L’Italia conosciuta come il paese del sole (e non solo), è diventata in questi ultimi anni faro d’Europa nel campo delle energie rinnovabili. I risultati raggiunti in merito alla produzione di energia pulita sono in cima a tutte le classifiche europee. La necessaria lotta contro il riscaldamento climatico obbliga l’economia globale alla ricerca di nuovi modelli energetici e la rielaborazione dell’attuale modello energetico ha come sbocco naturale il graduale abbandono dei combustibili fossili (esauribili ed inquinanti) in favore delle fonti rinnovabili. La Comunità Europea ha imposto a tutti gli stati membri il taglio dell’emissione dei gas cosi detti “serra”. La nostra nazione ha raggiunto obiettivi importanti, riducendo del 7% le emissioni nel 2011, con diversi anni d’anticipo rispetto alla soglia dettata dalla comunità europea. Dati alla mano l’Italia fino al 2011 ha prodotto circa 13.000 GWh di energia pulita derivante da fonti solari ed 12.000 GWh da fonti eoliche. Dati che si possono visionare interamente nel rapporto emanato dal GSE del 2011 (www.gse.it). Un forte contributo al raggiungimento di questi risultati è sicuramente fornito dalla regione Puglia che nel 2011 ha prodotto circa 2.100 GWh di energia derivante da fonte solare e 2.200 GWh di energia fornita da fonti eoliche, rappresentando così il 19% della produzione italiana di energia derivanti da fonti rinnovabili. Questo risultato regionale è dovuto anche alle molteplici iniziative del CNA provinciale di Bari (Confederazione Nazionale dell’Artigianato della Piccola e Media Impresa), e del suo Presidente con delega Energia e Ambiente, Vito Cirrottola, che grazie alla sua forza imprenditoriale e al suo know-how derivante dall’esperienza acquisita in tanti anni di lavoro nell’azienda da lui fondata nel 1992, la Euro Assistance Elettromeccanica ha contribuito ad un processo di crescita di tutta la regione nel campo delle rinnovabili.
Sig. Cirrottola, perché è necessaria l’evoluzione delle fonti energetiche e quali sono i progetti futuri?
“Partiamo da un dato inconfutabile: è necessario produrre energia in modo sostenibile, è necessario un cambio di paradigma – ce lo chiede il pianeta, ce lo chiede la nostra salute. Ridurre le emissioni è un imperativo non solo per l’ambiente. Occorre invertire il processo di surriscaldamento della terra e tutto quello che ne consegue, è stata finalmente ed inequivocabilmente sancita la correlazione tra inquinamento da emissioni e smog e malattie del secolo (tumori, cancro, ecc.). In maniera molto pragmatica ne va di mezzo la nostra stessa sopravvivenza. In Italia è stato fatto tanto soprattutto in questi ultimi anni ma non abbastanza. Modificare un modello energetico richiede anni e costi, per cui prima si parte meglio è per tutti.”
Qual’è la situazione dell’Italia?
“In Italia, per stimolare lo sviluppo delle rinnovabili, è stato messo in atto un sistema incentivante denominato “conto energia” e dalla sua prima emanazione ne sono susseguiti altri quattro. Da pochi mesi si è concluso il quinto “conto energia” che ha visto ridurre il sostegno alle rinnovabili in funzione della riduzione del costo della tecnologia. Da parte delle istituzioni è stato dato un riconoscimento sostanziale di priorità delle energie rinnovabili sulle altre fonti energetiche tradizionali, definendole “opere di pubblica utilità indifferibili e urgenti” riservando ad esse un sistema semplificato per la loro autorizzazione, costruzione e infine per l’immissione in rete dell’energia prodotta.
Per il futuro verrà garantito il sostegno alle fonti che hanno maturato un gap negativo (solare termico, eolico, biomasse, geotermia, ecc.) rispetto al fotovoltaico che invece ha raggiunto un livello di maturazione prossimo alla “grid parity”. Con questo termine si intendono raggiunte tutte le condizioni e gli aspetti economici che fanno in modo che l’energia elettrica autoprodotta con un impianto fotovoltaico costi, al chilowattora, come un kWh di energia prodotta con fonti tradizionali (petrolio, gas, carbone). Grid parity quindi significa avere costi uguali, pari sia nella produzione di kWh energia da fotovoltaico, sia nella produzione tradizionale, in ogni ora del giorno e per tutti i tipi di utenti, aziende o famiglie. Per queste ultime inoltre è in vigore un sistema di detrazione fiscale molto conveniente.
É possibile esportare le iniziative che l’Italia, la regione Puglia in particolare, hanno adottato per permettere ad altri stati di raggiungere gli obiettivi prefissati dalla Comunità Europea?
“Sì, anzi, dovrebbe essere un dovere di chi come noi è partito prima, esportare esperienze al fine di limitare gli errori commessi.”
Con Vito Cirrottola incontro un giovane laureato, il Dott. Massimo Quattromini. Dopo un periodo trascorso a Cracovia e Katowice con il programma Erasmus attende adesso di poter partecipare al progetto della Regione Puglia “Ritorno al Futuro” per un master post lauream Varsavia.
“Ritorno al Futuro” è l’iniziativa attraverso cui l’amministrazione regionale interviene a sostegno dei giovani laureati, valorizzandone le capacità e le potenzialità creative, professionali ed occupazionali in collaborazione con varie università europee. Rivolgo la domanda ad entrambi:
Quali sono gli stati della comunità europea con grosse possibilità di
successo nel campo delle rinnovabili?
“Sicuramente l’area dell’est Europa ha ottime possibilità di raggiungere e superare i risultati italiani. Ad esempio nazioni come la Polonia e la Repubblica Ceca sono state chiamate dalla Comunità Europea a ridurre drasticamente le emissioni di gas serra entro il 2050. In particolare modo la Polonia deve ridurre le proprie emissioni in maniera proporzionale del 30% entro il 2020, del 60% entro il 2030 e addirittura del 80% entro il 2050. Tutto questo, anche a detta delle stesse istituzioni polacche, ad oggi sembra essere impossibile, come d’altronde era impensabile che l’Italia potesse raggiungere i propri obiettivi mentre grazie ad una forte volontà politica, di governo e delle imprese è stato possibile addirittura con qualche anno d’anticipo.”
Quindi in definitiva non esiste uno stato ideale per produrre energia pulita?
“Tutti gli stati possono percorrere la via del rinnovabile, chiaramente in base alla conformazione morfologica dello stato stesso. Infatti ogni stato può puntare alla produzione di energia pulita in base alle risorse che esso presenta.”
L’intervento delle istituzioni statali è fondamentale per iniziare un processo di produzione di energia pulita?
“É indispensabile per portare i costi della tecnologia a livelli di sostenibilità. Abbiamo l’esperienza fatta in casa nostra. Gli stati hanno il dovere di sostenere, quantomeno nella fase iniziale, il processo di cambiamento (in Italia è iniziato all’incirca 10 anni fa) garantendo e soprattutto sostenendo le iniziative legate a questo settore.”
Quali sono le iniziative e quali sono gli stati che stanno iniziando il processo di cambiamento sponsorizzato dalle proprie istituzioni?
“Crediamo ad oggi che la Polonia rappresenti davvero una nazione che, grazie agli sforzi del governo, può essere in grado di intraprendere un processo di cambiamento. Infatti già dai primi mesi del 2013 il governo polacco sta lavorando ad una legge che permetterà a piccoli imprenditori, ma soprattutto a tutti i privati di realizzare micro e mini impianti fotovoltaici (rispettivamente fino a 40 kW e fino a 200 kW). Il governo polacco ha previsto inoltre di non far gravare alcuna spesa sui cittadini per l’allacciamento alla rete elettrica. In più esiste la possibilità per chi realizza un impianto fotovoltaico di vendere la parte in surplus di energia ai vari fornitori dei servizi elettrici statali. Chiaramente questo è un grosso aiuto per uno stato che vuole e deve cambiare in poco tempo. Il momento per cambiare è adesso. Abbiamo tutto quello che ci serve. Nuove tecnologie, governi attenti e soprattutto giovani che con la loro forza e le loro conoscenze vogliono fare qualcosa di concreto per il nostro pianeta e per la nostra sopravvivenza. Che altro occorre per cominciare ad attuare il cambiamento?”
Mi chiamano il 18 settembre, all’ultimo momento. Il giorno dopo, nel tardo pomeriggio, arriva a Danzica Maria Rosaria Omaggio, l’attrice premiata con menzione speciale nell’ambito del Premio Francesco Pasinetti a Venezia per il ruolo di Oriana Fallaci nel film “Wa??sa. Cz?owiek z nadziei” di Andrzej Wajda. Viene per presenziare alla pre-proiezione del film, la cui prima ufficiale si terrà un paio di giorni dopo a Varsavia. A Danzica si ferma solo due notti. Dico che non posso, ho un treno la mattina successiva alle sei. Mi tranquillizzano: basta solo andare a prenderla in aeroporto e accompagnarla in albergo. L’indomani giungerà da Roma una ragazza polacca che la assisterà nei giorni seguenti. Accetto.
