Il dorato autunno polacco: intervista a Luca Palmarini

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Il professor Luca Palmarini, ligure che vive a Cracovia da più di vent’anni, è slavista, storico, scrittore, traduttore e docente del Dipartimento di Italianistica dell’Università Jagellonica. Con la sua attività educativa e le sue pubblicazioni amplia la conoscenza reciproca tra i polacchi e gli italiani, diventando un intermediario tra le due culture.

Come è iniziata la sua fascinazione per la Polonia?

È cominciata tanto tempo fa. Erano i primi anni ’90, ero un giovane studente e viaggiavo attraverso l’Europa centro-orientale, ovvero oltre l’ex cortina di ferro. A quei tempi il fenomeno dell’Interrail, cioè un solo biglietto ferroviario per tutta l’Europa, era molto popolare tra i giovani. Al contrario dei miei amici, che volevano visitare Amsterdam, Londra o altre capitali dell’Europa occidentale, io ho scelto di andare in Ungheria, Cecoslovacchia e Polonia, per vedere di persona i cambiamenti epocali in atto dopo la caduta del comunismo e come la gente stava reagendo a tale situazione. Sono arrivato per la prima volta in Polonia in settembre. La prima città che ho visitato è stata Katowice, un centro urbano tipicamente industriale. Ho visto un vero “autunno dorato”, per questo tuttora associo la Polonia ai colori autunnali. Tutto era un po’ malinconico, perché stavano arrivando i primi giorni freddi. Ricordo anche un forte odore di carbone.

Come mai si è trasferito a Cracovia e ha iniziato la collaborazione con l’Università Jagellonica?

Durante il mio primo viaggio mi sono innamorato della Polonia e poi ci sono tornato ogni anno. Nel frattempo, ho iniziato i miei studi in Italia. Ho deciso di studiare slavistica, più precisamente lingue e letterature polacca e russa. Ho vinto una borsa di studio offerta dal governo polacco e ho passato alcuni mesi a Varsavia. Poi, mentre portavo a compimento la mia tesi di laurea, ho ottenuto un’altra borsa di studio e ho passato un semestre a Cracovia. Ho prolungato il mio soggiorno, mi sono laureato la tesi e ho cominciato a lavorare come insegnante di italiano. All’inizio lavoravo nell’odierno JCJ (Centro Linguistico dell’Università Jagellonica), che all’epoca si chiamava Studio per il Perfezionamento Linguistico per gli Insegnanti. Poi ho insegnato per anni presso l’Istituto Italiano di Cultura e in diverse scuole private. Solo in seguito è iniziata la mia avventura con l’Italianistica all’Università Jagellonica.

Grazie ai viaggi e agli studi slavistici, senz’altro aveva non solo la conoscenza della lingua e della cultura polacca, ma anche una certa visione della vita in Polonia. Ma c’è qualcosa che l’ha sorpresa dopo il trasferimento?  

Direi di no perché come studente di slavistica sapevo cosa mi aspettava. Però, ancora prima del trasferimento, alla fine degli anni ‘90, mi ha positivamente sorpreso l’atteggiamento della gente. Nonostante il fatto che in quegli anni la Polonia affrontava la crisi economica, i polacchi erano molto aperti e ottimisti. Mi ha colpito anche il fatto che ovunque la gente leggeva. Camminando per le strade, in particolare a Cracovia e Breslavia, ho visto tante persone che leggevano libri nei parchi o in tram. Sono stato positivamente sorpreso anche dalla grande popolarità degli scacchi. La preparazione culturale e la formazione dei polacchi mi ha impressionato molto. Vedevo quindi solo le cose positive, ma ovviamente ero e sono ancora innamorato della Polonia.

Insegna italiano agli studenti dell’Università Jagellonica e tiene corsi legati alla storia e alla cultura italiana. Cosa prova nel diffondere conoscenze sull’Italia agli studenti polacchi?

Ovviamente, Italia e Polonia sono due Paesi e due culture diverse. Spesso è difficile capire pienamente un’altra persona, anche all’interno della stessa cultura, visto che esistono microcosmi, culture regionali. Durante le lezioni vedo un forte interesse e grande simpatia per l’Italia, il che è logico nel caso degli studenti di Italianistica. La maggior parte degli studenti sa già tante cose ed è aggiornato sull’attualità italiana. Certo, uno degli scopi più importanti degli studi è imparare la lingua, però sento che gli studenti si rendono conto che la lingua da sola non basta. Sanno che bisogna conoscere la cultura per poter trasferire significati e valori da una lingua all’altra, sia parlando con un’altra persona sia traducendo un testo. Capiscono che la cultura e la lingua sono strettamente correlate, studiare Italianistica non è quindi un semplice corso di lingua.

