vistola. Nel 1309 iniziarono a costruire, una sessantina di km a sud di Danzica, la fortezza di  Marienburg (oggi Malbork), o Città di Maria, destinata a sede del Gran Maestro e perciò al ruolo di ‘capitale’ del vasto stato costruito dall’ormai potentissimo Ordine dei Cavalieri Teutonici. Nel momento di massima espansione fra il XIV e il XV secolo, si estenderà lungo tutta la costa baltica dalla Pomerania all’Estonia, dominata e controllata da una rete di oltre 200 castelli. Entrati in conflitto con i polacchi e i lituani nel 1410, furono infine sconfitti nella battaglia di Grunwald, che segna l’inizio del loro declino, che li porterà a diventare prima vassalli del regno di Polonia e Lituania e poi a scomparire dallo scacchiere politico europeo.

I castelli edificati sul territorio oggi appartenente alla Polonia sono fra i più elaborati e meglio conservati dell’Europa medievale e costituiscono uno degli itinerari di visita più interessanti della regione Pomerania (www.pomorskie.travel). E proprio a Malbork è conservato il più grande castello in mattoni dell’Europa medievale, dal 1997 iscritto nel patrimonio dell’Umanità dell’Unesco e oggi visitabile come Museo del Castello di Malbork (www.zamek.malbork.pl). In realtà si tratta di un complesso composto da tre fortezze una nell’altra, edificate in fasi successive e cinte da un impressionante insieme di mura e torri. Dopo aver superato i vari fossati, ponti levatoi e mura, si accede dapprima al più vasto Castello Basso, dove sorgevano – in parte sorgono ancora – i vari edifici di servizio, come le scuderie, l’armeria, le rimesse dei carri ecc. Quindi scavalcando un altro fossato, attraverso diverse porte corazzate, si entra nel cortile del Castello Medio su cui si affacciano l’ospedale, le foresterie (dove sono allestite una mostra di armi e una mostra sull’ambra) e il Palazzo dei Gran Maestri, con gli ambienti privati, le cucine e l’impressionante sala dei banchetti. Altro fossato, altro ponte levatoio e altre porte massicce rafforzate da ferrature danno accesso al Castello Alto, quello più interno, riservato ai monaci-guerrieri, con al centro un chiostro (i manieri teutonici erano monasteri a tutti gli effetti) e intorno le cucine, i dormitori, la sala del capitolo, la torre delle latrine, la stanza del tesoro, la chiesa di S. Maria e altri ambienti in cui sono allestite esposizioni di arte gotica e sulla storia del castello. Ogni anno a luglio nell’area del castello si svolge una rappresentazione in costume dell’assedio subito dai polacchi nel 1410, dopo la battaglia di Grunwald, con contorno di eventi artistici, gastronomici e di intrattenimento.

Muovendo da Malbork verso sud, si attraversa la cittadina di Sztum – dove esisteva un castello teutonico di cui però rimangono oggi solo poche parti, pesantemente rimaneggiate nel XIX secolo – e si arriva a Kwidzyn, del cui castello teutonico (XIV secolo) restano due ali e un’imponente torre delle latrine (gdanisko) separata dal castello e raggiungibile tramite un passaggio coperto su alte arcate. Nel Castello è allestito un museo (www.zamek.kwidzyn.pl) che racconta il territorio dal punto di vista naturalistico, storico e della cultura popolare. Unita al castello è la trecentesca, possente Cattedrale di S. Giovanni Evangelista, che conserva all’interno mosaici e affreschi del periodo gotico e, nella cripta, rare sepolture dei Gran Maestri.

Ancora più imponente di Kwidzyn è il complesso teutonico di Gniew – ormai sulla riva occidentale della Vistola – che si compone del Castello e della chiesa di San Nicola, entrambi edificati in mattoni nel XIV secolo, in seguito più volte ritoccati e infine rigoticizzati. Qui l’insieme è ancora più affascinante perché inserito in un compatto tessuto urbanistico medievale ben conservato su un rilievo a dominio del fiume. L’arcigno, tetragono castello, marcato da quattro torri angolari, è stato completamente restaurato a cavallo fra il XX e il XXI secolo e oggi è diventato un bel complesso museale-alberghiero-ristorativo. In un’ala è stato allestito un museo multimediale che racconta la battaglia di Grunwald e la vita nel castello in epoca medievale, mentre nel suo cortile interno, riparato da una moderna copertura vetrata, vengono organizzati eventi di vario genere, fra cui anche matrimoni, celebrati nella restaurata cappella interna del castello. Nella bella stagione nella corte ai piedi delle mura si svolgono manifestazioni in costume per la gioia di grandi e piccini che possono calarsi per qualche ora nell’atmosfera della Polonia medievale (www.zamek-gniew.pl).

