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Moody’s conferma il rating e l’outlook della Polonia

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Il rating della Polonia da parte di Moody’s è rimasto invariato al livello A2/P-1 con outlook stabile. La conferma dei dati di maggio non è una sorpresa, dato che il Ministro delle Finanze Mateusz Morawiecki aveva detto di non aspettarsi cambiamenti. All’inizio della scorsa settimana Moody’s aveva invece rivisto al rialzo le prospettive di crescita dell’economia polacca: è previsto un aumento del PIL del 4,3%, mentre la valutazione di maggio aveva stimato un incremento del 3,2%. Anche i dati sul disavanzo pubblico sono più ottimistici, dato che Moody’s si aspetta un deficit del 2,5% anziché del 2,9%. L’Ufficio centrale di statistica (GUS) riporta che la crescita del PIL è stata del 4% su base annua nel primo trimestre e del 3,9% nel secondo trimestre.

pap.pl

Mafia? Nein, Danke! 10 anni che hanno lasciato il segno

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Garavini (PD) a 10 anni dalla fondazione di Mafia? Nein, Danke!

Abbiamo dato il via alla più grande ribellione alla mafia fuori dall’Italia. Anche per questo, ma non solo, i 10 anni di Mafia? Nein, Danke! sono 10 anni che hanno lasciato il segno. È un’iniziativa di tanti cittadini, italiani e non, che, a differenza di quanto oggi spesso succede, non è apparsa sporadicamente un’unica volta nei titoli di giornale e poi è sparita per l’eternità. Al contrario porta avanti il suo lavoro con l’impegno di sempre, coinvolgendo anche nuove generazioni.

Se le mafie si globalizzano, per aumentare i loro profitti, allora anche l’antimafia deve internazionalizzarsi. L’antimafia della magistratura, delle forze dell’ordine, ma anche l’antimafia della società civile, della gente comune. È stata questa la molla che ci ha indotto a fondare Mafia? Nein, Danke!, insieme ad alcuni connazionali a Berlino, subito dopo i fatti di Duisburg. Sono già passati dieci anni da quell’agosto del 2007 in cui tutti i TG, in Italia ed in Germania, ci svegliarono parlando della strage di ndrangheta che aveva ammazzato 6 giovani italiani davanti al ristorante Da Bruno.

Erano giorni particolari per gli italiani in Germania. “Dove c’è pizza, c’è mafia”, scrivevano alcuni giornali. È ora di agire contro i pregiudizi, ci siamo detti, e soprattutto contro le mafie. Predisponemmo un adesivo, con su scritto “Chi paga il pizzo è un uomo senza dignità“, lo stesso motto adottato solo un paio di anni prima a Palermo, da Addiopizzo, l’associazione siciliana per la legalità. Proponemmo a diversi ristoratori in Germania di appenderlo alle loro vetrine, così da lanciare un messaggio chiaro: qui non c’è posto per le mafie. Contemporaneamente stilammo una convenzione con le forze dell’ordine, riuscendo a instaurare un rapporto di fiducia reciproco, basato su conoscenza e comunicazione. Una convenzione che poco tempo dopo si dimostrò di vitale importanza.

Perché nel dicembre 2007, due camorristi appartenenti al clan Mazzarella iniziarono a minacciare diverse decine di ristoratori italiani a Berlino. Erano armati e nel giro di pochi giorni le loro minacce si concretizzarono nell’incendio del locale e di una macchina di due ristoratori che si erano rifiutati di pagare. Furono giorni di tensione per noi tutti, italiani a Berlino. Sembrava un incubo, proprio sotto Natale.

Ma proprio grazie alla rete di solidarietà che riuscimmo a creare attraverso Mafia? Nein, Danke! i ristoratori taglieggiati non si sentirono abbandonati e denunciarono i due estorsori. Abbiamo passato notti in alcuni dei ristoranti minacciati, per proteggerli. Erano notti di grande apprensione, ma anche notti durante le quali si sentiva la forza della solidarietà. Poi, grazie alle denunce dei ristoratori estorti, le forze dell’ordine sono riuscite ad arrestare i due camorristi. Eravamo alleviati e fieri. `Gli italiani hanno il coraggio di dire no alla mafia`, titolarono i giornali tedeschi all’indomani dell’arresto dei due camorristi. E la comunità italiana venne espressamente lodata dalla polizia tedesca per lo speciale impegno contro la criminalità organizzata.

Del decimo anniversario di Mafia? Nein, Danke! vado orgogliosa anche a livello personale: dal nostro intento iniziale di metterci la faccia è nata una delle più importanti associazioni della società civile per la legalità, fuori dall’Italia. All’ultimo convegno, recentemente organizzato insieme all’attuale Presidente dell’associazione, Sandro Mattioli, hanno partecipato i Ministri agli Interni di Italia e Germania. La dimostrazione di quale importante contributo la società civile possa dare alla legalità, anche al di fuori dei confini nazionali.

