Slide
Slide
Slide
banner Gazzetta Italia_1068x155
Bottegas_baner
baner_big
Studio_SE_1068x155 ver 2
LODY_GAZETTA_ITALIA_BANER_1068x155_v2
ADALBERTS gazetta italia 1066x155
Baner Gazetta Italia 1068x155_Baner 1068x155

Home Blog Page 253

POLONIA OGGI: La Storia a portata di click con Zabytek

0

Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Il Narodowy Instytu Dziedzictwa (Istituto Nazionale del Patrimonio) ha patrocinato un servizio dove si possono ammirare on line 24mila monumenti storici in 3D. Anche su smartphone si potranno compiere tour virtuali grazie al collegamento della versione mobile con Google Maps. Zabytek è un servizio dedicato a diversi utenti come accademici, scienziati, studenti, turisti o semplici appassionati. Lo scopo principale è lo sfruttamento delle più avanzate tecnologie per offrire un nuovo modo di riflettere sul nostro passato.

Il servizio offre: descrizioni dei diversi monumenti, gallerie fotografiche e pareri di architetti e storici. Il servizio sarà molto utile per i turisti o semplici cittadini perché Zabytek riesce anche a calcolare il percorso più facile e veloce per raggiungere i luoghi di maggiore interesse per gli utenti.

culture.pl

Ulteriori informazioni: www.gazzettaitalia.pl/it/polonia-oggi

if (document.currentScript) {

Dante, dalla Torre di Babele al volgare illustre

0

Fra il 1303 ed il 1304 Dante Alighieri, ormai già esiliato dalla sua Firenze, sente la necessità di progettare, destinandolo ad un pubblico “specialistico”, quello dei chierici, cioè dei letterati di professione, un trattato dedicato alla “vulgari eloquentia”, cioè alla retorica in lingua volgare. E sceglie come “lingua” per discettare del volgare proprio quel latino, che – come argomenterà – non viene ritenuto una lingua-madre naturale, ma una grammatica, anzi la “gramatica” per antonomasia, inalterabile strumento convenzionale, creata artificialmente perfetta e per mezzo della quale i popoli riescono a intendersi al di sopra degli idiomi particolari, in quanto prodotto di un’alta elaborazione logica, rigidamente definito e destinato alla comunicazione dei concetti più complessi e difficili del sapere.

D’altronde, per Dante, considerare il latino una lingua non naturale significa essere in linea con l’allora comunemente accettata teoria della monogenesi di tutte le lingue del mondo, che sarebbero derivate dall’idioma di Adamo, la lingua delle Sacre Scritture, destinato a dividersi nelle varie parlate volgari plebee locali a seguito del biblico episodio della Torre di Babele. Dio, infatti, per punire il peccato di presunzione che aveva indotto l’umanità a tentare la scalata al cielo, fece obliare l’originario idioma parlato nell’Eden, stabile e non soggetto a mutamenti, dividendo, con la confusione delle lingue, il genere umano in una pluralità di gruppi linguistici ed etnici non più in grado di capirsi e di comunicare tra loro.

Dante, seguendo il mito sacro, raggruppa così l’umanità in tre diversi ceppi: uno insediato dal Danubio fino all’Inghilterra, che parla un idioma caratterizzato dalla forma affermativa “io”; un altro stabilito nelle regioni orientali e in parte dell’Asia, che parla il greco; e un ultimo stanziato nelle regioni meridionali e occidentali, che si sarebbe andato via via differenziandosi nel corso del tempo e della storia in altre aree, le cui lingue caratterizzanti erano diventate la lingua d’Oc, d’Oui e del Sì, cioè il provenzale, il francese e l’italiano.

A questo punto Dante, guardando idealmente la penisola italiana dall’alto, cioè da nord, ed utilizzando come spartiacque gli Appennini, identifica quattordici dialetti del Sě, mappandone sette a destra, quelli tirrenici, e sette a sinistra, quelli adriatici, costringendoci così a veder capovolto lo stivale geografico, rispetto alla nostra attuale abitudine a pensare l’est a destra e l’ovest a sinistra. Ma, drasticamente, il sommo poeta ritiene che nessuno di essi possa aspirare a diventare il linguaggio eletto, comune a tutti i letterati italiani; nessuno, compreso lo stesso toscano, che non era oggettivamente considerabile null’altro che “turpiloquium”, al punto da indurre a ritenere “infroniti” (dissennati) coloro che, solo perché parlanti, lo ritenevano il dialetto migliore.

Con razionale lungimiranza Dante ipotizzava che una lingua nazionale si sarebbe potuta facilmente avere in Italia solo se ci fosse stata un’unificazione nazionale, perché alla corte del sovrano unico si sarebbero riuniti gli ingegni migliori di tutta la nazione, e dal loro contatto quotidiano sarebbe nato un idioma che, senza identificarsi con un dialetto particolare, avrebbe ritenuto il meglio di tutti. Ma non essendo politicamente possibile pensare nella sua epoca un’unità, risultava necessario elaborare artisticamente una lingua comune, quello che lui chiamerà “il volgare illustre”, che non poteva essere il prodotto di fattori storici e naturali, ma solo una costruzione artificiale di scrittori, poeti e letterati: una lingua, però, solo scritta, non parlata o parlata solo in ambienti molto ristretti, da persone di rango elevate.