Risalendo verso Danzica, si passa non lontano da Pelplin, una cittadina di appena 9.000 anime, dove vale la pena sostare per un paio di ottimi motivi. In primo luogo per l’imponente chiesa gotica in mattoni (oggi cattedrale), costruita nel XIV secolo dai cistercensi e ritenuta una fra le più affascinanti d’Europa: al suo interno, sotto raffinatissime volte a rete e a stella, si conservano magnifici arredi di varie epoche e stili. E secondo, ma non meno importante motivo, perché nel Museo Diocesano, fra le molte notevoli opere d’arte sacra, si conserva una delle 87 Bibbie di Gutenberg giunte fino a noi (www.muzeum.diecezja.org). Oltre a ciò, ogni anno conviene venire a Pelplin il terzo weekend di settembre, quando vi si svolge la Fiera Cistercense e tutto il paese è animato da mostre, bancarelle di antiquariato, artigianato, prodotti enogastronomici regionali, concerti, manifestazioni sportive, sfilate in costume, giostre cavalleresche, spettacoli e degustazioni per la gioia di residenti e turisti.

Per organizzare o farvi accompagnare in un viaggio fra i castelli dei Cavalieri teutonici, questo è il link alla pagina Facebook di Roberto M. Polce, guida turistica autorizzata a Danzica e alla regione Pomorskie: https://www.facebook.com/guida.turistica.danzica/

Questo invece il link per acquistare la guida “Danzica e la Pomerania”: https://www.amazon.it/Danzica-Pomerania-Roberto-M-Polce/dp/8862980515

Breve storia del calcio polacco

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In Polonia, il calcio non è vissuto come una religione come in Italia, ma la passione dei tifosi è comunque piuttosto sfrenata. Il mondo del pallone ha fatto la sua comparsa ufficiale nel dicembre 1919 con la fondazione della PZPN, la Federazione calcistica polacca. Il primo campionato si è giocato nel 1921 con la vittoria del KS Cracovia e, in quello stesso anno, ha fatto il proprio debutto anche la Nazionale biancorossa. La sconfitta 1-0 a Budapest contro l’Ungheria non ha placato l’entusiasmo, esploso nel 1922 con la prima vittoria nella partita giocata in casa contro la Svezia, finita 2-1. La prima partecipazione ai Mondiali è stata in Francia nel 1938, dove la Polonia ha perso contro il Brasile in un rocambolesco 5-4.

I tempi d’oro per i biało-czerwony (i biancorossi) sono stati gli anni ’70 della Nazionale guidata dal Ct. Kazimierz Górski. Alle Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972, la Polonia ha ottenuto il bronzo e nel 1976 ha bissato il risultato con la conquista dell’argento. Straordinarie prestazioni si sono registrate anche ai Mondiali in Germania Ovest nel 1974 e a quelli in Spagna nel 1982: in entrambe le occasioni la Polonia è arrivata al terzo posto. In terra teutonica, ha brillato la stella di Gregorz Lato, che è stato capocannoniere della Coppa del Mondo con 7 gol, mentre nel Mondiale vinto dall’Italia al Santiago Bernabeu è emersa la figura del grande calciatore Zbigniew Boniek. In quella occasione, la Polonia ha dovuto fermarsi in semifinale per mano degli azzurri di uno strepitoso Paolo Rossi, che gli rifilarono un secco 2-0.

I Mondiali del 1982 hanno chiuso un’epoca per il calcio polacco, che ha fatto la sua ricomparsa tra i grandi del pallone solo dopo un lento processo iniziato negli anni ’90: nel 1992, è arrivato l’argento alle Olimpiadi di Barcellona e nel 2002 la squadra allenata da Jerzy Engel è tornata ai Mondiali di Giappone e Corea del Sud dopo 16 anni di assenza. Negli anni le prestazioni non sono state memorabili, ma la Polonia ha cominciato ad avere quasi un piede fisso nelle competizioni internazionali. Sul piano della visibilità, l’apice è stato raggiunto nel 2012 con l’organizzazione degli Europei insieme all’Ucraina. I risultati non sono stati soddisfacenti e i biancorossi sono stati eliminati nella fase a gironi, ma il tempo ha dato i suoi frutti e nella manifestazione europea del 2016 in Francia la Polonia è uscita dignitosamente ai quarti di finale dopo essere stata sconfitta dal Portogallo ai rigori.

Ai Mondiali in Russia di quest’estate la Polonia del Ct. Adam Nawałka affronterà nel girone H Senegal, Colombia e Giappone. Per superare il turno servirà tutta la bravura del suo leader Robert Lewandowski, ma anche degli “italiani” Wojciech Szczęsny (portiere della Juventus), Arkadiusz Milik e Piotr Zieliński (giocatori di punta del Napoli di Mister Sarri). Chissà che non siano convocati anche gli interessanti giocatori della Sampdoria Karol Linetty, Bartosz Bereszyński e Dawid Kownacki.

Per quanto riguarda la storia di club, sono sempre gli anni ’70 ad essere ricordati come il vero momento di gloria. Proprio nel 1970 il piccolo Górnik Zabrze è riuscito ad arrivare in finale della Coppa delle Coppe – eliminando la Roma lungo il suo cammino – dove però non ha potuto mettere le mani sul trofeo a causa della sconfitta a Vienna contro il Manchester City. Nella stagione precedente, il Legia Varsavia ha addirittura raggiunto le semifinali della mitica Coppa dei Campioni. A sorprendere il calcio europeo nell’annata 1975-1976 è stato lo Stal Mielec, trascinato dai gol del già citato Grzegorz Lato, che ha contribuito al raggiungimento dei quarti di finale della Coppa Uefa, dove la coriacea squadra polacca ha avuto la peggio con l’Amburgo. Nel 1980-1981 il Widzew Łódź di Zbigniew Boniek ha fatto l’impresa in Coppa Uefa mandando a casa il Manchester United e la Juventus, ma poi ha dovuto arrendersi agli ottavi di finale della prestigiosa competizione europea.

