Tesori di pietra, rocche di tufo e boschi incantati nella Tuscia viterbese

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“Nessun rumore turbava la scena. Solo il frinire delle cicale, che si sentiva distintamente, metteva in risalto il silenzio solenne dei luoghi. Nessun segno di vita umana si notava dintorno, ad eccezione di una colonna bianca di fumo che si innalzava dai boschi, lontano”.

George Dennis, The Cities and Cemeteries of Etruria, London 1848.

Con queste parole George Dennis, il celebre ambasciatore e archeologo inglese che fu tra i primi viaggiatori stranieri a percorrere con intelligente attenzione e amore l’Etruria meridionale, descrive poeticamente uno scorcio del Viterbese, ovvero quel territorio raggiungibile con mezz’ora di macchina a nord di Roma. 

Qui si apre infatti un paesaggio inaspettato, che contrasta fortemente con il caos di una grande metropoli, per quanto grandiosa, quale è divenuta Roma. Certo, non si tratta più dell’incredibile panorama ottocentesco, simile per tanti versi a quello del mondo antico e medievale, ma a oggi è in larga parte ancora incontaminato e offre delle vere e proprie sorprese al viaggiatore – più che al turista – che vuole immergersi in un territorio più originale e variegato. Così, per chi vuole avere un’esperienza italiana diversa dalle mete più tradizionali e famose facendo capo a Roma, non resta che fuggire dalla città e ritrovarsi immersi in paesaggi ameni e diversificati, ma tutti basati su un fascino antico che ha resistito nei secoli. 

Tra il Seicento e l’Ottocento si sviluppò in Europa l’uso, per coloro che appartenevano a classi abbienti e nobiliari, di compiere un lungo “viaggio di studio” la cui meta specifica era l’Italia e i suoi monumenti antichi, prima tra tutte la Città Eterna. Moltissimi sono i diari che ci raccontano questo itinerario di viaggio di scoperta, e non pochi furono i personaggi polacchi, anche di altissimo rango, che lo vollero affrontare e che in certi casi si stabilirono poi in Italia centrale, come alcuni membri delle famiglie Sobieski e Poniatowski, oppure artisti come Tadeusz Kuntze, che affrescò chiese anche a Soriano nel Cimino. 

Tra Firenze e Roma, la via maestra era, ieri come oggi, la Via Cassia, che penetra insieme all’Aurelia e alla Flaminia in quello che era il cuore dell’Etruria, ovvero quella regione abitata tra il X e il I secolo a.C. circa da uno dei più importanti e affascinanti popoli dell’Italia preromana, gli Etruschi. Questa magnifica civiltà, che a oggi non ha nulla di misterioso né segreto sebbene tale risulti nell’immaginario collettivo, ha segnato il territorio con i suoi grandiosi monumenti di pietra destinati ad accogliere il sonno eterno di principi e aristocratici, e non solo nelle celeberrime tombe dipinte di Tarquinia e Cerveteri, entrambi siti Unesco, ma anche in fastosi monumenti scavati nel tufo a somiglianza delle case in uso all’epoca, ancor oggi visitabili, nascoste in boschi e luoghi ancora parzialmente incontaminati. 

E allora il viaggiatore curioso si armerà di cartina topografica (più che del navigatore…) e andrà alla scoperta delle necropoli di San Giovenale e San Giuliano, presso i pittoreschi paeselli di Blera, Barbarano Romano e Civitella Cesi, in una campagna collinare e boscosa dove pascolano asini selvatici e mucche maremmane, e volano alto grandi rapaci. E proseguirà poi verso Viterbo, dove si immergerà, in una sorta di viaggio nel tempo, nei silenzi delle maestose necropoli rupestri di Norchia e di Castel d’Asso, entrando all’interno di camere funerarie scavate nel masso tufaceo, quasi tutte violate dal tempo e dagli uomini, mentre alcune, ancora intatte, ritornano alla luce per opera degli archeologi restituendo i loro tesori millenari.

Ma non solo Etruschi: nel territorio di Viterbo sono importanti anche le vestigia della romanizzazione, con le strade selciate e alcuni dei monumenti-simbolo della grandezza di Roma. Si potrà così camminare sugli antichi basoli della via Cassia, la Clodia, la Flaminia e l’Amerina, fiancheggiate da monumenti funerari di età romana anch’essi scavati nella roccia e imitanti quelli degli etruschi ormai conquistati e romanizzati. A Sutri, oltre la bella necropoli, non può mancare la visita all’anfiteatro scavato interamente nel masso tufaceo, simbolo della passione romana per i “giochi” cruenti e sanguinari. Come a voler mitigare e purificare l’anfiteatro, poco lontana si apre la splendida chiesetta rupestre di Santa Maria del Parto con i suoi suggestivi affreschi medievali, creata in quello che probabilmente era un tempio dedicato al dio Mitra, di origine orientale, e forse ancor prima una tomba. 