Recitar cantando, il 52° Festival Wratislavia Cantans

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È iniziato ieri il 52° Festival internazionale Wratislavia Cantans, in programma a Breslavia e in altre città della Bassa Slesia. L’evento dedicato alla musica classica quest’anno s’intitola Recitar Cantando. Il direttore generale del Festival è Andrzej Kosendiak, mentre il direttore artistico è l’italiano Giovanni Antonini. Questa edizione del Wratislavia Cantans è stata inaugurata con l’opera “Il ritorno di Ulisse in patria” di Claudio Monteverdi, diretta da John Eliot Gardiner con l’orchestra English Baroque Soloists e il coro Monteverdi Choir. L’esibizione, pensata per il 450° anniversario della nascita di Monteverdi, sarà ripetuta oggi presso il Foro Nazionale della Musica di Breslavia. Il Festival proseguirà fino al 17 settembre e la serata conclusiva sarà celebrata con “La clemenza di Tito” di Wolfgang Amadeus Mozart, con la direzione di Teodor Currentzis. Nel corso della manifestazione musicale si esibiranno artisti come gli English Baroque Soloists, il Giardino Armonico, l’Accademica Bizantina o Le Concert Spirituel. Gli eventi si terranno al Foro Nazionale della Musica di Breslavia e presso altri luoghi storici. Il Festival è organizzato con il patrocinio onorario dell’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia.

wroclaw.pl

VI edizione del Festival Viva l’Italia

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Per la prima volta il festival Viva l’Italia approda a Cracovia (dal 13 al 17 settembre) con un programma ricchissimo di eventi. Tanti i prodotti enogastronomici di eccellenza provenienti da regioni diverse tra cui Abruzzo, Calabria, Toscana, Sicilia, Campania, Lombardia, Piemonte, Veneto e piatti deliziosi da gustare (pizza napoletana, pinsa romana, bruschette, ecc.) per immergersi nei sapori veri del Made in Italy più popolare. Il festival sarà inaugurato il 13 settembre con una cena di gala all’hotel Stary, menu rigorosamente italiano con Orlando Giordan Master Chef e Ana D’Andrea pastry chef e vari intrattenimenti culinari e musicali.

Saranno molti gli eventi che si seguiranno sul palcoscenico di piazza Jana Nowaka Jeziorańskiego: show culinari con KucinAlina, concerti di musica pop con la rock band bresciana ‘Alex W. Bettini & The Midnight Ramblers’, karaoke italiano con Giorgio Pezzolato, musica tradizionale popolare con il ‘Gruppo Addhrai’, e la talentuosa chitarrista e flautista Teresa Minnillo, divertenti concorsi a premi ‘Mionetto prosecco’, esposizione di auto d’epoca con forzaitalia.pl, talk show e molto altro. Altri interessantissimi eventi si terranno all’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia: dalla mostra di Marco Angelini “Speculum: la materia e il suo doppio”, alla presentazione e degustazione del Franciacorta ad una serie di proiezioni cinematografiche con film attuali e documentari storici. Tanti gli intrattenimenti anche per i più piccoli con una festa tutta per loro dove giocare, imparare, divertirsi e deliziarsi il palato con le nutelline Ferrero.

L’evento è organizzato dalla Fondazione Italo-Polacca InteRe in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia, il Consolato di Cracovia, il Consolato di Wrocław, il Com.It.Es. (Comitato Italiani all’Estero), l’Università di Jagellonica, la Camera di Commercio e dell’Industria Italiana in Polonia, il Parco Zespół Parków Krajobrazowych Województwa Małopolskiego della Regione Małopolska ed è patrocinato dall’Ambasciata d’Italia Varsavia e dalla Città di Cracovia, il media partner è Gazzetta Italia.

Per maggiori informazioni vi invitiamo a visitare il sito http://www.festiwalvivaitalia.org/ e la pagina facebook https://www.facebook.com/events/106657126582680/?fref=ts

