Gazzetta Italia 114 (dicembre 2025 – gennaio 2026)
Il 2026 è l’anno di San Francesco! Ricorrono infatti gli 800 anni dalla morte del Santo di Assisi. E allora quale migliore modo di celebrarlo che immaginarlo, visionariamente, approdare oggi, in questa nostra inquieta contemporaneità, portando una ventata di energia positiva? Questo il messaggio della nostra copertina ulteriormente esplicitato dallo splendido testo di Stefano Redaelli, uno dei due articoli che i lettori di Gazzetta possono anche ascoltare scansionando il qrcode.
Nella nuova Gazzetta trovate poi suggerimenti di vacanze con un focus su 4 regioni italiane: Calabria, Emilia-Romagna, Friuli e Sardegna, e poi ancora il cinema con il film italiano “Un mondo a parte” uscito in questi giorni nei cinema polacchi.
Tanti ancora i testi interessanti tra cui quelli su: gli angoli italiani a Breslavia, la Commedia dell’Arte tra Italia, Polonia e Francia, l’intervista al Prof. Ceccarelli sull’antologia polacco-italiana di Szymborska, l’intervista a Vincenzo Latronico, la recensione del romanzo di Chiara Valerio, tutto questo e molto altro con naturalmente anche le consuete rubriche di cucina, motori, fumetti e salute.
Non vi resta che recuperare al più presto la vostra copia negli Empik o sul sito www.gazzettaitalia.pl.
Buona lettura e Buon Natale!
HORECA® 2025: Il Trionfo del Gusto Italiano con Fattorie del Duca a Cracovia
FOTO: MARCIN KAŹMIERUK FOTOGRAFIA
Cracovia, 7 novembre 2025 — EXPO Kraków Hall. Si è concluso uno degli eventi di settore più importanti in Europa: la Fiera Internazionale HORECA® e la 22a Fiera Internazionale del Vino ENOEXPO®.
Dal 5 al 7 novembre, tra i 232 espositori e gli oltre 10 mila visitatori, il cuore della passione e del gusto italiano ha battuto presso lo stand di Fattorie del Duca Food&Prosecco. L’azienda, che dal 2012 importa con orgoglio sul mercato polacco le migliori specialità della Penisola, ha celebrato la tredicesima edizione del suo appuntamento annuale a Cracovia. Ancora una volta, la fiera si è rivelata un grande successo e un trionfo del sapore artigianale.

Fattorie del Duca è un distributore e importatore di prodotti alimentari italiani con sede a Cracovia, attivo dal 2012 nel settore della gastronomia polacca. L’azienda è definita “artigiana del gusto” (rzemieślnicy smaku) perché contribuisce alla creazione di piatti dal vero carattere italiano, introducendo sul mercato polacco specialità selezionate come salumi, formaggi e vini.
La missione chiave di Fattorie del Duca è la collaborazione con i professionisti del settore – ristoranti, pizzerie, gastronomie e enoteche – fornendo loro prodotti provenienti da produttori italiani locali. L’obiettivo è supportare coloro che puntano sulla massima qualità e sull’autentico gusto italiano.
La tredicesima partecipazione di Fattorie del Duca alla fiera è un appuntamento fisso nel calendario, organizzato ogni anno a Cracovia. Come confermato dai rappresentanti dell’azienda, l’edizione appena conclusa ha riscosso un enorme interesse ed è stata un grande successo, portando una significativa soddisfazione ai clienti. Un’attrazione indiscussa dello stand sono stati gli show di Live Cooking, che hanno permesso di degustare i prodotti in diretta e scoprirne l’utilizzo.
Ospiti Speciali e Partner Culinari
L’evento di quest’anno, conclusosi con successo, è stato impreziosito dalla presenza di importanti ospiti e partner:
- Cristina Catese – SPECIAL GUEST. Presidente della Federazione Italiana Cuochi in Polonia (FIC Polonia), stimata chef e consulente. Quotidianamente conduce workshop, formazioni e partecipa a programmi televisivi (tra cui Pytanie na Śniadanie TVP). Autrice del libro Italia Amore Mio, è esperta e ambasciatrice dei prodotti italiani, collaborando costantemente con l’Ambasciata Italiana e l’Italian Trade Agency. La sua presenza è stata garanzia di autentica conoscenza e passione.
- Łukasz Hrabia – Maestro Pizzaiolo. Brand Ambassador e Tecnico Polselli in Polonia. Uno dei pizzaioli più titolati del Paese e istruttore presso l’Accademia Polselli. In qualità di esperto di farine Polselli (distribuite da Fattorie del Duca), Łukasz Hrabia ha dimostrato l’arte della pizza perfetta.
Inoltre, lo stand è stato animato dalla presenza di fornitori artigianali italiani di primaria importanza.I visitatori hanno avuto l’opportunità di incontrare personalmente i produttori che, giorno dopo giorno, creano l’eccellenza assoluta: da Martino di Latteria Perenzin, specialista in formaggi pluripremiati, a Dario di Valcolatte, che ha svelato i segreti della mozzarella fresca, fino ai rappresentanti dello storico marchio di salumi Cavalier Umberto Boschi, che coltiva una tradizione ultracentenaria.I sapori italiani sono stati completati da Marco di Palazzo Tronconi, che ha presentato la filosofia e i gusti unici dei vini biodinamici. Questa presenza diretta di artigiani ha sottolineato la missione di Fattorie del Duca: offrire prodotti dalla garantita e autentica provenienza locale.
Il successo di questa edizione è un grande stimolo per il futuro. Fattorie del Duca ringrazia tutti per la numerosa partecipazione e invita fin da ora a prossimi eventi e seguirli sui loro social media.