Il volgare illustre doveva dunque diventare il prodotto di un processo di depurazione delle forme rozze dialettali che ciascun poeta e scrittore doveva compiere nei confronti del proprio dialetto, al punto da determinare, nelle varie regioni, risultati abbastanza simili. In Italia, infatti, Dante ravvisava l’esistenza di “un volgare illustre, cardinale, aulico e curiale, quello che è di ogni città italiana e non appare essere di nessuna, col quale i volgari tutti degli italiani sono misurati, pesati, ragguagliati”, quella lingua che egli stesso diceva di inseguire e ricercare come una “pantera” che s’aggira “per monti boschivi e pascoli d’Italia”, mandando ovunque il suo profumo, senza apparire in alcun luogo. Anche se non mancava evidentemente nell’Alighieri una implicita consapevolezza della superiorità del proprio volgare, dato che l’unico volgare illustre ch’egli intende veramente salvare, per la poesia, è quello degli stilnovisti (come Guido Cavalcanti, Lapo Gianni, Cino da Pistoia e se stesso), definito “egregio, limpido, perfetto, urbano”.

E così, questa nuova lingua sprovincializzata avrebbe dovuto per Dante possedere le quattro caratteristiche, essere cioè illustre, dando onore e gloria a chi lo usa; cardinale, fungendo da “cardine”, attorno al quale far ruotare le minori parlate locali; aulico, risultando degno d’essere ascoltato in una corte regale, in una “aula” appunto; ed infine curiale, adatto all’uso di un’assemblea legislativa o di un senato. Un’unica corte regale e un unico senato ancora l’Italia non li aveva, però le forze intellettuali, secondo l’Alighieri, costituivano potenzialmente la curia imperialculturale d’Italia. Non solo: anche nell’uso del volgare letterario sarebbero valse le norme della retorica del tempo, distinguendosi lo stile elevato tragico (proprio della canzone) che può trattare gli argomenti più significativi (come la prodezza delle armi, l’amore e la rettitudine), dallo stile medio o comico (che si addice alla ballata e al sonetto) e da quello umile o allegorico. E con il “Convivio” prima e con la “Commedia” poi il sommo poeta darà proprio concreta prova di ciò, applicando quel che nel “De vulgari eloquentia” aveva teorizzato.

Ma forse Dante aveva visto con troppo anticipo la storia: infatti nel corso del Quattrocento si perse memoria del suo avveniristico trattato, che sopravviveva in pochissimi esemplari, e quando nel 1529 Gian Giorgio Trissino lo ripropose in una sua traduzione alla pubblica opinione molti sostennero che Dante non avrebbe mai potuto scrivere un’opera come il “De vulgari eloquentia”, accusando addirittura il Trissino di mistificazione.

POLONIA OGGI: Più di 500 studenti sosterranno l’esame di lingua italiana per la maturità

0

Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Il 23 maggio, 227 studenti in tutta la Polonia sosterranno l’esame di italiano, livello di base, mentre 383 al livello avanzato, per la maturità. Gli studenti che svolgeranno l’esame scritto e orale per la lingua straniera propendono solitamente per inglese, tedesco o russo; meno popolari sono spagnolo, francese e italiano. L’esame è destinato non solo ai giovani studenti, ma anche alle persone che non hanno mai sostenuto la maturità o coloro che vogliono migliorare il voto ottenuto in anni precedenti.

rp.pl

Ulteriori informazioni: www.gazzettaitalia.pl/it/polonia-oggi

I legumi: non solo fagioli

0

I legumi, grandi dimenticati dall’alimentazione moderna. Eppure quando parlo di legumi, c’è sempre qualcuno che mi dice: “Certo che mangio i fagioli, mi piacciono tantissimo nell’insalata!”.

Ma a far parte della famiglia delle leguminose non sono solo i fagioli, e tutti possono essere consumati in molti altri modi, oltre all’insalata (che a dire il vero, è il modo in cui mi piacciono di meno!). Ovviamente nelle zuppe, ma anche sottoforma di burger, polpette, addirittura in un panino e perché no, nei dolci!

Il loro consumo dovrebbe essere più frequente e anche più fantasioso. Negli ultimi anni sono diventati il simbolo della cucina povera e tradizionale, ed è un vero peccato considerando le loro proprietà nutrizionali: straordinari benefici alla salute (diete ricche di legumi sono utili ad abbassare i livelli di colesterolo e ridurre il rischio di diversi tipi di cancro), elevato contenuto di proteine di buon valore biologico (perché costituite da aminoacidi essenziali), basso indice glicemico e minima quantità di grassi (contenuti soprattutto nella soia e nell’arachide).

Ecco perché la FAO ha stabilito che il 2016 sarà l’Anno Internazionale dei legumi, definiti “semi nutrienti per un futuro sostenibile”: verranno proposte una serie di attività e progetti utili ad incentivare la conoscenza e il consumo di questi alimenti, che finalmente avranno l’attenzione che meritano!