La storia del Principe Waszynski in concorso alla Mostra di Venezia

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Grazie al lavoro dei registi polacchi Elwira Niewiera e Piotr Rosolowski rivive la storia di un personaggio unico: il cattolico Principe Waszynski, al secolo Moshe Waks, ultimogenito di una famiglia ebrea di Kovel, città un tempo polacca ed oggi ucraina. Quattro anni di ricerche in vari paesi hanno consentito ai due registi di ricostruire la vita di un uomo camaleontico, che dedicò la sua esistenza a lasciarsi dietro le spalle un passato complicato per trasformarsi in un aristocratico principe polacco che viveva a Roma nel bel mondo della cinematografia italiana degli anni Sessanta. Il film “The Prince and the Dybbuk” è stato presentato ieri alla Mostra del Cinema di Venezia, in concorso nella sezione Documentari. Il titolo prende il nome da “Dybuk” – pellicola mistica su una leggenda yiddish – che è il film che più caratterizza l’opera cinematografica di Waszynski che prima di abbandonare la Polonia girò ben 40 film nella Varsavia libera tra le due guerre. Waszynski si aggregò poi all’armata del generale Anders di cui filmò l’avanzata lungo l’Italia realizzando la pellicola “Wielka droga”. Bel Paese da cui poi non volle più allontanarsi e in cui divenne principe attraverso una rocambolesca serie di vicende, tra cui il matrimonio con una ricca e anziana contessa italiana. Waszysnki in Italia fu uno dei protagonisti dei mitici anni Sessanta del cinema realizzando da regista alcuni film con De Sica e Anna Magnani e poi lavorando come produttore esecutivo anche al fianco di Sofia Loren nel colossal “La caduta dell’Impero Romano”. Il film “The Prince and the Dybbuk” è ispirato sul libro “L’uomo che volle diventare principe” di Samuel Blumenfeld, pubblicato in Polonia nel 2008.

SIENA, non solo Palio!

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Molti di noi a sentire la parola “Siena” pensano o alla famosa Piazza del Campo, unica nella sua forma di conchiglia enorme, oppure al Palio di Siena, una corsa di cavalli che si svolge due volte all’anno (2 luglio e 16 agosto) tra 10 delle 17 contrade presenti nella città. Le contrade a loro volta (Aquila, Bruco, Chiocciola, Civetta, Drago, Giraffa, Istrice, Leocorno, Lupa, Nicchio, Oca, Onda, Pantera, Selva, Tartuca, Torre, Valdimontone), corrispondenti più o meno agli antichi quartieri di Siena, ognuna con propri colori e simboli, sono oggetto di varie leggende misteriose che non svelano del tutto la loro origine. La piccola rivale di Firenze, però, offre agli “ospiti” molto di più rispetto a quello che di solito sperimentano durante la (brevissima) visita. Per questo vi proponiamo quattro spunti da cui partire per scoprire il vero carattere e la storia particolare della meravigliosa Siena, nata come un borgo medievale riuscito poi a unire nelle sue mura pensiero economico d’avanguardia, potere e influenza, bellezza, mistero e… gusto!

MONTE DEI PASCHI

La banca Monte dei Paschi di Siena, ubicata nel Palazzo Salimbeni, fu fondata nel 1472 e d’allora in poi ha funzionato senza interruzioni, il che la rende la più antica del mondo ancora in funzione! Base della sua fondazione fu lo “Statuto dei Paschi”, scritto nel 1419 per regolare tutte le attività agricole e pastorali nella regione di Maremma. L’attuale forma della banca nacque nel 1624 quando Siena fu incorporata nel Granducato di Toscana e il Granduca Ferdinando II diede ai depositanti della banca il reddito dei pascoli (“Paschi”) di proprietà statale della Maremma come garanzia. La banca intensificò la propria attività nel Seicento e nel Settecento. Con l’Unità d’Italia, la banca ampliò la propria attività in tutta la penisola, avviò nuove attività tra cui, primi in Italia, i prestiti ipotecari. Il 25 giugno 1999, Banca Monte dei Paschi di Siena fu quotata con successo alla Borsa Italiana. Negli ultimi anni durante la crisi economica, però, la banca senese ha mostrato gravi difficoltà. In tutta Siena e nei suoi dintorni si parla dell’enorme crisi della banca, che solo 5 anni fa vendeva azioni intorno ai 13 – 14 euro l’una: negli ultimi anni, però, il valore delle azioni MPS è diminuito di 45 volte! Pur rischiando da anni la chiusura il Monte dei Paschi è tuttora in vita continuando nella sua longevità leggendaria.

LIBRERIA PICCOLOMINI

I Piccolomini erano una famiglia italiana di origine toscana, influente a Siena a partire dall’XI secolo. I suoi membri, grazie alla loro affermazione nel commercio, nelle armi, nella cultura e nelle scienze, acquisirono notevole visibilità, in Italia ed in Europa. Nel XV secolo, l’elevazione al pontificato di Pio II, al secolo Enea Silvio, ultimo discendente del cosiddetto “Ramo papale”, il più ricco e potente della famiglia, permise ai Piccolomini di aumentare ulteriormente il loro prestigio. Il cardinale Francesco Piccolomini Todeschini (poi papa Pio III), arcivescovo di Siena, affidò nel 1492 a Pinturicchio la decorazione di un ambiente del Duomo di Siena, detto Libreria Piccolomini. Tra i numerosi aiutanti impiegati nell’impresa c’erano anche il giovane pittore bolognese Amico Aspertini e il giovane Raffaello, il che testimonia la rilevanza dell’impresa, vero e proprio crocevia artistico dell’Italia di quegli anni. Le pareti, suddivise in dieci arcate con una comune intelaiatura architettonica dipinta, hanno come tema una “cronaca dipinta” della vita di Pio II. Lo stile si avvicina a quello delle miniature: nitido, ricco di colori brillanti intonati con maestria, ricolmo di decorazioni e di applicazioni tridimensionali in pastiglia dorata, su armi, gioielli, finiture, ecc. Per chi ama l’arte e l’architettura sia la Libreria che il Duomo sono due mete da non perdere durante il soggiorno a Siena.

