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Home Blog Page 277

I semirimorchi italiani emigreranno in Polonia?

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Il costruttore polacco Wielton ha presentato al Tribunale di Verona un’offerta (finora l’unica) di affitto di ramo d’azienda per la Compagnia Italiana Rimorchi, attualmente in concordato preventivo.

Quelli che sono considerati tra i migliori marchi della tradizione produttiva dei semirimorchi italiana potrebbero emigrare in Polonia. Stiamo parlando diViberti, Cardi, Piacenza, Daytona e Merker che erano riuniti sotto la Compagnia Italiana Rimorchi, creata dal Gruppo Margaritelli. Quello dei Margaritelli doveva essere il salvataggio dell’industria italiana dei semirimorchi, dopo la disastrosa esperienza della Merker (che ha avuto anche strascichi penali). Ma la crisi economica, con il conseguente crollo del mercato, e la fortissima concorrenza dei tedeschi nel centinato hanno spento le ambizioni della società umbra e così, nel marzo del 2014, la CIR è entrata in concordato preventivo.

Nei mesi successivi, sono emerse alcune ipotesi sull’acquisizione di ciò che rimane del gruppo, tra cui spaccavano quella della turca Tirsan e della polacca Wielton. Ora pare che sia rimasta in gioco solo quest’ultima. Infatti, Luca Piersante, della Uilm di Pescara, spiega a TrasportoEuropa che la Wielton ha presentato al Tribunale di Verona un’offerta per affitto di ramo d’azienda. Per ora, questa è la sola possibilità di rilevare la CIR, perché la procedura di concordato prevede una gara per l’acquisizione completa. Entro breve tempo, precisa la fonte sindacale, il Tribunale prenderà una decisione su tale offerta, poi potrebbe indire la gara per la vendita.

Per i dipendenti rimasti in cassa integrazione straordinaria, che scadrà alla fine di luglio, potrebbe essere una buona notizia, anche se non sono chiari i programmi della Wielton, che finora non conferma né smentisce le notizie che la riguardano. Se il Tribunale di Verona accetterà l’offerta di affitto, probabilmente la comunicazione ufficiale potrebbe apparire al Transpotec, che si svolgerà dal 16 al 19 aprile, dove la Wielton esporrà con un proprio stand. In caso contrario, c’è il serio rischio che questi marchi storici dell’industria italiana spariscano, in un mercato ormai dominato da aziende straniere.

trasportoeuropa.it

Presto un pezzo di Repubblica ceca diventerà Polonia

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Il governo della Repubblica ceca è pronto a restituire alla Polonia 368 ettari di territorio, per porre fine a una questione sorta negli anni ’50, quando i confini fra i due paesi furono modificati, per meglio predisporre i servizi di vigilanza alla frontiera.

In passato la Repubblica Ceca – che riconosce come fondata la rivendicazione territoriale della parte polacca – ha offerto una somma di denaro, ma Varsavia ha rifiutato. Rivuole le sue terre.

La stampa ceca ha cercato di dare una idea più precisa della estensione sottolineando significativamente che si tratta di qualcosa come 90 volte la Piazza Venceslao, Vaclavske namesti, il grande slargo situato nel centro di Praga.

La lista dei terreni offerti – tutti ai confini orientali del paese – non è stata ancora resa pubblica, ma la cosa dovrebbe interessare i comuni di Krnov, alcuni altri comuni della zona di Frydlant e dei Monti Jeseniky, in Moravia settentrionale, la regione storica della Slesia. (askanews)

L’oro bianco d’Italia

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Una delle grandi eccellenze dello straordinario paniere agroalimentare italiano.

Buona al punto di poter contare su un vero e proprio esercito di aficionados, disposti a tutto pur di poterla degustare. E bella, con il suo bianco che ricorda le opere in marmo del Canova e le sue forme tondeggianti che rimandano alle opulenti donne di Botero.

Stiamo parlando della Mozzarella di Bufala Campana, vera e propria icona del gusto Made in Italy, straordinaria ambasciatrice dello stile italiano a tavola. Difficile non amarla, come dimostra la folta schiera di fan sparsi in tutti i continenti tra i quali vanno annoverate star del mondo del cinema, dello spettacolo, dello sport e della politica. I coniugi Obama hanno pasteggiato spesso con una bella mozzarella di bufala in un discreto ristorante di Washington, imitati nella passione per l’oro bianco dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e dal premier inglese David Cameron. Ne è ghiotto Roger Federer così come, per restare nell’empireo dei fuoriclasse, Lionel Messi. Passando nel mondo dello show business, ne fa incetta Lady Gaga, la citano i Cold Play, è di casa a Hollywood dove vanta appassionati del calibro di Julia Roberts e Leonardo DiCaprio. In viaggio di nozze in Italia, Mark Zuckerberg, il papà di Facebook, non si faceva mai mancare un assaggio di mozzarella.

