La questione di come Leonardo ha racchiuso il tempo nella pittura

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traduzione it: Amelia Cabaj

La Dama con l’ermellino è uno dei dipinti più preziosi delle collezioni polacche. Alcuni anni fa, proprio quest’opera, fu la “perla” indiscussa della mostra Ritratto del Rinascimento svoltasi a Berlino. Sebbene l’esposizione presentasse eccezionali opere dell’arte rinascimentale italiana, è stata la Dama a primeggiare in una nicchia preparata appositamente su una parete scura, ben illuminata. Quando invece di seguito è partita per una tournée a Londra, il suo posto è rimasto vuoto e sempre illuminato. Cosa rende tanto particolare questo ritratto di una giovane donna? Il semplice fatto che lo stesso Leonardo da Vinci la guardasse, ha reso la ragazza immortale. Quel che più conta però è il modo in cui la guardava. Ha colto un momento effimero, quasi impossibile da registrare con la vista, poiché la “nostra” Dama non è solo un bellissimo ritratto di una donna affascinante con uno strano animale tra le braccia. Per noi spettatori si tratta del tempo racchiuso nel quadro, si tratta della capacità di armonizzare la bellezza della modella con il suo carattere e con il periodo in cui ha vissuto.

La Dama con una donnola o la Dama con un ermellino?

Nonostante la pittura leggermente inscurita e ingiallita, l’animale nelle mani della bella signora ha una pelliccia chiaramente bianca. Nella letteratura italiana quest’ultimo, veniva chiamato diversamente: faina, martora, ermellino, furetto. Per molti anni in Polonia, il quadro veniva prevalentemente denominato Dama con la donnola, considerando che l’ermellino è una sua specie nella veste invernale. Il ritratto non è solo la rappresentazione di una donna con un animale ma è anche un insieme di diversi simboli che costituiscono la narrazione dell’opera al di fuori del suo aspetto estetico. La donnola è un simbolo della promiscuità, mentre l’ermellino nella simbologia antica indicava la purezza. L’animale era noto per la sua avversione verso lo sporco, mentre il motto dell’Ordine dell’Ermellino era “Meglio morire che essere disonorato”. Nel 1488 Ludovico Sforza ricevette dal re di Napoli il titolo di cavaliere dell’Ordine dell’Ermellino. L’animale nelle mani di Cecilia può quindi rappresentare sia l’unione del principe Ludovico con la sua giovane amante, nonché il simbolo della purezza, visto che il ritratto della bella ragazza non ha sfumature d’erotismo. Come curiosità, citerò un’altra ipotesi che veniva un tempo raccontata. Secondo alcuni il ritratto doveva riferirsi a un complotto contro Galeazzo Maria Sforza (fratello di Ludovico), mentre la ragazza doveva rappresentare sua figlia Caterina. La collana di perle nere faceva riferimento al lutto dopo la morte di suo padre, mentre l’ermellino faceva riferimento allo stemma di Giovanni Andrea da Lampugnano, l’assassino di Sforza nel 1476.

La giovane amante del principe

Cecilia Gallerani (1473-1536) nacque a Siena da in una modesta famiglia. All’età di dieci anni venne fidanzata con Giovanni Stefano Visconti. Sfortunatamente, i suoi fratelli si appropriarono della sua dote e di conseguenza quattro anni dopo il fidanzamento fu interrotto. Venne alla corte di Milano da adolescente dove divenne l’amante del principe reggente, Ludovico Sforza chiamato Il Moro. Era presumibilmente una delle donne più affascinanti del castello, amata e rispettata, e oltre che per il suo fascino era conosciuta per la sua saggezza e cultura. Infatti la nobildonna conosceva il latino e il greco, scriveva poesie, veniva paragonata a Saffo poichè era capace di sostenere profonde discussioni. Nel maggio del 1491 diede alla luce il figlio Cesare. Ciò accade già dopo il matrimonio di Ludovico con Beatrice d’Este. Il principe le donò le sue terre a Pavia e Saronno e, poco dopo, nel gennaio del 1492, le procurò un marito, il conte Carminati-Bergamini. Come regalo di nozze (destinato al figlio, Cesare) le regalò il palazzo di Carmagnola.