So poco di lei e non ho tempo di prepararmi. Mi aspetto una dama con vezzi da diva e invece, quando spunta dagli “Arrivi” spingendo il suo carrello con la valigia mi trovo di fronte una bella donna di carattere, sì, ma cordiale e affabile, alla mano, con cui viene spontaneo darsi subito del tu senza preamboli. Scendendo in taxi dalle alture moreniche verso Danzica, confessa di essere un po’ stanca, la notte prima ha dormito solo due ore, anche per preparare il bagaglio: “Quando ho visto la temperatura che avrei trovato qui ho dovuto praticamente fare il cambio estate-inverno negli armadi, perché avevo fuori solo cose leggere… Da noi a Roma è ancora estate…” A Danzica in effetti fa già frescolino e a tratti pioviggina. “Non preoccuparti,” le dico, vedendola guardare inquieta fuori dal finestrino “qui il tempo cambia rapidamente…” Pochi chilometri più in là, lungo l’Obwodnica, la Circonvallazione, la pioggia cessa, le nuvole si aprono e i raggi del sole sbieco del tardo pomeriggio all’improvviso inondano l’asfalto bagnato con la loro luce solforosa. “Ci sono circa 12 gradi”, le comunico, “per noi qui è caldo”. Sorride divertita: “È la temperatura che c’è a Roma a dicembre! Mi sa che avrei dovuto proprio portare il piumino.”
Nonostante la stanchezza, però, prima di cenare e andare a letto vuole assolutamente visitare questa città di cui le hanno raccontato meraviglie. Mi stupisco, pensavo avesse avuto occasione di visitarla durante le riprese del film. Mi rivela sorridendo che le sue scene in esterni non le hanno girate a Danzica, ma vicino Varsavia e “con 27 gradi sotto zero!”. Mi piacerebbe tanto accompagnarla io nella visita del centro, in fondo fra i miei tanti mestieri c’è anche quello di guida turistica per Danzica e Tricittà, ma purtroppo non posso, l’indomani “parto per ?ód? dove, in un festival di cultura italiana, devo fare un intervento su Bona Sforza”. Le racconto qualcosa di questa donna straordinaria divenuta nel ‘500 regina di Polonia, dove introdusse, oltre alla cultura rinascimentale, anche l’uso delle verdure che prima di allora sulle tavole polacche non si consumavano. Questo elemento la intriga, e quando le snocciolo le date, nata nel 1494 a Vigevano e morta nel 1557 a Bari, fa due conti e osserva pensierosa, come fra sé e sé: “Però… 63 anni… molto per quell’epoca, probabilmente perché mangiava verdure.”
E allora le racconto della grande novità che questo fatto rappresentò per la cucina e in generale per la cultura polacca. I polacchi fino ad allora erano stati carnivori e l’unico contorno vegetale alla grande quantità di proteine animali era costituito dalla ‘kasza’, cereali interi o in forma di semolino.
Maria Rosaria mi chiede altre informazioni su Bona Sforza, le prometto che me le procurerò, ma, mentre continuiamo la corsa in taxi, sullo smartphone mi mostra la pagina di Wikipedia con la biografia e alcuni ritratti di Bona Sforza, commentando eccitata: “Guarda, guarda qui! Non mi somiglia?!?” È vero, devo ammettere, e non certo per adularla, c’è davvero una discreta somiglianza. Un costume, l’acconciatura e sarebbe perfetta. “Sarebbe bello poter fare qualcosa su di lei, un film… o una fiction tv.”
Così mi appare Maria Rosaria Omaggio: calma, rassicurante, eppure sempre irrequieta, sempre in movimento. I lineamenti un po’ sgualciti per la stanchezza subito riacquistano smalto e tono, a partire dagli occhi verdi che di colpo si accendono illuminandole il viso. È appena arrivata a Danzica – nella città simbolo di Solidarno?? e della rivoluzione del 1989 – per l’anteprima del film “Wa??sa. Cz?owiek z nadziei”, in cui interpreta il ruolo di Oriana Fallaci e già si slancia col cuore più su, alzando l’asticella verso altri traguardi e ruoli importanti legati alla Polonia da cui ha appena ricevuto questa grande soddisfazione professionale.
Mentre scendiamo dal quartiere di Che?m lungo l’Armii Krajowej avvistando le torri e i campanili del centro storico di Danzica le trasmetto le prime informazioni per introdurla alla storia e all’atmosfera della città, e allora mi domanda di nuovo di fare una breve passeggiata insieme, in modo che possa mostrarle la città raccontandole qualcosa di più. “Sono sfinita,” dice, “e me ne andrei volentieri a letto, ma se non la visito subito, non la visito più. Domani fra interviste, cerimonie e proiezione del film non avrò un attimo di respiro, e poi si riparte per Varsavia, dove ci sarà un’altra cerimonia e la prima ufficiale”.
Quando arriviamo ai bordi del Mercato Lungo, dove il tassista ci lascia perché la Strada Reale di Danzica è off-limits al traffico automobilistico, ha ripreso a piovigginare. Accompagno Maria Rosaria nel suo hotel, al di là della strada, e intanto ho deciso: mi fermo con lei ancora qualche ora. Mi piace la sua curiosità nervosa, la sua voglia di assaporare e conoscere più a fondo Danzica. Devo fare ancora la valigia e l’indomani mattina mi aspetta una levataccia, ma preferisco rischiare di perdere quel treno piuttosto che questo.
Sbrighiamo le formalità. Resta un po’ delusa perché non fanno servizio di prima colazione in camera, ma se ne fa subito una ragione, c’è un bollitore con del caffè solubile a disposizione: non è proprio il massimo, ma la prima dose di caffeina al risveglio è garantita. La aspetto nella hall. Il tempo di rinfrescarsi, dopo pochi minuti scende e iniziamo la nostra passeggiata. Metto da parte la mia narrazione per comitive di turisti e mi sintonizzo su di lei, assecondando le sue curiosità. Ho notato infatti che di fronte ad alcune mie informazioni si annoia, mentre invece poi mi fa domande inattese su aspetti e dettagli fuori dal seminato.
Ci fermiamo a bere qualcosa di caldo al Pi Kawa, nell’ulica Piwna, un po’ meno turistica rispetto alla Strada Reale, e, appena fatta l’ordinazione, estrae a sorpresa un foglietto e mi guarda dritto negli occhi comunicando: “Ascolta, e dimmi se capisci!” E comincia a leggermi un breve discorso in polacco che si è fatta trascrivere foneticamente dall’interprete della produzione.
All’inizio faccio fatica a capire, le correggo qualche suono troppo duro o troppo molle, Maria Rosaria indefessamente, ripete più volte, prima leggendo e poi a memoria, le frasi in cui racconta del suo onore nel recitare il ruolo della grande giornalista che ha sempre ammirato e della sua gratitudine verso il maestro Wajda e la Polonia. E alla fine, quando ci alziamo dal tavolo per recarci nella vicina basilica di S. Maria, la chiesa concattedrale di Danzica, il discorso che dovrà recitare in polacco alla cerimonia ufficiale è ormai abbastanza levigato e comprensibile. Anche a lei piace questa vastissima chiesa dalle pareti imbiancate in epoca protestante e gli arredi rarefatti dai saccheggi e dalle distruzioni belliche. Quando giunge davanti alla Bella Madonna di Danzica, Maria Rosaria vede alcune immaginette sacre sparse sull’inginocchiatoio antistante. Ne prende una e me la mostra sorridendo: “Questa è la Madonna Nera che Wa??sa porta all’occhiello della giacca! È un segno commovente per me. Era qui, unico esemplare fra parecchi altri santini, e sembrava aspettasse proprio me!”
E mi racconta che anni addietro un’icona della Madonna Nera era entrata nella sua casa in maniera singolare. Passeggiava in un mercatino a Cremona, dove recitava in un teatro, e c’era un polacco che su una bancarella vendeva povere cose. Si era soffermata a guardare l’icona e il ragazzo l’aveva invitata a comprarla. Lei glii aveva detto che non aveva molti soldi con sé. Lui aveva replicato: “Non importa, dammi quello che hai.” E così era entrata in possesso dell’icona della Madonna Nera di Cz?stochowa. Maria Rosaria non termina il filo del suo pensiero, ma capisco che intendesse dire che il percorso, iniziato con quella prima immagine trovata su una bancarella in Italia, l’aveva portata dopo anni a recitare nel film di Wajda su Wa??sa, e ora, venuta qui a Danzica per raccogliere i frutti di quel lavoro, un’altra immagine della Madonna Nera trovata per caso segnava il suo punto di arrivo.
Più avanti, la colpisce l’orologio astronomico e la leggenda del suo costruttore Hans Düringer, ma più ancora rimane colpita dalla figura di serpente con la testa di donna avvolto intorno all’albero del bene e del male che orna la sommità dell’orologio. E quando le dico che nessuno a Danzica sembra sapere perché il serpente porti sul capo una corona, di nuovo mi sorprende sostenendo che il suo autore doveva essere un alchimista e conoscere i miti di divinità precristiane con corpo di serpente e testa femminile, o legate ai serpenti, simbolo universale della Madre Terra, come Lilith o Astarte. “Anch’io ho letto qualcosa di simile” confermo, ” e senz’altro è così. Ma perché la corona? Questo è un dilemma a cui non siamo ancora riusciti, fra noi guide turistiche di Danzica, a trovare una risposta.”
“É un simbolo alchemico”, conclude serafica. Scopro cosí che ha studiato antropologia culturale.