La Sinfonia dei Colori: Evento Artistico dell’Anno a Roma
Dal 7 al 19 novembre 2025, si è tenuta nel prestigioso Palazzo Valentini, sede della Citta metropolitana di Roma Capitale, la mostra “La Sinfonia dei Colori” della pittrice Halina Skroban. L’evento ha celebrato i 25 anni di attività artistica della pittrice e ha offerto un’opportunità unica per gli amanti dell’arte.
La mostra è iniziata con un vernissage in cui è stata presentata una selezione di opere che costituiscono una sintesi del percorso artistico di Halina Skroban. I visitatori hanno potuto ammirare un’ampia gamma di dipinti che esplorano lo stile e la tecnica individuali dell’artista.
“La Sinfonia dei Colori” è stato un evento da non perdere. La mostra è stata accompagnata da incontri particolarmente cari alla pittrice e Palazzo Valentini, con la sua storia e la sua architettura, è stata la sede ideale. I visitatori hanno potuto ammirare le opere d’arte in una cornice unica e suggestiva che ne ha esaltato la bellezza e la creatività.
Halina Skroban, rafforzando la sua presenza sulla scena artistica romana, ha lasciato spazio a una serie di conferenze durante la mostra. In questo contesto spicca un evento latterario unico, dedicato all’opera della poetessa Maria Pawlikowska-Jasnorzewska, una delle poetesse più delicate e allo stesso tempo più coraggiose del XX° secolo.
Il 2025, è stato proclamato dal Senato della Repubblica di Polonia l’anno della poetessa, questa designazione commemora l’ottantesimo anniversario della sua scomparsa avvenuta il 09 luglio 1945.
L’arte si è sposata perfettamente con la sensibilità lirica di Lilka. L’incontro si è svolto nell’atmosfera unica della mostra commemorativa e il patrocinio dell’evento è stato conferito dall’Accademia polacca delle scienze di Roma, presieduta da Agnieszka Stefaniak-Hryćko. Tra conversazioni vivaci e riflessive con la professoressa Tatiana Czerska e il professor Piotr Krupiński dell’Istituto di Letteratura e Nuovi Media dell’Università di Stettino, nonché con la traduttrice italiana di Pawlikowska, Sara Quondamatteo, i partecipanti alla conferenza hanno riscoperto la bellezza della sua poesia e la sua influenza sulla cultura polacca.
La conferenza è stata accompagnata dal dipinto “Non ti ho visto già da un mese”, dipinto dalla festeggiata appositamente per l’anno del poeta.
Il ciclo di conferenze si è concluso con un incontro molto interessante dedicato alla famiglia reale Sobieski, che ha avuto un impatto significativo sulla vita culturale romana.
L’artista esplora da tempo il tema della pittura sulla famiglia reale. Nel febbraio 2020 è stato realizzato un dipinto intitolato “Jan III Sobieski” della serie “Sulle orme delle capitali polacche”. Successivamente, nel 2022, sono stati realizzati il dipinto “Concerto per la regina Maria Kazimiera Sobieska” e il progetto “La regina a Roma”.
La relatrice, storico dell’arte, dott.ssa Sofia Laurenti dottoranda dell’Università di Roma “Tor Vergata”, ha immerso i partecipanti nell’epoca della regina Maria Casimira e della famiglia Sobieski.
Si è sviluppata interessante discussione con il pubblico sul tema di stato attuale di arte contemporanea in italia e nel mondo.
“Nella sua pittura, satura di colori evocativi, Halina combina abilmente “atmosfere” polacco-italiane; intreccia impressioni italiane o, usando il colore, seleziona frammenti dalla letteratura o dalla storia locale e crea narrazioni “fiabesche”” – un estratto dall’introduzione al catalogo della mostra scritto dalla professoressa Izabela Winiewicz-Cybulska della Scuola Statale Superiore di Belle Arti di Zamość. Fu sotto l’occhio vigile della professoressa Halina Skroban che mosse i suoi primi passi verso l’arte. Dopo il diploma di scuola superiore, l’artista inizia a studiare all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove, sotto l’influenza del professor Sandro Trotti, modifica radicalmente lo stile elaborato al liceo. La professoressa, storica dell’arte, è venuta appositamente a Roma dalla sua amata Zamość per partecipare all’anniversario della sua studentessa.
Nell’ambito delle celebrazioni Giorno dell’Indipendenza della Polonia, l’11 novembre è stata organizzata una cerimonia presieduta da Aleksander Nowak, presidente dell’Associazione “Polonia nel Cuore” e presidente del Club Gazeta Polska di Roma. Padre Józef Kazimierz Ślazyk, poeta e cantante, ha recitato le poesie di Giovanni Paolo II. La cerimonia è stata un’occasione per riflettere sulla storia e sulla cultura polacca, nonché per rafforzare i legami tra Polonia e Italia. La gioia di incontrarsi e celebrare l’indipendenza della Polonia è stata immensa. La musica e i canti polacchi eseguiti dal gruppo folk Czerwone Maki hanno risuonato nel cuore della Città Eterna, grazie all’ospitalità della Capitale Metropolitana di Roma e della Prefettura di Roma.
Un ringraziamento profondo va alle autorità della Città Metropolitana di Roma, che hanno espresso parole di grande apprezzamento per la qualità del lavoro svolto e per il valore culturale dell’iniziativa. La loro presenza e i loro complimenti sono stati un riconoscimento prezioso. La mostra è stata inaugurata ufficialmente dal Segretario dell’Assemblea Capitolina, Consigliere del Comune di Roma, Onorevole Fabrizio Santori.
Un ringraziamento speciale va all’On. Antonio Giammusso che ha creduto nel progetto.
Inoltre, la pittrice esprime un ringraziamento particolare all’Istruttore Amministrativo Angelo Perrotta della segretaria politica dell’onorevole Santori, per la disponibilità e il prezioso sostegno offerto alla realizzazione dell’evento.