Tutti, va detto, attentissimi nel ricercare quella autentica, l’unica, quella siglata DOP (Denominazione di Origine Protetta). Perché, come accade a tutti i capolavori, anche la Mozzarella di Bufala vanta migliaia di tentativi di imitazione in tutto il mondo. Pallide copie che non riescono nemmeno ad avvicinare il gusto e la freschezza dell’originale, capace di estasiare il palato del consumatore con quel gusto di latte deciso e delicato al tempo stesso, con quella sensazione di elasticità così caratteristica e appagante difficilmente riproducibile.

Del resto, secoli di storia non si improvvisano. O addirittura millenni, secondo un recente studio che vedrebbe un’antenata della mozzarella fare la sua prima comparsa addirittura nel 5.000 a.C. Ma se vogliamo attenerci ai documenti storici, allora possiamo parlare dei primi allevamenti di bufali intorno all’Anno Mille. Mentre i più antichi riferimenti al termine “mozzarella” risalgono al XII secolo, quando i monaci del monastero d[cml_media_alt id='113365']Carboni - Oro bianco (10)[/cml_media_alt]i San Lorenzo in Capua erano soliti offrire un pezzo di pane accompagnato da una mozzarella ai pellegrini di passaggio. Spiegando loro che la parola “mozzarella” derivava dal gesto, operato con indice e pollice, con il quale veniva appunto mozzata la pasta filata e data quindi la classica forma al prodotto.

Inizialmente il consumo era circoscritto alla zona di produzione, essenzialmente la Campania. Ma già intorno al 1400 la mozzarella di bufala cominciava a fare proseliti anche in altri territori. Arrivando addirittura a sedurre la regina delle seduttrici, quella Lucrezia Borgia che, tra un’avventura d’alcova e un avvelenamento, trovò il modo di avviare una produzione di mozzarella nel nord Italia. Ma il fascino di questo meraviglioso prodotto non lasciò insensibile nemmeno Bartolomeo Scappi, cuoco personale di ben 6 papi e antesignano delle chef star dei giorni nostri, talmente soggiogato dal sapore della nostra protagonista da riservarle un intero capitolo nella sua monumentale opera dedicata alla cucina.

E lentamente si arriva ai giorni nostri, con la mozzarella di bufala ormai assurta al ruolo di indiscussa protagonista delle tavola di tanti gourmet, sparsi nel mondo. Merito anche del Consorzio di Tutela che dal 1981, anno di costituzione, vigila sulla qualità del prodotto che, giova ricordarlo, è in assoluto il più controllato al mondo. ? il Consorzio a monitorare tutta l’area di produzione che coinvolge ben quattro regioni italiane (Campania, Lazio, Puglia e Molise), anche se il vero fulcro è rappresentato dalle province campane di Caserta e Salerno che da sole garantiscono il 90% dell’intera produzione certificata. E che suscitano le discussioni degli esperti, divisi tra appassionati della mozzarella salernitana e fan di quella casertana.

Altra querelle è quella che riguarda il consumo di questo gioiello. I puristi la degustano “assoluta”, ritenendo che questo sia l’unico modo per apprezzarne al top le caratteristiche gustative. Ma è sempre più folta la pattuglia di coloro che amano vederla “interpretata” in cucina, protagonista di piatti ai quali regala la sua indiscussa classe. Non è certo un caso che uno degli eventi enogastronomici più noti in Italia sia “Le Strade della Mozzarella”, un happening che si svolge nella magica cornice di Paestum e che ogni anno, nel mese di maggio, chiama a raccolta i più blasonati chef italiani e stranieri, tutti impegnati nel proporre ricette dove Lei, Sua Maestà la Mozzarella, brilla stella tra le stelle. E la memoria corre al lontano 1889, quando Raffaele Esposito, il più noto pizzaiolo napoletano dell’epoca, propose alla Regina Margherita una pizza a base di pomodoro, basilico e, ovviamente, mozzarella di bufala campana. Talmente gradito dalla sovrana da diventare un piatto che, ancora oggi, rimane tra i più famosi e consumati al mondo: la Pizza Margherita.

Da allora molta strada è stata fatta e i numeri della Mozzarella di Bufala Campana Dop sono importanti: oltre 100 caseifici, circa 1.500 allevamenti per un totale di quasi 300mila capi bufalini e un fatturato al consumo che oscilla intorno ai 500 milioni di euro annui a fronte delle 40mila tonnellate prodotte. Una parte delle quali viaggia in tutto il mondo, estasiando i palati di tanti appassionati.

FCA produrrà in Polonia nuova versione 500, Lancia Ypsilon

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L’impianto polacco di Fiat Chrysler Automobiles (FCA) inizierà quest’anno la produzione delle nuove versioni di Fiat 500 e Lancia Ypsilon, secondo due fonti vicine alla situazione.

La mossa dovrebbe spingere le vendite di questi modelli e bilanciare in parte la produzione persa quando la fabbrica di Tychy, nel sud della Polonia, cesserà la produzione di Ford KA, realizzata grazie a un accordo con la casa Usa.

