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Tour de Pologne, due italiani a podio con Re McNulty, altri 3 in top 10, la festa di Majka: il successo e le emozioni di una grande corsa

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Il podio finale del TdP 2025: 1 McNulty (USA), 2 Tiberi (Italia), 3 Sobrero (Italia)

Testo e foto: Alberto Mangili

 

Sembra passato davvero pochissimo dalla grande presentazione di Wrocław di domenica 3 agosto, o dalle primissime tappe di inizio settimana, ed invece l’edizione numero 82 del Tour de Pologne, prestigiosa competizione ciclistica del circuito UCI World Tour, è già un ricordo. Con la settima tappa di ieri, domenica 10 agosto, alle celebri Kopalnia Soli di Wieliczka, si è dunque chiusa una 7 giorni di grande sport, passione e partecipazione. A consegnare il proprio nome alla storia è stato l’americano della UAE Emirates Brandon McNulty, autentico specialista a cronometro (ex campione del mondo a livello giovanile nel 2016), conquistando tappa e classifica generale.

Facciamo un rapido passo indietro, per giusti doveri di cronaca, andando per un attimo prima a raccontare le tappe del venerdì e del sabato, il preludio all’atto finale. Nella quinta tappa del venerdì, la più lunga dell’intero programma con oltre 206 km, il tragitto prevedeva partenza da Katowice ed arrivo a Zakopane, un comunque difficile antipasto della tappa regina sui Tatra dell’indomani. Svanito il tentativo di fuga nel finale tra Jan Christen (UAE Emirates) e l’italiano Alberto Bettiol (Astana), una volta ricompattatosi il gruppo a spuntarla è stato il britannico della Visma – Lease a Bike Matthew Brennan, con uno scatto devastante per potenza e lunghezza: partito da lontanissimo, si è lasciato tutti alle spalle, in primis il connazionale della Ineos Ben Turner, secondo anche il giorno precedente ma trionfatore in quello prima ancora.

Sabato 9 agosto scocca dunque l’ora della pura montagna, una tappa pronta a riservare difficoltà a tutti, nessuno escluso. Nemmeno a me, pur non dovendo correrla, ma anche solo raggiungere Bukowina Tatrzańska quella mattina, con la chiusura delle strade, sembrava davvero arduo. Dopo aver preso un altro mezzo di fortuna per un tratto, ma in seguito quasi rassegnato a dover raggiungere l’Hotel Bukovina, teatro della partenza, a piedi per un ultimo bel pezzo (1 ora e mezza!), riesco con il mio pur non super fluente polacco, ma onesto, a chiedere a un poliziotto se ci fosse un mezzo dell’organizzazione, uno sponsor, ambulanza, o perfino la polizia stessa, che salisse sull’ultimo lungo pezzo di strada chiuso verso la partenza. Ed ecco che per caso, pochi momenti dopo, passa una ragazza, proprio di uno sponsor, che mi porta dunque in cima e mi regala anche l’ulteriore esperienza di attraversare il traguardo della tappa in macchina.

Grazie a lei, e al poliziotto, non mi perdo dunque l’ultima cerimonia delle firme, visto che la prassi per la cronometro dell’indomani segue un protocollo differente. Come tutti gli altri giorni, vedere da così vicino i corridori, le bici, e quant’altro, è un’emozione incredibile e un grande privilegio. Bisogna mantenere tuttavia una professionalità. Un saluto o persino una chiacchiera con gli atleti è sacrosanta per carità, pur rispettando la concentrazione e tutto quanto concerne le fasi antecedenti a una gara. Per la sola e unica volta in tutta la settimana, però, mi sono concesso (o meglio, fatto concedere) un selfie con un corridore. Chi? Lo scopriamo alla fine dell’articolo.

 

Ora invece andiamo subito alla fine della sesta tappa, come detto montuosa, la più difficile, e la selezione è inevitabile. La maglia gialla Lapeira (buon corridore, ma certo non al livello dei top, con tutto il rispetto del mondo) crolla, ed il successo finale sembra cosa ormai fatta per Brandon McNulty (UAE Emirates), forte di un largo vantaggio, ma accade l’impensabile, con una rimonta senza senso del monegasco Victor Langellotti (Ineos Grenadiers), che divora l’americano nel finale e si prende tappa e maglia gialla di leader. Nelle centinaia e centinaia e centinaia di gare che ho visto, fatico a rammentare un arrivo del genere: vedere per credere. Meriti dell’uno, demeriti dell’altro, la sostanza non cambia. Langellotti ride, nelle vesti tradizionali locali, McNulty è imbronciato. Ma ci sono solo 7 secondi a dividerli in classifica, e al terzo posto momentaneamente c’è l’italiano Antonio Tiberi (Bahrain Victorious) a +20: con questa situazione l’atleta UAE gode senza ombra di dubbio dei favori del pronostico dell’indomani.

 

Domenica 10 agosto: il gran finale. Wieliczka, cronometro, con tutti i corridori rimasti (116 da distinta ufficiale) a giocarsi al proprio meglio i 12,5 km del tracciato attorno alle Miniere di sale. Alle ore 14.11 apre le danze la leggenda colombiana della Movistar Fernando Gaviria, ultimo in quel momento nella generale, e via secondo classifica tutti gli altri, con un corridore al minuto. Per gli ultimi 10 a partire, ossia i migliori 10 nella graduatoria generale, lo stacco l’uno dall’altro è di due minuti. L’ultimo ad affrontare il percorso è pertanto Langellotti, prima di lui McNulty, prima ancora Tiberi e così via. Sestultimo blocco di partenza per Rafał Majka (UAE Emirates), alla sua ultima pedalata al Tour de Pologne. Dati alla mano, a registrare il miglior tempo è dunque l’americano Brandon McNulty, e con il ritardo di Langellotti che ben supera i secondi di vantaggio di cui godeva in classifica generale, il corridore a stelle e strisce è ufficialmente il vincitore della settima tappa e del Tour de Pologne 2025, edizione numero 82. Menzione d’onore gigantesca per Lorenzo Milesi della Movistar, protagonista anche nella seconda e terza tappa, con il miglior tempo che è durato quasi fino alla fine: d’altronde parliamo di un italiano che è stato campione del mondo U23 a Glasgow nel 2023 a cronometro. Terzo tempo per un altro italiano, Matteo Sobrero della Red Bull – Bora – Hansgrohe.

