La Sicilia de “Il Gattopardo”

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“Qualcosa doveva cambiare perché tutto restasse come prima”, disse Burt Lancaster nel Gattopardo. Se si vuole conoscere e capire la Sicilia, i siciliani, il miscuglio di storie, misteri e leggende di questa meravigliosa isola si deve leggere “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e magari guardare anche lo straordinario film di Luchino Visconti con Paolo Stoppa, Claudia Cardinale, Alain Delon, Burt Lancaster, lasciandosi sedurre dall’immaginario cinematografico che nel 1963 fu vincitore della Palma d’Oro nel 16° Festival di Cannes.

“Il Gattopardo” narra la storia del Principe Fabrizio di Salina, che vede sotto i propri occhi, dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia, il decadere dell’aristocrazia di cui egli è alto e degno rappresentante e l’avvento della borghesia affaristica impersonata dal futuro consuocero don Calogero Sedara. La Sicilia è magicamente affascinante nei suoi colori, sapori, odori, pericolosamente inebriante tanto da sconvolgere piacevolmente la vita a centinaia di stranieri che dopo averla visitata hanno deciso di trasferirvisi e non la vogliono più lasciare. Ma è allo stesso tempo tragicamente violentata e martoriata da chi l’amministra e disperde meraviglie uniche della natura e dell’arte. Per conoscere umori, tendenze e programmi della società di oggi, sono andata a intervistare “l’ultimo Gattopardo” Gioacchino Lanza Tomasi, il Duca di Palma, figlio adottivo dello scrittore Giuseppe Tomasi di Lampedusa l’autore del celebre romanzo.

Dopo la morte dello scrittore siciliano, con grande eleganza ne ha raccolto l’eredità intellettuale conservandone viva la memoria e recuperando, dopo lunghi anni di paziente restauro, l’ultima dimora dove oggi vive con sua moglie Nicoletta. Gioacchino Lanza Tomasi è un uomo elegante ed affascinante, di una versatilità intellettuale assolutamente originale e fuori dal comune. Professore di Storia della musica all’Università degli Studi di Palermo, è stato direttore dell’Istituto di Cultura italiana di New York e sovrintendente del Teatro San Carlo di Napoli. È uno dei più importanti studiosi di teatro d’opera e da alcune settimane è stato nominato dal Ministro della Cultura Italiana, Dario Franceschini, nuovo Sovrintendente dell’INDA, l’Istituto Nazionale del Dramma Antico di Siracusa. L’INDA ha il compito di produrre e rappresentare i testi drammatici greci e latini nell’importante e grandioso Teatro Greco di Siracusa ed in altri teatri di particolare rilievo diffondendo la cultura classica.

L’INDA è un gioiello da toccare con delicatezza”, spiega Gioacchino Lanza Tomasi “una centenaria realtà siciliana che ospita fino a 6000 persone al giorno per 45 giorni di rappresentazioni classiche, incassando più di 3 milioni di euro all’anno, più di tutti i teatri stabili italiani. Le tragedie greche di oggi sono rappresentate al tramonto come facevano i greci, sono brevi ed il grande pubblico apprezza tutto il contesto. Le tragedie rappresentano un grande teatro di eroi, di mattatori e di grandi attori. Il pubblico straniero le apprezza ma è chiaro che non comprende la prosa, perciò se si riuscisse ad intercalare le coreografie, come una volta si faceva nel teatro antico, si potrebbe ampliare ulteriormente il pubblico. Ma ovviamente bisognerebbe programmare una maggiore internazionalizzazione per promuovere il calendario della stagione, ed oggi è difficile realizzare tutto ciò con gli enti pubblici.”

Tu che hai girato il mondo e diretto anche l’istituto di Cultura di New York, cosa faresti per dare alla Sicilia maggiore risalto internazionale?

La promozione culturale è debole e poco efficace. Inoltre una edilizia misera e sovente degradata ha rovinato alcune fra le maggiori attrattive dell’isola. Il declino estetico dei centri storici, in particolare di Palermo, una fra le città più rappresentative della civiltà mediterranea, è sotto gli occhi di tutti. Si pensi allo stato di Bagheria e di molte altre realtà della provincia di Palermo. Il difetto sostanziale è che i siciliani negli ultimi cinquant’anni hanno curato soprattutto gli interessi familiari di una società contadina che sogna di trasformarsi in proletariato impiegatizio, e non ha prestato attenzione alla richiesta internazionale. Vendere sul mercato turistico Alcamo Marina, Termini Imerese, Gela è veramente un’impresa improbabile.

Oggi alcuni punti di forza dell’attrattiva paesaggistica appaiono deturpati, forse irrecuperabili. Ad esempio la Conca d’Oro, la Vallata di San Martino delle Scale, la vallata di Ganci. Appunto Gangi è stata indicata come la località più attraente per l’afflusso turistico. Lo è per l’afflusso di siciliani, attratti dalla casa da restaurare ceduta a € 1,00, non per l’afflusso di stranieri che indubbiamente preferiscono la valle intatta di Castelbuono. Il successo della Val di Noto dipende da un maggior rispetto dei centri storici e del paesaggio. Ed è un successo crescente. La Sicilia potrebbe avere un grande successo sul mercato turistico grazie all’esistenza di attrazioni uniche: civiltà antica, urbanistica, architettura, spazi e paesaggi, ma purtroppo tante zone, per esempio la valle di Agrigento, una volta meravigliosa, oggi sono rovinate da scempi urbanistici.