Negli anni le squadre polacche sono uscite dai riflettori del calcio internazionale e negli ultimi tempi sono ricordate solo per alcune fiammate. Nella stagione 2009-2010 il Lech Poznań è diventato famoso in terra italiana per aver superato un girone di ferro dell’Europa League grazie a un pareggio 1-1 ottenuto nell’ultima giornata sotto la neve contro la Juve del mitico Del Piero. Recentemente l’Ekstraklasa (il campionato polacco) è stata dominata dal Legia Varsavia, che ha vinto quattro degli ultimi cinque scudetti. Nel 2016-2017 la squadra della capitale ha ottenuto la qualificazione alla Champions League, riportando un team polacco nella massima competizione europea dopo 20 anni. Attualmente nel Legia milita anche una nostra conoscenza, Cristian Pasquato, cresciuto nelle giovanili della Juventus e con un passato nel Modena, nel Pescara e in altre squadre del nostro calcio.

Un’ultima citazione non può che riguardare Zbigniew Boniek, il giocatore che più ha conseguito la fama in Italia. Attuale presidente della Federazione polacca, Zibì ha indossato la maglia della Juventus tra il 1982 e il 1985, dove ha vinto tutti i trofei importanti, tra cui la Coppa dei Campioni. Ha poi concluso la sua carriera proprio in Italia, rappresentando i colori della Roma fino al 1988. Classe 1956, Boniek ha collezionato 80 presenze con la Nazionale, segnando 24 gol.

Quest’estate tocca invece a Lewandowski & co far sognare di nuovo la nazione polacca ai Mondiali di calcio in Russia!

Roberto Giordano mette in scena l’eroismo di Irena Sendler

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In gennaio 2016, nel suggestivo Succorpo dell’Annunziata a Napoli, è stato portato in scena lo spettacolo “Irena Sendler. La terza Madre del ghetto di Varsavia”, la storia di una donna straordinaria che ha salvato circa 2500 bambini ebrei durante la seconda guerra mondiale. A raccontare questa vicenda eroica, finora del tutto sconosciuta in Italia, è stato Roberto Giordano, attore teatrale, cinematografico e televisivo nonché regista, per cui la diffusione del progetto ad un pubblico sempre più vasto è diventata una vera e propria missione.

Come mai un regista napoletano che molto spesso concentra i suoi spettacoli sulla varietà linguistica del proprio dialetto sposta l’interesse verso il ghetto di Varsavia e l’eroica figura di Irena Sendler?

La seconda guerra mondiale è un periodo a me molto caro. In diverse occasioni, negli anni addietro, ho preso parte, o messo in scena, spettacoli sulle Quattro Giornate di Napoli, evidenziando gli atti di eroismo del popolo napoletano, degli scugnizzi, che, dopo 20 giorni di durissima occupazione nazista (8 – 28 settembre 1943), si concluse con una rivolta popolare e spontanea contro i tedeschi. Quando nel 2008 sono venuto a conoscenza della scomparsa di Irena Sendler e del suo immenso magistero, la mia vita è cambiata. La sua storia, i suoi collaboratori, hanno preso subito il sopravvento nel mio cuore. Mi domandavo come mai una storia così importante non fosse conosciuta in Italia. Nel gennaio del 2013, in occasione della Giornata della Memoria, ascoltai un’intervista a Elżbieta Ficowska, la bambina più piccola salvata da Irena Sendler dal ghetto di Varsavia, che mi scosse letteralmente! La semplicità con cui “Bieta” – per cui nutro un profondo affetto – raccontava l’operato della Sendler, delle sue staffette, del suo salvataggio, delle sue tre madri, mi travolse così impetuosamente da prendere la decisione di portare in scena la sua vita. Irena mi stava portando per mano, come uno dei suoi bambini. Nell’estate del 2015, decisi di allestire lo spettacolo. Lo avrei fatto a qualsiasi prezzo, anche indebitandomi! Dopo aver rifiutato una scrittura importante presso un teatro prestigioso di Napoli, ho finalmente debuttato (!), grazie anche all’Assessore alla Cultura di Napoli Nino Daniele e alla prof.ssa Suzana GlavašHo ricevuto, per l’interesse culturale del lavoro su Sendler, il patrocinio di Amnesty International, del Consolato Onorario della Repubblica di Polonia in Napoli, del Comune di Napoli e dell’Ambasciata Polacca di Roma.

In Italia, la storia di Irena Sendler era sconosciuta prima dello spettacolo, come è stato accolto dai critici e dal pubblico?

