Il banchiere Józef Toeplitz e il suo rapporto con la Polonia

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Formazione e carriera presso la Banca Commerciale Italiana

fot. Giuseppe Toeplitz, 1930, in Archivio Storico di Intesa Sanpaolo, Sezione Fotografica

Józef (Giuseppe) Leopold Toeplitz nacque a Żychlin, vicino a Łódź, il 10 dicembre 1866 da Bonawentura e Regina Konic, quinto di undici fratelli (Montanari 1995; Montanari 2015, pp. 363-368; Telesca 2010, Teoplitz De Grand Ry 1963). La famiglia Toeplitz, le cui origini accertate risalgono alla fine del secolo XVII, era tra le più importanti, per ricchezza e tradizione, dell’alta borghesia ebraica di Varsavia. Le caratteristiche salienti di questa
famiglia furono l’impegno politico e la cura dei possedimenti agrari, degli affari finanziari e commerciali.

Bonawentura, oltre a dirigere la casa bancaria Rau di Varsavia, amministrò le proprietà terriere dei nobili polacchi Sanguszko, occupandosi contemporaneamente di una sua tenuta di barbabietole da zucchero, probabilmente a Kielce, in cui introdusse metodi di raffinazione all’avanguardia che gli fruttarono cospicui profitti.

Józef trascorse parte dell’infanzia nelle tenute amministrate dal padre, dove gli fu impartita un’istruzione non diversa da quella dei figli dei latifondisti polacchi. Verso la fine degli anni Ottanta, dopo aver concluso gli studi classici nella scuola balto-tedesca di Mitau, nell’attuale Lettonia, si iscrisse alla facoltà di ingegneria dell’Università di Gand e poi al Politecnico di Aquisgrana, ma abbandonò gli studi per sposare nel 1890 Anne de Grand Ry, nobile di origine olandese conosciuta ad Aquisgrana. Forse per contrasti con la famiglia, comunque presto sanati, Toeplitz si recò con la giovane moglie a Genovaper un breve periodo di istruzione bancaria presso la filiale della Banca Generale il cui direttore era Otto Joel, suo cugino acquisito, con l’intenzione di tornare presto in Polonia. Invece rimase a Genova dove nel 1893 nacque il suo unico figlio Ludovico, e legò per sempre il suo destino all’Italia. A seguito della liquidazione della Banca Generale, coinvolta nella crisi bancaria di quegli anni, Toeplitz passò nel 1894 alla filiale genovese della Banca Russa per il Commercio Estero in qualità di vicedirettore. Il 1o giugno 1895 fu assunto dalla Banca Commerciale Italiana, fondata a Milano l’anno precedente da un consorzio di banche tedesche, austriache e svizzere. Lo aveva preceduto alla Comit, già dall’ottobre del 1894, il fratello Ludwik, da poco uscito, dopo tre anni, dalla prigione zarista di Schluesselburg a San Pietroburgo, in quanto militante di un partito socialista polacco (Pino, Mignone 2016, p. 129).

La carriera di Józef fu molto rapida, e ben presto diventò il braccio destro di Joel, nominato direttore generale della Comit, insieme a Federico Weil. Nell’ambito della strategia di espansione territoriale della nuova banca rivolta a tutto il Paese, Joel lo inviò ad aprire le nuove filiali di Napoli nel 1898 e di Venezia nel 1900, trattando in queste sedi numerosi affari con importanti gruppi industriali e finanziari.

Nel 1906 Toeplitz fu promosso direttore centrale e nel 1907 capo del Servizio Controllo Sedi e ciò gli permise, attraverso numerose ispezioni, di incrementare gli affari delle filiali più importanti. Incominciò anche a stringere rapporti con gli esponenti di alcuni settori industriali in rapido sviluppo come quello chimico (noto è il suo costante sostegno alla Montecatini presieduta da Guido Donegani), elettrico e meccanico. Toeplitz era perfettamente integrato nel suo ruolo di direttore di una banca «mista» o universale, come viene definita la Comit, che, secondo il modello tedesco, preferiva concentrare gran parte delle proprie attività al finanziamento alla grande industria italiana, in quegli anni in fase di decollo (Toniolo 1994, pp. 23-36).

