L’autunno è alle porte, ma anche ad ottobre siamo ancora in tempo per i frutti estivi più dolci: stiamo parlando dei fichi!
Se volessimo raccontare la storia e la mitologia del fico, potremmo riempire diverse pagine. Testimonianze della sua coltivazione si hanno già nelle prime civiltà agricole di Mesopotamia, Palestina ed Egitto, da cui si diffuse successivamente in tutto il bacino del Mediterraneo. Dai greci era ritenuto un frutto degli dei, poi donato agli uomini. Nella Bibbia è citato 34 volte: l’albero dell’Eden, proibito da Dio all’uomo nel Vecchio Testamento, non sarebbe un melo, bensì un fico. È con le sue foglie, infatti, che Adamo ed Eva. dopo averne mangiato il frutto, coprono la propria nudità. Il Ficus sycomorus era un albero sacro della mitologia egizia, mentre sotto a un Ficus religiosa Siddharta Gautama raggiunse l’illuminazione, divenendo Buddha: chiamato per questo anche albero della Bodhi, è venerato da buddisti, giainisti e induisti.
I motivi che hanno reso il fico fin dall’antichità una pianta così preziosa vanno forse ricercati nella fruttificazione abbondante, nella facilità di coltivazione, nella dolcezza dei frutti. O forse nel mistero dei suoi fiori, chiusi in sé stessi e nascosti alla vista, da cui il modo di dire bengalese: «Diventare [invisibile come] il fiore del dumur».
Ciò che noi chiamiamo comunemente frutto, infatti, è in realtà un’infiorescenza detta anche siconio: al suo interno sono racchiusi moltissimi piccoli fiori. L’impollinazione avviene grazie all’apertura presente all’estremità inferiore ed è un processo molto particolare: ciascuna specie di Ficus ha sviluppato uno stretto rapporto di simbiosi e reciproca dipendenza con un diverso insetto impollinatore.
La specie a noi più familiare, quello che comunemente chiamiamo fico e di cui mangiamo i frutti (o ciò che consideriamo tale!) è il Ficus carica, impollinato dalla vespa Blastophaga psenes: ben 3 generazioni di vespe, nell’arco di un anno solare, sono necessarie per la produzione dei frutti di una stagione!
La specie è presente in due forme botaniche che in modo riduttivo sono definite come piante maschio e piante femmina, dato che le prime (dette caprifico) producono il polline con frutti non commestibili, mentre le seconde (dette appunto fico vero) producono i semi contenuti nei frutti che tanto apprezziamo. Per questo motivo l’impollinazione nel linguaggio comune è detta anche “caprificazione”.
Fioritura e fruttificazione possono avvenire più volte nel corso della stagione. I fioroni, o fichi primaticci, si formano in autunno ma maturano nella tarda primavera dell’anno successivo. I fichi veri invece si formano in primavera e maturano a fine estate dello stesso anno, e sono molto dolci e saporiti. Alcune varietà, dove il clima è più mite, riescono a fruttificare una terza volta con i fichi “cimaruoli”, poiché si formano sulle cime dei rami.
Il frutto fresco del fico contiene zuccheri facilmente assimilabili (circa 11 grammi su 100), una buona quantità di minerali (soprattutto potassio, calcio e ferro), vitamine del gruppo B, vitamina A e tracce di vitamina C. Nutrienti e facilmente digeribili, sono consigliati in tutte le occasioni in cui è necessaria una fonte di energia rapidamente utilizzabile (ad esempio in gravidanza, durante l’attività sportiva o la convalescenza). Grazie alla presenza di circa il 2% di fibre, hanno anche una buona capacità di stimolare l’attività intestinale. L’indice glicemico del fico fresco (cioè la sua capacità di far variare la glicemia dopo il consumo) è solamente di 35 (il pane bianco ha un indice glicemico di 100), consentendone un consumo moderato anche a chi desidera perdere peso.
In Italia sono soprattutto le aree interne del sud (Cilento, Cosentino e Sicilia) a essere protagoniste nella coltivazione di fichi, dato l’interesse economico per la produzione di frutti essiccati.
Tuttavia in Toscana, nella provincia di Prato, cresce una varietà di fico pregiata: il Dottato, da cui si ottiene il fico essiccato di Carmignano. I frutti vengono raccolti, tagliati a metà in senso longitudinale, posti su delle stuoie e sottoposti al fumo di zolfo che ne schiarisce la buccia. Dopo 4 o 5 giorni di trattamento, sono trasferiti in un luogo fresco e asciutto per almeno un mese. Durante questo periodo si forma la patina zuccherina esterna. Raggiunta la completa essiccazione, i fichi sono sovrapposti e aromatizzati con semi di anice, che rendono il loro gusto inconfondibile al palato. E proprio l’autunno è il periodo ideale per assaggiare il fi co essiccato di Carmignano, che non può essere messo in commercio prima del 29 settembre.
In cucina i fichi sia freschi che essiccati si prestano a moltissime preparazioni dolci e salate, e persino piccanti: la classica confettura può essere arricchita con peperoncino o con sciroppo di senape, da gustare in abbinamento a formaggi saporiti. Per una versione agrodolce, servite i fi chi freschi ripieni di formaggio spalmabile oppure tofu vellutato, pinoli e aceto balsamico. Insomma, come si suol dire in italiano: mica pizza e fichi!
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