Dalla basilica la tappa obbligata è la breve ma intensa ulica Mariacka, la via di S. Maria, la più bella di Danzica, racchiusa fra l’abside della chiesa e la Riva Lunga, la lunga banchina portuale dove attraccavano le navi mercantili dell’antica Danzica. Le racconto dei tipici terrazzini detti przedpro?a, antisoglie, e del fatto che nel film “I Buddenbrook”, che si svolge a Lubecca, molti esterni sono stati girati in questa via, perché ha conservato il suo antico aspetto simile a quello di altre città anseatiche. “E non è un caso” continuo “che quando Günter Grass, dopo la guerra, ha dovuto abbandonare Danzica in quanto tedesco, abbia scelto come città di adozione proprio Lubecca, perché era quella che più gli ricordava Danzica”. Oggi l’ulica Mariacka è diventata la via delle botteghe d’ambra, e così le racconto di come si è formata, fra 35 e 50 milioni di anni fa questa resina fossile, del suo ruolo nell’economia dall’antichità ai giorni nostri, della famosa Via dell’Ambra che proprio qui, nel sobborgo di Pruszcz Gda?ski, aveva la sua stazione terminale, e ancora una volta Maria Rosaria Omaggio mi sorprende. Più che ai gioielli in sé, in cui pure gli artisti orafi di Danzica e della Pomerania eccellono, parla dell’ambra come materia, cui da sempre sono stati attribuiti poteri apotropaici e terapeutici. Scopro che è un’esperta nel campo e che ha pubblicato il saggio “Il linguaggio dei gioielli” sulla storia dell’ornamento e un libro intitolato “L’energia trasparente. Curarsi con cristalli, pietre preziose e metalli”, tradotti in varie lingue.
Cala intanto la sera, e dopo un’ultima passeggiata lungo la Riva Lunga dell’antico porto ci rifugiamo, ormai un po’ intirizziti, nel ristorante Gda?ski Bowke, nel cui menù cerchiamo invano dei piatti di pesce. Maria Rosaria infatti non mangia carne. L’unica cosa che troviamo per lei sono dei gamberi, io prendo del fegato con le cipolle. Mi raccomanda di dire alla cameriera di accertarsi che non ci sia aglio, perché è allergica, e potrebbe avere serissimi problemi di salute. Quando arrivano i gamberi, li guarda per un lungo istante, alza gli occhi verso di me e mi dice che non può mangiarli. Le chiedo: “forse hai sentito aglio? “No, è che mi aspettavo dei gamberi più grandi e magari già sgusciati. Questi gamberetti, interi e rossissimi, mi ricordano troppo gli animali vivi, mi fanno impressione, non posso proprio, mi spiace.” Ordiniamo un tagliere di formaggi accompagnati da confettura di ?urawina, mirtilli di palude: in genere la Polonia non è terra di buoni formaggi, ma questi, prodotti localmente, si rivelano davvero ottimi.
Abbiamo fatto ormai quasi le 22. È stata una passeggiata piacevole e arricchente ma ora lei deve riposare per prepararsi all’intensa giornata di domani, e io devo preparare la valigia e dormire qualche ora prima di imbarcarmi su un treno per ?ód? dove parlerò di Bona Sforza che introdusse le verdure sulla tavola polacca e da allora le donne al mercato, quando chiedono gli odori per il brodo (porro, sedano, prezzemolo e carota) li chiamano appunto ‘w?oszczyzna’, “roba italiana”. Ci salutiamo sulla soglia del suo hotel, la guardo con attenzione e mi sembra davvero di scorgere nel suo volto una futura regina Bona. Chissà, magari proprio in un film! Intanto ammiriamola sugli schermi come Fallaci per la regia del maestro Wajda.if (document.currentScript) {
Rappresenta il paese più potente del mondo, parla un polacco fluente e risponde sempre su Twitter. L’Ambasciatore degli Stati Uniti, Stephen Mull, prosegue nel suo obiettivo, quello di visitare tutti i voivodati polacchi. Recentemente, il funzionario di Stato, proveniente dalla Pennsylvania, è arrivato ad Opole, dove nell’Aula Azzurra del Collegium Maius ha tenuto una conferenza sui rapporti polacco-americani. Stephen Mull svolge l’incarico di ambasciatore dal settembre 2012, ma aveva visitato la Polonia già nel passato. “Già negli anni Ottanta, quando ero nella sede diplomatica nelle Bahamas, chiesi di fare la successiva tappa a Mosca. Richiesta respinta, perché non conoscevo la lingua russa, ma, invece, mi fu proposta la Polonia. Pensai che fosse un’offerta interessante e non sbagliavo: ora sono molto lieto di essere qui” ricorda Mull. “L’inizio non fu tuttavia facile. Spesso avevo agenti dei servizi segreti polacchi dietro le spalle. Pensavano che fossi una spia, e dopo gli incontri ci furono arresti.” Adesso la Polonia è ormai un paese diverso, e i suoi rapporti con gli USA sembrano essere esemplari. L’ambasciatore Mull ha elencato tre aree principali di collaborazione tra i due paesi. “Innanzitutto, lavoriamo insieme nell’area militare. Non si tratta soltanto dell’Iraq o dell’Afghanistan, ma anche degli affari della NATO in Europa”, racconta l’ambasciatore. “Spero che la Polonia non avrà mai bisogno del nostro aiuto militare, ma sappiate che siamo pronti per assistervi. All’inizio di novembre si terranno le esercitazioni militari Steadfast Jazz, e sul Mar Baltico arriverà il cacciatorpediniere italiano Duilio”, assicura l’ambasciatore. Un’altra area di collaborazione polacco americana è l’economia. “Finora l’America ha investito 20 miliardi di dollari nell’economia polacca”, sottolinea Stephen Mull. “Nel voivodato Opolskie, diamo già 1500 posti di lavoro, e entro breve vi sarà costruito lo stabilimento della Polaris, in cui verranno fabbricati All-terrain vehicles e motoslitte.” Il terzo aspetto della partnership evidenziato dal funzionario di Stato americano sono le tradizioni democratiche. “Resto impressionato dai successi che la Polonia ha avuto nel percorso verso la democrazia. Questo paese può essere il modello per l’Ucraina, la Bielorussia o perfino per la Birmania”, ha detto Stehen Mull, non nascondendo che il modo in cui i polacchi sono usciti dalla cortina di ferro meriti un riconoscimento. L’ambasciatore non si riposa tuttavia sugli allori ed è convinto che i rapporti polacco americani vadano sviluppati, ed uno dei modi efficienti per farlo è quello di investire nei giovani. L’Ambasciata degli Stati Uniti, con l’assistenza della Fondazione per il Sostegono delle Zone Rurali e del Collegium Civitas, ogni anno organizza il concorso nazionale polacco “Know America”. Il premio principale per gli studenti polacchi sono studi universitari negli USA, gli altri premi sono uno stage all’ambasciata oppure alla Camera Americana del Commercio di Varsavia, e anche l’ammissione agli studi nel Dipartimento degli Studi Americani dell’Università di Varsavia. “L’idea del concorso è nata dalla convinzione che anche i migliori rapporti vanno nutriti. Vogliamo incorraggiare i giovani a studiare negli USA, soprattutto dargli una tale possibilità e far venire gli americani qua”, dice Stephen Mull. L’idea dell’ambasciata americana può ispirare le rappresentanze diplomatiche di altri paesi, ad esempio quella italiana, a creare un concorso simile. Sicuramente molta gente giovane vorrebbe partire per il Bel Paese per corsi di formazione e per conoscere meglio la cultura di questo Paese, in quanto l’interesse per la lingua italiana in Polonia cresce costantemente. Nel contesto dei viaggi per l’America, gli studenti non hanno mancato di porre all’ambasciatore la domanda sull’abolizione del visto per i polacchi. “Stiamo lavorando di continuo per convincere il Congresso per abbassare la soglia percentuale che lasci la Polonia aderire al programma di esenzione del visto d’ingresso. La legge deve ancora passare per le mani dei membri della Camera dei rappresentanti, per arrivare al presidente Obama”, tranqullizza Mull. Stephen Mull ha concluso la visita con una breve passeggiata ad Opole, dove ha visto i “m?ynówki” (corsi d’acqua, naturali o artificiali, utilizzati dai mulini), chiamati spesso “la Venezia di Opole”. L’ambasciatore ha condiviso le foto scattate in quel luogo su Twitter, che lui aggiorna molto spesso e su cui risponde sempre ai polacchi nella loro lingua madre.
Nei giorni dal 14 al 17 ottobre 2013 si sono tenuti una serie di eventi finalizzati a promuovere i vini e gli olii extravergini italiani in Polonia.
Il progetto è stato promosso dell’Alleanza delle Cooperative Italiane, che rappresenta il coordinamento tra AGCI, Confcooperative e Legacoop che rappresenta 43.000 cooperative, per un valore della produzione pari al 90% del fatturato complessivo prodotto dalla cooperazione in Italia. Con il prezioso supporto del Ministero dello Sviluppo Economico, l’Alleanza delle Cooperative Italiane ha concepito un’azione sistematica finalizzata a raggiungere i principali operatori polacchi nel settore del vino e dell’olio di oliva. Il proposito è stato quello di far crescere l’interesse verso questi tipici prodotti italiani. In rappresentanza dei produttori italiani sono stati selezionate dieci cooperative a rappresentare tutto il movimento cooperativo dell’area vitivinicola e olearia.
Gli eventi erano riservati ad operatori del settore, in particolare, operatori del canale HoReCa, importatori e distributori, giornalisti, opinion leader, wine lovers, ecc. Le citta’ in cui si terranno le azioni promozionali sono in successione Varsavia, Cracovia, Breslavia e Poznan.