È stato accolto positivamente e riscuote ovunque unanimi consensi di pubblico e di critica, perché è una storia di grande umanità. La soddisfazione di trasmettere allo spettatore il messaggio di bontà della Sendler ha per me un valore inestimabile. Il pubblico è riconoscente ed i commenti sono tantissimi. Un ragazzino di una scuola media di Piano di Sorrento, ha scritto in un tema: “È stato significativo incontrare Roberto Giordano e ringrazio tutti coloro che ci hanno dato l’opportunità di ascoltare i suoi racconti […] conserverò il ricordo delle sue parole.” Ecco: “l’obiettivo è stato raggiunto!” mi sono detto. Per quanto riguarda la critica, il quotidiano Il Roma mi è stato molto vicino, seguendo tutti i miei passi, grazie anche al giornalista Giuseppe Giorgio e ad Anna Gentile. Ma è soprattutto in rete che c’è stata particolare attenzione e molto interesse.

Sia il libro che lo spettacolo sono diventati un progetto a lungo termine, e la sua diffusione una specie di missione, hai in programma di presentare questa storia importante anche in altri paesi?

Lo spettacolo, come del resto il libro, sta avendo una sua evoluzione. Il volume ha avuto già due edizioni: la prima con La Mongolfiera Editrice, di Giovanni Spedicati; la seconda, con Nuvole di Ardesia, di Vincenzo Ambrosanio. La prof.ssa Suzana Glavaš, cui sono infinitamente grato, sta invece lavorando alla traduzione del testo in croato, sotto l’egida della Comunità Ebraica di Zagabria, mentre il prof. Leszek Kazana lo tradurrà a breve in lingua polacca. Portarlo in giro per l’Europa è un sogno che spero tanto si possa realizzare. Purtroppo, non avendo alcuna produzione alle spalle, risulta tutto più difficile. Ma io non demordo! Ciò che si è realizzato è avvenuto solo grazie alle mie forze, ai sacrifici della mia famiglia, e alla sensibilità di quei professori e organizzatori che hanno fatto sì che lo spettacolo venisse rappresentato. Il mio desiderio è trovare un produttore che si affezioni e creda in questo progetto, affinché la storia di Irena Sendler e dei suoi collaboratori possa arrivare a un pubblico sempre più numeroso. Mi auguro, inoltre, che qualche compagnia straniera possa avere il desiderio di portarla in scena.

Tra gli scrittori e i registi polacchi ci sono alcuni che apprezzi in modo particolare?

Grazie anche al blog di Paolo Statuti, nei miei studi ho apprezzato tantissimo autori come Julian Tuwim e Władysław Broniewski, che ho inserito nello spettacolo. Così come ho amato Władysław Szlengel, il poeta del ghetto di Varsavia (“Il Monumento alla Madre” credo sia una delle poesie più belle e struggenti che abbia mai letto) e Jerzy Ficowski (marito di Elżbieta Ficowska), uno dei maggiori poeti polacchi del secondo dopoguerra, che giovanissimo prese parte attiva alla lotta contro l’occupante nazista. È un vero peccato che i suoi libri non siano stati ancora tradotti in italiano, credo che sia un autore che andrebbe studiato e approfondito nelle nostre scuole. Per quanto riguarda il cinema, il film “Il Pianista”, di Roman Polanski, è un vero e proprio capolavoro! “Il Dr Korczak”, di Andrzej Wajda, mi è piaciuto tantissimo. L’ultima scena del film è molto struggente: solo una persona dotata di una sensibilità non comune poteva pensare un finale così poetico. Così come il film “In Darkness”, della regista Agnieszka Holland, di forte impatto, andrebbe visto da tutti. Infine, non potrei non ricordare Krzysztof Kieślowski, il regista della trilogia dei “Tre Colori”. Su tutti però (sono sfacciatamente di parte!) la giornalista e scrittrice Anna Mieszkowska, per il libro “Nome in Codice Jolanta” e il film “Il Coraggio di Irena Sendler”!

Cracovia e il Bel Paese: da Bona Sforza agli italiani di oggi

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Passeggiando per le vie di Cracovia, si possono sentire quasi tutte le lingue del mondo. Eppure, sembra che sia proprio l’italiano a spiccare nella rumorosa Torre di Babele popolata dai molti turisti in visita alla città del mitico re Krak. Lo confermano i dati del municipio: su oltre 2,6 milioni di ospiti stranieri che ogni anno visitano la capitale della Piccola Polonia, quasi 300.000 provengono dall’Italia. Non si può nascondere che gli italiani siano semplicemente innamorati di Cracovia. La cosa interessante è che la Polonia e la Città Reale Capitale di Cracovia non sono solo un punto di riferimento turistico, ma anche un luogo dove vivere e lavorare, insomma una seconda casa. E chiunque ritenga che si tratti ancora di un trend relativamente recente, venga pure qui a farsi un giretto tra i monumenti più importanti della città, perché non c’è angolo a Cracovia dove non risuoni l’accento italiano, a cominciare dalla collina del Wawel.