Durante il periodo della neutralità italiana, tra il 1914 e il 1915, Toeplitz divenne una sorta di ambasciatore della Comit all’estero, viaggiando attraverso l’Europa per rassicurare i mercati finanziari e persuadere i consiglieri tedeschi e austriaci a dimettersi dal Consiglio di amministrazione della Banca Commerciale. Nello stesso tempo si adoperò a far vendere a finanzieri e imprenditori del nostro Paese i pacchetti azionari di società italiane posseduti da austriaci e tedeschi, soprattutto nei settori elettrico, meccanico e minerario. Pur non essendo di origine tedesca come Joel e Weil, Toeplitz dovette subire i durissimi attacchi della stampa nazionalista, perché considerato ancora straniero pur avendo ottenuto la cittadinanza italiana nel 1912. Il 5 giugno 1915 Joel si dimise da amministratore delegato, affiancando Weil alla vicepresidenza della Comit: la gestione della Banca Commerciale passò definitivamente nelle mani di Toeplitz e del direttore centrale Pietro Fenoglio, ma ciò venne però ufficializzato solo nel 1917 con la loro nomina ad amministratori delegati.

Nel 1918 e nel 1920 Toeplitz condusse con successo la difesa della Comit dalle scalate del Gruppo Perrone-Ansaldo (Montanari 1995, pp. XXIII-XXVIII; Telesca 2010, pp. 100-122). Dal 1920 rimase l’unico amministratore delegato della Banca a causa delle dimissioni di Fenoglio; il potere decisionale dell’Istituto si concentrò quindi nelle sue sole mani, anche perché il Consiglio di amministrazione aveva ormai perso ogni potere reale di controllo dopo l’uscita di scena dei consiglieri stranieri. La Comit si identificò quindi nel corso degli anni Venti sempre più con il suo amministratore delegato, che non a torto veniva soprannominato dai più stretti collaboratori il «Padrone».

Durante gli anni Venti, Toeplitz proseguì con vigore la strategia di espansione all’estero della Comit – iniziata già negli anni Dieci –, soprattutto nell’Europa orientale e nell’area balcanica, sfruttando la svalutazione delle monete di quell’area, spesso in anticipo sulla diplomazia italiana (Di Quirico 2000). È questo forse l’aspetto più positivo della sua gestione: dal 1918 al 1929, la Banca Commerciale incrementò notevolmente la propria rete estera, dal Nord al Sud America, poi in Svizzera, Francia, Turchia, Austria, Romania, Bulgaria, Egitto, Polonia, Jugoslavia e Grecia. Questa espansione risulta ancora più significativa se si considerano le difficoltà dei rapporti internazionali di quegli anni.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale, la Comit contribuì positivamente alla riconversione postbellica dell’apparato produttivo italiano, ma la mancanza di un controllo interno portò Toeplitz a impegnare la Banca sempre di più nel finanziamento dei grandi gruppi industriali, diventandone in molti casi il maggiore azionista. Il ricorso ai prestiti americani a favore delle industrie italiane nel 1928 non riuscì a risolvere, neppure in parte, questa grave situazione: alla fine degli anni Venti, la Comit deteneva ormai i pacchetti di maggioranza di numerose grandi imprese, trasformandosi di fatto in una holding, nonostante il tentativo di alleggerirsi di tali partecipazioni.

Dopo lo scoppio della Grande Crisi, la Comit si trovò quindi immobilizzata dai crediti alla grande industria. Toeplitz, che aveva cercato di mantenere una certa indipendenza dal fascismo, dovette ricorrere al salvataggio del Governo, andando personalmente a colloquio con Mussolini nel settembre 1931 (Montanari 1995, pp. XLIV-XLVI; Telesca 2010, pp. 255-267). Come era avvenuto per il Credito Italiano pochi mesi prima (Mori 1977, p. 265; Atti del convegno di studio 1990), data l’importanza della Comit per il settore produttivo italiano, il Governo intervenne per salvare la Banca Commerciale, firmando la Convenzione a Roma il 31 ottobre 1931 nella quale la Comit si impegnò a cedere totalmente il proprio portafoglio industriale a una società di transizione, la Sofindit (Montanari 1991, pp. XXII-XXVI). In questa situazione Toeplitz si trovò in minoranza, sconfitto dalle argomentazioni di Alberto Beneduce, come ha ricordato il presidente della Comit Ettore Conti che lo aveva accompagnato a Roma insieme al giovane direttore Raffaele Mattioli (Conti 1986, pp. 307-308; Bonelli 1985, pp. 71-85). Nel corso del 1932, i tentativi di Toeplitz di tornare alla situazione precedente fallirono, e l’anno seguente un ente creato ad hoc, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (Iri), acquisì definitivamente il portafoglio industriale della Comit; il 25 marzo 1933 Toeplitz si dovette dimettere da amministratore delegato, sostituito da Mattioli e dal vecchio direttore Michelangelo Facconi. Egli rimase vicepresidente fino all’anno successivo e dopo si ritirò a vita privata, soggiornando soprattutto nella sua villa a Sant’Ambrogio Olona, vicino a Varese, dove morì il 27 gennaio 1938.