Restando in tema romano, a Ferento, poco lontano da di Viterbo, si può passeggiare dentro una città con il suo teatro, ancora usato – ieri come oggi -per gli spettacoli. Fino a poco tempo fa questo luogo meraviglioso era chiuso, ma grazie all’opera di un’associazione di volontariato (Archeotuscia onlus) è oggi possibile ammirarne la fascinosa maestà. Isolata e grandiosa è poi la città etrusco-romana di Vulci, immersa in un suggestivo paesaggio naturale attraversato dai canyon creati dal fiume Fiora, scavalcato dall’ardita arcata del “Ponte del Diavolo”, che collega il sito con l’abbadia fortificata qui sorta, poi trasformata in castello e oggi sede del Museo Archeologico Nazionale di Vulci.

Vi sono poi altri luoghi e monumenti nascosti, ritornati alla luce solo da pochi anni e ancora poco conosciuti: a volte per scoprirli bisogna davvero impegnarsi. Ma per questo, quando li si raggiunge, la sorpresa e la soddisfazione sono maggiori: si tratta di una serie di altari etrusco-romani, tra i quali primeggia la cosiddetta Piramide di Bomarzo, nome popolare che le deriva dalla sua forma e dalle gradinate che portano alla cima di questo gran masso di peperino lavorato, sulla sommità del quale è ancora adesso possibile cogliere l’atmosfera di sacralità che doveva avvolgere gli antichi frequentatori del luogo, in un connubio strettissimo tra natura e culto. 

Risalendo il corso dei secoli, è possibile visitare in questo territorio alcune catacombe, come quelle di Santa Savinilla a Nepi e quelle pervase di grande spiritualità dedicate a Santa Cristina a Bolsena, centro quest’ultimo che si apre con il suo svettante castello a ridosso del lago di Bolsena.

Il Viterbese è infatti anche terra di laghi: Monterosi, Bracciano con Martignano, Vico e Bolsena con le sue isole Martana e Bisentina, ognuno dei quali è uno scrigno naturale sul quale si affacciano a volte graziosi borghi, a volte mantenendo le rive a verde e fornendo riparo e accoglienza a uccelli grandi e piccoli. Dall’azzurro dei laghi ci si tuffa poi nel verde dei boschi del Monte Fogliano e della Faggeta del Monte Cimino, polmone verde appena entrata, anch’essa, nella lista dei siti Unesco del Viterbese.

Non manca poi il Medioevo e l’età moderna, che hanno improntato il panorama urbanistico di tutti i paesi, arroccati su lingue e speroni di tufo, e di Viterbo stessa, prescelta come sede della curia pontificia, di conclavi e residenza stessa di Papi tra XIII e XVII, decisione alla quale non fu estranea, oltre al difficile clima politico romano, l’aria più salubre rispetto a quella di Roma e la presenza di ricche fonti termali delle quali restano ancora importanti vestigia. Per tutti valga la visita del Palazzo dei Papi, della seconda metà del XIII secolo, la cui loggia sembra ritagliata in un merletto di pietra. 

La nobiltà romana occupò questo territorio, posto in una centrale posizione strategica lungo le maggiori strade che portavano a Roma, e vi eresse palazzi – come quello Farnese a Caprarola – poi torri e castelli, le prime perlopiù dirute ma in piedi come quella di Chia, già appartenuta a Pierpaolo Pasolini, e i secondi ancora fruibili e aperti dai proprietari al pubblico, come quelli di Vignanello, Vasanello, Montecalvello, Torre Alfina e altri ancora. Tuscania poi rappresenta una vera perla di tufo, con le sue chiese che si stagliano nell’azzurro del cielo e l’abbazia cistercense di San Giusto, recentemente restaurata e resa visitabile dai proprietari.

E infine, chiudono questa rapida carrellata due luoghi visitati ogni anno da milioni di visitatori: Civita di Bagnoregio, la cosiddetta città che muore, ma che vive invece una felicissima stagione di notorietà, innalzata su uno sperone tra i calanchi, e il celeberrimo Parco dei Mostri di Bomarzo, un eccezionale complesso di magiche sculture e significati ermetico-filosofici costruito intorno al 1552 dal principe Pierfrancesco Orsini detto Vicino, che da solo vale una visita in Italia.

Se questa carrellata di luoghi e immagini susciterà in qualcuno dei nostri lettori il desiderio di visitare la provincia di Viterbo, si può assicurare che non verrà deluso nelle sue aspettative. Buon viaggio allora!