Il percorso del quadro dopo la separazione di Cecilia dal Principe di Milano

Cecilia si trasferì al palazzo Carmagnola dove prese con sé il ritratto. Anni dopo, Izabela d’Este alla ricerca dei favori di Leonardo, le chiese in una lettera di ricevere il capolavoro. La corrispondenza tra le due donne si è conservata. La lettera del 26 aprile del 1498 contiene la richiesta:

(…) et ricordandone che’lv’ha retracto [Leonardo] voi al naturale vi preghiamo che per il presente cavallaro, quale mandiamo a posta per questo, ne vogliati mandare esso vostro retracto, perché ultra ch’el ne satisfarà al paragone [Izabela voleva confrontare la pittura di Leonardo con le altre sue opere] vedremo anche volentieri il vostro volto (…)

La signora Bergamini ha risposto che invierà il quadro aggiungendo: et più voluntiera lo manderia quando assomigliasse a me (…). Come ha spiegato più avanti nella lettera, dopo anni non assomigliava più alla ragazza del ritratto. Il dipinto fu restituito da Izabela e rimase nel palazzo di Cecilia fino alla sua morte nel 1536. Da quel momento fino alla fine del XVIII secolo, il capolavoro non appare più in nessun documento. Ritroviamo solo un breve commento nell’inventario della collezione romana della famiglia Farnese del 1644 che nomina un dipinto di Perugino (?) intitolato Purezza con un ermellino in mano.

Soltanto nel 1804, un bibliotecario del museo di Milano notò che la copia del ritratto si trova nelle collezioni del museo, mentre il suo originale cento anni fa fu visto dal Marchese Bonasan. Nel 1900 Bołoz-Antoniewicz, storico dell’arte di Leopoli, pubblicò un testo in cui affermava che il ritratto considerato scomparso dai ricercatori molto probabilmente è in possesso della famiglia Czartoryski a Cracovia. Il dipinto fu acquistato come opera originale di Leonardo da Adam Jerzy, figlio di Izabela Czartoryska. Non conosciamo le circostanze esatte dell’acquisto. La duchessa collocò l’opera a Puławy, presso la Casa gotica e ne fece una descrizione spiegando che il figlio acquistò l’opera in Italia e che si trattava di un ritratto di Leonardo da Vinci che raffigurava l’amante del re di Francia Francesco I chiamata La Belle Ferronière, la moglie di un mercante di ferramenta. Dopo l’insurrezione di novembre, quando la famiglia Czartoryski fuggì a Parigi, portò con sè il quadro all’Hotel Lambert. Nessuno dei ricercatori francesi però ha menzionato la sua presenza a Parigi ciò vuol dire che è stato tenuto nascosto. È molto probabile considerando il fatto che Parigi era allora profondamente interessata all’arte e nel 1869 fu pubblicata una grande monografia di Leonardo. La mancanza del commento riguardante la Dama con l’ermellino dimostra che i Czartoryski, sebbene attivi nella vita sociale, non hanno rivelato informazioni sull’opera da loro posseduta. Nella monografia l’autore ha citato il ritratto tra le opere scomparse. Dopo la guerra di Prussia, la Dama con l’ermellino tornò in Polonia, a Cracovia, dove il figlio di Adamo, Władysław fondò un museo.