Correva l’anno 1518, quando la città, addobbata con tessuti e fiori tra i più costosi, dava il benvenuto alla sua nuova regina. Di quasi 27 anni più giovane del suo futuro marito, la principessa Bona Sforza, giunta in Polonia da Milano, non era soltanto una bellezza dai capelli biondi e con un’immensa dote, ma, come presto si scoprì, una vera rivoluzionaria dall’intelligenza smisurata. Se si chiedesse a un bambino che cosa abbia portato con sé la regina Bona, sicuramente reciterebbe a memoria tutto d’un fiato: carote, cavoli, pomodori e cavolfiori. A corte divenne un’icona della moda nonché autentica trend-setter e, con l’aiuto di Anna Lewandowska, sua contemporanea, fece la rivoluzione nella cucina reale. Ciò che non le si poteva negare era la sua intelligenza e il suo straordinario istinto politico, come scriveva, anche se ironicamente, Mikołaj Rej. Bona Sforza era una donna troppo forte per i suoi tempi, che andava decisamente fuori dagli schemi di quell’epoca. Forse è per questo e per la mancanza di fiducia nei suoi confronti che è sempre stata considerata una straniera. Nessuno pianse per la sua morte, quando venne avvelenata a Bari. Nemmeno suo figlio. Era la regina cattiva che per oltre 30 anni contribuì a creare la potenza degli Jagelloni. In ogni fiaba non può mancare il personaggio cattivo, che nel racconto sull’Età dell’Oro della Polonia è toccato a Bona Sforza. Benché non fosse del tutto innocente né esente da ogni colpa, la regina Bona è stata e rimane la più insigne donna italiana nella storia della Polonia e una delle donne più variopinte di Cracovia.

Oggi per gli italiani che vivono nella città del mitico re Krak è tutto certamente molto più semplice rispetto a come andavano le cose per i loro connazionali giunti nel XVI secolo. Nonostante Giada viva e lavori a Cracovia da diversi anni, ciò che le manca più di ogni altra cosa è ovviamente la famiglia, ma pensa spesso con nostalgia anche al sole, al mare e alla cucina della sua Liguria. È molto probabile che Bona Sforza stesse pensando la stessa cosa mentre era in viaggio verso la sua nuova casa. La Polonia e l’Italia sono diverse tra loro sotto molti aspetti, dalle abitudini alimentari alla concezione della famiglia, eppure Giada si è ambientata molto bene nella capitale della Piccola Polonia. Mostra ai turisti non solo la città, ma anche l’intero paese. Insegna pure italiano, instillando nei polacchi l’amore per il Bel Paese. Quando la interrogo su un eventuale confronto tra Cracovia e Genova, sua città natale, ribadisce che l’affascina davvero tanto il fatto che la città polacca brulichi di vita e che sia piena di giovani, sempre più rari, purtroppo, nel capoluogo ligure.

Fa notare la stessa cosa Asia, che si è trasferita qui da Roma tre mesi fa. Questa città è viva, rimarca fin dall’inizio. “Se non ci fosse stata Roma, allora Cracovia sarebbe stata Roma” dice un vecchio proverbio polacco. Nata a Roma, ora Asia studia giornalismo in una delle università cittadine e ammette che Cracovia le ricorda davvero la Città Eterna. Cambiare casa è stato difficile per lei, anche se un po’ di sangue polacco le scorre nelle vene. Malgrado ciò, i suoi dubbi e le sue paure verso una cultura diversa sono stati placati quando è entrata in contatto con l’ospitalità e la gentilezza dei polacchi. Oggi, dopo alcuni mesi, dice che qui si sente a suo agio, ma resterà sempre una ragazza italiana. Per ora si sente ancora “una straniera” e la Polonia non sarà la sua seconda casa fino a quando non ne conoscerà la cultura da cima a fondo. Può darsi però che con il tempo cambi. Anche se, come la regina Bona, non appena sentirà per una via di Cracovia l’armoniosa melodia della lingua italiana, di certo penserà per un po’ a casa. I suoi pensieri correranno insieme a quella melodia fino alla Città Eterna, dove volteggeranno tra le rovine del Foro Romano per sfiorare il bianco marmo dell’Arco di Tito, sussurrare di notte tra gli aranci dell’Aventino e poi, attraverso il buco della serratura, far ritorno a Wawel, dove poter sentire tra le arcate dei portici attorno al cortile l’eco della storia di una bella donna di Bari.

Gestione contabile di una società a responsabilità limitata

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In questo articolo siamo ad indicare a livello generale le regole di funzionamento principali per quel che riguarda la gestione contabile di una società polacca a responsabilità limitata (in polacco “Sp. z o.o.”).

Si ricorda che per ulteriori approfondimenti, il nostro Studio resta a completa disposizione.

Ogni società polacca a responsabilità limitata è obbligata a tenere la contabilità in conformità alle leggi nazionali vigenti.

Con riferimento alle imposte indirette, esiste l’Imposta sul Valore Aggiunto (VAT), il cui funzionamento è molto similare a quello italiano e degli altri Paesi dell’Unione Europea: essa viene applicata su tutte le transazioni di servizi e merci che avvengono nel territorio polacco e sulle merci che vengono importate dall’estero, ma sono previste anche delle categorie di operazioni esenti. Le aliquote sono del 23% (per la maggioranza dei prodotti), ma sono presenti anche delle aliquote ridotte dell’8% e del 5%.