“Il restyling di 500 e Lancia Ypsilon manterrà la produzione a Tychy quando la collaborazione con Ford finirà come previsto entro marzo o maggio del prossimo anno”, dice una delle fonti.

Fiat non ha commentato, mnetre un portavoce Ford ha detto che la cessazione della produzione della Ka era già prevista nei prossimi due anni, senza fornire ulteriori dettagli.

La fabbrica di Tychy era la più produttiva in Europa, ma ha rallentato quando Fiat ha spostato la produzione di Panda in Italia nel 2011, con centinaia di licenziamenti.

Oggi produce circa 300.000 veicoli l’anno, rispetto al picco del 2009, fra cui la Fiat 500.

 

(Agnieszka Flak- Reuters)

 

Torino, Chiambretti: “A Varsavia con la mia 500 granata”

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I tifosi del Torino hanno ricominciato a sognare grazie agli straordinari risultati ottenuti dai granata in questo 2015.  Tra di loro c’è anche Piero Chiambretti. “All’inizio della stagione c’era una squadra e adesso ce n’è un’altra. E tutti giù a fare pronostici al via del campionato! Ma su che cosa? Spero sia l’inizio di un ciclo. – le sue parole a ‘La Gazzetta dello Sport’ – Ventura è da sempre un grande maestro. Pensa più alla squadra che ai singoli. Non bastano i fenomeni per vincere. Lui studia bene gli avversari in televisione e prima di entrare in campo i giocatori sanno perfettamente quello che devono fare. È la filosofia di Sacchi: meglio l’orchestra del solista. A parte i risultati, il Toro è bello da vedere, certi gol allo scadere, come quello di Moretti a ‘San Siro’, ti fanno capire che la temperatura è giusta. Ventura meriterebbe una squadra di rango superiore. Glik? Un simbolo. Speriamo che rimanga. Darmian? Corre così forte che rischiamo di perderlo… quello va a Roma, Milano, Napoli… speriamo che Ventura lo trattenga fino alla bandierina del calcio d’angolo”.

EUROPA LEAGUE – “Per la finale sarei disposto ad andare a Varsavia al volante della mia 500 granata”

 

M.D.F.

Sandra Burek

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Laureata presso la facoltà di pittura dell’Universita Artistica di Pozna?. Due anni dopo la laurea ha già partecipato a numerose mostre con le sue opere che hanno girato molte città polacche tra cui Katowice, Toru?, Breslavia. Una scelta azzeccata è stata la partecipazione al Premio Arte Laguna nel 2013 a Venezia, dove ha vinto uno dei premi piu importanti, grazie al quale nel 2014 ha potuto fare la sua prima esperienza artistica usando la pietra presso il Loft Miramarmi di Vicenza.

 

Cos’è per te l’arte?

L’arte è una nozione aperta che rende impossibile la sua chiusura entro un’unica definizione e nel caso dell’arte questa necessità non esiste proprio, e sono in pieno accordo con l’affermazione di Joseph Kosuth: “L’arte non è qualcosa, l’arte è tutto, eccetto tutte le cose che le assomigliano”. Il processo di creazione è la poesia di scoprire il mondo in una esperienza interiore, che collega l’oggetto con il soggetto, ed è allo stesso tempo l’essenza di un mistero meraviglioso. L’arte diventa una sorta di attività metafisica, trasponendo il problema della conoscenza artistica nella dimensione spirituale, in cui la relazione parallela tra il discorso critico-analitico dell’arte e i meccanismi di percezione formano una dipendenza fra la grammatica del linguaggio artistico e la sfera dei significati.

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Come hai scoperto il premio Arte Laguna?

Mi ha avvisato un amico con cui ho avuto il piacere di studiare. Ho deciso di partecipare perchè è una buona occasione per presentare le proprie opere a un pubblico più ampio.

 

Hai vinto un premio importante, una bella esperienza?

È stata soprattutto una nuova esperienza, non avevo mai lavorato con la pietra come mezzo artistico e non conoscevo il suo enorme potenziale, inoltre è stato per me il primo confronto con la vera realtà della vita d’artista, dopo anni passati sotto l’ombrello protettivo dell’accademia. Un mondo fatto di relazioni fra gallerie, istituzioni e curatori che può scoraggiare alcuni artisti a continuare nel loro percorso creativo. La possibilità di svolgere una residenza è stata una tappa importante nella mia educazione e nel mio sviluppo che mi ha dato una nuova prospettiva sulla mia futura attività creativa. Durante la residenza non ho dovuto provvedere a me stessa e ho potuto concentrarmi completamente sulla realizzazione del progetto intitolato “Czas kamienia” [Il tempo della pietra], che poi è stato protagonista di una mostra organizzata nella Galleria Loft Miramarmi.

 

Quali opere hai presentato a Venezia?