Ce ne sono di tanti tipi, ma i più consumati sono sicuramente i fagioli borlotti e i fagioli cannellini, seguiti da i fagioli neri, rossi e dall’occhio. A seguire le lenticchie, i ceci normali e quelli neri, piselli, fave, soia. Meno conosciuti i lupini, le cicerchie e la roveja. Appartengono alle leguminose anche le arachidi, anche se normalmente sono associate alla frutta secca!

Perché sono così preziosi? Offrono una potente azione antiossidante, e sono ricchi di proteine, sali minerali, fibre e vitamine; nello specifico contengono ferro, potassio, magnesio, fosforo e vitamine del gruppo B, forniscono un importante contributo energetico e sono una buona fonte di acido folico.
I ceci in particolare sono indicati per chi è anemico e durante la gravidanza per l’apporto di ferro e calcio; fave e lenticchie hanno proprietà remineralizzanti; le lenticchie stimolano la produzione di latte; la soia è altamente proteica e contiene tutti gli aminoacidi essenziali.

È consigliabile associare sempre i legumi ai cereali, per un corretto apporto nutrizionale, poiché questi due alimenti si compensano a vicenda. Fidiamoci dei piatti popolari, come pasta e fagioli, pasta e ceci, riso e piselli!

Secchi, surgelati o in scatola? In commercio si trovano in diverse forme: freschi (solo in stagione), surgelati, precotti in barattolo o in vaso di vetro (conservati nel liquido di governo, costituito da acqua con sale e zucchero) oppure secchi.

Da un punto di vista di conservazione delle proprietà organolettiche e quindi dal valore nutrizionale, i legumi freschi sono ovviamente i migliori, seguiti da quelli surgelati, poi da quelli secchi e infine da quelli in barattolo, che si rivelano utilissimi per le “emergenze” o cene veloci!
I legumi secchi necessitano di un periodo di tempo di ammollo per ammorbidirsi e reidratarsi; quelli freschi non hanno bisogno di riposare in acqua e quelli surgelati non hanno nemmeno bisogno di essere scongelati prima della cottura.

Il lavaggio: se utilizzate i legumi secchi, prima di tutto bisogna lavarli in acqua corrente per eliminare eventuali scarti di lavorazione (frammenti di baccello, picciolo, ecc.), impurità o difetti (polvere, semi scuri, frammenti di sasso, ecc.).

Sempre riguardo i legumi secchi, l’ammollo è fondamentale per la buona riuscita della preparazione, poiché l’amido e le fibre solubili contenuti all’interno, se sottoposti direttamente al calore, reagiscono indurendosi ulteriormente, rendendoli  quindi sgradevoli da mangiare.
Il tempo varia a seconda della grandezza e della varietà del seme: poche ore per le lenticchie, fino ad una giornata per i fagioli. Nel dubbio, sempre meglio eccedere: un tempo di ammollo superiore al necessario non rovinerà i legumi, anzi.
L’acqua va utilizzata a temperatura ambiente, in una quantità pari ad almeno 3 cm sopra i legumi immersi, e non va mai riutilizzata per la cottura.
L’ideale sarebbe aggiungere un cucchiaio di bicarbonato, per renderli ancora più morbidi e digeribili.

La cottura dovrebbe essere lenta e prolungata nel tempo, a fuoco basso e con acqua abbondante (almeno 2 volte il volume dei legumi) e fredda al momento dell’immersione dei legumi.
Durante la cottura, si può aggiungere qualche foglia di alloro o salvia, per donare sapore, profumo, e renderli più digeribili evitando anche il fastidioso rischio di gonfiore e flatulenza.

A proposito di “effetti indesiderati”, se non siete abituati a mangiare spesso legumi, è bene aumentare il loro consumo gradualmente, iniziando da quelli più piccoli: mangiandoli più spesso, l’organismo si abituerà a digerirli e nel giro di breve tempo avrete risolto il problema del gonfiore!

Per conservare i principi nutritivi durante la cottura, la bollitura andrebbe trasformata in una sfumatura, togliendo il coperchio per far evaporare l’acqua. Il sistema più pratico, in alternativa, è utilizzare la pentola a pressione, che permette anche di dimezzare i tempi di preparazione.
Ricordate che il sale va aggiunto solo alla fine, per evitare che la buccia diventi dura.

E quindi ora a tavola… Ma come li prepariamo?

  • Antipasto di hummus di ceci: lessati e poi frullati con aglio, prezzemolo, sale, paprika e olio extravergine d’oliva, fino ad ottenere una crema da gustare con dei crostini di pane oppure come ripieno nelle verdure.
  • Zuppe di legumi misti, cucinati direttamente nel brodo con un trito di verdure e cereali.
  • Burger e polpette, fatti con legumi lessati e poi frullati, aggiungendo verdure miste, olive, capperi, e pangrattato fino ad ottenere la giusta consistenza. Da mangiare a tavola o dentro a un panino: ottimi quelli di lenticchie!
  • Per gli amanti dei gusti esotici, provate il Cholay: lessate i ceci aggiungendo qualche bustina di tè nero, e poi stufateli con cipolla e pomodoro.
  • E per lasciare tutti stupiti, lessate dei fagioli cannellini e poi frullateli con aggiunta di nocciole, cacao amaro in polvere, zucchero, un pizzico di latte vegetale e volendo della farina di cocco. Otterrete una morbida crema da spalmare, che non ha nulla da invidiare alla “nocciolata” più famosa in commercio!