Nella mia gioventù Agrigento città partiva dalla stazione ferroviaria neogreca, saliva per la via Atenea, fino alla cattedrale e al suo straordinario museo. Oggi tutto ciò è degradato ed poco usufruibile. Il grande afflusso turistico della Valle dei Templi non si spinge più nel centro storico. La cattedrale è in pericolo, e potrebbe anche avvenire che un giorno la troveremo come la Chiesa di Santa Maria del Bosco, crollata a tre anni dal terremoto del Belice.

Se passiamo alla promozione, la Regione spende per la BIT milanese ma non investe nelle agenzie di viaggio, e sono quest’ultime a decidere se un milione di turisti debbano essere spinti verso la Grecia o in Sicilia. Molti investimenti turistici diretti sono rimasti cattedrali nel deserto.

La Regione dovrebbe convertire le sue ambizioni di impresa pubblica per diventare un’agenzia di stimolo all’investimento privato. Insomma una inversione a U rispetto al mantenimento dei sogni industriali. Il fatto che la Sicilia conti sul piano turistico quanto Malta e dieci volte meno delle Baleari è un indice sconvolgente. La Val di Noto, Ortigia sono in controtendenza. Bisogna cambiare indirizzo. Investire nel recupero e nella tutela dei beni culturali è un punto su cui si decide l’emarginazione o il ritorno alla vita.

Nel 2014, la Regione Siciliana, la Cineteca Nazionale e la Scuola Nazionale di Cinema hanno creato la mostra “C’era una volta in Sicilia: I 50 anni del Gattopardo”. Credi che sia stato un evento utile per l’internazionalizzazione?

La mostra è un viaggio tra il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e l’opera di Luchino Visconti, per ripercorrere le vicende di allora attraverso i luoghi principali del film: la battaglia di Palermo, il viaggio e la sosta a Donnafugata, infine il clou nostalgico del lungo ballo e l’epilogo all’alba. Le fotografie di scena, accompagnate da documenti, lettere, bozzetti, costumi, sono poste come in un ideale “cineracconto”, con interviste a più di trenta testimoni, tra cui Goffredo Lombardo, Burt Lancaster, Suso Cecchi d’Amico, Giuseppe Rotunno, Claudia Cardinale, Piero Tosi. È certamente un buon modo di promuovere la Sicilia, così come il Premio Giuseppe Tomasi di Lampedusa che ha una giuria di alto profilo ed ha laureato scrittori come Abraham Yehoshua, Mario Vargas Llosa e Javier Marías. Se vogliamo incrementare l’offerta rivolta ai viaggiatori stranieri allora il prestigio, la qualità delle proposte, il paesaggio, le città d’arte, l’enologia e la ristorazione diventano elementi qualificanti indispensabili.

Qual’è l’esperienza della sua vita che ricorda con maggior piacere?

Avevo ventotto anni quando fu girato “il Gattopardo”, 24 quando Franco Rosi e Suso Cecchi D’Amico girarono “Il Bandito Giuliano”. La mia famiglia procedeva allora verso la bancarotta come tutti i poderi agrari che in quel periodo subivano incredibili imposte, in Sicilia non c’era lavoro. Conobbi a Palermo la sceneggiatrice Suso Cecchi D’amico e suo marito Fedele D’amico un sublime musicologo polemista.

Cominciai a frequentare Roma. Vi si giravano allora 600 film l’anno. Roma era la capitale dell’industria cinematografica, ed io divenni per mia fortuna l’allievo prediletto di Lele D’Amico. Lele mi portò in cattedra, erano gli anni Sessanta, la vita in Italia era bella, vivace. The Roaring Sixties sono stati un momento eccezionale. Il consumismo era di là da venire e la vita se non facile era stimolante. La catastrofe dell’illuminismo sembrava soltanto una provocazione di Horkheimer ed Adorno. Oggi invece viviamo in un mondo che pare abbia cancellato 3000 anni di civiltà, quella civiltà che partendo dalla Grecia antica si era poi saldata al mondo giudaico cristiano ed era culminata nell’illuminismo. Nel Sessanta, anche a seguito del processo di Norimberga (inteso come la necessità di cancellare l’efferatezza ed abolire l’immunità dei governanti), nessuno avrebbe potuto pensare che cinquant’anni dopo si mozzassero le teste dei nemici e le si inviassero ai vincitori come trofeo o come minaccia. L’orologio della storia sembra tornato all’indietro di secoli. Oggi la convivenza civile è scomparsa. I diritti dell’uomo sembrano un’anticaglia, la tortura e l’omicidio mirato deplorati a parole e praticati correntemente. Differenze e barriere hanno soppresso la carità.

Intanto si è fatto buio ed il mio caffè è terminato. Ringrazio per la gradevole conversazione e mi congedo accompagnata dalla Duchessa Nicoletta Lanza Tomasi che incontrerò una prossima volta per conoscere un po’ della sua frizzante vita e ammirare con calma i dettagli del loro magnifico Palazzo. Grazie a quest’incontro ho conosciuto un altro bel pezzo di storia e mi è venuta una gran voglia di rivedere per la centesima volta il film in cui si rispecchiano i siciliani: “il Gattopardo”.

foto: Giovan Battista Poletto / Titanus