Insieme ad Aleksander Nowak, l’evento è stato presentato da Catia Acquesta, giornalista, scrittrice, pittrice italiana e presidente dell’Associazione per la tutela delle vittime di violenza “Alleati con te”.
All’inaugurazione erano presenti Urszula Stefańska Andreini, Presidente dell’Associazione dei Polacchi in Italia.
Urszula Rzepczak, uno dei volti più noti della televisione polacca, giornalista e corrispondente televisiva di grande esperienza, che ha lavorato per molti anni in Italia e in Vaticano. La creatrice del canale YouTube Meridiana Media (Urszula Rzepczak)- patrono mediatico dell’evento.
A questo momento indimenticabile hanno partecipato la famiglia e gli amici dell’artista, oltre a momenti toccanti con i figli della festeggiata: Aurora e Leonardo Agnello.
Halina Skroban, pur lottando per l’indipendenza artistica, trova comunque il modo di sviluppare il suo talento e di rimanere fedele alla sua arte. Le visioni create dal cuore, senza timore dei canoni pittorici tradizionali, raggiungono le persone e le emozionano. Chagal ebbe visioni simili. Anche l’italiano Ligabue e il polacco Nikifor crearono a loro piacimento e divennero dei classici di valore.
C’è un grande talento in lei, supportato da grande diligenza.
L’evento si è svolto sotto il patrocinio onorario della Città metropolitana di Roma Capitale.
Altri patrocini sono; Accademia Polacca delle Scienze di Roma, Istituto Polacco di Roma, Scuola Superiore Statale di Belle Arti di Zamość, Circolo Giornalistico Polacco di Roma, Associazione “Alleati con te”, Associazione “Parasol Roztocza” di Tomaszów Lubelski -sponsor del catalogo.
Patrocinio mediatico: MeridianaMedia (Urszula Rzepczak)
Oggetti promozionali personalizzati sono stati forniti da Società The Best Promotion Srls, un’azienda con sede a Carpi, che opera a livello internazionale nel settore della promozione (PTO)
Foto: Delfino Enrico Fontana, Piotr Kolendowski, Jan Rzepka
Testo: Anna Dorota Pruchnicka
Buy Italy Tourism Roadshow 2025
Il settore turistico italiano sta crescendo con grande dinamismo e il Buy Italy Tourism Roadshow 2025 non ha fatto che confermarlo. L’evento, organizzato dalla Camera di Commercio e dell’Industria Italiana in Polonia (CCIIP) sotto il patrocinio dell’Ambasciata d’Italia, si è svolto in tre città chiave: Cracovia, Poznań e Varsavia, attirando rappresentanti del settore, tour operator e amministrazioni regionali italiane. Culmine dell’intero ciclo è stata la conferenza stampa a Varsavia durante la quale oltre 30 redazioni hanno partecipato alla presentazione di quattro regioni molto diverse tra loro: Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Calabria e Sardegna.
La conferenza, moderata da Sebastiano Giorgi, caporedattore di Gazzetta Italia, ha mostrato in tutta la sua portata quanto forte e promettente sia oggi l’Italia come destinazione sul mercato turistico polacco. Le compagnie aeree parlano apertamente di record e piani di sviluppo: LOT apre nuovi collegamenti per Roma e Bologna, Ryanair amplia l’offerta con ulteriori aeroporti italiani e l’aeroporto di Varsavia/Modlin prevede una crescita del traffico nel 2025 e nel 2026. Particolarmente significativo è il fatto che l’Italia si trova tra le destinazioni in più rapida crescita nella rete europea dei vettori, non solo in stagione, ma durante tutto l’anno.
L’Emilia-Romagna si è presentata come una regione completa – tra l’Adriatico e gli Appennini, con un’incredibile gastronomia, una ricchezza di siti UNESCO, un’eccellente offerta sportiva e uno stradordinario patrimonio di storia e produzione nel settore dei motori. È una destinazione che colpisce per la sua accessibilità: due aeroporti, treni veloci, strade moderne. Ideale per buongustai, famiglie, ciclisti, appassionati di storia e amanti dello slow travel.
Il Friuli-Venezia Giulia ha ricordato di essere la regione italiana più vicina alla Polonia e una delle più compatte. Alpi, Dolomiti, Adriatico, Trieste, i vigneti del Collio, Grado, Aquileia, Palmanova… in 90 minuti si può passare dalle montagne al mare. La regione attira famiglie, ciclisti, sciatori, amanti della cultura e della buona cucina, offrendo al contempo ottimi collegamenti con la Polonia, tra cui il più recente Cracovia–Trieste.
La Calabria ha dimostrato che il vero Sud ha oggi un enorme potere di attrazione. ’Nduja, bergamotto, scogliere selvagge, 800 chilometri di costa, parchi nazionali, Tropea, Scilla e borghi medievali creano l’immagine di una regione naturale, autentica e piena di energia mediterranea. Cresce non solo il numero dei voli, ma anche quello dei polacchi che scelgono la Calabria per soggiorni più lunghi e rilassati.
La Sardegna, invece, ha mostrato un volto nuovo: un’isola da visitare tutto l’anno, che non vuole più essere percepita solo come un paradiso estivo. Le preistoriche Domus de Janas e i nuraghi, la musica e l’artigianato radicati nella tradizione vivente, gli sport outdoor, il trekking, il canyoning, lo slow tourism, gli storici borghi e il fenomeno della Blue Zone, tutto questo dà forma ad una cultura e uno stile di vita unici in Europa.