La dichiarazione in ambito VAT va presentata per tutte le società neo costituite ogni mese entro il giorno 25 del mese successivo a quello di riferimento. Dopo il primo anno di attività sarà possibile, previa richiesta, presentare le suddette dichiarazioni con cadenza trimestrale.

Con l’inizio dell’anno 2018 sono entrati in vigore diversi nuovi obblighi, uno fra tutti, è stato esteso anche alle micro imprese l’obbligo di inviare mensilmente (sia che le dichiarazioni VAT vengano presentate mensilmente sia che vengano presentate trimestralmente) in forma elettronica al Ministero delle Finanze le registrazioni VAT delle fatture sia di vendita che di acquisto.

Per quanto concerne le imposte dirette, anche in Polonia troviamo l’Imposta sul Reddito delle Società (in polacco “CIT”, corrispondente dell’italiana IRES). L’imposta CIT deve essere dichiarata e versata ogni mese. Dopo la fine dell’anno fiscale, viene redatta la dichiarazione annuale per il conguaglio. L’imposta CIT viene calcolata in generale con un’aliquota del 19% ma dal 2017 è stata prevista un’aliquota preferenziale del 15% per tutte le società neo costituite (per il loro primo anno di attività) e per tutte le società che rientrano nella categoria c.d. del “piccolo contribuente”.  Il piccolo contribuente è quel soggetto il cui valore dei ricavi provenienti dalle vendite non ha superato nel precedente anno fiscale il controvalore in zloty polacchi dell’importo pari a 1,2 milioni di euro.

La dichiarazione CIT annuale deve essere presentata entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello di riferimento.

Per quanto riguarda, invece, l’obbligo di redazione, approvazione e deposito del bilancio finale d’esercizio, esso dev’essere approvato dall’Assemblea dei Soci entro il 30 giugno e depositato presso l’Agenzia delle Entrate locale (Urząd Skarbowy) entro il 10 luglio o comunque entro 10 giorni dall’avvenuta approvazione del Bilancio finale d’esercizio e presso il Registro delle Imprese locale (KRS) entro il 15 luglio o comunque entro 15 giorni dal giorno di avvenuta approvazione del Bilancio finale d’esercizio.

Secondo la nuovissima normativa entrata in vigore il 15 marzo 2018, il deposito del Bilancio finale d’esercizio può avvenire solo in via telematica tramite il portale messo a disposizione dal Ministero delle Finanze.

Ricordiamo che quanto sopra rappresenta un’analisi generalissima della gestione contabile di una società a responsabilità limitata in Polonia – per conoscere nel dettaglio tutti gli aspetti procedurali e pratici, non esitate a contattarci.

monica.torretta@ferretti-bebenek.pl; cell: +48 797840782

angelo.ferretti@ferretti-bebenek.pl; cell: +48 797840798

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Smak luksusu czy morskie robale? Stosunek Polaków do owoców morza

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Dla Polaków owoce morza to rzecz dość egzotyczna. Mam wrażenie, że rodacy dzielą się z grubsza na dwie kategorie. Pierwsza grupa to ludzie, którzy uważają, że owoce morza to kulinarna nobilitacja, luksus, coś prawie jakby jedzenie ich było umiejętnością z trudem nabytą, przywiezioną z zagranicznych wakacji. Zachwycają się czwartkowymi dostawami małż, siorbią ostrygi (nawet jeśli uważają, że smakują jak rybie łzy), a zawinięte macki ośmiorniczki wprowadzają ich w instagramową ekstazę. Druga kategoria to „zwykli zjadacze chleba”, najlepiej ze smalcem, w towarzystwie kotleta schabowego i zasmażanej kapusty, którzy na owoce morza patrzą z trwogą, a gdy pytasz ich, czy kiedykolwiek tego próbowali, z obrzydzeniem kręcą głową odpowiadając, że „tych robali by nie dotknęli”. Na swoją obronę tłumaczą, że są „patriotami”, a ich nacjonalizm przejawia się w zamiłowaniu tylko i wyłącznie do polskiej kuchni (czasem jedynie pozwalają sobie na kebab).  

Wszystko jest kwestą punktu widzenia, ale obie te postawy są, jak dla mnie, nieco niedorzeczne.

W wielu krajach morskie stworzenia, po włosku zwane “frutti di mare”, przez setki lat były podstawą codziennej diety. Spożywało je zarówno pospólstwo, jak i arystokracja. W krajach śródziemnomorskich są one powszechne jak nasze ziemniaki, nikt nie traktuje ich jak czegoś luksusowego, ani tym bardziej snobistycznego. Małże (cozze, vongole), krewetki, kalmary je się na co dzień z makaronem lub ryżem; są idealnym źródłem białka, a przygotowuje się je w sposób szybki i nieskomplikowany. Włoskie bambini z zapałem wysysają resztki z główek skorupiaków, a ulubioną streetfoodową przekąską jest fritto misto, czyli kalmary, krewetki i sardynki w delikatnym cieście, smażone na głębokim tłuszczu. Ceny morskich przysmaków są zależne od sposobu podania i wybranych gatunków i wiadomo, że krab czy homar to delicje, za które trzeba zapłacić. Opisując Wam powyższe chciałam zwrócić uwagę na to, że nie bardzo przystoi lansować się jedząc owoce morza, bo to normalne jedzenie, zresztą coraz częściej dostępne w Polsce, świeże i w przystępnej cenie. Najbardziej zaskakującym prostotą daniem z owocami morza, jakie miałam okazje spróbować, było riso, patate e cozze czyli dosłownie ryż, ziemniaki i małże, potrawka prosto z Bari, która od pokoleń ratowała od głodu, a w dodatku smakuje zaskakująco dobrze. Z drugiej strony jada się też tak egzotycznych mieszkańców morskich głębin, jak np. jeżowce.