Ho presentato un libro artistico “Deklinacja k?ta” [La declinazione di un angolo]. Lo scopo dell’opera era di cercare la forma visuale della memoria. Il metodo che ho scelto pretende una rassegnazione consapevole non solo dei tentativi di presentare la memoria, ma anche la riduzione della memoria a una forma semplice, parte componente del processo di memorizzazione. “Deklinacja k?ta” costituisce l’inizio di una serie di opere intitolate “Algorytmy ci?cia – gi?cia” [Gli algoritmi di taglio e curvatura], che sono una forma estesa di una questione per me molto interessante, cioè appunto la memoria.

 

Hai avuto occasione di collaborare con artisti italiani?

Oltre me nella residenza ha partecipato anche Christian Fogarolli, con cui ho condiviso lo spazio del laboratorio durante il mio soggiorno. Abbiamo trascorso molto tempo a parlare dell’arte e dei progetti in realizzazione. Mi sembra, però, che nel mio caso la collaborazione con un altro artista non è stata cosi fondamentale, come invece è stata la semplice interazione con gli altri. Intendo le persone che ho conosciuto durante la residenza, che si sono rivelate molto interessanti e, cosi come Christian, mi hanno accompagnato nell’intero processo creativo.

 

Al momento abiti in Norvegia. La Polonia non è un paese per artisti?

Secondo me ogni paese è giusto per gli artisti e decisamente i limiti che ci imponiamo artificialmente non dovrebbero vincolare lo sviluppo individuale. La Norvegia da sempre appartiene ai paesi la cui cultura apprezzavo e che volevo conoscere meglio, lo stesso vale per l’Italia, la Gran Bretagna, l’Irlanda, il Giappone, la Francia, e sono solo alcuni degli esempi dal mondo che ci circonda. Parafrasando la 5.6 tesi di Wittgenstein, i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo, e in questo caso provo ad oltrepassarne il più possibile. Inoltre, come ho già detto, l’arte è una nozione aperta, ciò comporta anche l’impossibilita di chiuderla in qualsiasi confine imposto, etnico, economico-sociale, territoriale che sia. Ognuno di noi è un cittadino del mondo, a prescindere dalla provenienza e dalla residenza attuale, contano solo le persone e i contesti che conducono ad uno sviluppo costante.

La Sicilia de “Il Gattopardo”

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“Qualcosa doveva cambiare perché tutto restasse come prima”, disse Burt Lancaster nel Gattopardo. Se si vuole conoscere e capire la Sicilia, i siciliani, il miscuglio di storie, misteri e leggende di questa meravigliosa isola si deve leggere “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e magari guardare anche lo straordinario film di Luchino Visconti con Paolo Stoppa, Claudia Cardinale, Alain Delon, Burt Lancaster, lasciandosi sedurre dall’immaginario cinematografico che nel 1963 fu vincitore della Palma d’Oro nel 16° Festival di Cannes.

“Il Gattopardo” narra la storia del Principe Fabrizio di Salina, che vede sotto i propri occhi, dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia, il decadere dell’aristocrazia di cui egli è alto e degno rappresentante e l’avvento della borghesia affaristica impersonata dal futuro consuocero don Calogero Sedara. La Sicilia è magicamente affascinante nei suoi colori, sapori, odori, pericolosamente inebriante tanto da sconvolgere piacevolmente la vita a centinaia di stranieri che dopo averla visitata hanno deciso di trasferirvisi e non la vogliono più lasciare. Ma è allo stesso tempo tragicamente violentata e martoriata da chi l’amministra e disperde meraviglie uniche della natura e dell’arte. Per conoscere umori, tendenze e programmi della società di oggi, sono andata a intervistare “l’ultimo Gattopardo” Gioacchino Lanza Tomasi, il Duca di Palma, figlio adottivo dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa l’autore del celebre romanzo.

Dopo la morte dello scrittore siciliano, con grande eleganza ne ha raccolto l’eredità intellettuale conservandone viva la memoria e recuperando, dopo lunghi anni di paziente restauro, l’ultima dimora dove oggi vive con sua moglie Nicoletta. Gioacchino Lanza Tomasi è un uomo elegante ed affascinante, di una versatilità intellettuale assolutamente originale e fuori dal comune. Professore di Storia della musica all’Università degli Studi di Palermo, è stato direttore dell’Istituto di Cultura italiana di New York e sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli. È uno dei più importanti studiosi di teatro d’opera e da alcune settimane è stato nominato dal Ministro della Cultura Italiana, Dario Franceschini, nuovo Sovrintendente dell’INDA, l’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa. L’INDA ha il compito di produrre e rappresentare i testi drammatici greci e latini nell’importante e grandioso Teatro Greco di Siracusa ed in altri teatri di particolare rilievo diffondendo la cultura classica.