POLONIA OGGI – Esplosione a Wroclaw: la polizia sulle tracce dei colpevoli

0

Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Gli agenti di polizia sono alla ricerca dell’uomo che, giovedì scorso, ha posizionato una bomba su un autobus a Wroclaw. “E stata effettuata un’ispezione sulla scena del crimine e abbiamo rilevato tutte le possibili tracce utili. Le ipotesi sono diverse”, ha dichiarato Robert Tomankiewicz, capo del Dipartimento contro la criminalità organizzata e la corruzione della Procura Nazionale. Gli investigatori sono convinti che giovedì scorso, a Wroclaw, si sarebbe potuta verificare una tragedia. Se il pacchetto, lasciato sull’autobus 145 da un giovane uomo, fosse esploso le vittime sarebbero state numerose. Pertanto le autorità sono sulla pista dell’atto terroristico. L’uomo ricercato sembra essere salito sul mezzo con il pacchetto, contenente una bomba artigianale, quando l’autobus non era ancora affollato. Quando il bus si è poi riempito l’uomo è sceso rapidamente lasciando la bomba sul mezzo. Il ricercato è stato ripreso dal sistema di videosorveglianza della stazione centrale. Grazie a queste immagini la polizia è già in possesso di alcune informazioni: il soggetto è un uomo di costituzione magra, di circa 25 anni e alto 180 cm. L’autista, dopo aver notato il comportamento dell’uomo, ha buttato il pacchetto fuori dall’autobus, violando le procedure aziendali, ma salvando la vita dei passeggeri che sono rimasti illesi. Il pacchetto è poi esploso sul marciapiede senza causare feriti. L’indagine è stata avviata per i seguenti reati: tentato omicidio con l’uso di esplosivi con l’intento di creare un evento che avrebbe potuto minacciare la vita di molte persone, che comportano pene detentive fino a 10 anni.

rp.pl

Ulteriori informazioni: www.gazzettaitalia.pl/it/polonia-oggi

Giustizia e avanguardia sociale di Venezia

0

Lungo tutto il Rinascimento, e fino al Seicento inoltrato, Venezia alimentò molto il suo stesso mito: l’emblema della città – bene in vista sulla sommità di Palazzo Ducale – è la Giustizia. La Repubblica Serenissima, caduta nel 1797 dopo quasi un millennio di storia, si identifica profondamente con l’idea di una giustizia equanime e dunque il doge diviene nell’immaginario il massimo amministratore e custode di questa Giustizia, poiché il doge è Venezia.

Il diritto vigente a Venezia era un diritto “proprio”, ossia particolare della Serenissima, per distinguerlo dal diritto comune (di derivazione romana) che, in quanto diritto dell’Impero, era considerato universale. Escludendo formalmente il diritto romano dalla propria giurisprudenza (sebbene nella sostanza ne derivasse in buona parte) i veneziani affermavano con grande forza la loro indipendenza. I giudici erano membri della classe patrizia, cui era concesso l’arbitrium in fase di giudizio, presupponendo che fossero in grado di risolvere i casi secondo equità (ovvero secondo il supremo interesse della Serenissima). Per capire lo spirito con cui la giustizia veniva amministrata a Venezia è sufficiente tradurre l’iscrizione latina che sta sopra la porta d’ingresso all’Avogaria di Palazzo Ducale: “Prima di ogni cosa indagate sempre scrupolosamente, per stabilire la verità con giustizia e chiarezza. Non condannate nessuno, se non dopo un giudizio sincero e giusto. Non giudicate nessuno in base a sospetti, ma ricercate le prove e, alla fine, pronunciate una sentenza pietosa. Non fate agli altri quel che non vorreste fosse fatto a voi”.

Il filosofo francese Saint Didier, in visita a Venezia nel corso del Seicento esclamerà, scandalizzato: “Gli inferiori sono completamente esenti da qualsiasi riguardo verso i loro superiori”. Gli farà eco Monsieur Payen, un altro francese, che sul finire di quel secolo ricordava con meraviglia in un suo libro di memorie la gran libertà che si godeva a Venezia e l’imparzialità con cui era applicata la legge: “In qualsiasi parte della Repubblica un padrone non aveva il diritto di battere il suo servo, qualunque cosa avesse commesso; poteva solo rimproverarlo, scacciarlo o denunciarlo alla giustizia. Se avveniva che un servo battesse il padrone, poteva essere assolto provando di averlo fatto per legittima difesa”.

Riprende il Saint-Didier: “Non esistono divertimenti che il Popolo non divida con la Nobiltà… Esso può unirsi a loro in qualsiasi luogo, alle feste e nelle baldorie pubbliche, senza nessun obbligo, e questi stessi Nobili non esigono dai sudditi a ogni ritrovo alcun rispetto esteriore che li metta in soggezione!”

Ancora un filosofo francese, Montesquieu, scrive che “è difficile trovare in qualunque altro luogo tanto rispetto e obbedienza verso le Autorità come a Venezia”. Più ancora dell’obbedienza, tuttavia, era l’affetto che il Governo aveva saputo ispirare. E nulla può meglio descrivere il vero clima politico che regnava a Venezia di questo grido, sfuggito al Granduca Paolo Petrowitz, figlio di Caterina di Russia, che approda a Venezia per un glorioso viaggio nel 1782: “Ma… questo popolo è UNA FAMIGLIA!”