È autore di numerose pubblicazioni, tra queste ci sono due libri a carattere divulgativo: “Polveri d’ambra”, in cui analizza le leggende dalle terre polacche, e “Nowa Huta, la città ideale”, che tratta della storia di questa città ideale socialista. Cosa l’ha ispirato a trattare questi temi?

Sono due pubblicazioni che celebrano la Polonia. È il mio modo di onorare il Paese che mi ospita. Mi sento molto bene in questo Paese e vorrei, con questi libri e con quelli su cui ora sto lavorando, contribuire a far conoscere meglio la Polonia, presentando agli italiani alcuni aspetti culturali, storici, architettonici e letterari. 

Il libro “Polveri d’ambra” raccoglie leggende delle terre polacche, aree che hanno avuto confini mutevoli e per questo sottolineo la multiculturalità della Polonia e i cambiamenti storici avvenuti nei secoli. Ovviamente non si tratta di una semplice versione italiana di alcune leggende, c’è anche un’analisi sulle loro origini. Le storie che ho scelto sono legate ai posti autentici che possiamo visitare ed esplorare più profondamente. È quindi un modo di incoraggiare i lettori a visitare la Polonia pensando alle leggende. “Polveri d’ambra” è solo l’inizio, visto che sto già raccogliendo un materiale per un altro libro dedicato a questo tema. 

 

Invito il lettore a esplorare la Polonia anche nella seconda pubblicazione, “Nowa Huta, la città ideale”. Mi interessa l’architettura, soprattutto quella del XX secolo, che purtroppo è spesso legata ai totalitarismi. Oggi in Polonia tale architettura, in parte modernista e in parte del realismo socialista, è in certa misura sgradita. Vivendo a Cracovia, ho conosciuto Nowa Huta. A mio avviso questa città è un fenomeno unico a livello mondiale. Rappresenta uno degli esempi più importanti dell’architettura del realismo socialista e allo stesso tempo una parte importante della storia dei polacchi. È una città costruita da zero, non solo per quanto riguarda l’urbanistica, ma anche socialmente. Non celebro l’architettura comunista come tale, piuttosto richiamo l’attenzione sulle persone che sono arrivate a Nowa Huta da tutta la Polonia per edificare la città e che poi hanno combattuto per la democrazia. Ricordiamo lo sciopero nel Kombinat e gli scontri contro il regime. Una città fondata dal governo comunista che poi si è ribellata contro il regime. E alla fine ha vinto!

Dice che la cosa più importante per lei sono le storie delle persone. Per raccogliere il materiale per i libri ha dovuto parlare molto con gli abitanti, anche dei momenti difficili della storia della Polonia. Che esperienza è stata?

Da quando sono arrivato in Polonia ho sempre parlato con la gente. Le persone che incontravo per strada erano spesso aperte e pronte ad aiutarmi a conoscere il loro Paese. Da un lato erano sorprese dalla mia curiosità, dall’altro fiere di ciò che mi raccontavano. Ognuna di queste persone aveva una storia unica. Mi ricordo quando all’inizio degli anni ’90 a Varsavia ho incontrato alcune persone che a quel tempo avevano già più di 80 anni e mi hanno parlato delle loro esperienze di guerra e della ricostruzione della città nel dopoguerra. Quando lavoro ad un libro la conversazione con gli abitanti è per me cruciale. Soprattutto nel caso del libro su Nowa Huta, la cui idea è nata proprio parlando con la gente della vita ai tempi del comunismo. Il punto centrale del libro è la comunità di Nowa Huta e la sua lotta contro la dittatura, quindi il dialogo con la gente è stato fondamentale per me.

Da italiano che vive in Polonia, cosa pensa delle relazioni italo-polacche?

Possiamo trovare un’infinità di esempi, nei secoli, di buone relazioni italo-polacche, e questa è un fatto che mi ha colpito profondamente; aggiungo che non sono certo l’unico ad aver notato che tra tutti i popoli slavi sono proprio i polacchi ad essere i più vicini agli italiani. Non si tratta solo del comportamento o del temperamento, ma anche dell’attività letteraria. Le differenze tra le nostre nazioni non sono così grandi come sembrano, abbiamo lingue e culture diverse ma anche tanti e forti legami storico-culturali.