FONTEBRANDA

Fontebranda è una fontana nel territorio della Nobile Contrada dell’Oca, nei pressi dell’omonima porta di Fontebranda. Aperta sulle mura edificate nella metà del secolo XIII e all’interno del quartiere abitato sin dal primo medioevo dagli artigiani dell’Arte della Lana, la cui organizzazione produttiva necessitava di una ingente quantità d’acqua. Fontebranda è certamente la fonte più imponente e la più famosa in quanto citata da Dante Alighieri nella Divina Commedia (“ma s’io vedessi qui l’anima trista di Guido o d’Alessandro o di loro forte per Fontebranda non darei la vista”, Inferno XXX, vv. 76-78). Nei pressi della fonte è nata e vissuta santa Caterina da Siena, che per questo è chiamata la santa di Fontebranda. Entrare a Siena da porta Fontebranda significa immergersi in un sogno gotico di bellezza e suggestioni con la grande abbazia domenicana a sinistra e il colle della cattedrale a destra. Un’emozione fortissima determinata dalla perfetta conservazione dei luoghi che appaiono intatti nonostante il passare dei secoli. Oggi c’è un motivo in più per visitarla: ogni mezz’ora, per pochi minuti, nella fonte si sentono voci, suoni e canti del 1337. Sotto le volte di Fontebranda un sofisticato impianto elettronico crea un ambiente sonoro medioevale: ecco arrivare Agnese con il suo corteggio nuziale, più in là ci sono le sue amiche che cantano, poi passano i dottori molestati dal cattivo odore dei conciatori… Parlano in volgare toscano, principale antenato dell’italiano, sovrastando i rumori di una città brulicante e laboriosa. Un pezzetto di storia quotidiana che sembra del tutto naturale sotto le volte di Fontebranda. Per aiutare la comprensione c’è un pannello con la trascrizione in italiano e inglese oltre a un video di animazione che riproduce le stesse scene!

RICCIARELLI

I ricciarelli sono un dolce tipico senese a base di mandorle, zucchero e albume d’uovo. I biscotti sono fatti con una pasta tipo marzapane, a grana grossa, molto lavorata e a volte arricchita da un impasto di canditi e vaniglia. Hanno la forma del chicco di riso. Nati nel XIV secolo nelle corti toscane, seguendo antiche origini orientali, si sono poi evoluti in varianti arricchite con cioccolato in superficie. La leggenda narra che fu il cavaliere Ricciardetto Della Gherardesca a introdurre questi dolci, al ritorno dalle crociate, nel suo castello vicino a Volterra. Attualmente sono apprezzati soprattutto come dolce natalizio. Si consumano con vini da dessert, in particolare con Moscadello di Montalcino, Vendemmia Tardiva e con Vin santo toscano. È il primo prodotto dolciario per l’Italia ad avere la tutela europea: nel marzo 2010, la denominazione Ricciarelli di Siena è stata riconosciuta come indicazione geografica protetta (IGP).

 

Jurek Kralkowski: il bello del giornalismo è vivere al fianco dei protagonisti dei nostri tempi

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Musicista e informatico, con passione e destino segnati dalla fotografia. Jurek Kralkowski è un eclettico polacco ormai profondamente italianizzato dopo decenni di vita a Roma.

“Mi sento bi-patriota. Sono in Italia da quasi 27 anni, ho sposato una italiana, ho due figli che stanno crescendo in questo Paese e nei miei ritmi di vita sono romanizzato. Verso la Polonia provo una grande nostalgia, spesso rifletto sull’idea di prendere la famiglia e tornare in un Paese che oggi tra l’altro ha una situazione socio-economica ben diversa da quando l’ho lasciato. Della Polonia, almeno per come l’ho vista fino a non molto tempo fa, ho sempre apprezzato il valore che si dà alla cultura che è a portata di tutti, sia nella possibilità d’assistere a degli spettacoli sia nello studiare le varie arti. Questo a differenza dell’Italia dove purtroppo sembra che la cultura sia diventata meno accessibile al grande pubblico popolare. Ma mollare Roma sarebbe uno strappo troppo radicale soprattutto per la mia famiglia, preferisco cercare una via per tenere insieme entrambi i mondi. E poi in Polonia ci sono molto straordinari fotografi, come la mia compagna di scuola delle elementari Beata Wielgosz, e mettersi in competizione sarebbe molto difficile anche se stimolante!”

Come sei arrivato a Roma?