L’INDA è un gioiello da toccare con delicatezza”, spiega Gioacchino Lanza Tomasi “una centenaria realtà siciliana che ospita fino a 6000 persone al giorno per 45 giorni di rappresentazioni classiche, incassando più di 3 milioni di euro all’anno, più di tutti i teatri stabili italiani. Le tragedie greche di oggi sono rappresentate al tramonto come facevano i greci, sono brevi ed il grande pubblico apprezza tutto il contesto. Le tragedie rappresentano un grande teatro di eroi, di mattatori e di grandi attori. Il pubblico straniero le apprezza ma è chiaro che non comprende la prosa, perciò se si riuscisse ad intercalare le coreografie, come una volta si faceva nel teatro antico, si potrebbe ampliare ulteriormente il pubblico. Ma ovviamente bisognerebbe programmare una maggiore internazionalizzazione per promuovere il calendario della stagione, ed oggi è difficile realizzare tutto ciò con gli enti pubblici.”

Tu che hai girato il mondo e diretto anche l’istituto di Cultura di New York, cosa faresti per dare alla Sicilia maggiore risalto internazionale?

La promozione culturale è debole e poco efficace. Inoltre una edilizia misera e sovente degradata ha rovinato alcune fra le maggiori attrattive dell’isola. Il declino estetico dei centri storici, in particolare di Palermo, una fra le città più rappresentative della civiltà mediterranea, è sotto gli occhi di tutti. Si pensi allo stato di Bagheria e di molte altre realtà della provincia di Palermo. Il difetto sostanziale è che i siciliani negli ultimi cinquant’anni hanno curato soprattutto gli interessi familiari di una società contadina che sogna di trasformarsi in proletariato impiegatizio, e non ha prestato attenzione alla richiesta internazionale. Vendere sul mercato turistico Alcamo Marina, Termini Imerese, Gela è veramente un’impresa improbabile.

Oggi alcuni punti di forza dell’attrattiva paesaggistica appaiono deturpati, forse irrecuperabili. Ad esempio la Conca d’Oro, la Vallata di San Martino delle Scale, la vallata di Ganci. Appunto Gangi è stata indicata come la località più attraente per l’afflusso turistico. Lo è per l’afflusso di siciliani, attratti dalla casa da restaurare ceduta a € 1,00, non per l’afflusso di stranieri che indubbiamente preferiscono la valle intatta di Castelbuono. Il successo della Val di Noto dipende da un maggior rispetto dei centri storici e del paesaggio. Ed è un successo crescente. La Sicilia potrebbe avere un grande successo sul mercato turistico grazie all’esistenza di attrazioni uniche: civiltà antica, urbanistica, architettura, spazi e paesaggi, ma purtroppo tante zone, per esempio la valle di Agrigento, una volta meravigliosa, oggi sono rovinate da scempi urbanistici.

Nella mia gioventù Agrigento città partiva dalla stazione ferroviaria neogreca, saliva per la via Atenea, fino alla cattedrale e al suo straordinario museo. Oggi tutto ciò è degradato ed poco usufruibile. Il grande afflusso turistico della Valle dei Templi non si spinge più nel centro storico. La cattedrale è in pericolo, e potrebbe anche avvenire che un giorno la troveremo come la Chiesa di Santa Maria del Bosco, crollata a tre anni dal terremoto del Belice.

Se passiamo alla promozione, la Regione spende per la BIT milanese ma non investe nelle agenzie di viaggio, e sono quest’ultime a decidere se un milione di turisti debbano essere spinti verso la Grecia o in Sicilia. Molti investimenti turistici diretti sono rimasti cattedrali nel deserto.

La Regione dovrebbe convertire le sue ambizioni di impresa pubblica per diventare un’agenzia di stimolo all’investimento privato. Insomma una inversione a U rispetto al mantenimento dei sogni industriali. Il fatto che la Sicilia conti sul piano turistico quanto Malta e dieci volte meno delle Baleari è un indice sconvolgente. La Val di Noto, Ortigia sono in controtendenza. Bisogna cambiare indirizzo. Investire nel recupero e nella tutela dei beni culturali è un punto su cui si decide l’emarginazione o il ritorno alla vita.

Nel 2014, la Regione Siciliana, la Cineteca Nazionale e la Scuola Nazionale di Cinema hanno creato la mostra “C’era una volta in Sicilia: I 50 anni del Gattopardo”. Credi che sia stato un evento utile per l’internazionalizzazione?

La mostra è un viaggio tra il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e l’opera di Luchino Visconti, per ripercorrere le vicende di allora attraverso i luoghi principali del film: la battaglia di Palermo, il viaggio e la sosta a Donnafugata, infine il clou nostalgico del lungo ballo e l’epilogo all’alba. Le fotografie di scena, accompagnate da documenti, lettere, bozzetti, costumi, sono poste come in un ideale “cineracconto”, con interviste a più di trenta testimoni, tra cui Goffredo Lombardo, Burt Lancaster, Suso Cecchi d’Amico, Giuseppe Rotunno, Claudia Cardinale, Piero Tosi. È certamente un buon modo di promuovere la Sicilia, così come il Premio Giuseppe Tomasi di Lampedusa che ha una giuria di alto profilo ed ha laureato scrittori come Abraham Yehoshua, Mario Vargas Llosa e Javier Marías. Se vogliamo incrementare l’offerta rivolta ai viaggiatori stranieri allora il prestigio, la qualità delle proposte, il paesaggio, le città d’arte, l’enologia e la ristorazione diventano elementi qualificanti indispensabili.

