L’arte polacca alla 55. Biennale di Venezia

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Autore: Michal Fopp

Alla 55. Biennale di Venezia parteciperà un numero record di artisti polacchi. Oltre al Padiglione Polonia, in cui si potrà vedere la monumentale installazione di Konrad Smole?ski “Everything Was Forever, Until IT Was No More”, artisti e curatori polacchi saranno protagonisti anche di altre esposizioni.

Massimiliano Gioni, il curatore generale della Biennale, ha invitato quattro artisti polacchi all’esposizione centrale “Palazzo Enciclopedico”. Il “Palazzo Enciclopedico”, brevettato a metà degli anni Cinquanta dall’artista auto-didatta Marino Auriti, è un concetto del museo di tutto il sapere dell’umanità; il museo che espone le maggiori conquiste dell’umanità. Gioni vuole creare creare uno spazio in cui opere d’arte contemporanea interagiranno con manufatti storici ed object trouves. Ha invitato alla collaborazione, tra l’altro Pawe? Althamer, Miros?aw Ba?ka, Jakub Julian Zió?kowski ed Artur ?mijewski, il curatore generale dell’ultima Biennale di Berlino.

Nel Padiglione della Romania all’esposizione collettiva verranno presentate opere di Karolina Bregu?a ed invece nel Padiglione 0, organizzato da Tomasz Wendland alla Fondazione Signum, si presenteranno opere di altri artisti polacchi.

Ad essere scelta come curatore del Padiglione georgiano è stata la curatrice indipendente, Joanna Warsza, e il curatore del Padiglione estonese è Adam Budak dell’Hirshhorn Museum and Sculpture Garden di Washington.

La presenza eccezionalmente numerosa dei polacchi alla 55. Biennale di Venezia dimostra come l’interesse verso l’arte polacca nell’ambiente internazionale sia sempre più vivo ed il suo prestigio stia crescendo. In questa maniera si evidenzia anche un chiaro cambio nella struttura del mondo internazionale d’arte in cui non emerge un nuovo centro simile a Parigi, New York o Berlino ma piuttosto si ha a che fare con una sempre più forte dominazione delle periferie che alimentano il centro. In questo contesto va sottolineata l’inaugurazione, durante la Biennale, dell’iniziativa “Le periferie d’Europa, l’Europa delle periferie” sotto il nome dell’Ambasciata delle Periferie. Il progetto ha due scopi: un’analisi approfondita della situazione e dei meccanismi del sistema attuale d’arte e la creazione di un nuovo ambiente, meno ermetico e gerarchico. Come punto di partenza gli organizzatori, la Fondazione per la Propaganda, hanno preso una visibile tendenza alla prevalenza delle periferie sopra il centro. L’effetto dovrebbe essere una rete decentralizzata degli attivisti e delle istituzioni che serve allo scambio di idee, strumenti e strategie. Ancora più rilevante è il fatto che ogni persona interessata alla trasformazione della forma attuale del mondo d’arte sia invitata a parteciparvi. La struttura estremamente aperta e svariata dell’iniziativa rende possibile l’accesso su diversi livelli. Basta registrarsi sul sito web del progetto che raccoglie i suoi partner e simpatizzanti.

La necessità di cambiare paradigma viene suggerita anche dall’opera di Konrad Smole?ski, presentata nel Padiglione Polonia, “Everything Was Forever, Until IT Was No More”. La giuria che qualificava il progetto ha accentuato la sua equivocità profonda: le enormi costruzioni sonore riempiranno in maniera quasi claustrofibica l’intero spazio del Padiglione Polonia, concentrando l’energia e provocando una risonanza quasi corporea in spettatori ed ascoltatori. L’installazione composta da due grandiosi campane provenienti dall’officina dei fratelli Kruszewski a W?grów e da pannelli in metallo dovrebbe evocare un senso di sconcerto e di tensione emotiva, esaminando le questioni di accumulamento, classificazione ed ordinamento del sapere, ponendo il problema di mancanza e di sovrabbondanza delle informazioni, e, come scrivono i curatori,  di “rallentamento della storia, sospensione del suo fluire”. Il progetto è una continuazione delle attuali ricerche di Konrad Smole?ski che al centro dei propri interessi pone proprio il suono. Le sue realizzazioni uniscono un’estetica punk rock alla precisione e all’eleganza tipiche per il minimalismo. Fruendo sia degli oggetti sonori esistenti nell’area della cultura sia di quelli costruiti autonomamente, esamina attraverso essi il fluire e le funzioni dell’energia. Esplora il funzionamento di corrente elettrica, onde sonore e sistemi acustici, manipolando il significato degli oggetti che solitamente vengono associati alla cultura della musica rock. Il titolo dell’esposizione è stato prestato dal titolo del libro di Alexei Yurchak, “Everything Was Forever, Until It Was No More. The Last Soviet Generation”.

Il duo di curatori, Daniel Muzyczuk e Agnieszka Pindera, collega l’istallazione sonora di Konrad Smole?ski al principale tema enciclopedico della costruzione di una narrazione totale in maniera fortemente critica: “Dobbiamo ammettere di aver pensato a questo tema simultaneamente mentre pensavamo al nostro progetto e alla sua dimensione concettuale. Abbiamo invece posto l’accento su un momento preciso, su diversi aspetti delle opere di Konrad che manipolano non tanto la nozione del tempo quanto il ritardare. Per questo il coinvolgimento del fisico Julian Barbour, che si occupa di un concetto che si può definire, in poche parole e semplificando un poco, come concetto secondo cui il tempo in realtà non esiste. È la psiche dell’uomo ad essere costruita in maniera tale da avere bisogno di causa, e quindi la sequenza dei momenti che sono paralleli. Per questo motivo per noi sono stati cruciali l’utilizzo di una campana, di uno strumento o di idiofoni, che tradizionalmente delimitano il tempo, e manipolazioni e deformazioni perverse a cui questo suono sarà sottoposto e attraverso cui sarà rallentato. Presupponendo che la narrazione o la causa, il principio di causa ed effetto non esistano dobbiamo altrettanto presumere che non esita la narrazione. E dunque i tentativi massimalistici di Massimiliano Gioni di creare il Palazzo Enciclopedico sono, per usare una parola corretta, troppo massimalistici.