Mia madre lavorava all’Accademia delle Scienze a Varsavia, le hanno proposto il trasferimento alla sede romana dell’istituto e siamo partiti. Io avevo 18 anni e studiavo tromba al Conservatorio Chopin in Bednarska. Farmi riconoscere l’equipollenza degli studi al Conservatorio Santa Cecilia di Roma è stata una battaglia, ma alla fine grazie anche all’aiuto del critico musicale Dino Cafaro ci sono riuscito. È stata una questione di karma. Tanti anni prima a Varsavia fuori dell’Accademia Chopin vedo uno straniero che litiga con un tassista che lo voleva fregare. Lo aiuto con le quattro parole d’italiano che sapevo. Lui mi dice di chiamarlo se mai avrò bisogno di qualcosa a Roma e mi lascia il suo biglietto da visita: Dino Cafaro.”

Dalla tromba all’obiettivo passando per il mouse?

Nella mia vita ho fatto tante cose diverse, ma la fotografia ogni volta torna protagonista. Da ragazzo mi regalarono una Smiena, macchinetta compatta a pellicola. Iniziai a fotografare e poi imparai a sviluppare e stampare. A 16 anni con una macchina un po’ più tecnica e una vecchia lampada al quarzo realizzai il mio primo servizio all’Accademia di Danza di Varsavia. Intanto studiavo tromba e suonavo in piccoli complessi. Arrivato a Roma finiti gli studi al Conservatorio ho suonato in tante orchestre, gruppi, con anche apparizioni televisive, sia in Mediaset nell’orchestra de La Corrida, che in RAI.

E l’informatica?

L’informatica ce l’avevo nel DNA. Mio nonno collaborava con Robotron nell’allora Germania dell’Est, gruppo che era precursore mondiale di informatica e che fondò le basi dei microprocessori dell’IBM. Mia madre invece si occupava d’informazione scientifica all’Accademia delle Scienze Polacca, era una specie di motore di ricerca umano, raccoglieva per gli scienziati le varie informazioni necessarie in giro per il mondo, e per finire mio padre era un tecnico del computer. Insomma avevo le basi tecniche e all’epoca l’informatica era agli inizi, nessuno ne sapeva nulla e quindi c’era grande lavoro per chi se ne intendeva. Così finito il conservatorio, alternando la musica con l’informatica, ho fatto prima il tecnico del suono in un locale romano, e poi ho aperto una società di pronto soccorso informatico e tra una conoscenza e l’altra sono arrivato ad essere il responsabile informatico per 15 anni di un dipartimento dell’università La Sapienza.

Torniamo alla tua passione, come sei diventato fotografo professionista?

L’anno prima di partire per l’Italia una amica di famiglia ricca ricevette una videocamera professionale. Mi disse “tieni, leggi le istruzioni e impara, così facciamo una troupe televisiva”. Sembrava uno scherzo ma i nostri servizi finirono su Teleexpress di TVP 1, finché un giorno per colpa di un reportage su un tema non gradito perdemmo la collaborazione. Ma nella mia vita il rapporto con la macchina fotografica, o la videocamera, uscito da una finestra rientra dall’altra. A Roma un giorno incontro un mio ex vicino di casa di Varsavia Andrzej Ambrożewicz, bravissimo giornalista inviato per TVP nella capitale italiana, che mi propone di fargli da operatore. Collaboro prima con lui e poi con Jacek Pałasiński con cui sempre di più, per ragioni giornalistiche, mi avvicino a persone importanti. Nella pause tra una ripresa e l’altra scattavo fotografie che provai a proporre ad un giornale polacco. Mi risposero che era meglio se avessi fatto un altro mestiere. Fui punto sull’orgoglio e da allora volli dimostrare a me stesso che ero in grado di diventare un bravo fotografo. Venni a sapere che il notissimo fotografo Roberto Rocco, che lavorava per riviste come Vogue e Vanity Fair, cercava un assistente. Io, che non ero mai entrato in uno studio fotografico, mi proposi e finii per diventare il suo assistente-schiavo con stipendio irrisorio. Ma andava bene così perché anche se non ero pagato abbastanza rubavo il mestiere con gli occhi, un’esperienza formante. Nel 2006 in occasione del servizio fotografico sul matrimonio tra Mara Venier e Nicola Carraro conobbi la bravissima press agent Paola Comin, che era stata l’agente di Alberto Sordi. Un colpo di fortuna mi fece entrare nelle sue grazie, ovvero nei 10 minuti di colloquio che mi aveva accordato in cui cercavo di raccontarle che volevo fotografare personaggi importanti le si ruppe il computer… Si dice impara l’arte e mettila da parte. Ancora oggi, nonostante non sia più il mio lavoro, sono sempre il suo esperto informatico. Lei in cambio mi mise professionalmente sulla strada giusta, dandomi il contatto della storica agenzia Italfoto, che era anche la succursale romana del settimanale Oggi. A distanza di anni Paola è per me ancora un riferimento importante. Italfoto era di Salvatore Gian Siracusa che mi spiegò la differenza tra far foto e raccontare con le foto. In quel periodo imparai anche relazionarmi col mondo del giornalismo e degli uffici stampa. Col tempo arrivai piano piano a far servizi e copertine per tanti magazine, tra cui ricordo uno storico servizio, per la rivista Chi, sul compleanno delle gemelle Kessler (n.d.r. icone dello spettacolo della tv italiana anni Settanta). Una crescita continua che mi ha fatto arrivare ad essere oggi non solo inviato di Newsweek, e dell’agenzia News Pix dello stesso gruppo editoriale Ringier Axel Springer, ma anche della maggiore agenzia fotografica italiana LaPresse.