La conclusione che emerge dalla conferenza stampa di Varsavia è inequivocabile: le quattro regioni presentate hanno dimostrato che l’Italia è oggi una destinazione che risponde perfettamente alle esigenze dei turisti contemporanei unendo accessibilità, diversità, qualità e autenticità. Il Buy Italy 2025 ha confermato che la cooperazione polacco-italiana è in espansione e che il 2026 sarà un anno in cui l’offerta italiana diventerà ancora più visibile, ispirante e destagionalizzata.
L’Italia non solo affascina, ma anche supera continuamente le aspettative. Ed è proprio per questo che resterà una delle destinazioni più importanti per i viaggiatori polacchi negli anni a venire.
EICMA, l’esposizione internazionale delle due ruote, accende Milano
Testo e foto: Alberto Mangili
Torna come ogni anno, in quel di Rho Fiera Milano, uno degli appuntamenti più importanti su scala globale dell’industria della mobilità su due ruote: l’EICMA. Giunta all’edizione numero 82, in programma tra il 4 e il 9 novembre 2025, la kermesse di punta nel campo vanta un impressionante parco di oltre 730 espositori, 2000 brand con 50 Paesi del mondo rappresentati, e un ricco palinsesto di appuntamenti tra spettacolo e incontri con leggende del motorsport. Le prime due giornate, quella di apertura cui ho partecipato ieri e quella odierna, sono riservate a stampa e operatori del settore, mentre da domani, giovedì 6, sino al gran finale di domenica 9, centinaia di migliaia di appassionati si riverseranno, tra i giganteschi padiglioni e le vaste aree esterne, per assistere a qualcosa di davvero imperdibile.
Come detto, i numeri sono realmente impressionanti, e rendono bene l’idea della quantità e qualità che si può riscontrare all’interno di un progetto che, ogni anno, cresce ed offre qualcosa di più. Cioè che rende ancor meglio l’idea, però, è perdersi metaforicamente (o anche proprio fisicamente, con ironia) tra un’infinità di componenti tecniche, accessori, abbigliamento, esemplari, marchi prestigiosi, innovativi, in ascesa, dalle motociclette che ammiriamo in televisione, ma anche alle più classiche, da collezione, passando anche per le biciclette, scooter, minicar e tanti altri mezzi. In particolare, non ho potuto fare a meno di scrutare a fondo anche, sedendomi spesse volte in sella, quad e soprattutto motoslitte, due tipi di mezzi che ho guidato (in particolare le seconde) decine e decine e decine di volte. Ciò che ha catturato di più il mio occhio però è stata una motocicletta con una lama da sega circolare in luogo della ruota posteriore, utilizzata proprio per tagliare un grosso tronco.
Normale comunque che i pezzi forti siano rappresentati, nel concreto e nell’immaginario, dalle più “consuete” motociclette. Presenti ovviamente tutti i principali marchi del settore, dalle eccellenze italiane di Moto Guzzi e Ducati, passando in terra straniera con Kawasaki e Yamaha, giusto per citarne un paio per parte tra i più noti, diciamo così. Nel primo caso ammetto un lieve pizzico di campanilismo, poiché la fabbrica storica della Moto Guzzi è situata a Mandello del Lario, a due passi dalla mia città natale, Lecco. Pur da appassionato e buon intenditore, però, la mia conoscenza del settore non è tanto altrettanto vasta come magari in altri campi, e pertanto è stato molto sorprendente osservare anche come marchi “meno noti” abbiano in realtà delle frecce veramente potenti nei propri archi, e spesse volte, molto variegate e diversificate. Qual posto migliore di questo, dunque, per osservare, ascoltare, e toccare con mano tante novità.
Per finire, sia l’articolo sia la mia ricchissima giornata (siamo infatti ormai alle 18.30 nel mio racconto, poco dopo aver potuto ascoltare e salutare il forte pilota di Moto GP Johann Zarco) una chiusura su quella che, scusate il gioco di parole, è stata una storica apertura, ossia l’inaugurazione della mostra “Desert Queens”, dedicata al mito della celeberrima Dakar, a detta di molti la gara più dura al mondo. In una tendostruttura trasparente, volta a rievocare appositamente un tipico bivacco dakariano, ben 31 motociclette originali, che hanno segnato diverse ere della competizione, sono il pezzo forte, fortissimo, di una mostra mai vista prima in Italia. Eccezionale anche la sabbia di contorno e l’imponente schermo centrale, per proiettare immagini e video di una gara plasmata nel deserto e scolpita nella leggenda. Una testimonianza unica per poter ammirare da vicino un pezzo di storia dello sport in senso lato, che spinge EICMA anche oltre l’aspetto puramente espositivo, centrando in pieno l’ingresso in un piano anche più immersivo ed esperienziale.
Paolino Spada – l’anima di Lipari tra passione e argilla
foto: Miriam Ziina
Lipari, la perla dell’arcipelago eoliano, è un’isola dove il tempo scorre lento e la vita, libera dal trambusto delle metropoli, celebra la semplicità e l’autenticità. Tra i suoi incanti, tra le stradine strette e l’azzurro del Mar Tirreno, incontriamo Paolino Spada, uno scultore la cui storia è l’essenza del dolce far niente siciliano. Non si tratta di pigrizia, ma dell’abilità di trarre gioia da ogni giorno e di lasciare un’impronta duratura di passione.
L’eredità della famiglia Spada e il contesto storico di Lipari
La storia di Paolino inizia con suo padre, Giuseppe Spada, un eminente scultore di San Pietro Patti. Il suo viaggio a Lipari non fu casuale. Dopo la Prima Guerra Mondiale, dalla quale tornò con una ferita all’occhio e sofferente per il freddo, il medico gli consigliò di trasferirsi in un luogo più caldo. L’isola di Lipari, con una storia che affonda le radici nella preistoria, si rivelò il luogo ideale per l’artista. Dagli antichi insediamenti di ossidiana alle tracce dell’antico commercio di pomice, pulsava di vita e cultura, costituendo un crogiolo di influenze greche, romane e bizantine.