Qual’è l’esperienza della sua vita che ricorda con maggior piacere?

Avevo ventotto anni quando fu girato “il Gattopardo”, 24 quando Franco Rosi e Suso Cecchi D’Amico girarono “Il Bandito Giuliano”. La mia famiglia procedeva allora verso la bancarotta come tutti i poderi agrari che in quel periodo subivano incredibili imposte, in Sicilia non c’era lavoro. Conobbi a Palermo la sceneggiatrice Suso Cecchi D’amico e suo marito Fedele D’amico un sublime musicologo polemista.

Cominciai a frequentare Roma. Vi si giravano allora 600 film l’anno. Roma era la capitale dell’industria cinematografica, ed io divenni per mia fortuna l’allievo prediletto di Lele D’Amico. Lele mi portò in cattedra, erano gli anni Sessanta, la vita in Italia era bella, vivace. The Roaring Sixties sono stati un momento eccezionale. Il consumismo era di là da venire e la vita se non facile era stimolante. La catastrofe dell’illuminismo sembrava soltanto una provocazione di Horkheimer ed Adorno. Oggi invece viviamo in un mondo che pare abbia cancellato 3000 anni di civiltà, quella civiltà che partendo dalla Grecia antica si era poi saldata al mondo giudaico cristiano ed era culminata nell’illuminismo. Nel Sessanta, anche a seguito del processo di Norimberga (inteso come la necessità di cancellare l’efferatezza ed abolire l’immunità dei governanti), nessuno avrebbe potuto pensare che cinquant’anni dopo si mozzassero le teste dei nemici e le si inviassero ai vincitori come trofeo o come minaccia. L’orologio della storia sembra tornato all’indietro di secoli. Oggi la convivenza civile è scomparsa. I diritti dell’uomo sembrano un’anticaglia, la tortura e l’omicidio mirato deplorati a parole e praticati correntemente. Differenze e barriere hanno soppresso la carità.

Intanto si è fatto buio ed il mio caffè è terminato. Ringrazio per la gradevole conversazione e mi congedo accompagnata dalla Duchessa Nicoletta Lanza Tomasi che incontrerò una prossima volta per conoscere un po’ della sua frizzante vita e ammirare con calma i dettagli del loro magnifico Palazzo. Grazie a quest’incontro ho conosciuto un altro bel pezzo di storia e mi è venuta una gran voglia di rivedere per la centesima volta il film in cui si rispecchiano i siciliani: “il Gattopardo”.

foto: Giovan Battista Poletto / Titanus

Ludmila Piestrak: “l’importanza di capire la musica’’

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Ludmi?a Piestrak, violinista dal Gruppo Musicale di Strumenti Antichi d’Opera Camerale di Varsavia, “Musicae Antiquae Collegium Varsoviense”, ci racconta la sua originale concezione della musica antica.

Dove hai imparato a suonare il violino?

Ho iniziato completando il primo grado della scuola di musica e il liceo musicale a Rzeszów. Poi, ho studiato presso l’Accademia di Musica di Breslavia, dove per cinque anni ho suonato il violino moderno. Dopo questi studi ho cominciato a studiare di nuovo presso la stessa Accademia, ma questa volta ho scelto il violino barocco.

Perché hai deciso di studiare un strumento antico?

Credo che la mia decisione sia dovuta e legata al mio primo progetto con il violino barocco. Quando ero una matricola (presso la facolta di violino moderno) ho frequentato la formazione cameristica, che era guidata da Jan Tomasz Adamus, l’attuale direttore della Capella Cracoviensis. Gli piaceva la mia espressione del suono così mi ha dato l’opportunità di prendere parte al progetto barocco che stava organizzando in Germania. Dovevamo eseguire un bellissimo concerto di Corelli “Fatto per la notte di Natale.” Non sapevo allora che cosa significasse suonare uno strumento antico, ma mi hanno assicurato che non era difficile. Quando durante la prima prova per il concerto ho accordato il violino e poi ho iniziato a suonare, non potevo credere a quello che sentivo. Il suono del violino barocco è stato una grande sorpresa per me, una vera scoperta. È stato dopo questo concerto unico che mi sono resa conto che questo era ciò che volevo fare e che questo era il modo in cui volevo esprimermi artisticamente. Questo ha completamente cambiato la mia visione della musica.

Quali sono i tuoi compositori preferiti barocchi?