Jeśli chodzi o grupę ludzi, którzy uważają, że owoce morza są obrzydliwe, zacytuję moją mamę: „nie musisz tego zjeść, ale spróbuj”. Może się okazać, że nie ma sensu obrzydzać się smutnym spojrzeniem langustynki, a jej smak może nas pozytywnie zaskoczyć. Jeśli zdecydujemy się po raz pierwszy spróbować owoców morza, wybierzmy się do krajów śródziemnomorskich, w których klimat i zapach świeżej, słonej wody dodadzą im aromatu niczym kieliszek dobrego wina. Nie bądźcie mięczakami i spróbujcie mięczaków!

Nie należy zapominać, że w polskiej kuchni zasłużone miejsce zajmuje podobny do owoców morza rak, co prawda nie morski, tylko słodkowodny, ale równie smaczny, obecnie coraz rzadziej spotykany ze względu na zanieczyszczenie akwenów wodnych.

 

GŁODÓWKA: Tak, ale bez przesady!

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White Plate and Diet

GŁODÓWKA: Tak, ale bez przesady!

Artykuł będzie dość nietypowy jak na rubrykę dotyczącą odżywiania: dziś mianowicie porozmawiamy o “niejedzeniu”, czyli o głodówce. Temat być może i dziwny, ale też nie do końca, z uwagi na to, że wciąż wzrasta zainteresowanie tym zagadnieniem jako praktyką oczyszczania zarówno fizycznego, jak i duchowego. Post przynosi wiele korzyści, jeśli praktykowany w sposób prawidłowy i jako część programu zrównoważonego odżywiania; w przeciwnym razie głodówka może nieść ze sobą poważne ryzyko.

Z organicznego punktu widzenia, dzięki głodówce nasze narządy trawienne (jelita, żołądek, wątroba i trzustka) w końcu otrzymują chwilę zasłużonego odpoczynku. Od wieków post uważany był za jedną z najlepszych leczniczych metod zapobiegania chorobom, natomiast szkoły medycyny naturalnej zgodnie twierdzą, że źródło większości chorób mieści się właśnie w przewodzie pokarmowym. Kiedy poprzez praktykę postu, damy odpocząć naszemu układowi pokarmowemu, wspomożemy wydalenie z organizmu toksyn, nagromadzonych przy procesach przemiany materii.

Jednak przez jak długi czas można nie jeść, a raczej, przez jaki czas należy powstrzymać się od jedzenia, aby zauważyć płynące z tego korzyści? Efekty, jakie później zaobserwujemy zmieniają się w zależności od czasu (godzin bądź dni), jaki przeznaczymy na wstrzymanie się od jedzenia.

Według badań przeprowadzonych na Uniwersytecie w Kalifornii, potwierdzonych także przez inne grona uczonych, w miarę regularna praktyka krótkotrwałej głodówki może zmniejszyć stany zapalne, pobudzić proces odchudzania (utrata tłuszczu) oraz uregulować na jakiś czas metabolizm. Post powinien wówczas być “krótki i przerywany”: około 15 – 18 godzin, po obfitym śniadaniu i lekkim obiedzie. Około godziny 15:00 powinno się wstrzymać od jedzenia aż do poranka dnia następnego, kiedy to także powinniśmy zjeść obfite śniadanie.

Jest to w zasadzie bardzo łatwy w zarządzaniu system, w którym wystarczy tylko nieco przewartościować wieczorną aktywność. Najlepiej, jeśli wówczas położymy się wcześniej spać i prześpimy całą noc. Lepiej więc nie planować postu, jeśli wiemy, że wieczorem będziemy musieli pracować (także umysłowo).

Krótka głodówka pobudza wytwarzanie określonego białka (FSP27), które sprzyja rozpuszczaniu tłuszczu (lipolizie), utrzymując lub zwiększając masę mięśniową. Podsumowując, jeśli planujemy post w celach wyszczuplających, odżywianie niskokaloryczne powinno być ograniczone do kilku godzin i powtórzone nie więcej niż 2 razy w tygodniu, przy regularnym nawadnianiu odpowiednimi ilościami napojów (woda lub niesłodzone herbaty ziołowe).

Jeśli przeraża Was myśl o niejedzeniu, wiedzcie, że największym wyzwaniem nie jest sam głód, ale organizacja nawyków żywieniowych przed i po wstrzymaniu się od jedzenia. Im dłużej jesteśmy na czczo, tym większe jest ryzyko wpadnięcia w pułapkę. Korzyści mogą być zachęcające, ale trzeba mieć pewność, że jest się w stanie sprostać wszystkim związanym z głodówką aspektom.