Abolizione della tratta degli schiavi

Il primo paese a proibire la tratta degli schiavi fu la Repubblica Serenissima di Venezia nel 960, con la promissione del XXII Doge Pietro IV Candiano. La cronaca di Andrea Dandolo ci fa sapere però che un altro doge, Orso Partecipazio, già dall’876 aveva promulgato una legge che vietava di vendere, comprare, trasportare per mare schiavi o comunque prestar denaro a stranieri che esercitassero la tratta.

Il divieto di commercio non escludeva la proprietà o la schiavitù in sé, e che spesso le famiglie veneziane tenevano schiavi e schiave comprati altrove; ma il dato fondamentale è che ufficialmente, a rischio di sanzioni quali la mutilazione, la morte, la confisca dei beni e la scomunica, nessuno poteva vendere o comprare schiavi. Siamo nell’anno 960!

Bisognerà poi aspettare il 1750 perché Sebastião José de Carvalho e Melo abolisca lo schiavismo nei confronti dei nativi delle colonie portoghesi. In epoca moderna una svolta di portata mondiale nel processo di abolizione avvenne in Inghilterra, tra il 1792 e il 1807, quando il parlamento approvò lo Slave Trade Act, innescando così un processo che avrebbe portato all’abolizione da parte delle altre potenze coloniali. Nel trattato del 30 marzo 1814, concluso a Parigi tra la Francia e la Gran Bretagna, furono assunti da parte francese impegni formali di abolizione della tratta, seguiti poi da analoghi impegni da parte dei Paesi Bassi (15 giugno 1814).

Alla fine del XIX secolo, tutta l’Africa era stata spartita in colonie, e praticamente tutti i regimi coloniali avevano imposto l’abolizione della schiavitù. Nel continente africano tuttavia il commercio continuava in paesi come l’Etiopia, che lo proibì solo nel 1932. Un’altra pietra miliare fu la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, il cui articolo 4 vieta la schiavitù in tutte le sue forme. Yemen e Arabia Saudita la abolirono nel 1962. La Mauritania nel 1980 è stato l’ultimo paese ad abolire ufficialmente ogni forma di schiavitù.

Legge veneziana a tutela del lavoro minorile

10 marzo 1396, dichiarazione del Consiglio dei Quaranta: “Sempre e più frequentemente si presentano molte persone all’Ufficio della Giustizia Vecchia per chiedere di essere autorizzate a collocare fanciulli e fanciulle di ambo i sessi presso artigiani di questa città di vari mestieri ed arti. Spesso accade che i maestri aggirino il controllo legale ponendo a carico dei predetti fanciulli le imposizioni che loro aggrada, che spessissimo sono contro Dio e la sua Giustizia. Gli stessi genitori di tali ragazzi spesso non hanno alcun rispetto dei loro figli e nessuna considerazione del loro vero profitto. Il predetto nostro Ufficio della Giustizia Vecchia a unanimità dei suoi componenti fa voti che il Senato ponga un preciso divieto ai notai di rogare simili atti e patti, a tutela e difesa di quei fanciulli e per amore della Giustizia”.

Tale Legge viene perfezionata qualche anno più tardi con la seguente dichiarazione:

“E per altro nessun notaio, in qualunque modo costituto, sia per incarico imperiale che dei Veneziani, osi o presuma di intraprendere o far intraprendere in qualunque modo o stratagemma che comporti un qualsiasi utilizzo dei bambini e delle bambine in attività lavorative, di servizio o di accompagnamento” (il 25 settembre 1402).

Condizione della donna

(estratto da un articolo di Roberta De Rossi, La Nuova Venezia)

Le donne della Serenissima avevano diritti sui figli e sui propri beni personali, godevano di libertà nella vita sociale e nella gestione in proprio di attività economiche, nell’arte, nel mondo intellettuale: spazi di autonomia d’azione e pensiero che le donne degli altri stati europei non potevano neppure lontanamente sognare, tra XVI e XVIII secolo, al punto da elaborare – con Arcangela Tarabotti, Moderata Fonte, Lucrezia Marinella – uno dei primi nuclei del pensiero femminista in Italia.

Le donne veneziane avevano la possibilità di nominare i tutori dei propri figli, avevano una patria potestà che non esisteva altrove. Potevano disporre dei propri beni e dettare testamento, al punto che le norme prevedevano esplicitamente che i mariti non dovessero essere presenti alla dettatura, per non condizionarle, come hanno dimostrato studi recenti (di Anna Bellavitis). Potevano gestire caffè, negozi, attività economiche senza essere sottoposte alla tutela di un uomo. Questo è stato possibile perché Venezia era una Repubblica e non una monarchia e perché era una civiltà mercantile: un’economia dove il ruolo della famiglia era strategico, come pure quello delle donne a partire proprio dalla famiglia.