Per noi violinisti ovviamente le più importante opere per violino sono quelle di Vivaldi. Inoltre, amo Monteverdi, Händel, “I Concerti Grossi” e “Le sonate per violino” di Corelli. Mi piace molto anche il compositore inglese Henry Purcell.

Hai partecipato ad alcuni progetti interessanti all’estero?

Per me il progetto più importante è stato “I Giovani dell’Accademia” organizzato dalla “Fondazione Academia Montis Regalis”’. Durante questo progetto ho viaggiato spesso in Italia, ho incontrato un sacco di musicisti italiani e ho avuto l’opportunità di lavorare con il grande violinista barocco Enrico Onofri, che è il primo violino in una delle più importanti orchestre barocche d’Europa “Il Giardino Armonico.”

Pensi che la conoscenza della lingua italiana possa essere utile per un musicista?

I musicisti devono conoscere innanzitutto la terminologia italiana che viene utilizzata nelle indicazioni musicali. Questi termini si incontrano [cml_media_alt id='113342']Bazylczyk - Violinista (2)[/cml_media_alt]subito all’inizio dell’educazione musicale. Sono così comuni nel nostro mondo musicale che spesso li assimilamo senza la consapevolezza che in realtà stiamo apprendendo una bella lingua straniera. A mio parere studiare musica può essere una buona base per continuare a imparare l’italiano!

Puoi spiegare cosa sono le ricostruzioni storiche della musica?

Suonare il violino barocco significa fare una lavorazione storicamente informata. Cerchiamo di riprodurre la musica di un periodo nel modo in cui è stata eseguita a quel tempo. Per questo usiamo una varietà di trattati, che sono stati scritti in quel tempo. Ai concerti giochiamo su strumenti d’epoca autentici o su loro copie.

Perché questo tipo d’esecuzione è così unico?

Il suono storico aggiunge più autenticità alla musica. A mio parere, un musicista deve capire che cosa suona e anche rendersi conto che la musica non sono solo note da riprodurre, al suo interno infatti contiene sempre qualcosa di speciale. Una profonda coscienza di come alcune composizioni erano eseguite all’epoca in cui furono scritte, può dare molto non solo ai musicisti, ma anche a chi ascolta. Quando l’artista capisce ciò che sta suonando è in grado di condividere l’essenza autentica della musica, rendendo più facile per il pubblico la percezione del messaggio contenuto da una composizione.

Lavori spesso fuori dell’Opera Camerale di Varsavia?

Naturalmente, prendo parte a diversi progetti. Sono una co-organizzatrice della Scuola Estiva Internazionale di Musica Antica a Lidzbark. La scuola affianca il Festival “Musica Varmia’’. Devo ammettere che, oltre all’Opera Camerla, questo è il mio secondo progetto più importante. In un prossimo futuro (17 marzo 2015, alle ore 19:00.) mi esibirò alla Filarmonica Nazionale a Varsavia, durante lo spettacolo musicale “Baroque Living Room.”

 

Siti web:

Varmia Musica Festival – http://www.varmiamusica.pl/

Casa Varsavia Chamber Opera – http://www.operakameralna.pl

Glutine sì, oppure gluten-free?

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foto: alfemminile.com

Me lo sono chiesta spesso anch’io: glutine sì, oppure gluten-free? Ha senso rinunciare volontariamente ai miei cibi preferiti, nella speranza di ottenere un benessere quasi miracoloso, che però nessuno è in grado di promettere?

Come tanti, faccio parte di quella schiera di persone rassegnate a convivere con sintomi e patologie, più o meno gravi, più o meno gestite dai farmaci, ma impossibili da superare completamente.
All’improvviso, la soluzione sembra a portata di mano. Basta fare qualche rinuncia, qualche piccolo cambiamento alle proprie abitudini. Cose di poco conto, almeno così sembra. E a seconda del periodo e delle mode, il colpevole di tutti i mali assume nomi diversi. Oggi si chiama Glutine.

Non stiamo parlando ovviamente delle persone affette da celiachia o da ipersensibilità alla proteina, ma di tutte le altre (a quanto pare, tantissime) persone, le quali pur senza essere affette da patologie diagnosticabili, potrebbero trarre giovamento da un cambio del proprio regime alimentare in questo senso. Almeno stando a quanto sostengono i fautori della dieta anti-glutine.

Intanto aumentano i consumatori che modificano parzialmente i propri acquisti, dirigendosi sempre di più verso prodotti privi di glutine, nel tentativo di ridurne l’assunzione. Le due parole: “gluten-free”, sono inconsapevolmente abbinate ad uno stile di vita più sano, e a volte addirittura più “light”. Ma dimostrare poi la stessa coerenza in tutti i momenti dedicati al pasto non è altrettanto semplice. Moda, eccesso oppure mancanza di informazioni, ansia di fare le scelte giuste per il proprio benessere. False credenze e luoghi comuni. Il risultato è sempre un’alimentazione confusa e poco consapevole. E intanto il business cresce.