Non dobbiamo dimenticare che Toeplitz era in possesso di una certa conoscenza tecnica e scientifica, per merito dei suoi antichi studi di ingegneria che gli permettevano di esaminare anche personalmente brevetti di nuove invenzioni; finanziò inoltre negli anni Venti alcuni tra i settori tecnologicamente più innovativi e di grande impatto sulla società civile, come le radio-telecomunicazioni, le reti autostradali con il costante appoggio a Piero Puricelli che aprì nel 1924 il primo tratto in Italia, la Milano-Laghi (Toeplitz De Grand Ry 1963, p. 128), – e le linee aeree commerciali di cui egli stesso fu nel 1920 tra i primi utenti. Costante fu il suo interessamento all’industria cinematografica, prima con l’appoggio a varie società di produzione e noleggio come l’Unione Cinematografica Italiana e la Cines-Pittaluga, poi – dopo la sua uscita dalla Comit – attraverso le attività del figlio Ludovico, produttore a Londra con alterna fortuna nei primi anni Trenta (Toeplitz 1964).

Toeplitz è anche ricordato come scopritore di giovani talenti che provvide a lanciare in prestigiose carriere della finanza, della politica e della cultura: lo stesso Mattioli fu scoperto da lui come pure Enrico Marchesano, Cesare Merzagora e Giovanni Malagodi (Malagodi 1985, pp. 24-36).

Infine, per aiutarci a immaginarlo, abbiamo scelto questadescrizione: «Elegante, anziano, bassotto, portatore di un lauto ventre fasciato da un gilè bianco, attraversato da una catena d’oro: un signore dal sorriso suasivo, a cui si diceva non resistevano né prefetti, né ministri né cardinali né belle donne» (De Lagarda, n. 7, luglio 1974, p. 13).

Toeplitz promotore dell’economia della nuova repubblica polacca

L’affetto per il proprio paese natale e la cura per gli affari della famiglia insieme alla sua tendenza naturale di banchiere universale di procurare nuovi affari alla Banca Commerciale, sono i fattori determinanti che spiegano il comportamento di Toeplitz nei riguardi della Polonia finalmente tornata a essere una nazione indipendente con la proclamazione della repubblica nel novembre 1918 (Montanari, D’Alessandro 2000; Montanari 2013, pp. 203-221).

Toeplitz fu sempre in contatto con i suoi parenti, partecipando con interesse agli eventi politici e sociali del suo paese natale: nel 1919, ancora in apprensione per la guerra in corso tra la Polonia e i comunisti russi, aveva già costruito una larga rete di relazioni con politici, uomini d’affari e dirigenti d’industria, che spesso invitava a Milano nella sua casa in via Telesio e nella villa di Sant’Ambrogio Olona, come ad esempio il musicista Ignacy Paderewski, il primo capo del Governo polacco, facendo il possibile per ottenere in breve tempo le informazioni necessarie per pianificare nuovi affari. Fu aiutato in questo compito dal fratello Ludwik che dal 1920 era diventato direttore centrale e capo del Servizio Estero. I suoi familiari erano il centro di questa rete, per primi gli altri fratelli Zygmunt, Henryk e Teodor, ma soprattutto il cognato Jerzy Meyer, che aveva sposato la sorella Marja; la sua società commerciale, Herman Meyer di Varsavia partecipò spesso, come si vedrà più avanti, a molti affari promossi dalla Comit, con il costante appoggio di Toeplitz in numerose difficili situazioni.

Toeplitz inserì molti dei suoi parenti come fiduciari in società polacche o italo-polacche, in cui la Comit aveva interessi specifici, come si vede dalla tabella 1.