Le quattro giornate si sono strutturate in due parti ognuna: una master class cui hanno partecipato operatori polacchi VIP che hanno assistito alla presentazione delle aziende e potuto degustare il meglio della produzione di ogni operatore italiano presente. Nel pomeriggio si sono tenuti incontri B2B aperti a tutti gli operatori polacchi del settore vino e olio che hanno presenziato.
Particolarmente graditi sono stati i messaggi augurali dell’Ambasciatore Riccardo Guariglia e del Direttore dell’ ICE Giuseppe Federico.
Il bilancio delle quattro giornate si e’ concluso con oltre 300 accrediti e la fiducia da parte di tutti i soggetti coinvolti di avere dato un concreto contributo al sostegno dell’immagine dei vini e degli olii extravergini italiani in Polonia, in un momento in cui la concorrenza internazionale e’ particolarmente forte.
Per la realizzazione del progetto, L’Alleanza delle Cooperative Italiane si avvalsa di due aziende di riferimento in Polonia: Core Sp. z o.o. di Varsavia per il coordinamento del progetto e organizzazione logistica, e la rivista Wino Magazyn per le azioni di comunicazione e organizzazione in loco degli eventi.
AMASENO (Frosinone) – Nel viaggio fisico e interiore, materiale e psicologico, nei luoghi che custodiscono la storia della Grande Emigrazione italiana, scrigni d’uno straordinario patrimonio fatto di monumenti, tradizioni, culti, arte e culture, arriviamo ad Amaseno, il cui nome deriva dal fiume che placido scorre nell’ampia vallata delimitata dai monti Lepini e dagli Ausoni. Un fiume reso celebre dall’Eneide, il poema di Virgilio, che lo cita. Antico borgo agricolo nel cuore della Ciociaria, in provincia di Frosinone, Amaseno si trova ad un centinaio di chilometri da Roma. All’arrivo ci accoglie ed avvolge con l’abbraccio d’un paesaggio che rimanda al Genius loci ancora intatto, tutto da scoprire, nel dedalo di vicoli e piazzette, fino al Castello dei d’Angiò, da poco restaurato. Nella piazzetta del centro storico, raccolto dentro una cinta di mura turrite parzialmente ancora ben conservate, oltre a Luigi La Valle, maresciallo dei Carabinieri e preziosa memoria storica del luogo che ci farà da guida, ci dà a suo modo il benvenuto, incuriosito dai “forestieri”, il visionario artista del paese, Antonio Rotondi. Eccolo lì, l’artista amato da tutti, poeticamente bardato con le piume di pavone al vento come un cavaliere indomito. Già nel soma egli evoca, come d’altronde nel veemente tratto pittorico, il grande Ligabue. Antonio ci accoglie festosamente, saltellando con gioiose piroette in groppa al suo cavallo, amorevolmente sagomato e dipinto a cera su un umile cartone, mentre incede verso i riti della festa patronale di San Lorenzo Martire. Di San Lorenzo martire, ad Amaseno, nella Chiesa di Santa Maria Assunta – elegante esempio d’architettura gotico-cistercense del XII secolo, monumento nazionale – si conserva un’ampolla di sangue miracoloso. Non si sa con certezza come e quando la prodigiosa reliquia del Sangue di San Lorenzo martire sia arrivata in paese, ma il primo documento che ne rivela la presenza ad Amaseno è l’atto di consacrazione della chiesa, risalente al 1177, sancito in una preziosa pergamena custodita nella stessa Collegiata di Santa Maria Assunta.
Senso della Religiosità, del Ritorno e di un incontaminato Genius Loci
Amaseno – Castello d’Angiò
“A contatto con la natura il contadino sente nitidamente – osserva lo studioso di storia locale Enrico Giannetta – che l’universo è disceso da una Paternità che non può essere identificata né con il caso né con il nulla. Per la sua cultura essenziale, il concetto della Trascendenza, cioè di un Essere supremo, creatore dell’universo, è un dato di una intuitività quasi automatica […]”. Trascendenza, devozione, religiosità. Diverse sono le feste religiose che ad Amaseno si celebrano nel corso dell’anno. La più importante è appunto quella di San Lorenzo, patrono del paese. Qui, come in numerose località italiane, il 10 agosto d’ogni anno San Lorenzo viene celebrato con solenni festeggiamenti, che richiamano sul posto anche parecchi amasenesi, residenti in patria e all’estero, che tornano a rivedere il paese natale per trascorrere le ferie estive con parenti ed amici. Nella gioia del Ritorno, ritrovarsi dopo lunghi periodi di lontananza in remote terre d’emigrazione, forte è il desiderio di rivivere le suggestive celebrazioni devozionali e rendere omaggio alla prodigiosa Reliquia, esposta per l’intera giornata di festa alla collettiva e commossa venerazione. La sera della vigilia della festa, quando ogni anno si compie il Prodigio della Liquefazione, ha luogo una toccante processione con la statua del Santo Patrono, portato a spalla dai membri delle Confraternite lungo la via della Circonvallazione, tutta illuminata a festa. In quegli stessi giorni di mezz’agosto altre due feste ricorrono: l’Assunta, titolare della Collegiata, e San Rocco, titolare della chiesa omonima, che realizzano un’appendice di festa delle celebrazioni patronali.
La Storia
Amaseno è terra d’antico retaggio storico, dove l’amicizia si vive come dono. Forti i legami interpersonali, così come il senso dell’ospitalità, ieri come oggi. Sono ancora un punto fermo nell’indole degli amasenesi, come fossero arcaiche radici. L’origine di questa accogliente località non è facilmente databile, per la mancanza di documenti scritti e di reperti archeologici anteriori all’anno Mille. Quanti si sono cimentati nell’impresa d’una sistematica indagine storiografica, hanno piuttosto ragionato attraverso ipotesi più o meno attendibili, mentre Amaseno, con il suo passato affascinante quanto complesso, ancora attende la ricostruzione d’un tracciato storico filologicamente certo. Alcuni studiosi del secolo scorso, che s’interessarono alla storia della regione, ritennero che Amaseno sorgesse sull’antica Artena, la fortezza del popolo italico dei Volsci espugnata dai Romani nell’anno 404 a.C., secondo quanto riferisce il grande storico romano Tito Livio. Altri studiosi ne attribuirono le origini all’epoca medioevale. Altri verosimilmente assegnarono l’origine di Amaseno intorno all’VIII secolo, dopo la costituzione dello Stato Pontificio avvenuta nel 752, in quel periodo storico quando pure venne avviata, con l’opera preziosa dei monaci benedettini e cistercensi, la colonizzazione di molte terre incolte. Terra d’antica storia, dunque, ma ancora tutta da meglio delineare e valorizzare.
Santa Maria facciata
Le prime notizie documentate risalgono intorno al Mille. Il borgo si chiamava allora San Lorenzo, come pure la valle, così registrata nel Tabularium Cassinense alla data del 1025. Dagli Annales Ceccanenses si apprende che nel XII secolo Amaseno era feudo dei Conti di Ceccano. Ma la storia seguente racconta numerosi conflitti feudali su quella terra e le conseguenze delle contese tra papato e impero, sfociate nel 1165 nella distruzione del paese ad opera delle truppe imperiali di Federico Barbarossa. Contesa nei secoli da varie famiglie, Amaseno passa tra varie vicende e turbolenze dai Conti di Ceccano ai Colonna, dai Colonna ai Caetani non senza alterni conflitti, fino a quando, nel 1501, papa Alessandro VI non lo confisca per attribuirlo al nipote Rodrigo Borgia. Ma i Colonna, alla morte del pontefice, due anni dopo lo recuperano. E tuttavia non finiscono le contestazioni, tanto che il feudo viene poi da Paolo IV assegnato ai Carafa, scatenando la rivalsa dei Caetani che, nel 1556, sottopongono Amaseno al saccheggio. Solo nel 1562 papa Pio IV ne riconosce la titolarità ai principi Colonna, e tale rimarrà fino alla generale soppressione dei feudi, nel 1816. Da allora, non si annotano vicende rilevanti, se non durante la seconda Guerra mondiale. A partire dall’autunno del 1943, infatti, Amaseno subisce per vari mesi l’occupazione dei Tedeschi, con soprusi e angherie. Poi, nel maggio 1944, dopo lo sfondamento della linea Gustav a Cassino, si aggiungono le violenze dei cosiddetti Alleati, quando il paese subisce il fuoco dei cannoni e il saccheggio, cui è sottoposto l’abitato dalle truppe alleate per più giorni, tanto da costringere gli abitanti ad abbandonare le case e ad andare sui monti, in preda al terrore, alla fame e alla disperazione, in cerca di salvezza. 34 le vittime amasenesi e diversi feriti. Segni indelebili dei gravi danni materiali restano impressi sulla pietra di molti edifici del paese, a perpetua memoria della guerra e a condanna della violenza.