Giuseppe Spada era un artista così apprezzato che gli americani lo invitarono a collaborare alle decorazioni scenografiche per alcuni film. Ebbe anche l’onore di creare frammenti del monumentale Altare della Patria a Roma, conosciuto anche come Vittoriano. Nonostante incarichi così prestigiosi, Giuseppe rimase un umile artigiano, creando anche monumenti in onore dei soldati caduti ad Acquacalda. Nel cimitero di Lipari si trova ancora oggi un toccante monumento funebre dedicato a sua madre – “un angelo che la consola in agonia per portarla in cielo” – realizzato in cemento per la mancanza di marmo. Nel laboratorio di casa modellava Madonne e statue. Per la chiesa di Marina Corta (San Giuseppe) e di Canneto creò la grotta della Madonna di Fatima. Aiutò nella modifica dell’altare della Basilica di San Pietro e realizzò una scultura della Madonna con bambino, che donò alla chiesa senza compenso. Tra le sue opere figura anche la scultura di due metri di San Giovanni per la cappella di Salina. Giuseppe realizzava anche ritratti di personalità importanti e dipingeva maschere di Carnevale. La madre di Paolino, una rinomata sarta di abiti da sposa, altrettanto talentuosa, completava il panorama artistico della famiglia Spada.
Paolino e suo fratello Giovanni, musicisti e scultori, crebbero in una casa intrisa d’arte. La loro infanzia si svolse nella “bottega di Giuseppe Spada“, l’officina del padre, dove fin dalla più tenera età, sotto l’occhio attento di Giuseppe, impararono l’arte della scultura e della modellazione. Fu lì, tra l’argilla e il marmo, che si formarono le loro mani abili e le loro anime sensibili. I loro primi lavori, come “pesciolini, animaletti, e poi angioletti”, furono le fondamenta del loro percorso artistico. La passione per la creazione, tramandata di generazione in generazione, divenne per loro un modo di vivere naturale.
Maschere antiche e creazione contemporanea
Il Museo Archeologico Regionale Luigi Bernabò Brea di Lipari è un tesoro di storia, con manufatti in ossidiana e tracce dell’antico commercio di pomice, che raccontano il ricco passato dell’isola. I fratelli Spada furono particolarmente affascinati dalla collezione di antiche maschere teatrali del periodo ellenistico (III-I secolo a.C.).
Le maschere teatrali nell’antica Grecia e a Roma erano un elemento inseparabile degli spettacoli. Servivano non solo a cambiare identità, ma anche ad amplificare la voce dell’attore, rendendola udibile a migliaia di spettatori. Esprimevano emozioni, età e status del personaggio, il che era cruciale nei grandi anfiteatri. Scoperte sull’isola, testimoniano la ricca cultura teatrale di Lipari.
Paolino e Giovanni decisero di infondere nuova vita a queste forme antiche. Ogni domenica, con il padre, si recavano al museo per studiare e schizzare gli originali. Con precisione ricreavano fedeli repliche tridimensionali a grandezza naturale delle antiche maschere e bassorilievi, riproducendo esattamente gli originali in terracotta. Il loro laboratorio divenne un luogo dove la storia incontrava l’artigianato contemporaneo, e ogni maschera raccontava una nuova, affascinante storia. Realizzarono anche maschere su commissione teatrale per una compagnia di Roma che metteva in scena a Lipari l’opera “La Donna di Samo“.
La versatilità dei fratelli Spada si manifestava anche nella musica. Paolino ricorda con nostalgia come il padre, un talentuoso liutaio, costruiva loro le chitarre. Entrambi i fratelli suonavano la chitarra, e Paolino anche il basso. Suonavano in un gruppo per feste e in locali notturni a Lipari e Vulcano. Giovanni era considerato uno dei migliori chitarristi della Sicilia. I fratelli realizzarono insieme una grande scultura di Prometeo (circa 1,20 m) e aiutarono nella realizzazione della scultura di San Giovanni, alta due metri, per la cappella di Salina. E Paolino e Giovanni dipingevano anche. Giovanni realizzò ritratti di sua madre e suo padre, e Paolino un grande quadro sacro.
Filosofia di vita a Lipari: semplicità e passione
La vita di Paolino Spada è l’essenza della semplicità siciliana. A Lipari non troveremo auto di lusso o il trambusto delle grandi città. Le mattine iniziano con una classica colazione: fresca granita alla pesca con un tocco di Malvasia, un vino locale che esprime perfettamente il sole e il calore dell’isola. È in questi semplici rituali, nel lavoro quotidiano e nella vicinanza alla natura, che Paolino trova la vera bellezza. La sua filosofia di vita si iscrive nell’idea che “la perfezione risiede nell’imperfezione”. Questo approccio gli permette di apprezzare l’autenticità, rispettare il corso naturale delle cose e creare opere che – pur riproducendo forme antiche – possiedono una propria anima e un carattere unico. Dopo la morte del fratello Giovanni, Paolino continua da solo la tradizione, prendendosi cura del laboratorio e creando nuove opere.
Paolino Spada non è solo un artista, è un simbolo vivente di Lipari, un uomo profondamente rispettato sull’isola. La sua storia mostra che la vera ricchezza non si nasconde nei beni materiali, ma nella passione, nel talento versatile e nella volontà di lasciare dietro di sé una bellezza che sopravviverà alle generazioni. Paolino non ha dimenticato la sua passione musicale. Attualmente sta lavorando a un brano che spera di presentare al famoso festival di Sanremo, e nel suo laboratorio, intriso del profumo di argilla e di storia, si può sentire il battito del polso dell’isola, dove l’arte e la vita si intrecciano in un ritmo armonioso.