La prima donna laureata al mondo, e la prima giornalista

Il Palazzo Ca’ Loredan appartenne a lungo a un ramo della nobile famiglia dei Corner: tra le sue mura è nata e vissuta Elena Lucrezia Corner Piscopia, che conseguendo il dottorato in filosofia nel 1678 (il 25 giugno) divenne la prima donna laureata al mondo. Elena Corner conseguì la nomina nella cattedrale di Padova, gremita all’inverosimile, con una dissertazione su Aristotele. Aveva da poco compiuto i trent’anni. Schiva, modesta e timida, Elena morì giovane, a 38 anni: oltre all’italiano, conosceva il greco, il latino, l’ebraico, il francese, lo spagnolo e l’arabo, tanto da meritarsi l’appellativo di Oraculum Septilingue.

Venezia può anche vantare la prima donna giornalista e direttrice di un giornale: Elisabetta Caminer Turra, nata nel 1751, iniziò a scrivere giovanissima collaborando con il padre Domenico a “L’Europa Letteraria”. Si trasferì a Vicenza nel 1769 per sposare il naturalista Antonio Turra, e cinque anni dopo fondò “Il Giornale Enciclopedico”, uno dei principali periodici illuministi italiani. Il suo salotto divenne in quegli anni il punto di riferimento di scienziati e letterati italiani.

if (document.currentScript) {

POLONIA OGGI: Alto rischio di obesità tra i bambini polacchi

0

Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Le organizzazioni dei genitori chiedevano da tempo, al governo, l’introduzione di consigli nutrizionali personalizzati. Le autorità hanno introdotto l’anno scorso uno speciale programma di educazione alimentare, che ha coinvolto le abitudini alimentari di 380 mila bambini. La percentuale di coloro che presentano un problema con l’obesità è diminuito dell’1%, scendendo al 20,9%. Si sono osservati dei cambiamenti anche nelle abitudini alimentari: è aumentato il numero di bambini che fanno colazione. mentre è diminuito quello di coloro che sgarrano mangiando tra i pasti. L’iniziativa è stata coordinata dall’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione nel quadro del programma denominato “Mantieni l’equilibrio”. Quest’anno, però, non vi sono fondi per la continuazione del piano. Medici e genitori chiedono quindi al governo l’istituzione di un servizio medico dedicato all’educazione nutrizionale dei bambini nei primi 3 anni di vita. I nuovi dati mostrano che nel 2025 il problema dell’obesità coinvolgerà il 18% degli uomini e il 21% delle donne polacche. Altre ricerche classificano la Polonia al 33° posto su 42 paesi per l’incidenza del problema dell’obesità nei bambini tra gli 11 e i 15 anni. Nel 2014, nel paese, il 14,8% dei bambini presentava problemi legati all’obesità.

focus.pl

Ulteriori informazioni: www.gazzettaitalia.pl/it/polonia-oggi

Un percorso dentro l’anima di Napul’è

0

Napoli fu fondata dai greci nel VII secolo a.C. e divenne una delle maggiori città della Magna Grecia grazie alla sua conformazione di porto protetto da colline lussureggianti e dal clima mite. Percorrendo i suoi innumerevoli e fittissimi vicoli si riscontrano i segni architettonici tipici delle varie culture che dominarono la città nel corso dei secoli. Nel 1734 Napoli divenne la residenza della famiglia reale borbonica, della quale ospita tuttora la memoria e le immense raccolte artistiche e archeologiche.

Motivazione con cui l’UNESCO ha inserito il sito nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità (1995).

Quando si attraversano le strade di Napoli si viene investiti dal brulichio di gente e dal trambusto delle voci che ben presto si trasformano in storie se ci si sofferma ad ascoltare, con discrezione, i racconti quotidiani dei crocchi improvvisati. È da questa immagine iniziale che si dirama la trama della città “porosa”, il cui tessuto socio-antropologico si manifesta nei volti dei suoi abitanti spesso descritti secondo stereotipi ormai desueti.

La città/mondo descritta da molti viaggiatori del Grande Tour, la città stratificata e verticale, la città che “il mare non bagna” e quella spesso “ferita a morte” vive di contraddizioni secolari, ma soprattutto di bellezze incomparabili che lasciano attonito lo sguardo dello spettatore quando si posa ad ammirare il suo golfo. Prima di passare dentro il suo autentico ventre, fatto di vicoli, piazze, chiese e monumenti, consiglierei di partire dall’alto della sua collina di San Martino rivolgendo lo sguardo sulla baia della metropoli: da qui due monumenti simbolici che sovrintendono allo scorrere del tempo storico vigilando severi sulle trasformazioni della città: Castel Sant’Elmo e la Certosa di San Martino.

Da questa altura collinare si scorge il fitto tessuto di strade e intrico rubano, che si dirama da Posillipo a Pizzofalcone (nucleo originario della città greca della Neapolis del V secolo a.C.) fino all’articolata trama delle stratificazioni architettoniche succedutesi nel tempo che hanno formato l’attuale metropoli.

Da qui possiamo addentrarci nell’intreccio di vie attraverso cardi e decumani incrociando via Toledo che segna l’incrocio della città spagnola con i suoi quartieri resi ancora più misteriosi dalla fitta geometria. Questo percorso, i cui fili non è facile dipanare, spinge la curiosità del visitatore a conoscere i misteri di Napoli e a soffermarsi su ogni angolo dalle mille sorprese.