L’emigrazione da Amaseno, tra Ottocento e Novecento
Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, soprattutto, ma anche nel secondo dopoguerra, vi fu da Amaseno una consistente emigrazione diretta particolarmente verso Canada e Stati Uniti. E’ negli Usa che si conta il maggior numero d’emigrati amasenesi: dal 1900 al 1971 vi si trasferirono ben 846 lavoratori seguendo varie ondate. Nell’ultimo dopoguerra il flusso migratorio crebbe notevolmente, trovando nuovi sbocchi in America Latina e Nord Europa, ma ancor più in Canada. Negli anni a cavallo della metà del secolo scorso altre colonie d’emigrati amasenesi s’insediarono in Francia, Germania, Svizzera, Belgio, Inghilterra, Venezuela, Brasile e Argentina. I pionieri della “prima emigrazione” amasenese negli Stati Uniti – come nel destino comune a molti italiani emigrati all’estero – inesperti del luogo di destinazione, lontani dalle famiglie, senza conoscenza della lingua del Paese ospite, privi della copertura d’una previdenza sociale allora del tutto inesistente, affrontarono con un coraggio non comune e con un radicato senso di solidarietà la difficile situazione iniziale, connotata da tutte le problematiche tappe dell’ambientamento e del radicamento nell’altrove. Nella complessa costruzione di nuove territorialità in luoghi strutturalmente diversi da quelli d’origine, gli amasenesi organizzarono per propria iniziativa una specie di mutua assistenza che già nello statuto precorreva le moderne legislazioni mutualistiche e previdenziali. “Nasceva così in mezzo a loro – osserva ancora lo studioso Enrico Giannetta – nel 1906 a Chicago la “Società operaia di mutuo soccorso di Amaseno”, con l’intento d’assicurare ai soci l’assistenza in caso di malattia, infortunio, invalidità, disoccupazione, vecchiaia e di provvedere inoltre, in caso di morte, alle onoranze funebri e ai superstiti del defunto”.
Numerose sono le testimonianze di amasenesi che, “attraverso sangue, sudore e lacrime”, emigrarono nel mondo e che sono state raccolte in un denso volume di Alberico Magni dal titolo “Amaseno e l’Emigrazione. Testimonianze di molti nostri concittadini che di quella tragedia storica furono i veri protagonisti” (2008). Nella Prefazione al volume Gianni Blasi lucidamente sottolinea: “Solo i superficiali e i disinformati possono scambiare per retorica il ‘sole d’Italia’. Quando da operai dell’edilizia si è provato l’inverno mordente di Chicago o, peggio ancora, di Montreal, concetti elementari come il caldo e il freddo assumono ben altra valenza, altro che retorica. Ma le asprezze fisiche e climatiche che emergono dalle testimonianze costituiscono solo un aspetto dell’emigrazione. Assai più durature e difficili da superare sono state le implicazioni psicologiche e culturali che hanno richiesto tempi molto più lunghi. Dure esperienze psicologiche e talvolta fisiche che non trovano una formulazione linguistica adeguata. Sta proprio in questa difficoltà di formulare compiutamente la complessità della propria esistenza – prosegue Blasi nella sua attenta analisi – il grande dramma culturale dell’emigrazione, dramma in cui l’aspetto linguistico costituisce solo uno dei tanti ambiti da dover affrontare. (…) Nella maggioranza dei casi si trattava di persone che non disponevano dei mezzi per capire e valutare a pieno la nuova realtà in cui tentavano di inserirsi. La lingua del Paese che li accoglieva era di per sé un muro da superare e che in ogni momento della giornata definiva la loro inadeguatezza e quand’anche fossero riusciti ad impadronirsene sia pure a loro modo, continuava a riaffermare la loro provenienza, i loro limiti, la loro posizione sociale”.
Un altro aspetto peculiare del fenomeno migratorio italiano tra Ottocento e Novecento Alberico Magni lo coglie nella Partenza, quale archetipo legato al distacco, alla lacerazione dell’andare verso l’ignoto, alla lunga traversata dell’Oceano che, non a caso, alcuni studiosi hanno accostato al liquido amniotico, come dimensione legata alla nascita, o meglio alla ri-nascita verso il Nuovo Mondo, al momento in cui si percepiva nitidamente la propria condizione, il passaggio al nuovo status di migrante. “Le canzoni e la partenza, per troppo tempo considerati stereotipi o elementi da cartolina dell’emigrato. Per l’emigrato – si sottolinea nel volume di Alberico Magni – la partenza era di fatto una morte perché lasciava il proprio mondo portandosi dietro quei pochi elementi che costituivano il proprio bagaglio di valori, ricordi e sentimenti. […] Certi eventi si colgono nella loro interezza solo quando si vivono in prima persona. Non risulterà quindi difficile capire il motivo per cui molti emigrati sono rimasti tenacemente aggrappati a tutti quegli elementi che rappresentavano il proprio, anche se scarno, patrimonio culturale. La ritualità delle feste patronali, il senso tradizionale della famiglia, il legame alle tradizioni culinarie e il rifiuto di assumere la cittadinanza del Paese che li ospitava, una palese limitazione delle proprie possibilità, rientrano tutti in questo contesto. Il momento della partenza, dunque: si pensi alla progressione del separarsi dalla propria casa, dai familiari, dagli amici, dal proprio territorio, era un continuo lacerarsi dentro anche se il peggio, la partenza dal porto, doveva ancora arrivare. Bene fa l’autore – osserva Blasi nella sua analisi fenomenologica – a sottolineare il mezzo di trasporto, la nave, che per la sua lentezza rendeva questo trapasso – parola emblematica per la semantica a cui rimanda – ancora più doloroso. Visto dalla nave, il congiunto sul molo era una persona, progressivamente diventava una sagoma tra tante, poi lentamente diventava un fazzoletto e poi un puntinobianco. Ribaltando la prospettiva, dal molo si assisteva alla medesima scomparsa lenta, troppo lenta e dolorosa. Si racconta che i familiari rimasti sul molo, dalla zona portuale di Napoli, corressero alla punta di Santa Lucia per guardare la nave fino a quando non scompariva dietro il promontorio di Posillipo. Questo stesso momento, però, anni dopo, quando le difficoltà erano state affrontate e superate, veniva e viene percepito come ‘una rinascita’ su cui si è innestato un nuovo percorso esistenziale nettamente distinto e separato dalla fase precedente. […] Solo in seguito, consolidata una certa agiatezza e raggiunta la consapevolezza dei diritti acquisiti in terra non più straniera, si ebbe la percezione certa che quel momento ormai lontano della partenza segnava un ‘prima’ e un ‘dopo’. Visto il fenomeno a distanza, l’etimologia dei sostantivi ‘partenza’ e ‘parto’ rappresenta una curiosità davvero singolare nell’esperienza degli emigrati”.
Terra di emigrazione, custode del Sangue di San Lorenzo martire.
Le annotazioni di Don Italo Cardarilli, Parroco di Santa Maria Assunta.
«Tra i numerosi tesori di arte custoditi in questa splendida Chiesa di Santa Maria Assunta, realizzata secondo lo stile gotico-borgognone nel XII secolo e consacrata l’8 settembre 1177, è custodita un’ampolla in vetro che contiene una massa di colore bruno in genere rappresa. Nel documento pergamenaceo della Consacrazione della Chiesa, redatto in duplice copia, in lingua latina e in volgare – che riporta la cronaca di quell’evento e le persone presenti – si trova anche un elenco di reliquie presenti in quell’occasione. Ebbene tra queste insigni reliquie si legge in latino “De pinguedine sancti Laurentii Martyris”, e in volgare “Delle grassecze de santu laurentio martiru”. Il documento ci fornisce una notizia importante, e cioè che la Reliquia era presente nella Chiesa di Santa Maria nel 1177, tuttavia non sappiamo se era presente da quella data o già nella preesistente chiesa distrutta nel 1165, quando il Castrum Sancti Laurentii fu dato alle fiamme dall’esercito del Re di Sicilia su invito di Papa Alessandro III per riportare alla fedeltà pontificia coloro che avevano giurato sottomissione all’antipapa Pasquale III. Fino all’inizio del 1600 non si trovano particolari riferimenti a questa Reliquia. È solo sotto il pontificato di Paolo V (1605-1621) che si verifica un fatto prodigioso: nel giorno della festa del Santo, quella massa sanguigna si liquefa spontaneamente creando un certo scalpore. La notizia di questo fatto venne riferita al Papa che chiese di avere presso di sé alcune gocce di quel prezioso sangue.
La Liquefazione da allora si ripeté ogni anno nel giorno della festa del Santo Martire, tanto che Papa Clemente XIII, informato del fatto, il 2 aprile del 1759, con Bolla papale, definì quanto avveniva ad Amaseno “segnalato prodigio”, concedendo alcuni privilegi alla stessa Collegiata e al Capitolo dei Canonici. Da allora, ogni anno il Prodigio si ripete, suscitando gratitudine e gioia nella comunità che sente San Lorenzo come un fratello che incoraggia nella fede verso il Cristo Salvatore. Rimanendo fedeli a quanto si osserva, questo fenomeno lascia stupiti sul processo di Liquefazione. Anzitutto va sottolineato che nessuno agita l’ampolla, per cui è da escludere che il contenuto sia una sostanza tissotropica, cioè una sostanza che, sollecitata, passa da uno stato ad un altro. Poi la Liquefazione avviene in genere in modo graduale, come nei giorni di festività del Santo, o alcune volte in modo repentino e veloce.
Quest’anno ho constatato che la Liquefazione ha avuto inizio il 31 luglio e ogni sera, aprendo il Reliquiario, si è potuta notare un’evoluzione del processo. In genere il massimo della Liquefazione avviene tra il nove e il dieci di agosto, per poi iniziare il processo inverso della solidificazione. Quando la sostanza è liquida, essa assume un bel colore rubino e presenta la massima trasparenza e mobilità; si distingue perfettamente il terriccio depositato sul fondo della fiala, come anche un brandello di pelle sospeso nella sostanza sanguigna e il grasso di colore giallo che galleggia in superficie. Il Prodigio è accresciuto dal fatto che l’ampolla non è perfettamente sigillata: questa infatti si presenta con una vistosa frattura del vetro sulla sommità che permette lo scambio gassoso tra l’interno e l’esterno della fiala. Da ciò consegue che la sostanza non è isolata e in ambiente asettico e pertanto, secondo le leggi scientifiche della natura, dovrebbe corrompersi o perlomeno alterarsi.