Sandrone Dazieri – Alla ricerca dell’origine del male
Con Sandrone Dazieri ci incontriamo lo scorso maggio in una stanzetta dell’ufficio stampa della Fiera Internazionale del Libro di Varsavia. Le pareti di carta ci separano dalla folla di appassionati lettori affamati di incontri con gli autori preferiti e alla ricerca di nuovi e interessanti libri. Fuori si sente un ronzio continuo ma riusciamo a parlare di varie sfumature della scrittura, dei segreti per costruire un buon personaggio e dell’origine del male. Il suo libro “Il male che gli uomini fanno” (il quarto in traduzione polacca dopo “Il re di denari”, “L’Angelo” e “Uccidi il padre”) è stato pubblicato quest’anno da Sonia Draga.
Per anni hai fatto il giornalista, lo sceneggiatore, il pubblicista e ti sei occupato di politica. Perché sei passato alla scrittura?
Quando ero ragazzo uno dei miei desideri era fare il giornalista ma mi sono reso conto che gli argomenti che interessavano a me, molto spesso non interessavano ai giornali con cui collaboravo. Mentre a me interessava andare a scavare quello che era l’underground di Milano di quel periodo perché venivo da quel mondo e volevo farne un po’ da portavoce. Ovviamente questo non è stato possibile e allora mi sono detto che per raccontare delle storie dal mio punto di vista le devo inventare. Quindi usare la fiction come modo per creare una storia universale che raccontasse quello che mi interessava. Ho cominciato con un personaggio che era un po’ il mio alter ego in quel mondo e gli ho dato voce in cinque romanzi.
“Il male che gli uomini fanno” è molto cinematografico, ha un bel ritmo, come lo ottieni?
Il lavoro che ho sempre fatto va un po’ contro lo stile del giallo contemporaneo italiano, perché tolgo tutto quello che non serve a creare tensione o a creare una storia vera e propria. Una storia laterale può esserci ma in connessione alla storia gialla. Devo dire che la sceneggiatura un po’ mi aiuta, perché con la sceneggiatura tu in 90 pagine devi raccontare ad esempio la vita di una persona che ha vissuto 100 anni. Il bello del cinema è che attraverso le immagini hai la capacità di stringere e in un’ora, diciamo in 100 minuti, raccontare tutto quello che vuoi. Questo cerco di farlo anche attraverso i libri. Dove è possibile togliere, tolgo. Il mio tentativo è sempre quello di far entrare le persone nella storia. Poi “Nel male che gli uomini fanno” era ancora più particolare, perché da un lato c’era ancora la mia ricerca dell’origine del male. E per farlo vedere ho pensato che dovevo costruire due storie parallele una nel passato, una nel presente, che raccontassero in modo differente la stessa caccia all’assassino nell’arco di trent’anni, senza sovrapporsi. Devo dire che è stato un lavoro complesso.

Questa storia ha anche una tripartizione di generi, perché c’è il noir del passato, il thriller del presente e anche un po’ di horror.
C’è l’horror con Amala, che è l’unica vera eroina del libro. Una ragazzina che viene rapita e torturata. Ed è l’unica veramente innocente, che ha il coraggio di lottare non solo per la propria vita, ma anche contro questo male. Non si lascia andare, cerca un modo per scappare, reagire e comunicare con qualcuno che pensa sia un altro prigioniero. Mentre tutti gli altri non sono degli eroi, quasi tutti sono delle persone che sbagliano. Nel passato abbiamo la poliziotta Itala che pensa alla fine di aver risolto il problema, ma in realtà l’ha solo spostato in avanti. Così come Gerry che pensa di risolvere le cose ammazzando la gente, ma anche questo non funziona. E comunque sì, l’idea era proprio questa, che fosse un noir con dentro un thriller, oppure un thriller con dentro un noir con dentro un horror, perché sono tutti i generi che mi piacciono.
I personaggi che costruisci per le tue storie sono sempre molto forti e carismatici. Come sono nati i personaggi di questo libro?
Io ho un processo simile per tutti i personaggi importanti, ovvero uso il metodo Stanislavskij secondo cui l’attore per provare le emozioni autentiche deve pensare a una cosa che lo riporta a sentire davvero la rabbia, tristezza ecc. Io faccio lo stesso: quei personaggi devono essere me se io fossi loro, o meglio, se io fossi nato donna, se avessi vissuto quello che ha vissuto Itala, come sarei? Come reagirei al mondo? Se io fossi un assassino malato, che ha subito queste cose, come mi agirei nel mondo? Cosa penserei? In qualche modo i personaggi principali sono sempre le mie proiezioni come se fossero delle parti di me a cui do un’identità. E ogni volta mi faccio questa domanda: cosa sarebbe successo se io fossi nato in quel modo?

Mi chiedo però se nel mondo dove il male è onnipresente e non ci fa più impressione quasi fossimo anestetizzati al male, esiste ancora la necessità di raccontare storie del genere?