Grazie a questi stretti contatti con la Polonia, Toeplitz era perciò in netto vantaggio rispetto a chi volesse dall’Italia intraprendervi affari, e riuscì in alcuni casi a fronteggiare anche la concorrenza francese e inglese: negli anni Venti, gran parte degli affari commerciali e industriali tra Italia e Polonia passò infatti attraverso la Segreteria di Toeplitz, dove c’era sempre almeno un segretario di origine polacca, soprattutto Juliusz Stock che proveniva da Leopoli (Lwów).

Di un certo rilievo fu anche il finanziamento alla nuova industria della seta artificiale, collegata con la Snia Viscosa, con la partecipazione nel 1925 della Tomaszowska Fabryka di Varsavia, di cui Zygmunt (ingegnere chimico) fu eletto presidente e Ludwik amministratore delegato; il finanziamento a questa società fu uno dei pochi casi che non diede perdite.

Durante il periodo 1919-1923, Toeplitz utilizzò il carbone polacco per incrementare i rapporti commerciali tra Italia e Polonia, potenzialmente importante per un paese come il nostro povero di materie prime. Fu così fondata nel maggio 1919 la Società per il Commercio Italo-Polacco dalla Comit, che era azionista di maggioranza, insieme alla Herman Meyer e alcuni partner italiani. Dopo una fase di studio, la Comit costituì nel gennaio 1924 in Alta Slesia la Società Italo-Polacca Miniere di Rybnik (Sipmer), di cui Toeplitz fu il primo presidente, allo scopo di acquisire la concessione nei diritti di estrazione delle miniere di carbone in Polonia. Toeplitz non mancò di seguire altre iniziative, come ad esempio la Camera di Commercio Italo-Polacca, costituita nel 1922, di cui fu consigliere, e il Sindacato Commerciale Italo-Polacco, diretto da Bronisław Janiszowski, ambasciatore polacco a Roma.

Interessante fu anche il rapporto tra la Herman Meyer e la Fiat che risaliva addirittura al 1912, quando la ditta del cognato Jerzy Meyer partecipò per tre anni alla Società per Azioni Russa di Auto mobili Fiat ed ebbe la rappresentanza a San Pietroburgo, probabilmente con l’intercessione di Toeplitz (Bigazzi 1991, pp. 93-96 e 122-23). Dopo l’interruzione causata dalla guerra, il rapporto proseguì nel 1920 con la costituzione della Polski Fiat con sede a Varsavia, che aveva l’esclusiva della vendita dei prodotti Fiat in Polonia e di cui la società torinese deteneva il 51% mentre la Herman Meyer il 49%; Teodor, fratello di Józef, fu inserito come direttore della nuova società. Jerzy Meyer, seguendo il consiglio del cognato Józef, già l’anno successivo cedette le sue azioni alla Fiat e Teodor si dimise da direttore (Archivio Storico di Intesa Sanpaolo (ASI-BCI), cart. 80, fasc. 1).

Nel marzo 1924 la Banca Commerciale raccolse 400 milioni di lire di un prestito a favore del Governo polacco per aiutare il programma di riforma monetaria e finanziaria del primo ministro Władysław Grabski. L’idea del prestito, che prese corpo nei primi mesi di quell’anno, partì dai polacchi e non da Toeplitz; d’altra parte egli fece ben presto sua l’iniziativa, interpellando numerose volte Mussolini fino a chiedere un colloquio riservato con il duce pochi giorni prima della firma della convenzione, stipulata a Roma il 10 marzo 1924, tra il Governo polacco, quello italiano e la Banca Commerciale. Il Governo polacco offrì come garanzia al prestito le entrate del proprio Monopolio dei Tabacchi, e il diritto di vendere il 60% dei tabacchi italiani in Polonia attraverso i commercianti fiorentini Ugo e Folco Pecchioli. Il prestito diede risultati contraddittori e fu rinegoziato tra i due governi nel 1933 e nel 1935 (Asso 1990, pp. 123-142; Montanari, D’Alessandro 2000, pp. 10-13).

