traduzione it: Agata Pachucy
Leone viene spesso definito il “re dello spaghetti western”. Credo però che questa sia un’immagine quantomeno incompleta. “Io sono il vento”, cantava Arturo Testa nel 1959 durante il Festival di Sanremo. A mio avviso, Sergio Leone, nato 30 anni prima, il 3 gennaio 1929, è stato proprio un vento. Una brezza le cui numerose folate hanno modificato in modo permanente il panorama cinematografico.
Testa arrivò secondo nella classifica del festival all’epoca. Ho l’impressione che sia stato un po’ così anche per la carriera del regista romano che, pur essendo uno dei più grandi e influenti registi di tutti i tempi, per quelli dell’Academy non meritava neanche una nomination agli Oscar. Il prossimo 30 aprile sarà il 35° anniversario della morte di Sergio Leone. Solo oggi possiamo apprezzare appieno il contributo che il regista ha dato al cinema mondiale.
La filmografia di Leone è piuttosto breve. Ha iniziato assistendo Vittorio de Sica in “Ladri di biciclette” (1948). Ha poi lavorato, tra gli altri, a Quo Vadis (1951) e BenHur (1959), scrivendo nel frattempo anche le proprie sceneggiature. L’occasione arriva nel 1959, quando sostituisce Mario Bonnard, regista de “Gli ultimi giorni di Pompei”. Due anni dopo realizza “Il colosso di Rodi”, il suo primo lungometraggio indipendente. Ma la vera fama arriva con la realizzazione del successivo “Per un pugno di dollari” (1964), interpretato da Clint Eastwood. “Senza dubbio il punto forte di questo film, che ha avuto successo strepitoso in Italia e altrove in Europa, è il personaggio del fuorilegge interpretato da Clint Eastwood, l’attore americano che in precedenza aveva interpretato il ruolo di un avventuriero nella serie televisiva Rawhide”, scrisse il New York Times qualche anno dopo la prima. Eastwood recitò anche nei film successivi della cosiddetta “Trilogia del dollaro”: “Per qualche dollaro in più” (1965) e “Il buono, il brutto e il cattivo” (1966). Si può dire che fu Leone a scoprire il talento di Eastwood, mostrandone anche il raggio d’azione.
“Ho sentito parlare per la prima volta di Sergio Leone quando ho visto “Per un pugno di dollari”. Ho visto che era un grande film, ma i critici non lo apprezzavano. In Italia non capivano Sergio, non gli piaceva. Hanno iniziato a capirlo molto più tardi, con il suo ultimo film, ma era troppo tardi”, scrisse Dario Argento nel 2009 sulle pagine del britannico The Guardian.
Inizialmente, la critica accolse il film di Leone in modo piuttosto negativo. A ciò contribuì anche lo scandalo delle accuse di plagio de “La guardia del corpo” (1961) di Akira Kurosawa. Il regista giapponese andò in tribunale e vinse la causa. L’italiano ammise di essersi ispirato, ma non ritenne di aver plagiato.
Con il senno di poi, tuttavia, si può dire che è andata bene così. Ciascuna delle due parti ne ha tratto vantaggio. Kurosawa ne ha ricevuto profitto finanziario e i suoi film hanno suscitato maggiore interesse. Leone, invece, ha costruito qualcosa di molto importante, un genere a sé stante, sulla base di un’idea altrui, scoprendo al contempo il talento di Eastwood. È successo lo stesso con Ennio Morricone. Il compositore considerato oggi uno dei più grandi di sempre. Sono stati i film “del dollaro” a mostrare la portata del talento dell’artista romano, permettendogli di lavorare con i migliori registi, ispirando generazioni di cineasti. “Sono cresciuto ascoltando L’Estasi dell’oro”, ha sottolineato Quentin Tarantino.
Bisogna notare che, durante i primi giorni di lavorazione del film, si è scoperto che Leone e Morricone si conoscevano fin dall’infanzia, in quanto entrambi frequentavano la scuola elementare di San Giovanni a Roma.
“Ci siamo conosciuti all’età di sette anni, credo al terzo anno di scuola elementare, ma poi non ci siamo più incontrati. Solo in seguito, quando ero a casa mia a scrivere le musiche per il suo film “Per un pugno di dollari”, che lui mi chiese di fare dopo aver ascoltato le colonne sonore che avevo scritto per due precedenti film western. Gli piaceva la mia musica ed era convinto di questa collaborazione”, ha ricordato anni dopo Ennio Morricone.
Alcuni critici ritengono che sia la musica di Morricone a rendere speciali i film di Leone. È difficile non essere d’accordo, ma questo non significa sminuire il lavoro di Leone. Il compito di un regista è, tra le altre cose, quello di trovare le persone giuste e dare loro lo spazio per mostrare tutto il loro talento. Sergio Leone faceva esattamente così, permetteva agli artisti eccezionali che ha trovato di mostrare la pienezza della loro unicità. Un modo di lavorare che caratterizza solo i più grandi. Morricone compose anche le musiche dei film successivi di Leone: “C’era una volta il West” (1968) con Claudia Cardinale, Henry Fonda e Charles Bronson, “Giù la testa” (1971) con James Coburn e l’opus magnum del regista italiano, “C’era una volta in America” (1984).
All’inizio degli anni Settanta, proposero a Leone di girare “Il Padrino” (1972). Rifiutò perché non voleva glorificare la mafia. Tuttavia, in seguito si pentì della sua decisione. Alla fine, il film tratto dal romanzo di Mario Puzo, fu realizzato da Coppola in modo così brillante che a me personalmente non dispiace che Leone non l’abbia fatto. In più se avesse effettivamente realizzato “Il Padrino”, forse non avrebbe fatto “C’era una volta in America”, un film descritto come un “Padrino ebreo”, che, per inciso, al regista non piaceva molto. Questo non è un film sui gangster. Anzi, è un film surreale sulla memoria, sul passare del tempo, sulla nostalgia. “È anche un omaggio al cinema con note del mio pessimismo”, confessò il regista qualche anno dopo la prima. Leone ci riporta nell’America degli anni Venti, mostrando la storia di cinque ragazzi che crescono in un quartiere ebraico di New York. Il film, interpretato da Robert De Niro, James Woods, Elizabeth McGoven, Jennifer Connelly e Joe Pesci, è oggi riconosciuto come uno dei più grandi capolavori della storia del cinema.
Nel 1989 inizia a preparare un film sull’assedio di Leningrado. Tuttavia, pochi giorni prima di firmare il contratto, fu colpito da un infarto. Muore il 30 aprile a soli 60 anni. Nel 2022 è uscito il documentario sulla sua vita, intitolato “Sergio Leone: l’italiano che inventò l’America”.