Dopo queste informazioni, utili per capire meglio il dono prezioso che conserviamo e quello accade tutti gli anni ad Amaseno, è con profonda gioia che posso dire che anche quest’anno si è ripetuto il Prodigio. È stata la prima volta che come responsabile di questa comunità cristiana ho vissuto in prima persona questo evento e devo dire che esso interpella e pone una serie di domande che riguardano soprattutto la vita spirituale. Quel sangue che man mano si scioglie divenendo rosso rubino, non subisce solo una trasformazione materiale, visibile con gli occhi, ma torna ad essere vivo e chiede conto, a ciascun fedele che lo guarda, della sua vita e di come la sta impiegando. Davanti a qual sangue che si liquefa, è necessario passare dalla curiosità alla responsabilità: contemplare quel Prodigio vuol dire, da credenti, interrogarsi sul senso che Cristo e la sua Parola hanno per me, per noi, sul significato della sua vita offerta per ciascuno di noi. San Lorenzo, e i martiri di ogni tempo, sono arrivati a donare la loro vita solo perché avevano compreso che questo atto non era un perdere, ma un guadagnare tutto; era il diventare seme di una Speranza efficace che avrebbe generato nuovi fratelli alla fede.
Credo che il vero senso del Prodigio sia da leggersi nella prospettiva del dono: è solo così che si comprende la gratuità e la grandezza del segno che possediamo. San Lorenzo ci vuole bene e, ancora una volta, ci offre un segno della sua amicizia, invitandoci a una condotta di vita sempre più conforme al Vangelo. Contemplare il suo Sangue non è solo essere testimoni di un fatto straordinario, ma implica una conversione interiore a Cristo e un’attenzione sempre più evangelica verso chi è nella necessità. San Lorenzo è il diacono della Chiesa e il servitore dei poveri, egli ci spinge a vivere Cristo nella vita sacramentale e a divenire solidali con chi vive nel bisogno, come ci ricorda Papa Francesco. Il Sangue di San Lorenzo si scioglie per incoraggiarci a far sciogliere i nostri cuori, passando dall’egoismo alla vera Carità. Spesso chiediamo grazie a San Lorenzo, ma fermiamoci un istante e ascoltiamo cosa lui ci chiede. Egli ci chiede di aprire il cuore e di volgerci a Dio con amore lasciandoci infiammare dallo Spirito e abbattendo il muro dell’egoismo per divenire significativi nei luoghi in cui operiamo».
Il culto dei Santi nelle terre di emigrazione. Devozione e appartenenza nell’altrove.
Ancora Don Italo Cardarilli ci guida in un ampliante percorso geografico e spirituale: «Anche Amaseno, come molti luoghi italiani, è stata terra di emigrazione nel secolo passato. Molti concittadini hanno lasciato affetti, case, per andare a cercare un po’ di fortuna all’estero. Hanno lasciato tutto, ma hanno portato con loro quello che di più prezioso possedevano: i loro Santi, i riti di sempre, capaci di custodire e mantenere viva la loro appartenenza alla propria terra. Gli emigranti che partivano erano pieni di speranza che serviva a colmare i vuoti che si lasciavano alle spalle; erano capaci di perdere tutto, ma non la loro fede, segno di una radice comune che li legava strettamente gli uni agli altri e alle proprie origini. Il culto dei Santi protettori li rassicuravano sul futuro incerto; e quando avevano provveduto a stabilizzarsi, provvedevano a riprodurre in terra straniera le stesse usanze e tradizioni del paese di origine. Un legame ancestrale che faceva da ponte tra la nuova terra e la vecchia patria di origine. È così che non si è mai affievolito il legame tra gli emigranti e coloro che sono rimasti in paese, e chi poteva cercava – e ancora cerca – di tornare in paese proprio in occasione delle feste patronali. Anche gli amasenesi, emigrando in America, hanno portato con loro la devozione a San Lorenzo, e anche se nel giorno della sua festa i cuori palpitano nella malinconia di non poterlo festeggiare nella terra natìa, tuttavia l’immagine del Santo tra di loro li conforta e li raduna insieme. Quel Sangue del Martire venerato ad Amaseno unisce vicini e lontani nella comune devozione.
Il fenomeno della religiosità popolare vissuta nelle terre di emigrazione è davvero interessante: i Santi “importati” dalle terre di origine aiutano a conservare una certa identità sociale e a cementare i rapporti reciproci tra le diverse comunità. Si tende a ‘ricopiare’ la festa così come la si celebrava in paese: si fanno copie perfette delle immagini dei Santi della terra-madre; si ripetono gesti e riti antichi e spesso si manda un contributo economico in paese per rendere visibile il legame tra gli emigrati e i cittadini residenti. A proposito di questa partecipazione economica degli emigrati all’estero, era usanza fino a qualche anno fa di leggere davanti alla folla dei fedeli, alla fine della processione, i nomi degli offerenti proprio a indicare la loro vicinanza in quel particolare momento. Qualche anno fa sono stato a Toronto dove vivono alcune comunità italiane oriunde della Ciociaria ed è stato emotivamente forte vedere le celebrazioni per i loro Santi che conservavano il sapore delle feste di paese: hanno riprodotto le immagini per sentirsi una cosa sola con i cittadini del paese di origine, hanno insegnato ai figli le tradizioni delle origini e hanno inculcato ai figli la devozione per i Santi patroni. E’ un grande patrimonio culturale che passa attraverso le generazioni. Credo che nonostante la globalizzazione, ci siano delle realtà che restano identitarie di un popolo e per questo vanno difese e alimentate. Il culto dei Santi forse resta una di queste realtà che continua a unire terre lontane e a far sentire le persone unite anche se distanti migliaia di chilometri. Ma ci sono legami così profondi, come quelli che uniscono gli amasenesi, che vanno ben oltre il tempo e lo spazio».
Legami che vanno oltre il tempo e lo spazio: la testimonianza di Guerrino Blasi.
E’ interessante qui riportare la testimonianza di Guerrino Blasi, emigrato a Parigi, sul rapporto che egli intrattiene con Amaseno. «Sono andato via da Amaseno a 21 anni, era il 1972. La destinazione doveva essere il Canada, esattamente Niagara, dove viveva un ceppo della mia famiglia. Passai da Parigi a salutare mia madre, Silvana Blasi, famosa vedette delle Folies Bergère, attrice di teatro che, insieme a mio padre, Bruno Berri, ha lavorato con grandi attori come Vittorio Gassman, Renato Rascel, Raimondo Vianello, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi. Mia madre volle darmi la possibilità di conoscere l’affascinante mondo dello spettacolo, un mondo che fino ad allora avevo conosciuto solo attraverso la stampa! Con lei toccai, respirai quel clima così seducente, stimolante, brioso. Parigi mi prese! E decisi di restare lì, senza proseguire il mio viaggio migratorio verso il Canada. A Parigi iniziai a lavorare come agente di viaggio, e grazie a questo lavoro potei conoscere tutto il mondo. Da allora è passata una vita, ma Amaseno rimane sempre il mio baricentro interiore, il luogo in cui mi sento “a casa”, il luogo dell’infanzia e dei ricordi felici, il luogo dove da 40 anni torno almeno 3 volte all’anno. Amaseno il luogo che amo, che sento di più, pur non essendo nato qui.
Sono nato a Roma, ma mia madre, dopo la mia nascita, dovette andare a Parigi per lavoro. Si prese amorevolmente cura di me una balia, una nutrice meravigliosa, “mamma Gentilina”, una di quelle “balie ciociare” che allattavano e spesso crescevano i figli degli altri, un uso molto frequente in passato, un vero lavoro, che spesso è servito a tante donne per sopravvivere anche nei Paesi di emigrazione. E’ grazie a lei che venni piccolissimo ad Amaseno, e qui trascorsi l’infanzia, l’adolescenza, la giovinezza. Il mio legame profondo con questo luogo nasce dunque da molto lontano, da un’infanzia molto piacevole che ricordo con tenerezza, anche se all’epoca si mangiava poco e male, ma si viveva felici. Noi eravamo felici per quel clima amichevole che si respirava, ricordo che noi da ragazzi non tornavamo mai a casa a pranzare perché c’era sempre la famiglia di un amico che ci ospitava, e questo ha creato legami molto forti, che diventano fondamenta. Noi eravamo felici per la generosità della gente, che a tutt’oggi non è mai venuta meno. Poi le strade si sono divise, alcuni amici sono emigrati in Germania, altri in Svizzera o in Canada, ma è sempre una grande emozione ritrovarsi qui d’estate, immancabilmente, ogni anno. Ma è altrettanto emozionante ritrovare gli amici che sono rimasti al paese, che sono i veri amici di sempre.