Allora, io cerco di raccontare le cose per far vedere quello che c’è dietro la superficie. Se io ti racconto l’omicidio, ti racconto una storia di questo omicidio, ti racconto una storia dell’assassino, della vittima, le ragioni, quello che è accaduto, l’ambiente, cos’è che porta a questo. E questo è un livello di approfondimento che si va a perdere. Adesso tutto passa ai talk show e diventa molto superficiale. Non si va a fondo nelle cose. Si dovrebbe veramente indagare su quello che accade, anche perché si scoprirebbe che il 90% di quello che succede dipende dalle condizioni di vita delle persone: la povertà, anche quella intellettuale e culturale. La gente vive male, soffre, non ha soldi, ha paura per il futuro, i giovani non hanno lavoro. E quindi tu devi raccontare che ci sono sempre delle cause sociali e politiche alle cose che accadono. E questa è una cosa che spesso non si vuole sentire. Si preferisce dire: quello che ha ucciso è un mostro. E quindi io cerco di interrogarmi, non credo nei mostri, credo nelle persone che stanno male. Poi sono dell’idea che la maggior parte delle persone sia brava solo che vivono in un mondo dove essere delle brave persone è considerato una diffusa sciocchezza. Credo anche che la maggior parte delle persone messe di fronte a una verità, a una spiegazione o a un racconto, la possono capire, commuoversi e arrabbiarsi. È importante permettergli di ricevere questo tipo di informazioni e di racconto che non c’è nella TV o sui giornali. E quindi, io scrivo dei libri e spero sempre che qualcosa rimanga. Diciamo che voglio che tu ti diverta ma quando chiudi il libro ti rimanga anche qualche cosa. Questo è il mio tentativo.
Domenico Merlini e la Varsavia italiana
Testo e foto: Dominika Rafalska
Traduzione it: Anna Lisicka
Domenico Merlini era uno di quei dotati artisti italiani che vennero nella Repubblica Polacca nel Settecento per lasciare il proprio nome nella storia per sempre. Non aveva una formazione accademica, eppure è considerato uno dei più eccellenti architetti dell’epoca, uno dei creatori più importanti e il principale promotore dello stile chiamato “stanislaoviano” (dal nome di Stanislao Augusto Poniatowski). Della vita, della produzione artistica e delle tracce italiane di Domenico Merlini a Varsavia ne parla Jerzy S. Majewski, varsavianista, storico dell’arte e pubblicista.
Domenico Merlini ha legato tutta la sua vita a Varsavia. Arrivò in Polonia verso il 1750, a soli vent’anni. Come arrivò qui?
È importante notare che non arrivò nel nulla. Da decenni affluiva qui una schiera di celebri architetti italiani. La Varsavia dell’età moderna era una città molto italiana. Nel XVII secolo, con l’arrivo del re a Varsavia, i magnati cominciarono a costruire le loro residenze, mentre intorno alla città sorse una corona di cittadine private, le cosiddette “giurisdizioni” (jurydyki). Furono proprio i grandi magnati a richiamare architetti in Polonia, per lo più dall’Italia. Almeno dal terzo quarto del XVII secolo arrivavano qui italiani provenienti dal lago di Lugano. Fu proprio lì, nel piccolo paese di Castello di Valsolda, dove nacque Domenico Merlini. Prima di lui, dalla stessa regione arrivarono in Polonia, tra gli altri: Isidoro Affaitati, almeno tre membri della famiglia Ceroni, Giuseppe Simone Bellotti, ecc.. Tutti nomi celebri, legati all’architettura di Varsavia. Quest’ultimo costruì, tra l’altro, i muri della chiesa di Santa Croce in Krakowskie Przedmieście (1679–1696). Anche i Fontana erano cugini di Domenico Merlini…
Artisti che raggiungevano la Polonia per lavorare?
Sì. Durante la grande guerra del Nord (1700-1721), Varsavia fu devastata. Sotto Augusto II, tuttavia, l’ambiente degli architetti cominciò a ricostruirsi, concentrandosi intorno all’Ufficio delle Costruzioni Sassone (Bauamt), organizzato sul modello di un’unità militare! Erano architetti illustri. La Repubblica Polacca offriva loro grandi opportunità: era un paese di dimensioni enormi, si stava risollevando, e dal punto di vista economico, era molto forte.
Quando Domenico Merlini arrivò in Polonia eravamo nel periodo del regno di Augusto III. L’epoca sassone è passata alla storia come un periodo molto cupo, ma in realtà fu per Varsavia un’epoca di prosperità economica e di boom edilizio! Durante la guerra dei sette anni (1756-1763), la corte reale si trasferì nella capitale e quella che allora era una città provinciale (con appena 30.000 abitanti) iniziò a svilupparsi rapidamente. L’attività edilizia fu intensa.
Merlini non aveva una formazione accademica. Apprese il mestiere proprio sotto la guida di suo zio Jakub Fontana…
Jakub era architetto reale. Era nato a Varsavia, ma suo padre – Giuseppe – arrivò in Polonia dalla Valsolda, verso la fine del XVII secolo. Jakub era molto più anziano di Domenico, ma aveva anche un fratello – Jan Kanty – che era coetaneo di Merlini. Jan Kanty era il burgravio del Castello Reale e progettava molto per la corte reale e per i magnati. Accolse sotto la sua protezione il giovane Domenico.
Quale fu la prima realizzazione di Merlini a Varsavia?
Fu la navata e la facciata della chiesa dei Camaldolesi nel quartiere di Bielany, un’architettura straordinaria. Ha una struttura architettonica completamente diversa, con una navata su pianta quasi ellittica. Vale la pena menzionare anche il Palazzo Jabłonowski (1760). Sono ancora visibili le influenze del tardo barocco e rococò. Lo stile di Merlini evolse in seguito dal barocco allo stile di Stanislao Augusto, quando l’artista iniziò a introdurre nella sua opera elementi neoclassici. Questi edifici sono caratterizzati da eleganza, semplicità e una certa sobrietà. Seppur Merlini introdusse il classicismo nell’architettura di Varsavia, certamente non fu il “fondatore del classicismo”. Un edificio neoclassico fortemente legato al minimalismo, progettato da lui, furono le scuderie reali, quasi prive di decorazioni. Vale la pena menzionare anche i Łazienki…
Si può considerare questo progetto “rivoluzionario” nella sua opera?