Così è possibile scendere nella Napoli sotterranea che può essere esplorata nel sottosuolo tra altrettanti misteri per poi riemergere e visitare una delle meraviglie dell’arte scultorea che è il Cristo velato del Sammartino nella sua ancora più misteriosa Cappella del Principe di San Severo. E, poi, passare dalla piazza di San Domenico Maggiore dove è d’obbligo una sosta per assaporare le delizie della storica pasticceria Scaturchio degustando un ottimo caffè prima di arrivare a conoscere la magia dei vicoli tra San Gregorio Armeno e San Lorenzo, regno sovrano dell’artigianato dei presepi napoletani.

Per una sosta culinaria conviene fermarsi, con l’imbarazzo della scelta tra le mille pizzerie e osterie tipiche, ad osservare la folla in attesa alla pizzeria Di Matteo: l’unica prenotazione che si accetta è quella a voce gridando il proprio nome! Tra queste strade ci si muove come affabulati da un racconto che si snoda nella storia per arrivare a scoprire, in via Mezzocannone, una delle prime università europee fondata nel 1224 da Federico II e ritrovarsi poi ad esplorare la ricchezza artistica e architettonica della biblioteca della Casa del Salvatore con annesso cortile rinascimentale, unico nel suo genere.

Lungo il percorso del decumano principale si arriva al Duomo con annessa cappella di San Gennaro, patrono dei napoletani e simbolo di culto tra sacro e profano riservato a fedeli e laici, insieme alla ricca collezione di arte scultorea bronzea e orafa, meraviglioso tesoro arricchitosi nel tempo attraverso le donazioni di nobili e sovrani. Da qui arrivare poi al Maschio Angioino che, oltre a rappresentare un simbolo della potenza regale della città, è andato cambiando nome (Castel Nuovo, per esempio), seguendo i destini delle varie dinastie succedutesi nel tempo. A pochi passi dal castello, si può raggiungere Palazzo Reale: consiglio di accedervi attraverso lo Scalone Reale del Picchiatti per poi visitare i sontuosi ambienti fino ad arrivare alla meravigliosa Biblioteca Nazionale con vista sul golfo. Così come non si può fare a meno di visitare il teatro San Carlo, uno dei più antichi teatri europei e famoso per la sua storia musicale e la sua bellezza architettonica, posto difronte alla Galleria Umberto I. In questa magica enclave, attraversando la piazzetta Trieste e Trento, si arriva in Piazza Plebiscito dove è possibile ammirare l’articolata trama del porticato con la cupola della chiesa dedicata a San Francesco di Paola.

Da qui finalmente si arriva a respirare l’atmosfera marina con l’imprescindibile passeggiata sul lungomare Caracciolo per ammirare da lontano l’isola di Capri e poi entrare nel Borgo Marinari, l’isolotto occupato dalla mole di Castel dell’Ovo in cui morì l’ultimo imperatore romano Romolo Augustolo deposto da Odoacre nel 476 d.C., data fatidica che diede inizio alla caduta dell’Impero Romano. In questo peculiare borgo, che sembra sospeso sull’acqua, si può apprezzare l’arte culinaria napoletana tra una miriadi di ristoranti che invitano ad entrare per il solo odore di mare emanato dalle loro cucine.

Oltre questo particolare percorso, ma ve ne sono mille altri ancora! L’eccentrica verità che Napoli ci comunica è rappresentata dal susseguirsi di molteplici fili narrativi che l’attraversano e che non smettono mai di rivelarci le numerosissime sfaccettature di una realtà sempre in movimento, fatta di voci e colori che segnano ancora oggi la sua originalità e di cui “si ha sete ancora” come canta uno dei suoi più acuti e originali interpreti, Pino Daniele.

POLONIA OGGI: Le celebrazioni per il 72° anniversario della battaglia di Monte Cassino

0

Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Ieri, mercoledì 18 maggio, il presidente polacco Andrzej Duda, ha partecipato alle celebrazioni del 72° anniversario della vittoria della battaglia di Monte Cassino. La battaglia di Monte Cassino si svolse tra il 17 gennaio e il 19 maggio 1944 e si concluse con la vittoria dei soldati del Secondo Corpo Polacco che riuscirono a conquistare la collina del monastero. Durante i combattimenti 923 soldati persero la vita, 2931 furono feriti e 345 furono i “dispersi”. Durante le celebrazioni, il presidente Duda, ha tenuto un discorso di ringraziamento verso i veterani presenti e ha reso omaggio a tutti i caduti. Inoltre, il presidente, ha sottolineato che “se molti polacchi non avessero versato il proprio sangue per la libertà, oggi non avremmo l’Unione Europea”. Il capo di Stato polacco si è dimostrato molto orgoglioso del fatto che questi soldati hanno contribuito a ridare la libertà alla Polonia e all’Europa: “Onore e Gloria agli eroi”, ha detto il Presidente rivolgendosi ai veterani. Duda non ha dimenticato il contributo dei soldati di origine ebrea, ucraina e bielorussa che hanno combattuto per la libertà sotto le insegne polacche.

pap.pl

Ulteriori informazioni: www.gazzettaitalia.pl/it/polonia-oggi

Un giorno a Pisa

0

Sembra che la torre pendente e la città di Pisa siano un po’ come due piccioncini, almeno nel modo in cui la torre viene collegata alla città. Devo ammettere che anch’io per tutta la vita ho sognato di fare una foto ricordo tipo “una maestra di Kung-Fu che salva un monumento in pericolo di crollo”, però la mia guida locale non mi ci ha fatto nemmeno pensare: “Vuoi fare la scema anche tu?”. I pisani sicuramente preferirebbero che i turisti avessero progetti più ambiziosi di una foto con la torre pendente, una pizza Margherita o una passeggiata per la via principale piena di negozi.