La nostalgia accompagna sempre tutti noi, sia chi è restato e ha visto tanti emigrare, sia chi è partito, tutti la proviamo. Ma è nostalgia anche per i vuoti, per un altro tipo di distacchi … perché ogni volta che torno ad Amaseno c’è sempre qualche anziano che ci ha lasciato, qualche anziano che quand’ero piccolo mi ha accolto con affetto alla sua tavola. Oggi non ci sono più, ed è una ferita. Ma c’est la vie!, anche se è molto triste, e per certi versi spaesante, perché non è facile abituarsi al venir meno dei punti di riferimento che hanno accompagnato e plasmato il nostro modo di essere. Io ho viaggiato per lavoro in tutto il mondo, ma Amaseno mi ha sempre richiamato per le tradizioni che non ho più trovato altrove. Sono consapevole di vivere un profondo senso dell’italianità che ritrovo all’estero tra i tanti oriundi, tra coloro che difendono quelle poche tracce di lingua nativa che hanno ricevuto in famiglia. Ne ho incontrati molti nei miei viaggi in Argentina, a Bariloche, alle Bahamas, ed ogni volta che vedo una “pizzeria Vesuvio”, o l’eco di qualche parola pronunciata in italiano, è sempre un sobbalzo. Il senso di appartenenza fa parte di noi che siamo emigrati, soprattutto tra la gente del Centro Sud, che viviamo in modo molto forte il “sogno del paese”.
Oggi che sono prossimo alla pensione mi pongo spesso la domanda se lasciare Parigi e tornare a vivere stabilmente qui ad Amaseno. Da qualche anno vivo questo conflitto tra me e me. Sicuramente quando avrò sistemato i miei figli a Parigi con un lavoro più stabile, penserò a questa eventualità. Forse sceglierò una soluzione intermedia, che mi permetta di stare alcuni mesi in Francia e molti mesi ad Amaseno. Chi è emigrato vive questo dualismo interiore tra i luoghi che ti hanno cresciuto e i luoghi in cui sei diventato uomo. Intanto mi accontento di restare in contatto con tutti i miei compaesani attraverso la Rete; è molto importante mantenere vivi questi legami attraverso internet, attraverso il sito www.amaseno.it, che permette di farci sentire legati con il paese nonostante le distanze. Ed è bello la sera, dopo una giornata di lavoro, sedersi alla scrivania e, grazie a internet, poter vedere, e condividere, le foto dei propri compaesani che si sposano, che organizzano feste di compleanno, che si ritrovano. E’ importante, per me che sono a Parigi, ma anche per tanti amasenesi che sono ancora più lontani, oltreoceano, poterci sentire comunque una comunità, e rivedere gente conosciuta tanto tempo fa. E’ un ritrovarsi, al di là del tempo e dello spazio che certo non potranno mai riuscire a sciogliere i legami e le radici di una vita. Che è tutto lo straordinario patrimonio umano e interiore che Amaseno ci ha dato».
Le ricchezze e le sorprese della provincia italiana
Finisce qui questa tappa del nostro viaggio nella sterminata terra di provincia italiana, il più delle volte sconosciuta ai più, per l’infausta ventura di restar fuori dai circuiti turistici che le agenzie italiane ed ancor più straniere s’affannano a costruire sulle tappe solite: Roma, Firenze, Venezia, Napoli e così via. Straordinario il Belpaese, non solo per quanto sa incantevolmente mostrare con la Basilica di San Pietro e il Colosseo, con il Duomo e Palazzo Vecchio, con la Basilica di San Marco e il Ponte di Rialto, con il Maschio Angioino e Castel Sant’Elmo, ma anche con quanto custodisce in preziosità architettoniche, opere d’arte, tradizioni locali e singolarità, nella sua provincia più profonda. Un immenso baule di tesori e bellezze, un crogiuolo di culture, tradizioni e costumi che affondano le radici nella storia millenaria del nostro Paese. Questo, a piene mani, si coglie appena decidiamo d’andare “fuori porta”, lasciandoci intrigare dalla curiosità di conoscere l’ignoto della provincia d’Italia, piuttosto che la consuetudine delle capitali del turismo. Questo di Amaseno è un esempio illuminante di quanto celi il Belpaese, così seducente quando lo scopriamo. E, come Amaseno, una miriade di piccoli centri della nostra provincia, dalla cui conoscenza possiamo ricavare de visu la consapevolezza di quale immenso patrimonio d’arte, storia e cultura sia depositaria l’Italia, conservandone quasi i due terzi dell’intero pianeta. Un patrimonio straordinario sul quale, purtroppo, non abbiamo ancora la sapienza d’investire come la più grande e incommensurabile opportunità del nostro sviluppo, come il maggior cespite per la nostra economia. Il racconto di questo viaggio nella provincia sconosciuta, ad Amaseno, è un piccolo tassello utile almeno ad alimentare la curiosità di conoscere, la seduzione del bello “ignoto”, l’avventura nei luoghi – magari a quattro passi dalla nostra città – che possono riservarci sorprendenti sorprese di bellezze e di valori d’arte. Buon viaggio, allora, nella grande provincia italiana.
Foto di Adriano Capua
Per chi volesse saperne di più sulla Venerazione del Sangue di San Lorenzo in Amaseno:www.sanlorenzoamaseno.it
Chiunque passi qualche giorno nella capitale polacca rimane sorpreso dalla sua vivacità tanto nei campi della cultura e dell’arte contemporanea, quanto in particolare per quel che riguarda la vita notturna. Popolata da una percentuale molto alta di giovani, Varsavia offre una movida notturna molto schietta, che, pur non distinguendosi per particolare sofisticazione e raffinatezza, può contare su una vasta offerta e sul divertimento assicurato. Generalmente non rinomati per essere particolarmente sorridenti, i polacchi, al calar della sera liberano la loro euforica voglia di divertirsi e ballano, ridono e ballano ancora fino all’alba, dolcemente annebbiati dai fumi dell’alcol.
Fare una mappatura dei diversi locali di Varsavia non è cosa facile, anche perché si trovano sparsi per tutto il centro. Proverò dunque a raggrupparli per zone.
Una delle parti della città che recentemente ha visto fiorire il maggior numero di locali dal design accattivante e dall’atmosfera rilassata è quella intorno a ulica (via) Poznanska, una delle poche zone della città che conta ancora un buon numero di fascinosi edifici risalenti agli anni venti del Novecento. A cominciare dal Koszyki (ul. Koszykowa 63), simpatica gastronomia-bar ricavata negli interni di un antico edificio che ospitava il mercato del quartiere dove si possono assaggiare deliziosi aperitivi, per poi passare al Kraken Rum Bar (ul Poznanska 12), suggestiva rumeria che serve ottimi frutti di mare, all’adiacente Beirut Hummus Bar, posto provocatoriamente davanti al Tel Aviv Cafè (ul. Poznanska 11), che offre stuzzicanti ottimi snack mediorientali e buoni cocktail. Nella zona vi consiglio anche il Znajomi Znajomych, (letteralmente “conoscenti di conoscenti”, su ul. Wilcza 58a), animato locale dove bere un bicchiere e l’ottima birreria Kwadrat (ul. Poznanska 7).
A dieci minuti a piedi da Poznanska, si trova Plac Zbawiciela, simpatica piazza rotonda ornata da eleganti portici dove si trovano alcuni dei bar più “cool” della città: da non perdere il Charlotte, ottimo per un aperitivo a base di rosé e tartine con chèvre chaud (valida scelta anche per la colazione, dove consiglio di assaggiare i loro croissants e baguettes appena sfornati), il Warszawska, piccolo ma sempre stracolmo bar, adornato all’interno con diversi simboli della città ed il Plan B, vera e propria istituzione della Varsavia notturna.
Se invece avete voglia di qualcosa di più classico e decisamente vivace, vi consiglio di passare da ul. Foksal, piccola traversa della centralissima Nowy Swiat, dove troverete, racchiusi nell’arco di pochi metri, locali “sempre verdi” come lo Sketch, animato disco-bar sempre pienissimo, Foksal XVIII e Cafè Foksal. Dopo essercisi “riscaldati” su Foksal, chi vuol continuare la serata, si può dirigere verso la rumorosa ul. Mazowiecka (dietro il Victoria Sofitel), ove sono situate numerose discoteche che brulicano di giovani come l’Enklawa, Bank Club e altre, mentre, poco distante da Mazowiecka si trovano anche il Platinium (ul. Fredry 6) e l’Opera Club (Plac Teatralny) che si trova letteralmente nei sotterranei del Teatro dell’Opera di Varsavia!
Il Palazzo della Cultura e della Scienza, oltreché essere un’attrazione turistica di per sé, rende giustizia alla sua natura di centro polifunzionale, dal momento che ospita al suo interno – oltre ad un cinema multisala, due teatri, un museo, un centro ricreativo per bambini, una sala congressi, diverse sale concerti e numerosi piani di uffici – due tra i più “caldi” bar di Varsavia: il Cafè Kulturalna ed il barStudio. Nati entrambi come caffetterie dei due teatri situati all’interno del Palazzo, hanno con il tempo sviluppato vita propria ed una propria vocazione: il primo, caratterizzato da un arredamento originale risalente agli anni cinquanta (data di costruzione dell’edificio) è diventato nel tempo il trampolino di lancio delle più famose band musicali alternative della Polonia, mentre il secondo, recentemente ristrutturato, si è ritrovato ad essere il principale punto di ritrovo per i giovani architetti e designers della città.
Leggermente distante dalle summenzionate zone, ancorché nel centralissimo quartiere di Powisle, è assolutamente da non perdere il Syreni Spiew (ul. Szara 10): situato all’interno di originale edificio di due piani, nato come centro “ricreativo” per le alte sfere dell’allora Partito dei Lavoratori Uniti (Partito Comunista), questo locale ha mantenuto le peculiarità architettoniche e di design dello stile polacco degli anni ’60 ed offre una vastissima selezione di Whisky oltre a divertenti serate in cui a farla da padrone è lo swing, il più delle volte suonato dal vivo da ottime giovani band polacche. (l.m.)
