Un nobile con la cinepresa

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Aristocratico. Comunista. Marxista. Studioso. Ribelle e uomo sensibile allo stesso tempo. Un omosessuale dichiarato. Un genio che ha realizzato film che sono pagine della storia del cinema mondiale. Quest’anno celebreremo due importanti anniversari del grande Luchino Visconti, il 45° anniversario della sua morte a marzo e il 115° anniversario della sua nascita in autunno. Ma è ora di iniziare un epico viaggio attraverso la sua vita!

Luchino Visconti di Modrone, conte di Lonate Pozzolo nacque nel 1906 durante il regno del re Vittorio Emanuele III, nell’anno in cui eruttò il vulcano Vesuvio devastando Napoli e uccidendo oltre 200 persone. E fu anche l’anno in cui ebbe luogo la prima di ”The Story of the Kelly Gang”, considerato il primo lungometraggio al mondo. Milano nel 1906 era uno dei più importanti centri industriali, commerciali e finanziari d’Italia, in quel momento nacque un nobile che, pochi decenni dopo, si sarebbe messo dietro la macchina da presa per creare i suoi magnifici film.

Luchino Visconti e Federico Fellini, fot. Gianfranco Tagliapietra

Il futuro maestro era uno dei sette discendenti del duca di Modrone e ricevette un’educazione molto privilegiata. Frequentò scuole private a Milano e Como. Da giovane incontrò personalità come il direttore d’orchestra Toscanini, il compositore Puccini e il poeta e scrittore Gabriele D’Annunzio. I suoi anni giovanili li passò tra l’opera, il Duomo – la sua chiesa preferita – e il palazzo di via Cerva, dove abitava la famiglia Visconti. Sua madre era una musicista di talento e suo padre assumeva artisti per esibirsi nel loro teatro privato. Quindi era ovvio che tutti questi mondi dovevano influenzare il piccolo Luchino. Per dieci anni, incoraggiato dalla madre, studiò violoncello. Nei ricordi di Uberta, la sorella del regista, la loro infanzia era gioiosa: ”Mio fratello spesso nei suoi film mostra feste di famiglia, c’è sicuramente qualcosa di noi Visconti in quelle scene. Ammiro immensamente mio fratello. È stato sempre lui a inventare i giochi quando eravamo piccoli, ci organizzava gli spettacoli preceduti sempre da lunghi preparativi”. Il risultato fu che Visconti lavorò per un breve periodo in un teatro come scenografo. Una formazione con un’enfasi sulle arti. All’età di quattordici anni lesse tutto ciò che aveva scritto Shakespeare ed era affascinato dalla letteratura di Thomas Mann e Marcel Proust. Un anno dopo cominciò a pubblicare da solo i libri dei suoi amici.

Visconti aveva due strade davanti a sé, o diventare allevatore di cavalli, cosa che fece per un periodo, o la carriera d’artista. Per fortuna scelse l’arte. Ottenne il suo primo apprendistato cinematografico assistendo il regista Jean Renoir nella produzione ”Una gita in campagna”, per il lavoro Visconti si trasferì a Parigi e si avvicinò alle idee politiche di sinistra.

E in quell’ambiente trovò un approccio aperto verso il tema dell’omosessualità che, fino a quel momento, aveva nascosto dentro di sé. Inoltre non dimenticò mai la buona educazione e la pietà che i suoi genitori gli avevano instillato. Fino alla fine della sua vita, ripeteva: “Nascere e morire è la stessa cosa. Prendo la responsabilità per me stesso e per la mia vita. Non sto chiedendo niente a Dio. Sono un uomo libero”.

Morte a Venezia

Nel 1937 in Italia si diffondeva lo slogan che fu anche il motto di Mussolini “Il cinema è l’arma più potente”, per la prima volta apparve scritto in grande durante l’inaugurazione di Cinecittà alla periferia di Roma. Certo era una trappola per attirare i futuri registi, ma anche per avvertirli di chi comandava. Uno slogan che non ebbe successo con tutti poiché c’erano coloro che, nei primi anni ’40, ritenevano i film solo uno strumento di propaganda del regime. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, Visconti divenne un attivo antifascista e offrì la sua casa ai membri del movimento di resistenza comunista.