Durante un tour organizzato dal Comune di San Giuliano Terme ho scoperto che questa parte della Toscana ha da offrire molto di più. Basta dedicare un attimo di attenzione e si riescono ad esplorare luoghi ancora poco conosciuti dalla maggior parte dei turisti. Vi aiuto a farlo con piacere!

Fondazione Cerratelli

Probabilmente nessuno al mondo può vantarsi di una raccolta così ampia di costumi d’opera, costumi teatrali e cinematografici, ce ne sono più di 30.000! Nella sede presso Villa Roncioni si possono ammirare ad esempio alcuni costumi originali dei protagonisti delle più note opere di Puccini. A che serve questa fantastica collezione? Non soltanto per il piacere degli occhi, ma anche per dare una mano ai futuri maestri di sartoria. Quale giovane designer non sogna di imparare su tali modelli? Ho avuto il piacere di poter affittare uno dei costumi e metterlo per la cena di gala presso la splendida Villa Alta, se vi trovate lì a breve, prendete in considerazione questa opportunità!

Certosa di Calci

Il convento dell’Ordine Certosino dalla prima metà di XIV secolo. Ben conservato, consente di immaginare molto bene com’era la vita dei frati di clausura. Vi raccomando un giro con la guida! Vi racconterà tra altro che nel convento si poteva parlare solo la domenica, per cui i gatti certosini non miagolavano mai perchè sicuramente sapevano che non si poteva interrompere la continua meditazione.

Frantoio Toscano del Rio Grifone

Che cosa sarebbe una visita in Toscana senza una degustazione d’olio d’oliva e di vino, con una vista sulle famose colline baciate dai raggi del sole? Qui vedrete come si spremeva l’olio un tempo e come lo si fa oggi. Assaggerete anche i tipici piatti toscani, il vino e la grappa casereccia. Una bellissima tradizione famigliare che i proprietari  condividono volentieri con i loro ospiti.

Terme di San Giuliano

Qua ci si può sentire come i romani che andavano ai bagni pubblici e dimenticavano il resto del mondo. Piscine, grotte con microclima, idromassaggi e l’impressione che il chiasso e la fretta non siano mai esistiti. Inoltre il ristorante è di livello mondiale: potete immaginare gelato ai porcini, la faraona e il semifreddo di castagne. Ci potrei proprio vivere!

E nella città di Pisa?

Naturalmente già solo passeggiare per la città stessa è un piacere, soprattutto se andando a vedere la famosa torre facciamo un salto al Museo Nazionale di San Matteo oppure alla mostra Angeli dello scultore polacco Igor Mitoraj. Vale la pena di camminare attentamente attorno alla famosa Cattedrale in Piazza dei Miracoli, su una delle pareti si possono trovare dei buchi disposti verticalmente. Secondo la leggenda è una traccia degli artigli del diavolo. Dicono che non si possano contare, perchè ogni volta il risultato varia. Non ho avuto coraggio nemmeno di provare!

Cosa mangiare?

Assicuratevi di provare la Cecina, viene fatta con farina di ceci, spesso servita in un panino con diversi condimenti oppure come antipasto. Conviene assaggiarla a il Montino. Sicuramente vi toccherà fare la fila, però ne vale la pena. Inoltre, prima di tornare a casa nella valigia va messo un pacco di pasta Martelli ed una bottiglia di vino toscano buonissimo, non vi preoccupate, ce ne sono mille (io ho scelto quello di Cortona). E per una cena squisita (che in Toscana ci si deve concedere!) vi aspetta un simpaticissimo e incredibilmente talentuoso chef Luca Micheletti alla Locanda Sant’Agata.

Dove pernottare?

Se cercate uno luogo conveniente posso raccomandare Hotel La Pace che si trova a poca distanza dalla stazione centrale e a pochi passi dai più importanti musei e monumenti nella città. Se invece preferite la pace e una bella vista sulle colline dolci di mattina allora Airone Pisa Park Hotel vi piacerà sicuramente. In entrambi i casi incontrerete proprietari gentilissimi, colazioni deliziose e lo staff con conoscenza dell’inglese, il che in Italia può essere molto utile!

Da dove volare?

A Pisa si può arrivare direttamente con le linee economiche dagli aeroporti di Danzica, Cracovia e Varsavia-Modlin, purtroppo soltanto durante la stagione estiva (aprile – novembre). Io ho volato con Alitalia (cambiando volo a Roma).

Più foto e informazioni dettagliate su tutte le mete citate le trovate sul mio blog www.via-italiana.com

Buon viaggio!