Sotto di me, sopra di me, dinanzi a me…

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La comparsa di un’antologia di poesia lemka incentrata sul repertorio successivo all’Operazione Vistola costituisce per me un evento culturalmente ragguardevole che segna l’approdo del nostro universo sensibile in un nuovo ambiente ricettivo. Ciò non può che suscitare un profondo senso di soddisfazione e apprezzamento. Da studiosa e divulgatrice della letteratura lemka nonché scrittrice in seno alla medesima, ho accolto con decisa approvazione l’idea a monte del progetto e ne ho sostenuto l’autrice, Silvia Bruni, contribuendo, fin dove riuscissi, alla sua realizzazione. Appaga e accresce il mio entusiasmo la consapevolezza che a prendere in mano questo volume sarà un lettore deciso a raggiungere un mondo distante, ma per certi versi anche vicino. Sono infatti convinta che chiunque abbia un’inclinazione alla poesia possieda per natura una particolare intuizione sensibile rivolta alle immagini, alla metafora, e che sia dunque capace di una profonda empatia nell’accogliere l’Altro.

Egli accederà al nostro mondo: ad una realtà non facile da comprendere, profondamente scossa, ma al contempo dolce e immersa in un’esistenza compenetrata dalla natura e dal mito. Accogliendo il lettore in questo mondo desidero pronunciare, sulla soglia di un’escursione attraverso la poesia, alcune parole di iniziazione alla sostanza spirituale della nostra lirica che servano ad oltrepassare la soglia con prudenza e ad intraprendere il cammino con una motivazione fondata: i sentieri che egli ha dinanzi non sono stati ancora spianati e restano tuttora inaccessibili a molti, attendendo viaggiatori sensibili, desiderosi di raggiungere angoli di mondo lontani da strade asfaltate, pronti ad essere scoperti, preparati al delicato incontro.

Se la domanda derridiana Cos’è la poesia? venisse posta in riferimento alla lirica lemka postdeportazionale, una delle prime risposte sarebbe: una lotta tenace. Questa, a sua volta, susciterebbe una serie ininterrotta di domande che, esauriti determinati argomenti, aprirebbero al contempo un dialogo su ulteriori questioni. Un’eco della lotta sopra richiamata è, nel nostro caso, l’incompimento, un concetto profondo quanto quello di realtà, ambivalente quanto quello di vita, appartenente ad una complessa famiglia semantica in cui morire è consanguineo di compiere, ma anche finire, proseguire, costruire. All’essenza di tali accezioni giace un compimento, un costruire senza sosta. L’eventuale presenza del prefisso negativo ‘in’ è sintomo di una spaccatura, una crepa, un’interruzione verificatasi nel processo di durata, nel corso della vita. Poco più di settanta anni or sono il mondo lemko subì infatti una frattura che per tutti gli autori qui presentati costituisce la realtà preponderante di ogni giorno, inalienabile, viva nelle coscienze sebbene da tempo assimilata. Negli anni 1945-1947 si assistette alla scomparsa di un universo di persone le cui radici affondavano lungo i dolci declivi del Beskid Niski e che qui avevano creato un universo fondato sui concetti: valore di patria, amor patrio, Łemkowyna. Una politica unificatrice condotta senza compromessi, volta a neutralizzare la varietà culturale del paese, riuscì allora, in vario modo, a sradicare le comunità indigene. Ai Lemki spettò una delle soluzioni più impietose: l’abbandono forzato dei monti nativi e il trasferimento in Ucraina e negli ex territori orientali della Germania annessi alla Polonia dopo le due guerre mondiali. L’assimilazione così pianificata raggiunse gli effetti sperati non dimostrandosi tuttavia fino in fondo efficace.

Tocchiamo dunque direttamente la lotta cui si è accennato sopra. La poesia riesce non solo a definire lo stato di fatto della realtà lemka nel modo più completo e viscerale, ma anche, in virtù della sua portata performativa, a resistere alla scomparsa. Ogni comunità che subisca dislocazioni, trasferimenti, si trova costretta ad inseguire il proprio ideale di reinvenzione, a raccontare, esprimere se stessa in maniera sempre nuova, nel mito, nella narrazione. La reinvenzione lemka poggia fondamentalmente sulla lirica, che in rapporto alla dislocazione forzata assurge a simbolo di diniego, per cui i territori meta del trasferimento sono tuttora ‘terra straniera’ (чужына). Figura essenziale del diniego è l’antitesi Łemkowyna=sacrum contra esilio=profanum.