Po wznowieniu jedzenia po okresie postu, pragnienie, aby wypełnić swój żołądek najgorszą z możliwych żywnością jest bardzo silne. Często rodzi się nieodparta chęć, by zjeść cokolwiek, co może doprowadzić do wybuchu zaburzeń odżywiania: nadmiernego objadania się, karnych głodówek i poczucia winy. Układ pokarmowy, który przez kilka dni mógł odpocząć oraz organizm, który podjął się eliminacji toksyn, nie lubi i niezbyt dobrze znosi agresywny atak niewłaściwych pokarmów.

Sara Cargnello (dietetyk i autorka wielu książek) pisze na swoim blogu MissVanilla: “Powstrzymywanie się od spożywania pokarmów, całkiem lub częściowo, jest aktem skrajnym. Ja porównuję to do kołysania się na huśtawce. Głodówka oznacza rozkołysanie aż do najwyższego punktu, więc siłą rzeczy nieuchronnie prowadzi do przeciwnego ruchu na naszej huśtawce. Co, mówiąc krótko, oznacza niekontrolowane objadanie się zaraz po zakończeniu postu. Nikt przed podjęciem tak ekstremalnych kroków, zwłaszcza po raz pierwszy, nie jest w stanie ocenić jak trudno jest utrzymać równowagę żywieniową po dniach dobrowolnej głodówki. To zadanie trudne, zupełnie jak zatrzymanie huśtawki palcami stóp, gdy porusza się ona z wielką szybkością w drugą stronę, czyli znajduje się w szczytowym momencie swojego ruchu w przeciwnym kierunku. I rzeczywiście, wysiłek jaki wkładamy w utrzymanie odpowiedniej diety po poście, powstrzymując się ze wszystkich sił, aby nie rzucić się na dowolny produkt jaki znajduje się w lodówce, jest równoważny temu, gdy próbujemy zatrzymać rozpędzoną huśtawkę za pomocą palców stóp. Każdy, kto chce spróbować podjąć się głodówki, powinien być świadomy związanych z nią trudności, nie tylko podczas postu, ale przede wszystkim po nim. Osoby te powinny zapoznać się jak najlepiej z tym zagadnieniem i zwrócić do specjalisty, aby ten pomógł odzyskać i utrzymać równowagę żywieniową po zakończeniu głodówki.”

Na szczególną uwagę zasługuje głodówka 24-36 godzinna, zalecana w praktyce Ekadashi. Eka oznacza 1, a Dashi 10, czyli w sumie 11. Ekadashi odpowiada w kalendarzu tradycji wedyjskiej (hinduskiej) jedenastemu dniowi ubywającego księżyca i jedenastemu dniowi półksiężyca (księżyc wzrastający). Innymi słowy, zgodnie z nauką jogi to idealny dzień na głodówkę, bowiem podczas tych dwóch dni cyklu księżycowego następuje przemiana układu limfatycznego w naszym organizmie.

Terminy kalendarza księżycowego z dniami Ekadashi są łatwo dostępne w Internecie. Każda głodówka musi być poprzedzona jednym dniem przygotowania, w którym zaleca się spożywanie warzyw (głównie surowych) oraz owoców sezonowych. Odradza się spożywanie wówczas nabiału, węglowodanów oraz pokarmów o wysokiej zawartości skrobi, kawy, soli, cukru, białka zwierzęcego oraz żywności przetworzonej, która wymaga większego wysiłku układu pokarmowego w celu jej strawienia. Natomiast dzień po poście jest dniem odpoczynku: rozpoczynamy spożywanie pokarmów od spożycia owocu sezonowego, stopniowo dodając kolejne rodzaje żywności, utrzymując przy tym jednak dietę warzywną do końca dnia.

Bez jedzenia, ale nigdy bez napojów! Podobnie jak wszystkie inne, nawet praktyka postu Ekadashi przewiduje spożycie dużej ilości wody, najlepiej z dodatkiem cytryny i (dla tych bardziej odważnych) ze szczyptą soli.

Jeśli temat ten Cię zaintrygował, technologia, jak zwykle, nadciąga z pomocą. Gdy zerkniecie do App Store w Waszym telefonie, będziecie zaskoczeni jak wiele jest aplikacji poświęconych temu tematowi! Na przykład, aplikacja Ekadashi Reminder przypomina ile dni pozostało do kolejnej głodówki według kalendarza księżycowego. Co więcej, możecie także ustawić przypomnienia.

Na koniec wskazówka: głodówka działa oczyszczająco w (prawie) każdej postaci, jeśli wykonujemy ją od czasu do czasu przez niezbyt długi okres czasu. Jednak w przypadku występowania chorób, patologii organicznych (zwłaszcza, jeśli dotyczą układu trawiennego) lub psychiatrycznych, w przypadku wyjątkowych stanów fizjologicznych (ciąża, karmienie piersią), w okresie młodzieńczego wzrastania lub w przypadku osób w podeszłym wieku, stosowanie terapeutycznej głodówki jest niewskazane.