La Comit incanalò pure importanti flussi di denaro per aiutare gli istituti di credito polacchi, in particolare la Bank Handlowy w Warszawie, fondata nel 1870, che aveva numerose affinità con la Comit, perché entrambe erano le più importanti banche private nei rispettivi paesi e avevano una lunga tradizione di stretti rapporti con l’industria; un legame diretto tra Toeplitz e Bank Handlowy era costituito dal cognato Jerzy Meyer, consigliere di tale banca dal 1900 al 1934 (Landau, Tomaszewski 1970, p. 228). Nel 1924 la Comit iniziò il suo rapporto con Bank Handlowy con un credito di un milione di dollari, incrementato l’anno seguente a causa della grave crisi in cui versava in quell’anno l’economia polacca. Nel 1927 Bank Handlowy passò sotto il controllo di una joint venture tra la Comit, le Assicurazioni Generali, W. A. Harriman & Co., Niederösterreichische Escomptegesellschaft e Banque de Bruxelles. La partecipazione della Banca Commerciale era minoritaria a livello azionario, ma di fatto preminente per i crediti già accordati all’istituto polacco (ASI-BCI, Ufficio Finanziario 1927; Landau, Tomaszewski 1970, pp. 51-68). Dal 1931 la Comit cercò di rientrare dei crediti che nel 1933 ammontavano ancora a oltre 3 milioni di dollari (Montanari, D’Alessandro 2000, p. 19).

Gli affari con la Polonia non diedero complessivamente risultati positivi e anzi costituirono la più grossa perdita per il sistema estero della Banca Commerciale, sia per le «sofferenze» derivate dalla partecipazione nella Bank Handlowy, sia per i finanziamenti elargiti direttamente ad alcune imprese e per il prestito polacco. La situazione si risolse solo con la Convenzione del 27 gennaio 1935 con il Governo polacco, firmato da Mattioli – per conto dell’Iri che aveva rilevato i crediti della Comit – e dal ministro del Tesoro Adam Koch in cui si stabilì che i crediti italiani si trasformassero in buoni del Tesoro polacco (Montanari, D’Alessandro 2000, pp. 18-21; la pratica della convenzione con il Governo polacco è in ASI-BCI, Segreteria degli amministratori delegati Mattioli e Facconi [AD2], cart. 6, fasc. 5). Il rapporto con il Monopolio Polacco dei Tabacchi, legato al prestito del 1924, si risolse invece dopo lunghe trattative solo nel 1939 (ASI-BCI, Carte di Raffaele Mattioli, cart. 164, fasc. Maggioni).

Per concludere, non si deve dimenticare il costante aiuto che Toeplitz offrì agli artisti polacchi (attori, musicisti, scrittori, pittori e scultori), ospitandoli spesso nella sua casa di via Telesio a Milano e nella villa di Sant’Ambrogio Olona. Tra costoro, possiamo citare, oltre a Paderewski, la famosa attrice Jadwiga (Edvige) Mrozowska, che sposò nel 1918 in seconde nozze dopo la morte della prima moglie, valente esploratrice negli anni Venti in India e in Tibet (Teoplitz Mrozowska 1930; ASI-BCI, Copialettere di Giuseppe Toeplitz [CpT], passim), e Maryla Lednicka, scultrice che Toeplitz aiutò introducendola nei salotti dell’alta borghesia milanese (Toeplitz De Grand Ry 1963, pp. 129-130).

L’autore è il curatore del patrimonio archivistico della Banca Commerciale Italiana, nell’Archivio Storico di Intesa Sanpaolo. Il presente articolo è stato già pubblicato in «Il Veltro: rivista della civiltà italiana», a. 60, n. 4-6, luglio-dicembre 2016, pp. 13-24.

Presenza di Intesa Sanpaolo in Polonia

Stato: Polonia
Anni: 1927-2013
Banche:
1. 1927 – Bank Handlowy w Warszawie
2. 1975 – Banca Commerciale Italiana (BCI)
3. 1990 – International Bank of Poland (IBP)
4. 1997 – Istituto Bancario San Paolo (IBSP)
5. 1997 – Bank Rozwoju Exsportu SA (BRE)
6. 2013 a oggi – Intesa Sanpaolo SpA Warsaw Branch (powstały w wyniku fuzji w 2007 r. Banca Intesa – dawniej BCI – i Sanpaolo IMI)

Descrizione:
1. 1927 – acquisizione di una partecipazione nella Bank Handlowy w Warszawie da parte della Banca Commerciale Italiana.
2. 1935 – cessione della partecipazione nella Bank Handlowy.
3. 1975 – apertura di un ufficio di rappresentanza della Banca Commerciale Italiana a Varsavia.
4. 1990 – acquisizione di una partecipazione nella International Bank of Poland (IBP) da parte della Banca Commerciale Italiana.
5. 1997 – apertura di un ufficio di rappresentanza dell’Istituto Bancario San Paolo a Varsavia.
6. 1997 –  cessione della partecipazione nella IBP.
7. 1997 – acquisizione di una partecipazione nella Bank Rozwoju Eksportu SA (BRE) da parte della Banca Commerciale Italiana.