Tutti i poeti presentati in questo volume appartengono alla corrente da me definita dell’autopresentazione lemka: oltrepassano la barriera dell’isolamento protettivo aprendosi al lettore esterno e recuperando per la Łemkowyna il tempo futuro. Tutti vivono e creano in patria, alla quale hanno fatto consciamente ritorno dall’esilio, confrontandosi ogni giorno con le conseguenze dello sradicamento sociale e le implicazioni del durare per virtù naturali. Ciò dà loro la forza e il coraggio di aprirsi. Anche per tali ragioni, ciò che nei loro brani tocca questioni di ordine storico, reca il segno del trauma, del dolore, della consapevolezza della devastazione, della rovina. Per contro, ogni riferimento alla terra, alla natura, nonché allo spirito e alla volontà degli avi, è rimando ad un’entità perenne, incorruttibile, rinascente. Da qui la mia scelta di definire la poesia lemka poesia del dolore, ma anche poesia della ricostruzione della propria dimora. Suo paradigma è l’ethos del durare, del resistere. È una lirica che penetra, e con lei i suoi lettori, negli strati culturali della tradizione, di cui saggezza e immaginario folclorico costituiscono da sempre i capisaldi, tenendo simultaneamente lo sguardo puntato al domani della Łemkowyna.

Quest’ultimo appare incantato nel “sarà” di Paweł Stefanowski, nel concetto di rinascita (“ecco la mia nuova casa / mia come il respiro”) evocato da Graban; nel desiderio che presenzia ai versi di Murianka; nella speranza declinata nelle mie poesie. È un repertorio che commuove e al tempo stesso induce ad una riflessione profonda; la dissonanza, la rottura predominano sull’armonia e sull’aggregazione. Come un fiume carsico scorre perennemente la domanda su come progredire, su “come potrà esser meglio?”

È questo il mio sguardo da partecipante interno impegnato nella lotta per resistere. Dietro mio suggerimento sono entrate a far parte di questo volume alcune delle poesie che più acutamente esprimono le aspirazioni di cui si è detto sopra. Un sentiero di scoperta in parte divergente è stato seguito dall’autrice del progetto. Essa ha ricercato quanto potesse restituire la Łemkowyna che lei ha conosciuto e vissuto attraverso racconti, immagini e il contatto diretto con il paesaggio, manifestando al contempo l’individuale sensibilità di ciascun poeta. Per me il suo sguardo è molto prezioso poiché consente di stemperare almeno in parte il saldo imperativo che io stessa serbo, rispecchiando non tanto i bagliori derivanti dalla spaccatura quanto invece i contorni di un’immagine artistica e spirituale sorprendentemente omogenea. In questa prospettiva le personalità artistiche degli autori vanno ad integrarsi, completarsi a vicenda sotto uno sguardo inedito, senza che con ciò ne vada perso il valore precipuo, ne venga alterato il significato, il quale risulta anzi approfondito.

Dunque Paweł Stefanowski, che la mia penna critica definisce il poeta più dichiarativo, manifestativo e narrativo ad un tempo, colui che per primo ha posto in luce la questione dei Lemki rivendicando il loro diritto ad un trattamento umano, spinto ad agire dall’intimo imperativo di dover raccontare, spiegare, mostrare “com’era, com’è” e come “dev’essere”, agli occhi della curatrice del volume appare altresì nelle vesti di sottile cantore del sentimento rivolto alla donna, espresso attraverso l’inconfondibile cifra paesaggistica lemka.

Petro Murianka ci consegna innanzitutto una lirica patriottica gonfia di emozioni fino al dolore, cui si è scelto di affiancare travolgenti espressioni di un senso del sacro che racchiude l’attaccamento a Dio, alla terra, agli avi.

Władysław Graban, straordinariamente sensibile alla bellezza e ai ritmi della natura è, ai miei occhi come a quelli della traduttrice, il poeta dell’unità cosmica pulsante di vitalità, del vibrare delle emozioni e del vento, che tocca la vita quanto la storia.

Stefania Trochanowska, altrettanto indivisibile nella sua femminile etereità, nei sensuali rapimenti in seno alla natura, nell’intima riflessione, nella aconicità e nell’esposizione essenziale dei concetti, appare sotto una prospettiva affine a quella che io stessa avrei valorizzato.

Infine, la mia personale tensione verticale ha assistito ad una differenziazione e ripartizione in fasci di pensiero, giochi linguistici, al risalto della negazione nella sua essenza, in un continuo approfondimento di concetti secondo un movimento circolare, ininterrotto. La selezione qui proposta reca quindi accenti in parte diversi da quelli che riterrei più tipici della mia autorappresentazione.

Il presente volume offre una duplice prospettiva: una visuale interna, creativa, analitica, identitaria, ed una esterna appartenente al lettore, estetica, universalizzante. Non ho dubbi che la curatrice abbia compiuto ogni sforzo per rendere il nostro mondo quanto più ampiamente accessibile al lettore italiano. Un mondo certo distante, ma anche, ne sono certa, vicino e travolgente per il suo tendere all’autorappresentazione e per la sua forte volontà di resistenza a dispetto del tempo. Ringrazio dunque sentitamente Silvia Bruni per il proposito perseguito, la fermezza nel realizzarlo e lo splendido compimento, il quale non può che appagare e commuovere. È mia speranza poter condividere con i lettori questo stesso apprezzamento.

traduzione it: Silvia Bruni

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