Fu coinvolto nell’opposizione armata contro i tedeschi e nel 1944, per un breve periodo di tempo, fu imprigionato dalla Gestapo. Anni dopo non tornò ai temi politici e non capì le rivolte dei giovani nel 1968, temeva il rischio di una nuova guerra e allo stesso tempo confessò in una delle interviste successive: “credo che la più corretta di tutte le definizioni di fascismo sia quella che vede in esso la fase finale del capitalismo mondiale, il risultato finale della lotta di tutte le classi sociali che porta alla degenerazione”. Dopo la guerra, sostenne pubblicamente il Partito Comunista Italiano, anche se non vi aderì mai ufficialmente.

Visconti debutta come regista prima della fine della guerra, il suo primo lungometraggio “Ossessione” esce nel 1943. Per realizzarlo come vuole lui lo finanzia da solo vendendo i gioielli di famiglia. Si tratta della storia di una moglie infelice e impulsiva che si innamora, ricambiata, di un uomo che viaggia per il paese in cerca di lavoro. L’amore spinge gli innamorati al crimine. Il film all’epoca fu bloccato dalla censura statale subito dopo la sua anteprima e la pellicola fu distrutta dai fascisti. Per fortuna Visconti salvò l’unica copia. Qualche anno dopo la pellicola è stata riconosciuta come una delle opere che hanno dato origine al neorealismo nel cinema italiano, che fiorì nei film, ad esempio, di Roberto Rossellini o di Vittorio De Sica.

Il lavoro di Visconti non può essere chiuso in un filone cinematografico, sebbene i suoi primi film siano fortemente neorealisti (“La terra trema”, “Bellissima”), in quelli successivi dimostra di seguire una strada diversa e preferisce il cinema d’autore. Stesso approccio lo ebbe in ogni campo dell’arte che toccò: cinema, opera, teatro, letteratura. Bisogna ricordare che Visconti svolse un ruolo importante nel successo di Maria Callas, di cui ne scoprì il talento sul palco durante le sue prime opere. Grazie a lui la dea dell’opera è diventata anche un’attrice. Visconti era un artista che trasformava il pessimismo in bellezza, una bellezza morbosa e mortale. Nelle sue opere parlava spesso di persone, famiglie, Europa, del mondo prima della catastrofe, prima della sua completa disintegrazione (“Il gattopardo”, “La caduta degli dei”, “Gruppo di famiglia in un interno”).

Ha saputo calare i suoi eroi in film storici di grande scala, realizzando opere epiche e sontuose, in più ha girato drammi psicologici intimi in bianco e nero, ispirati, tra l’altro, alla letteratura di Dostoevskij. Era diverso dai suoi colleghi, sia da chi a lungo si è occupato dei traumi della guerra nel filone neorealistico, sia da chi si è rifugiato nella onirica fantasia come Fellini, per Visconti era importante il qui e ora per far rappresentare fascinazioni, problemi e vizi delle persone.

“Noi milanesi a volte siamo più mitteleuropei che mediterranei”, ha confessato in un’intervista. Continuava a dire che era solo un bravo specialista, solo un artigiano. Un artigiano che ha girato una delle scene più importanti della storia del cinema, ovvero una scena di ballo che dura un’ora (!) nel mitico “Gattopardo”, già citato prima e tratto dal romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. La vita e l’opera di Luchino sono legate anche al tema dell’omosessualità, che viene accennato in tutte le sue opere (tra cui anche “Morte a Venezia”). Nelle tematiche delle sue opere tocca tutto ciò che ha vissuto: dalla sua infanzia innocente, piena di giochi in famiglia, cene sontuose piene di litigi, ai sogni d’amore nella sua vita adulta. Ebbe numerose relazioni, si innamorava spesso, come confessò in un’autobiografia, uno dei primi sentimenti era quello per Umberto II negli anni ’20. Negli ultimi anni di vita, nonostante i successi cinematografici, visse modestamente a Roma, nel suo piccolo appartamento, però con una cuoca, una cameriera e un autista. Fumava 120 sigarette al giorno. Nel 1972 ebbe un ictus ma continuò a fumare pesantemente. Morì a Roma in seguito ad un secondo ictus all’età di 69 anni, il 17 marzo 1976. Ripeteva spesso che oltre alla pittura, alla letteratura e alla musica, era soprattutto interessato alla vita.

traduzione it: Agata Pachucy