My American way è il titolo dell’ultima “malefatta” di Renzo Arbore, noto cantautore, showman e personaggio televisivo italiano. Il cd raccoglie 15 brani della tradizione musicale del Belpaese tradotti in inglese per il mercato mondiale.
L’album si avvale della collaborazione di Isabella Rossellini, che canta in un misto di candore e malizia, la versione inglese de “Il materasso”, noto brano di successo di Renzo Arbore.
Quindici canzoni che rappresentano i brani della “memoria”, secondo l’artista, quelle che gli americani chiamano evergreen, brani destinati ad essere adottati, personalizzati e riletti nel tempo, come accade nel jazz che vive di un repertorio “senza tempo”.
In una recente intervista Arbore ha dichiarato: “Le mie canzoni, vista la mia età, sono tante. Vanno da quelle napoletane (che ho “riletto” tante volte) a quelle americane, messicane, francesi, cubane e a certe italiane.”
A proposito di quest’ultime, spiega Arbore, mi sento di poter affermare che oltre alle canzoni napoletane, tipicamente “made in Italy”, sono molto affascinanti anche le ballad italiane scritte da nostri compositori che mescolavano la passione per il jazz, la grande musica americana, insieme alla vena melodiosa e sentimentale tipicamente italiana”.
Tra i tanti ricordiamo Domenico Modugno, Tony Renis, Cesare Andrea Bixio, Carlo Alberto Rossi, ai quali Renzo Arbore ha voluto rendere omaggio in questo disco. C’era un tempo in cui gli americani attingevano al repertorio italiano. Basta ricordare due giganti come Nat King Cole con “Non dimenticar” e “Signorina Capuccina”; Frank Sinatra con “Luna Rossa” e “Anema e core”.
Allora per “non dimenticar” i grandi cantautori italiani del passato ascoltiamo il nuovo album di Arbore con “anema e core”.
Węgrów, 16.07.2013 r. – W obecności najwyższych władz lokalnych, politycznych i religijnych, został otwarty zakład przemysłowy Mayenne specjalizujący się w produkcji rur z PCV do ogrodnictwa lub zajęć hobbystycznych.
Zakład produkcyjny, zarządzany przez spółkę Mayenne i mieszczący się w Specjalne Strefie Ekonomicznej w Węgrowie, rozpoczął swoją działalność produkcyjną w pierwszych miesiącach bieżącego roku, podwajając w krótkim czasie liczbę zatrudnionego personelu do 30 osób w okresach wzmożonej aktywności. Partnerem projektu jest włoska firma FITT, lider w produkcji elastycznych i spiralnych rur z PCV do ogrodnictwa, użytku zawodowego i przemysłowego. Po wieloletniej i stabilnej obecności handlowej na terytorium Polski dzięki filii FITT Poland, włoska firma zdecydowała się na miejscową produkcję rur z PCV i optymalizację dystrybucji i obsługi klientów z obszarów wschodniej Europy, które stanowią coraz ważniejszy i wciąż rozwijający się rynek.
„Uczestniczymy dziś w realizacji nowego projektu, który jest wynikiem ambitnej i ważnej inwestycji zarówno pod względem zasobów ekonomicznych jak i włożonego zaangażowania. Zaangażowanie to jest jeszcze bardziej znaczące jeśli weźmie się pod uwagę, że przeciwstawia się ono globalnemu spowolnieniu gospodarczemu, z którym od lat nauczyliśmy się żyć. Ta inicjatywa była prawdziwym wyzwaniem w obecnych czasach i może z tego względu osiągnięcie tego celu jest dziś jeszcze bardziej znaczące i emocjonujące” powiedziała Alicja Sakowicz-Soldatke, Plant Manager w Mayenne.
Satysfakcja ta była całkowicie podzielona przez Jarosława Grendę, burmistrza miasta, który jeszcze raz przypomniał o wadze podobnych inicjatyw z racji na ich pozytywny wpływ na lokalny obszar i na sieć pomniejszych fabryk, które w nim funkcjonują.
Ceremonia, w której uczestniczyli zaszczytni goście, tacy jak dyrektor Agencji Promocji Zagranicznej i Internacjonalizacji Włoskich Spółek Giuseppe Federico, zakończyła się pobłogosławieniem zakładu przez proboszcza lokalnej parafii poświęconej Ojcowi Pio oraz tradycyjnym przecięciem wstęgi przez władze spółki i burmistrza Węgrowa.
Condurre degli affari in diversi stati membri dell’Unione Europea può complicare la dichiarazione fiscale. Questo dà però anche la possibilità di ridurre il carico fiscale in maniera sostanziale. Vale la pena notare che in Polonia l’imposta sul reddito da persone giuridiche e l’imposta sul reddito da persone fisiche che svolgono un’attività economica ammontano al 19% e sono tra le più basse nell’UE. L’aliquota della tassa pari al 19% è vigente anche nell’ambito dei dividendi e gli altri proventi (ricavi) a titolo di partecipazione agli utili delle persone giuridiche che hanno la sede sul territorio polacco. Tuttavia, nel caso dei contribuenti degli altri Paesi membri dell’UE viene applicata l’esenzione dall’imposta sul reddito alla fonte, rispetto ai redditi provenienti dai dividendi pagati dalle aziende polacche.
La aziende italiane che svolgono un’attività di produzione o di servizio, anche se gestiscono la sede in un altro paese dell’UE (ad esempio in Italia), possono sottoporre una parte significativa del loro reddito alla tassazione in Polonia attraverso un’adeguata struttura fiscale. Ulteriori vantaggi finanziari derivanti da tale azione possono risultare anche dall’applicazione di varie esenzioni fiscali che sono vigenti in Polonia. Una cosa particolarmente favorevole dal punto di vista fiscale potrebbe essere operare nelle Zone Economiche Speciali, ovvero nelle zone della Polonia in cui le attività non sono de facto tassate. Inoltre i contribuenti possono scegliere un sistema semplificato del pagamento di acconti d’imposta che consiste nel fatto che l’importo dei contributi mensili corrisponde a 1/12 dei redditi del precedente esercizio. Esiste anche la possibilità di detrarre dal reddito il 50% delle spese per l’acquisto di nuove tecnologie, ovvero di tutte quelle conoscenze tecnologiche utilizzate da non più di 5 anni, dalle istituzioni scientifiche.
I cosiddetti “piccoli imprenditori”, che iniziano la loro attività economica, possono beneficiare di un prestito fiscale. Esso consiste nell’esenzione dall’obbligo di pagare gli acconti d’imposta e nel pagamento posticipato della tassa. Il pagamento viene diviso in 5 rate annue di uguale importo contate a partire dall’anno che segue dopo quello per il quale viene pagata l’imposta.
Oltre ai vantaggi fiscali non ci si può dimenticare dei prossimi stanziamenti comunitari che in futuro saranno erogati alla Polonia nell’ambito del nuovo bilancio dell’UE. Si prevede un particolare sviluppo nel settore dell’energia rinnovabile, in relazione agli obiettivi del pacchetto climatico che in Polonia sono entrati in vigore da metà luglio 2013. Questo è un momento particolarmente opportuno per investire in Polonia; una cosa importante è che sta crescendo il numero degli imprenditori, in particolare quelli italiani, che cominciano a rendersi conto di questi vantaggi e iniziano ad agire proprio in questa direzione.
Di Pawe? B?benek, consulente legale presso lo studio legale „Ferretti & B?benek” specializzato nel servizio alla clientela internazionale}
VIDEO – Benvenuto direttore Paolo Mieli nella vivace Varsavia traino di una Polonia in grande sviluppo economico e sociale.
“Sono qui a Varsavia per partecipare a due incontri uno sul caso Moro e uno al lavoro di Renzo De Felice il più grande studioso del fascismo in Italia, ma si può dire europeo. Sono due convegni molto diversi ma dedicati entrambi alla memoria, alla storia del Novecento. Vedo già una grandissima partecipazione di pubblico e mi fa molto piacere sapere che qui a Varsavia ci sia attenzione su questi temi che evidentemente costituiscono un richiamo importante.”
Dalla storia alla contemporaneità, Italia e Polonia dalla caduta del muro hanno fatto avuto due percorsi evolutivi molto diversi, ed oggi dall’Italia si emigra in Polonia a cercar lavoro, un fatto impensabile vent’anni fa.
“Io lo giudico positivamente, secondo me questi spostamenti sono traumatici per le motivazioni che lei ha ricordato, però voi vivete a Varsavia, la conoscete e sapete quanto si è evoluta, ma nel resto d’Europa e in Italia non tutti sanno il balzo di modernità che ha fatto la Polonia. Chiunque è stato come me in Polonia in anni passati, negli anni del regime comunista e poi subito dopo, pensa ancora ad un paese molto religioso, molto bigotto e un po’ cupo. Invece oggi se si passa davanti al Palazzo Presidenziale e si va al Castello ci si accorge di essere in una città che è tra le più moderne d’Europa, è una città dove il traffico, i colori, la gioia di vivere, i locali, sono a un livello come Parigi, come Vienna. Città vive che noi adesso in Italia c’è le sogniamo, con tutto il rispetto per il mio Paese. E questo costituisce un richiamo molto forte che non a caso va sulle energie vive del Paese, lei giustamente ha detto: ci sono persone che non trovano lavoro in Italia e vengono qua. Non è un caso, queste correnti si rivolgono verso la modernità e ci dicono tra le righe che Varsavia è una delle città più belle e moderne d’Europa.”