No, anche se introdusse forme che erano il risultato degli interessi artistici del re e dell’ambiente che lo circondava. Quando si osserva la facciata meridionale del Palazzo sull’Isola, si nota un’eleganza straordinaria. Questa prima ventata di classicismo ha sicuramente in sé una scintilla d’influenza francese, mentre la seconda – le sue realizzazioni successive – si rifà più spesso a forme italiane, come quelle di Andrea Palladio di Vicenza, che fu un maestro per gli architetti dell’epoca, anche se fu lui stesso un esponente del cosiddetto manierismo…
I Łazienki non furono una rivoluzione ma ciò non cambia il fatto che si tratti di un’architettura magnifica, frutto del talento di Merlini, del gusto del re e dell’influenza del suo entourage. Vale la pena menzionare anche il complesso del parco stesso, frutto del lavoro di Johann Christian Schuch…
Si costruivano già allora i parchi simili in Europa?
Assolutamente sì. Nel solo Giardino Sassone esistevano un teatro, un grande padiglione, la Porta di Ferro… Nel caso del Łazienki possiamo parlare di una grande varietà di forme architettoniche presenti nel complesso. L’anfiteatro si ispirava al teatro antico, mentre la Casa Bianca ricordava un Lusthaus… Il Palazzo di Myślewice, progettato da Merlini, invece, è ancora “molto sassone”. Ha una caratteristica “facciata spezzata” e potrebbe tranquillamente trovarsi a Dresda, tra le residenze degli Augusti.
Quali altri suoi progetti meritano di essere ricordati?
Sicuramente il rifacimento degli interni del Castello Reale. Su scala dell’architettura polacca dell’epoca, si nota in quel progetto un grande slancio, splendide proporzioni, attenzione al dettaglio… Gli interni, nello spirito del classicismo francese, sono belli, raffinati… È qualcosa di completamente diverso rispetto all’arte rococò. Per quei tempi, era qualcosa di molto moderno. Un progetto oggi un po’ dimenticato è anche quello relativo alla ristrutturazione del Castello di Ujazdów. In origine, doveva diventare la residenza di Stanislao Augusto Poniatowski. Di quell’epoca si è conservato un interessante progetto per una sala del trono destinata alla regina! Purtroppo, come è noto, Stanislao Augusto non si sposò mai…
In quell’epoca nacque anche un grande progetto urbanistico, il cosiddetto “aquilone”, un imponente asse urbano sul lato occidentale, in corrispondenza dell’odierna via Nowowiejska.
Dopo la morte di Fontana (1773), Merlini divenne Architetto del Re e della Repubblica Polacca. In cosa consisteva il suo lavoro?
Il suo compito era quello di mantenere, conservare e modernizzare gli edifici di carattere statale… Ad esempio, ricostruì il Palazzo della Repubblica a Varsavia dopo un incendio. In questo progetto rispettò la disposizione originale dell’epoca di Tylman van Gameren, ma creò comunque qualcosa di proprio. Lo stesso accadde con la ristrutturazione del Palazzo Brühl, progettato dagli architetti del Bauamt. Merlini trasformò questa straordinaria residenza in ambasciata russa. Dopo la sua ristrutturazione, gli interni del palazzo persero il loro stile tardo barocco sassone e divennero più sobri, in stile neoclassico. Costruì anche la Porta del Castello a Lublino e ristrutturò il tribunale locale.


Nell’opera di Merlini si nota un’ispirazione italiana? E da dove proviene questa ispirazione, se non sappiamo nemmeno se l’architetto sia mai tornato, anche solo per un attimo, in Italia?
In realtà non lo sappiamo, non ci sono documenti al riguardo. Rimase a Varsavia fino alla fine della sua vita: qui morì e fu sepolto a Powązki… Ma ricordiamo che anche Stanislao Augusto era affascinato dall’Italia, pur non essendoci mai stato. I riferimenti di Merlini all’architettura italiana non derivano tanto dalla nostalgia per l’Italia, quanto da una certa moda del tempo e dal suo radicamento qui, in Polonia. Gli italiani operavano a Varsavia da generazioni. L’architettura italiana, il modo di pensare, le idee, le influenze, l’estetica… tutto questo “circolava” qui e arrivava anche al cuore di Merlini. All’epoca esistevano anche dei repertori di modelli a cui gli architetti facevano riferimento. L’ispirazione italiana è evidente, ad esempio, nella chiesa dei Basiliani in via Miodowa, che all’esterno appare come un palazzo. Completamente italiana è anche la Królikarnia… Si nota chiaramente l’ispirazione a Vicenza, alla Villa Rotonda di Palladio. Il palazzo sorge su una scarpata e al centro presenta una rotonda… Si possono davvero osservare molte somiglianze. Nel parco troviamo anche una cucina da giardino, la cui struttura richiama il sepolcro di Cecilia Metella sulla via Appia, vicino a Roma. Merlini poteva conoscerlo di persona? Non lo sappiamo, ma ricordiamo che i progetti di Palladio erano ampiamente diffusi: lui stesso scrisse un trattato, e i suoi disegni venivano copiati e circolavano in tutta Europa.
Secondo Lei, Merlini fu un visionario o semplicemente un esecutore abile delle idee di Stanislao Augusto Poniatowski?
Penso che, paradossalmente, l’eccezionalità di Merlini risieda proprio nella sua perfetta sintonia con il re, nella capacità di creare un linguaggio architettonico unico negli interni del castello e nelle costruzioni dei Łazienki… Non sono sicuro che tutte le sue opere non direttamente legate a Stanislao Augusto siano altrettanto eleganti… Il suo stile palladiano più tardo era più cosmopolita. Ciò che Merlini ha creato di più bello è stato il risultato dell’incontro tra due personalità, la sua e quella di Stanislao Augusto Poniatowski.























































