Rafał Siwek al 100° Festival Arena di Verona

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Cantante lirico specializzato nell’interpretazione dei ruoli verdiani. Nel canto si sente discepolo della scuola bulgara, perché ha perfezionato le sue capacità vocali sotto la guida del maestro Kałudi Kałudov. Si esibisce regolarmente sui più importanti palcoscenici del mondo, in Italia ha cantato, tra l’altro, al Teatro alla Scala di Milano, all’Opera Romana, al Teatro Comunale di Bologna, al Teatro Regio di Torino, al Teatro del Maggio Musicale di Firenze, al Teatro Regio di Parma, al Teatro Lirico di Cagliari, al Teatro Massimo di Palermo e ai festival: Arena di Verona, Terme di Caracalla e Torre del Lago. Tra i ruoli da sogno per il basso gli manca solo Don Chisciotte dall’opera di Jules Massenet. In privato, appassionato di Stevie Wonder e della cucina italiana.

Oltre che all’Accademia di Musica (ora Università di Musica Fryderyk Chopin) di Varsavia, Siwek si è laureato in management e marketing alla Warsaw School of Economics (SGH) e, come ammette lui stesso, ha iniziato a cantare un po’ per caso. “Quando avevo 12 anni, è venuto nella nostra scuola con concerti un grande basso polacco, Bernard Ładysz, e mi piaceva molto come cantava. Ai tempi della scuola, cantavo anche nei cori ed ero molto bravo. Al secondo anno di liceo, un amico della scuola di musica mi ha chiesto se avessi voglia di iscrivermi alla classe di canto perché avevo una voce così interessante e bassa. Era già dopo la scadenza per la presentazione dei documenti. Tuttavia, il capo della sezione vocale li ha accettati e dopo gli esami mi ha preso nella sua classe. E così è cominciato tutto. Mi sono innamorato del canto e dell’opera. Quando fai ciò che ami, non lavori mai”.

fot. K. Karpati, D. Zarewicz

Quanto importanti sono stati l’Italia e l’opera italiana nei suoi studi?

L’Italia è presente fin dall’inizio del mio percorso artistico. Ho debuttato all’Accademia di Santa Cecilia a Roma nel 2005 nel “Requiem” di Verdi, condotto dal Maestro Zubin Mehta e trasmesso in mondovisione. In Italia ho avuto la maggior parte dei debutti nei ruoli di Giuseppe Verdi, e sono ormai 17 nel mio repertorio. Mi sono esibito in 27 città italiane e praticamente in tutti i teatri più importanti, ad eccezione del Teatro La Fenice di Venezia. Anche la mia discografia è legata soprattutto all’Italia e al repertorio italiano. L’Italia è la mia seconda patria, e se parliamo di carriera, allora la prima.

È più conosciuto in Italia che in Polonia nel mondo dell’opera?

Di sicuro, perché mi esibisco raramente in Polonia. Ora ho cantato in due concerti alla Filarmonica Nazionale, avevo anche un’offerta per fare un concerto al Gran Teatro di Varsavia, il “Requiem” di Verdi nell’anniversario dello scoppio della guerra in Ucraina, ma era alla vigilia della mia prima esibizione alla Royal Opera di Londra, quindi ho dovuto rifiutare.

fot. K. Karpati, D. Zarewicz

La lingua polacca facilita il lavoro dei cantanti lirici a causa delle proprietà del sistema fonico?

Non credo. Mi sembra che italiani e russi abbiano la massima facilità, perché sono le lingue più melodiche, in cui si parla naturalmente a diverse altezze. La maggior parte dei grandi cantanti, sia bassi che tenori, sono italiani. La lingua polacca non aiuta tanto con la pronuncia ma non disturba neanche. Invece le lingue come il francese, il giapponese e l’inglese non sono per niente melodiche.

Oltre ai ruoli dalle opere di Verdi, ce ne sono altri che le sono particolarmente vicini?

