Vercelli, una città fra le risaie

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fot. Angelomalvasia, CC BY-SA 3.0

Una città che è una perla di storia e monumenti, situata tra le risaie ai piedi delle Alpi. Quando la nebbia copre i paesi e i campi circostanti sembra, soprattutto all’alba, una sorta di visione con le incombenti torri della Basilica di Sant‘Andrea e della Cattedrale di Sant‘Eusebio.

La città si trova sulla Via Francigena, quel pellegrinaggio che parte dal Nord della Francia e arriva a Roma. Una via tuttora percorsa dai viaggiatori contemporanei che camminano raccogliendo i timbri delle loro tappe. Il sentiero è curato dall’Associazione Internazionale Via Francigena fondata nel 1997 che si prende cura dei pellegrini e dei turisti.

Sulla strada per Vercelli i pellegrini possono ammirare le meravigliose e vaste aree di risaie che quando sono allagate dopo la semina, sembrano un vasto lago. Le spighe pesanti di grano ondeggiano leggermente al vento. Poi si scarica l’acqua, arrivano le mietitrebbie e inizia la raccolta del riso. La varietà più famosa e apprezzata è il riso Arborio, così diverso dal riso cinese. I chicchi grossi dopo la cottura si gonfiano magnificamente e sono perfetti per preparare la panissa vercellese. Questo piatto viene preparato in un pentolone con vino rosso Barbera e fagioli rossi. I residui bruciati sul fondo della pentola sono i più desiderati dai buongustai.

fot. Guido Come

La coltivazione del riso in Piemonte fu introdotta nel Medioevo dai monaci cistercensi di Borgogni. Le prime risaie furono quelle nei pressi dell’Abbazia di Lucedio, a 20 km da Vercelli, a nord del Monferrato. Inizialmente il riso veniva coltivato come medicinale in piccole aree. Fu solo sotto l’influenza dei lavori di ingegneria di Leonardo da Vinci alla corte di Lodovico Moro, nel XV secolo, che la produzione del riso cominciò a diffondersi in Italia. Questa attività è testimoniata dalle lettere del principe di Galeazzo Maria Sforza che dà il permesso di esportare 12 sacchi di riso. Lo sviluppo della produzione del riso ha acquisito slancio con la graduale introduzione delle macchine per la pulitura del riso. Lentamente anche le zone attorno a Cigliano, Tronzano e Santhià videro aumentare l’importanza di questo settore produttivo. I documenti di questo periodo menzionano che il riso veniva coltivato nei campi “intorno al Po e da San Germano sino alla Sesia”.

La coltivazione del riso, anche se talvolta incontra opposizione – come fu da parte del Principe di Savoia in quanto potenziale fonte di infezione malarica – attirò sempre più lavoratori, soprattutto dalle regioni montane che qui trovarono lavoro e condizioni di vita sempre più dignitose. Il riso non rappresentava per loro solo una fonte di reddito, ma anche, e forse soprattutto, nutriva loro e le loro famiglie.

Murales commemorativo del film “Riso amaro” nel comune piemontese di Legro / fot. Blusea2001, CC BY-SA 3.0

Una significativa accelerazione nello sviluppo della produzione è legata a Camillo Benso conte di Cavour.

Dapprima divenne il capo del Consiglio dei Ministri del Regno di Sardegna dal 1852 al 1861. E poi con la fondazione dello Stato italiano unificato, il Regno d’Italia nel 1861, Cavour assunse la carica di Presidente del Consiglio dei Ministri. Cavour promosse molto la coltivazione del riso e non solo, ma anche quella del latte, dell’allevamento del bestiame nei propri poderi. Fu lui il padre dei canali che irrigano la pianura vercellese. A lui è stato intitolato il canale più esteso, costruito dopo la sua morte. Fu lui anche a fondare nel 1843 l’Associazione Agraria di Torino il cui compito era migliorare le condizioni di lavoro nelle risaie e le tecniche di coltivazione. I canali d’irrigazione venivano utilizzati anche per difendersi dagli attacchi austriaci durante la lotta per l’Unità d’Italia. L’ingegnere Carlo Noé sfruttando la rete di irrigazione delle risaie esistente, allagò gran parte del territorio, respingendo l’attacco delle truppe austriache e costringendole a spostarsi e ritirarsi fino a Torino. Cavour rimane un simbolo del lavoro e dell’intensa attività non solo per il Risorgimento, ma anche per lo sviluppo del Piemonte. Nella piazza centrale di Vercelli si trova un grande monumento dedicato al Conte di Cavour che guarda con occhio attento gli abitanti e i turisti in arrivo.

Sembra tenere d’occhio la Borsa del Riso più grande d’Europa con la sede a Vercelli. È qui che si effettuano le transazioni maggiori, il prezzo del riso aumenta e si decide il volume della coltivazione e della vendita.

Un elemento importante per lo sviluppo della coltivazione del riso in Piemonte furono le mondine – nome che deriva dal verbo mondare che significa togliere le erbacce – donne che venivano a lavorare nelle risaie da Venezia e da tutto il Veneto, ma anche dal Piemonte, dall’Emilia Romagna e dalla Lombardia. Nel momento di maggiore attività erano 300, provenienti anche dal Sud, dal salernitano in particolare. Provenivano da classi sociali modeste e lavoravano nelle fabbriche durante la bassa stagione. Arrivavano in gran numero nelle zone di Vercelli e Novara, nella Pianura Padana, in cerca di lavoro. In tempi in cui i raccolti non erano meccanizzati, ogni paio di mani era importante. Tuttavia, le loro condizioni di lavoro erano difficili, spesso lavoravano dall’alba al tramonto, dalle 10 alle 12 ore al giorno. Soprattutto nel periodo da maggio a luglio. Il loro lavoro consisteva nel sostituire nuove piante al posto di quelle malate e nell’eliminare le erbacce. Lavoravano tutto il giorno in acqua, cosa che le esponeva a malattie endemiche come la malaria e la tubercolosi. Le mondine vivevano in condizioni miserabili, spesso dormivano nelle fattorie o nei dormitori su letti di paglia e avevano poco tempo per riposare. Per questo motivo cercavano di rendere più piacevole il loro lavoro cantando in coro. Cantavano le loro preoccupazioni e le difficoltà del duro lavoro, ma il canto era anche un’espressione di ribellione contro lo sfruttamento cui erano sottoposte. Portavano un cappello di paglia che le proteggeva dal sole e dalle punture di zanzara. Il loro cibo consisteva in una manciata di riso e spesso in rane, di cui abbondavano le acque delle risaie e che preparavano per il pasto serale. Le rane sono ancora oggi un piatto servito nei ristoranti di Vercelli e dintorni.

Il loro destino fu raccontato nel film Il Riso Amaro del 1949 con Silvana Mangano e Vittorio Gassman, diretto da Giuseppe de Santis. Un film, considerato un’opera di punta del neorealismo italiano, che combina gli elementi commerciali con l’osservazione quotidiana della vita. Presenta la vita reale con una storia romantica sullo sfondo.

Vale sicuramente la pena visitare questa regione così poco conosciuta dai turisti, ma ricca di tradizione e storia. Una pianura con alle spalle le Alpi.