 Ti senti più paparazzo o ritrattista?

Un fotografo oggi per sopravvivere sul mercato deve saper far tutto: gossip, cronaca, politica, servizi posati. A me piace soprattutto raccontare le persone attraverso le foto. Mi preparo prima, studio la persona in modo che quando siamo sul set fotografico posso parlarle e distrarla dal fatto che le sto puntando addosso un “fucile” ovvero il mio obiettivo che la immortalerà centinaia di volte. Il bello del giornalismo, sia per chi lavora sulle immagini che per chi scrive testi, non è certo il guadagno ma il venire a contatto con persone interessanti, famose e non facilmente avvicinabili, un lavoro che ti dà la possibilità d’essere al fianco di chi è protagonista dei nostri tempi.

Tra le centinaia di persone che hai fotografato, qualcuno ti è restato maggiormente impresso?

Il fotografo è un mestiere che si può fare solo per passione, quindi chiunque finisca davanti al nostro obiettivo diventa oggetto della nostra passione e ce lo facciamo piacere. Ma non dimentico l’incontro con Luca Ward, che mi ha dato suggerimenti su come fotografare un attore, il buon rapporto che ho con la ministra Lorenzin, che fotografo da quattro anni anche quando era incinta, e con Iginio Straffi l’inventore delle Winx. E poi ho un ottimo ricordo di Francesco Totti, che dopo la Lupa è il secondo simbolo di Roma! Una gran persona. Gli feci un servizio quando arrivò Pallotta (n.d.r. il proprietario americano della squadra di calcio Roma). E poi lo rincontrai una volta a Sabaudia e rimasi sorpreso della sua infinita pazienza e disponibilità nel rispondere gentilmente a qualsiasi tifoso lo fermasse e gli chiedesse l’autografo. È un divo a dimensione umana che si rende conto che quello è il suo ruolo, mentre non capisco chi sceglie d’essere personaggio pubblico e poi quando è a contatto con la gente fa l’infastidito. L’esperienza mi ha mostrato che più grande è un personaggio, più resta vicino alle persone comuni, e me ne hanno dato prova Wynton Marsalis uno dei più grandi trombettisti al mondo che a una mia domanda mi invitò in albergo per rispondermi con calma, Bogusław Linda con cui andavo a cavalcare nonostante io facessi lo stalliere, o un mito come Zubin Metha con cui passai una notte brava a suonare musica klezmer in un locale ebraico di Varsavia.

Sogni nel cassetto?

Bè sì, mi piacerebbe realizzare dei set fotografici a Roma collaborando con i nuovi stilisti polacchi. Vedo che la Polonia sta vivendo una nouvelle vague nella moda e sarebbe bello scegliessero alcuni angoli della città eterna quale sfondo fotografico delle loro creazioni, abbinamento che saprei inquadrare bene. Certo sceglierei una Roma non banale, magari perdendosi per le vie di Trastevere.

In un’epoca dove tutti con un qualsiasi telefonino fanno foto cosa vuol dire essere fotografo?

Essere fotografo significa raccontare storie. Nel giornalismo si ricordano le famose 5 W (who, what, when, where, why) cui bisogna rispondere in un articolo. Ecco, un bravo fotografo deve rispondere ad almeno tre di quelle W in uno scatto senza metterci didascalie sotto. Ed è per quello che bisogna apprezzare dei mostri sacri come Helmut Newton e Cartier-Bresson. Quando tengo corsi di foto la prima cosa che spiego è che oggi purtroppo le macchine fanno tutto da sole, hanno bisogno solo di qualcuno che prema il bottone. Cerchiamo di non diventare l’appendice della macchina fotografica!