E se invece provassimo a mangiare meglio, mangiare più sano? Preferendo i cibi di stagione, magari biologici, con un’adeguata rotazione degli alimenti. Rivalutando soprattutto i prodotti integrali, piuttosto che quelli raffinati e industriali.
I cereali infatti sono composti da più parti: la parte interna amidacea, il germe o embrione e la crusca esterna, che forma uno strato protettivo intorno al chicco. In seguito alle lavorazioni industriali introdotte con l’alimentazione moderna, ci siamo abituati a considerarli solo separatamente.

Ma la Natura non crea mai nulla a caso: la fibra alimentare è stata a lungo considerata la componente dei cereali integrali più utile per la nostra salute. Tuttavia, oggi sempre più dati dimostrano l’importanza di altre sostanze con effetti benèfici, quali la vitamina E e diverse vitamine del gruppo B, numerosi minerali come ferro, magnesio, zinco e selenio e vari composti fitochimici protettivi. Se assunte insieme, tutte queste sostanze nutrienti diventano sinergiche e particolarmente efficaci nella protezione da molte patologie, come alcuni tipi di tumore, disturbi cardiovascolari, diabete di tipo II, nonché nel mantenimento del peso forma.

Acquistare prodotti privi di glutine e ricchi di farine raffinate, senza rinunciare ai cibi ricchi di zuccheri e grassi, è una scelta incompleta e priva di senso. Perciò piuttosto che comprare la pasta bianca e gluten-free, proviamo quella integrale. Rinunciamo a biscotti, merendine, dolciumi, e agli altri prodotti ricchi di zuccheri semplici e grassi (compresi i super alcolici).

Arricchiamo la varietà della dieta, trovando lo spazio per tutti quei cibi naturalmente privi di glutine: riso e mais, miglio, amaranto, quinoa, grano saraceno. E poi i legumi, così importanti per il loro apporto di proteine! Naturalmente, frutta e verdura, per le quali non ci sono limiti di quantità, e di cui si consiglia l’assunzione di 5 porzioni al giorno (colazione, pranzo, cena, e due spuntini).

Tiramisu’

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Ingredienti:

Per i savoiardi:

  • 75g di albumi d’uovo
  • 90g di zucchero semolato
  • 65g di tuorli d’uovo
  • 20g di miele d’acacia
  • 37g di fecola di patate
  • 85g di farina 00
  • zucchero a velo q.b.

Per la crema tiramisù:

  • 4 uova freschissime, tuorli separati dagli albumi
  • 120g di zucchero semolato
  • 400g di mascarpone fresco
  • la scorza di 1 limone

Per la bagna:

  • 70 ml di caffè amaro
  • 1 cucchiaio di zucchero
  • 2 cucchiai di brandy (a piacere)

Per le fragole:

  • 250g di fragole fresche tagliate a pezzettini piccoli
  • 2 cucchiai di zucchero
  • la scorza di 1 limone

Per decorare:

  • cacao amaro in polvere

Preparazione:

PREPARIAMO I SAVOIARDI

PRERISCALDIAMO IL FORNO A 220°C IN MODALITA’ VENTILATA.

In una capiente ciotola mettiamo gli albumi a temperatura ambiente con lo zucchero semolato e montiamo con le fruste elettriche fino ad ottenere una massa stabile ma non troppo compatta.

In un’altra ciotola mescoliamo i tuorli con il miele fluido.

Versiamo poi i tuorli dentro agli albumi e mescoliamo dal basso verso l’alto per non far smontare gli albumi.

Setacciamo sopra il composto, un po’ alla volta, la farina con la fecola.

Versiamo il composto dentro la tasca da pasticceria e formiamo dei bastoncini distanziati uno dall’altro.

Spolverizziamo di zucchero a velo, cercando di togliere l’eccedenza con un pennello asciutto.

Cuociamo i savoiardi in forno per circa 7-8 minuti.

PREPARIAMO LA CREMA TIRAMISU’

In una grande ciotola montiamo i tuorli con lo zucchero, poi aggiungiamo a mano il mascarpone, continuando a lavorare con la frusta per amalgamare il composto. Aggiungiamo la buccia del limone grattugiata.

Montiamo gli albumi a neve in un’altra ciotola e li amalgamiamo al composto di tuorli e mascarpone mescolando con delicatezza dal basso verso l’alto.

PREPARIAMO LA BAGNA

In una ciotola mescoliamo il caffè con lo zucchero e, a piacere, del brandy.

COMPONIAMO LE COPPE DI TIRAMISU’

Creiamo le coppe tiramisù alternando gli strati:

mettiamo sul fondo dei pezzi di savoiardi imbevuti nella bagna, poi un  generoso strato di crema e procediamo nello stesso modo fino ad arrivare quasi al bordo della tazza, finendo con la crema di mascarpone. Spolverizziamo la superficie con cacao amaro setacciato.