Oltre a quelli nelle opere di Verdi amo il Boris Godunov, il capolavoro di Modest Mussorgsky. Un grande ruolo, il sogno di ogni basso. Ho avuto il piacere di esibirmi come protagonista in Boris aprendo la stagione 2018/19 al Teatro Bolshoi di Mosca. Il 24 febbraio dell’anno scorso, subito dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, ho cancellato le esibizioni programmate lì. Il ruolo di Godunov
è molto complesso, richiede un bel canto e un enorme contributo emotivo e recitativo. È incomparabilmente più coinvolgente di un’altra grande parte di basso, Filippo II nel Don Carlos di Giuseppe Verdi. È necessaria una gamma ancora più ampia di mezzi esecutivi per trasmettere le emozioni del protagonista, che si esprimono sia nella parte vocale che nello strato orchestrale. A novembre di quest’anno avrò il piacere di debuttare al Teatro Lirico di Cagliari come Mefistofele nell’omonima opera di Arrigo Boito. È un altro ruolo da sogno. È esigente in termini di recitazione, voce e anche forma fisica, perché il personaggio è quasi tutto il tempo sul palco. Altri ruoli che amo sono solo dalle opere di Verdi: Filippo II in “Don Carlos”, Zaccaria in “Nabucco”che è il mio biglietto da visita, “Attila” o Fiesco dall’opera “Simon Boccanegra”.

Ci sono registi con cui le piace particolarmente lavorare?

Senz’altro Hugo de Ana, il regista argentino con cui ho avuto il piacere di lavorare al mio primo Filippo II al Teatro Regio di Torino, in seguito ci siamo conosciuti a “La sonnambula” al Teatro Verdi di Trieste e all'”Aida” di Madrid. Un regista meraviglioso che fa tutto il lavoro dalla scenografia, attraverso i costumi, la regia, le luci, il movimento scenico. Lavorare con lui mi ha insegnato molto. Ma devo dire che dal punto di vista pratico, i due registi che mi hanno formato e hanno avuto il maggiore impatto sul mio lavoro sono stati due polacchi: Marek Weiss-Grzesiński e Ryszard Peryt. Ho avuto la fortuna che durante i primi anni dei miei spettacoli teatrali ho potuto imparare il teatro da loro. Anche il lavoro dello scorso anno con il regista italiano Stefano Poda, al Teatro Colon di Buenos Aires, è stato molto stimolante. Sono contento perché quest’anno andrà in scena la sua versione di “Aida” in occasione della 100^ edizione del Festival Lirico di Verona. Ci sono già cinque diverse versioni di quest’opera e ogni anno una o due versioni vengono presentate a Verona, ovviamente ognuna da un regista diverso.

Aida / fot. EnneviFoto

Questo è un elemento molto interessante del Festival. L’opera è una forma artistica che va avanti nella sua forma originale da anni o si sta evolvendo?

Si sta evolvendo, anche se molto dipende dal paese. In Italia o in Spagna, ad esempio, il pubblico è più conservatore e le produzioni eccessivamente moderne possono incontrare una reazione sfavorevole, compresi i fischi. In Germania, invece, non si inscenano quasi mai gli spettacoli classici. La cosa più importante, secondo me, è mantenere la coerenza logica delle prestazioni quando si cercano nuovi contenuti. Tuttavia, se ti allontani completamente dal testo e non c’è alcun messaggio, diventa difficile capire lo spettacolo. A mio parere, è importante che l’opera come genere si sviluppi rispettando il lavoro sia del compositore che del librettista.

Nabucco / fot. EnneviFoto

Che tipo di musica ascolta nel tempo libero?

Ascolto soprattutto buona musica. Un po’ quello che ascoltano i miei figli, ad esempio Amy Winehouse, Adele o i classici: Tony Bennett o persino Elvis Presley. Avendo tre figli, sono al corrente su ciò che ascoltano i giovani d’oggi. A casa nostra si può sentire anche Aretha Franklin o, il mio preferito, Stevie Wonder. Mi piace anche ascoltare musica classica e jazz. Per quanto riguarda l’opera, a causa della mia professione, la ascolto così tanto che nel tempo libero cerco di scegliere altri generi.

Nabucco / fot. EnneviFoto

Se avesse l’opportunità di vivere in Italia, quale città sceglierebbe?

Quando sono a Verona, mi fermo sempre a Colombare sul Lago di Garda, vicino a Sirmione. Da quando ho iniziato a cantare regolarmente a Verona, cioè dal 2014, affitto un appartamento lì e ci passo di solito più di un mese. Amo anche le Dolomiti, vado regolarmente a San Vito di Cadore. È difficile scegliere un posto. L’Italia e i sapori italiani sono meravigliosi. In nessun luogo il caffè ha un sapore così buono come in Italia, e le conversazioni più interessanti si svolgono dopo lo spettacolo o dopo le prove, quando otto italiani discutono su modi diversi di preparare lo stesso piatto. La cucina italiana è meravigliosa. Anche i miei figli, che dalla nascita passano in Italia diversi mesi all’anno la adorano. Hanno i loro piatti e dessert preferiti e conoscono i ristoranti dove si può mangiare di gusto.