Stabile al 7% il tasso di disoccupazione

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L’Ufficio Centrale di Statistica (GUS) ha informato che a luglio il tasso di disoccupazione era pari al 7,1%, percentuale invariata dal mese precedente. Secondo il GUS, il numero di disoccupati registrati alla fine di luglio è passato da 1.151.600 a 1.140.000. L’indice dell’occupazione nel secondo trimestre del 2017 sale al 53,9%, contro il 53,2% del trimestre precedente.

tvn24bis.pl

Grandi donne italiane: MARIA MONTESSORI “Aiutami a farlo da solo”

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Maria Montessori, medico, insegnante, filosofa, una delle più grandi donne italiane dell’epoca che va dalla fine dell’Ottocento alla prima metà del Novecento, è nota soprattutto per il suo metodo educativo innovativo, chiamato appunto dal suo nome: MONTESSORI. Usato in molte scuole materne ed elementari di tutto il mondo. Secondo il suo concetto la scuola non dovrebbe essere un luogo in cui gli insegnanti semplicemente trasmettono nozioni, o in cui i professori trasferiscono la propria conoscenza ai rappresentanti delle giovani generazioni. La metodologia Montessori basa invece l’insegnamento sul presupposto che i bambini devono liberamente (il che non significa senza controllo!) sviluppare le loro capacità nel modo meno invasivo possibile, nonché adattato alle capacità di assimilazione delle informazioni sul mondo. Allo stesso tempo, però, come punto di partenza bisogna prendere un set di materiali educativi e didattici elaborati con estrema precisione ed attenzione.

Nel suo metodo si tratta, in via di principio, di dare agli allievi la libertà di scelta, la quale successivamente, naturalmente e autonomamente, si trasforma nella disciplina e nell’autocontrollo. Secondo la metodologia proposta da Montessori sono i bambini stessi a selezionare, o meglio, ad adottare liberamente i materiali di apprendimento su cui lavorano, e anche a regolare la velocità con la quale si procede nell’insegnamento. Non bisogna quindi mettere i bambini dietro i banchi, rigidi e spaventati di fronte alla lavagna, ma invece offrirgli la possibilità di movimento più o meno libero all’interno dell’aula.

Maria Montessori è stata una donna eccezionale, e non solo per l’essere una pioniera di metodi didattici rivoluzionari, sicuramente una delle più illustri italiane del ventesimo secolo. Nacque nel 1870 a Chiaravalle, un piccolo paese a pochi chilometri da Ancona nelle Marche, ma praticamente l’intera infanzia e la giovinezza le trascorse a Roma, diventata la capitale del Regno d’Italia poco prima del trasloco della famiglia.

Proprio all’inizio del percorso formativo dimostrò delle straordinarie capacità nel campo delle scienze, soprattutto in matematica e biologia. Seppur tra mille difficoltà differenti, di natura familiare e formale, alla fine riuscì ad iscriversi alla Facoltà di Medicina presso l’Università di Roma “La Sapienza”, con il sostegno, tra gli altri di Papa Leone XIII, il quale riteneva che il medico era una delle professioni ideali per le donne. Così Maria (specializzata in neuropsichiatria) è stata una delle prime donne italiane nella storia a laurearsi in Medicina. Tuttavia i suoi interessi di ricerca andarono in molte direzioni, soprattutto verso la formazione e l’educazione dei bambini e degli adolescenti con problemi di salute mentale o con altre disabilità, così come lo studio del comportamento dei bambini cresciuti “in natura”, ovvero al di fuori della società. In particolare Montessori si rifaceva agli studi di Jean Marc Itard dalla fine del XVIII secolo.

Da questi interessi deriva il suo famoso metodo educativo, didattico e pedagogico, che fu esteso ad un più generale studio dello sviluppo dell’istruzione nei bambini, compresi anche quelli senza alcuna disabilità fisica o mentale. “Il primo compito dell’educazione è agitare la vita, ma lasciandola libera perché si sviluppi”. Secondo Montessori un bambino deve essere trattato come un’entità completa, in grado di sviluppare delle energie creative, e che mantenga la predisposizione morale per certi tipi di emozioni pure (es. carità e amore), che a volte rischiano di essere soffocate, “schiacciate” dagli adulti.

Il metodo pedagogico sviluppato da Maria Montessori prevede, quindi, che solo dando “una mano libera” al bambino è possibile promuove lo sviluppo della sua creatività. Inoltre soltanto la scelta autonoma può liberare i suoi autentici interessi, ovvero un giovane deve avere la possibilità di seguire senza vincoli i propri istinti. Il ruolo dell’insegnante è solo quello di permetterne lo sviluppo integrale al fine di evidenziare i tratti di personalità del bambino mentre lo conduce alla auto-disciplina innescata in un modo del tutto naturale. È importante permettere al bambino di muoversi in classe, perché la personalità è plasmata dalla trasformazione parallela delle capacità mentali e motorie (psicomotorie). Gli elementi fondamentali del metodo Montessori si possono riassumere in alcuni punti:

  1. Imparare attraverso l’azione (attività, lavoro di gruppo e/o con l’insegnante);
  2. Libertà di scelta con tutte le sue conseguenze (i bambini possono selezionare il tipo di lavoro: individuale, in gruppo, in coppia, pur mantenendo certe regole sociali; in questo modo imparano a valutare le proprie competenze);
  3. Concentrazione (i bambini praticano la costanza e la precisione nello svolgimento dei compiti);
  4. Silenzio e ordine (i bambini imparano la passione per la pace, l’ordine e l’atmosfera di lavoro e sviluppano la capacità di concentrazione su diverse attività);
  5. Disciplina e regole sociali (diverse fasce di età in uno stesso gruppo, di solito tre anni di differenza tra i bambini, dovrebbero incoraggiare l’autocontrollo, e non creare un’atmosfera di coercizione, secondo la regola: “non disturbare gli altri, aiutali, non metterti sempre in competizione, abbi fiducia nelle persone”);
  6. Osservazione e corso individuale di sviluppo del bambino (l’insegnante osserva i bambini e ha verso di loro un atteggiamento di rispetto e regola il ritmo di lavoro secondo le loro capacità e competenze).

La metodologia pedagogica Montessori prevede anche l’utilizzo di materiali didattici non convenzionali, caratterizzati soprattutto dalla semplicità e precisione, ma anche dall’estetica. Essi vengono adattati alle diverse esigenze di sviluppo del bambino. Devono essere elaborati e costruiti in modo tale da consentire ai più giovani di controllare da soli i propri errori. La difficoltà degli esercizi in questi materiali è graduale. Altrettanto importante è l’ambiente in cui i bambini lavorano e trascorrono il loro tempo a scuola, perché in maniera molto significativa può agevolare lo sviluppo armonioso della personalità, contribuire alla creazione di un’atmosfera accogliente e rilassante. Il bambino si sente bene, è felice, ed ha il desiderio di continuare ad imparare. L’insegnante svolge nel processo di insegnamento un ruolo di guida, diventa un mediatore tra il mondo da conoscere e scoprire e la psiche del bambino.

Il grandissimo merito che Maria Montessori aveva nel campo della teoria e della pratica dell’apprendimento precoce si dimostra in numerosi premi e riconoscimenti che la famosa pedagoga ha ricevuto non solo in Italia ma in tutto il mondo. Lo stesso Papa Giovanni Paolo II, ha ricordato le parole del suo predecessore, Paolo VI pronunciate in occasione del 100° anniversario della nascita di questa grande donna italiana. Leggiamo sulle pagine de “L’Osservatore Romano” No. 10 (17) 1995: “[…] il segreto del suo successo, in un certo senso le radici stesse della sua pertinenza scientifica vanno cercati nella sua anima, in quella particolare sensibilità spirituale e femminile allo stesso tempo, che le ha permesso di fare una scoperta innovativa del bambino ed ha permesso di costruire su quella base un sistema educativo originale. Maria Montessori rappresenta perfettamente numerose donne che hanno contribuito al progresso della cultura […] ”

Durante i suoi numerosi viaggi presentò e promosse il suo metodo didattico. La seconda guerra mondiale la trovò in India, dove fu trattenuta fino al 1944, in qualità di cittadina di uno stato nemico. Tornò in Europa solamente 8 anni prima della sua morte, accolta con tutti gli onori. Sulla sua tomba, a Noordwijk nei Paesi Bassi, dove morì e fu sepolta nel 1952 si legge: “Io prego i cari bambini, che possono tutto, di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo”.

Il metodo Montessori rimane un non convenzionale o addirittura un esclusivo approccio alla didattica. Viene utilizzato principalmente con bambini disabili, mentre è meno diffuso negli asili e nelle scuole statali. In Polonia esiste un’Associazione Montessori (Stowarzyszenie Montessori) che riunisce una parte delle scuole che adottano il metodo anche con bambini senza alcuna disabilità. In Italia invece opera la Fondazione Italia, e in campo internazionale è attiva principalmente The Association Montessori Internationale AMI.

Polonia Oggi: Tre film polacchi tra i candidati agli Oscar europei

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Ieri è stata pubblicata la lista dei 51 film che gareggeranno nel corso dello European Film Award 2017. Alcuni dei titoli selezionati hanno già collezionato premi a Venezia, Cannes e Berlino. Tre sono i film polacchi: “Pokot” di Agnieszka Holland, ”Powidoki” di Andrzej Wajda e ”Ostatnia rodzina” di Jan P. Matuszyński. “Powidoki” è l’ultimo film di Wajda, scomparso lo scorso ottobre. Racconta la storia di Władysław Strzemiński, pittore e teorico dell’arte inviso al regime per la sua avversione al realismo socialista. “Pokot” racconta invece la storia di una pensionata che in una notte d’inverno trova il cadavere di un vicino e, di fronte all’impotenza delle forze dell’ordine, decide di indagare da sé. “Ostatnia rodzina” è infine un lungometraggio a carattere biografico sul pittore e grafico Zdzisław Beksiński e suo figlio Tomasz.

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