I primi investimenti della Banca Commerciale Italiana in Polonia risalgono al primo dopoguerra e dopo la nascita della Repubblica Polacca nel 1918. Rispetto agli altri Paesi europei, le scelte furono però dettate da un sentimento patriottico dell’amministratore delegato Giuseppe Toeplitz verso la propria nazione d’origine, oltre che da veri e propri interessi economici. Dopo la concessione di un prestito obbligazionario estero allo Stato polacco nel 1924, nel 1925 la Commerciale erogò un credito di due milioni di dollari per il salvataggio della Bank Handlowy – fondata a Varsavia nel 1870 – e ne acquisì anche una partecipazione di minoranza. Nel 1935 la Comit firmò un accordo con il Governo polacco con cui cedette la sua partecipazione azionaria nella società.

Nel 1974 che la Banca Commerciale stabilì una presenza diretta nella capitale polacca con l’apertura di un ufficio di rappresentanza che funzionò ininterrottamente anche durante il delicato periodo storico della legge marziale negli anni Ottanta, per poi essere mantenuto come punto operativo anche dopo la fusione in Banca Intesa.

Le riforme economiche e politiche dopo la caduta del muro di Berlino, l’appoggio dato alla Polonia da enti internazionali come la Banca Mondiale, l’International Finance Corporation (IFC) e la CEE, e da singoli governi, per la creazione di un’economia di mercato; ma anche le sue dimensioni, la sua posizione geografica e la sua ricchezza di materie prime, spinsero la Comit nel 1990 a deliberare un nuovo ufficio di rappresentanza a Danzica che poi non aprì, ma soprattutto ad acquisire una partecipazione azionaria nella International Bank of Poland (IBP), poi ceduta a vantaggio di una nuova interessenza nella Bank Rozwoju Eksportu SA (BRE), strettamente legata alla Commerzbank tedesca.

Nel 1997 anche l’Istituto Bancario San Paolo di Torino – che nel triennio 1992-1994 era stato impegnato in un progetto di assistenza tecnica finanziato dalla Banca Mondiale a favore della Powszechny Bank Kredytowy SA (PBK) – aprì un ufficio di rappresentanza a Varsavia, all’interno del suo piano di espansione nell’Esteuropeo. L’Italia era infatti allora il secondo partner commerciale della Polonia e numerosi erano gli interessi di imprenditori italiani in loco.

Dati ricavati dalla World Map di Intesa Sanpaolo, pubblicata in https://international-history.intesasanpaolo.com/world-map (Ultimo accesso: 4 settembre 2019). Si veda anche F. Brambilla, Una vocazione internazionale: le radici di Intesa Sanpaolo nel mondo (1905-2006), Milano, Intesa Sanpaolo, 2017.

Fonti
Archivio Storico di Intesa Sanpaolo, patrimonio Banca Commerciale Italiana (ASI-BCI), Segreteria Toeplitz (ST).
ASI-BCI, Carte di Raffaele Mattioli, corrispondenza (CM).
ASI-BCI, Copialettere di Giuseppe Toeplitz (CpT).
ASI-BCI, Segreteria degli amministratori delegati Mattioli e Facconi (AD2).
ASI-BCI, Ufficio Finanziario (UF), Note complementari alla contabilità, vol. 10o, ff. 2890-93, e VCA, vol. 9o, ff. 203-04, 1o giugno 1927.

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Immagine in evidenza: Bank Handlowy w Warszawie, sede di Traugutta ul. 7-9 , 1927-1935 ca, da Landau Z., Tomaszewski J., Bank Handlowy w Warszawie S.A. Historia i rozwój. 1870-1970, Bank Handlowy, Varsavia 1970, p. 48.