Solo allora i ricercatori di vari paesi iniziarono ad occuparsi dell’opera. A partire dagli anni della prima guerra mondiale, quando la Dama era a Dresda per motivi di sicurezza, venne conosciuta da molti storici italiani e tedeschi, mentre tra il 1916 e il 1942 apparsero numerose pubblicazioni a favore o contro il Maestro da Vinci. Nel 1920, il dipinto tornò a Cracovia. Durante la seconda guerra mondiale, la Dama lasciò nuovamente la Polonia. Inizialmente gli oggetti più preziosi di Cracovia furono trasportati a Sieniawa, ma i nazisti scoprirono il nascondiglio e Dama …, Paesaggio con il buon samaritano di Rembrandt e Ritratto di giovane di Raffaello furono portati in Germania e subito dopo esposti al Kaiser Fredrich Museum di Berlino. Tuttavia, già nel 1940 l’opera di Leonardo fu nuovamente inviata a Cracovia, a Wawel, alla sede del governatore Hans Frank, poi in Slesia e Baviera. Nel 1945, l’esercito americano denominato Difensori del tesoro recuperò l’opera e la riportò a Cracovia. Durante due mostre – nel 1952 a Varsavia e nel 1961 a Cracovia – sono state pubblicate ricerche riguardanti l’abito cucito secondo la moda spagnola e la collana realizzata con l’allora popolare ambra nera. L’anno 1490 fu stabilito come la data della realizzazione del dipinto. L’attenzione è stata anche prestata ai ricami neri e ai nodi sulle maniche dell’abito. Il motivo ispirato all’arte orientale è stato ripetuto nei disegni di Leonardo che adornano le sue note dal 1480.

Tecnica di esecuzione

Il dipinto misura 54,8×40,3 centimetri ed è stato composto con colori ad olio su una tavola di noce con primer bianco. Leonardo ha usato il metodo dello smalto, che consiste nell’applicare ripetutamente strati sottili di vernice con lo scopo di ottenere infine una superficie liscia, spesso con una traccia del pennello visibile di sopra. Il blu è il costoso ultramarino, le tinte derivate ​​dal bronzo sono di origine organica, mentre gli altri colori sono composti da ossidi di ferro. Numerosi studi hanno dimostrato che Leonardo dipinse il quadro con due mani.

Diversi studi del disegno possono essere considerati schizzi per il ritratto. Lo studio delle mani e lo schizzo del torso di una donna disegnato con il gesso rosso dalle collezioni della biblioteca di Windsor e lo studio della testa di un angelo delle collezioni torinesi con un caratteristico, morbido tocco del corpo si possono considerare i tentativi più probabili di Leonardo. Lo sfondo nero è l’effetto della riverniciatura, probabilmente negli anni 1799-1800. In origine, c’era un paesaggio sullo sfondo e le sovraesposizioni dell’immagine indicano il contorno delle finestre o loghi, che fanno riferimento in qualche modo all’architettura del dipinto di Madonna Benois dalle collezioni dell’Ermitage. I numeri dell’inventario sul retro e la scritta nell’angolo in alto a sinistra: LA BELLE FERONIERE. LEONARD D’AWINCI risalgono ai preparativi per la mostra a Puławy. Esiste anche un’ipotesi che la riverniciatura sia stata fatta da Eugene Delacroix, un caro amico di Adam Czartoryski.

Una posa unica, l’accettazione della vita

Leonardo creò una posa unica, con il torso che dolcemente segue il movimento della testa, un corpo organico, etereo e vivace, non statuario come molti altri ritratti delle donne del Rinascimento. Lo sguardo della giovane Cecilia è serio, più maturo rispetto al suo corpo. Nei suoi occhi si riflette l’accettazione della vita, per l’ambiente circostante. Sappiamo che viveva nelle perfette condizioni di una corte benestante e che era amata ed ammirata, ma nonostante ciò basta guardarle gli occhi. È una donna senza pretese alla vita, qualcosa nella sua faccia mi fa pensare che avrebbe gli stessi dolci movimenti e il consenso anche se la sua vita fosse andata diversamente. L’armonia, uno dei canoni del Rinascimento, tanto desiderata oggi e ricercata nello yoga, nella meditazione, nella musica dei gong tibetani si riflette nella posa e nello sguardo di Cecilia. Guardatela e imparate a vedere, non solo a guardare. L’arte è meditazione e un sollievo.