 

Tempo di premiazioni e della grande cerimonia finale. Detto del podio della tappa del giorno, il podio della classifica generale vede un’unica variazione, con uno switch tutto italiano tra Milesi e Tiberi (quarto nella cronometro). Nella top 10 generale figurano altri tre italiani: sesto Alberto Bettiol (Astana), settimo Marco Frigo (Israel – Premier Tech) e decimo Filippo Zana (Jayco AlUla). Per quanto concerne le altre classifiche, la maglia di combattivo va al polacco Patryk Stosz (Team Polonia), quella di miglior scalatore al belga Timo Kielich (Alpecin Deuceninck) e quella a punti al britannico Ben Turner (Ineos Grenadiers).  Piccola parentesi: non so quanto champagne sotto al palco ho assorbito (o meglio, i miei vestiti e il mio zaino, finito anche lui dritto in lavatrice) per i festeggiamenti dei vincitori ad ogni tappa, ma da quest’ultimo, Ben Turner, ho ricevuto addirittura anche il tappo. Con una traiettoria balistica che ancor non mi spiego, ma si vede bene nei video a proposito, è riuscito infatti a centrare con la stappata il tettuccio del palco, ed ecco che il tappo è rimbalzato nei miei pressi e, in due tempi, l’ho preso.

 

Altri tre riconoscimenti poi in casa UAE Team Emirates XRG, con il premio di miglior squadra, quello di miglior giovane allo svizzero Jan Christen e al miglior corridore piazzato polacco Rafał Majka, protagonista assoluto di un tributo, con tante interazioni, con un video mostrato sul maxischermo, e con lui la famiglia e un pubblico di appassionati che lo ha sempre seguito, amato e ringraziato con un calore ancora superiore a quello del sole cocente della domenica “Wieliczkiana”. A proposito di UAE, un pensiero speciale a Filippo Baroncini, promettentissimo talento italiano coinvolto nella grande caduta della terza tappa a Wałbrzych. Pesante il bollettino medico, con diversi brutti infortuni che lo terranno per un po’ fuori dai giochi, ma siamo sicuri lo rivedremo più forte di prima. Forza Fili!

Conclusioni. Sono molto contento di aver vissuto questa esperienza, ma non voglio dilungarmi oltre con altre parole o sensazioni esclusivamente personali. Manca però un’ultima cosa da raccontare, che ho accennato, ossia quel selfie. Mi ero detto che, pur avendo la possibilità di vedere da pochissimi centimetri i corridori, addirittura toccarli con una stretta di mano o un saluto, fotografarli e “studiarli”, avrei voluto una sola e unica foto con uno di loro, con il vincitore del Tour. Farlo a giochi fatti, però, non lo so, forse avrebbe avuto un sapore meno particolare. Perciò ho “scommesso” la mattina del penultimo giorno, prima del tappone di montagna. Ok, non era un pronostico impossibile, lo avevo anche messo tra i favoriti nel primo articolo, però è un ulteriore aspetto simpatico che mi strappa un sorriso nel ripensare a questa fantastica esperienza. Per strappare un sorriso (mezzo?) a McNulty, invece, ragazzo sempre pacatissimo nei modi e professionista serio, è servita nientemeno che la vittoria di un meraviglioso Tour de Pologne 2025. Ultima nota, lo spettacolo del ciclismo sulle strade polacche non termina qui, poiché tra il 12 e il 14 agosto sarà la volta del Tour de Pologne Women.

Sulle mostre di pittura di Marta Czok in Polonia. In Memoriam

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Testo: Henryka Milczanowska

Traduzione in italiano e foto: Wojciech Wróbel

 

In Memoriam è il titolo della mostra di pittura presentata alla Galleria dell’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia, dedicata alla pittrice italo-britannica di origini polacche Marta Czok, scomparsa nel febbraio di quest’anno. La mostra è un omaggio postumo all’artista e una retrospettiva completa della sua opera. I curatori della mostra sono Henryka Milczanowska e Jacek Ludwik Scarso, mentre gli organizzatori sono la Fondazione dell’arte polacca e migrante, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia e la Fondazione Marta Czok di Roma. L’evento ha avuto ampia risonanza nei media polacchi e italiani, che hanno sottolineato la forza espressiva e il coraggio dei temi affrontati nelle opere presentate.

La prima mostra dell’artista si è tenuta nel 2017, su invito dell’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia, anche in collaborazione con la Fondazione dell’arte polacca e migrante. Nell’aprile 2020, al Museo della Caricatura di Varsavia è stata inaugurata la seconda mostra dell’artista dal titolo “E questo lo chiami arte?”. In quell’occasione sono stati presentati 30 dipinti, mentre la terza mostra si è tenuta nel luglio dello stesso anno al Centro Incontro delle Culture di Lublino. Le successive mostre sono state presentate nel 2022 e nel 2023, rispettivamente nelle gallerie di Breslavia, Łódź e Konstancin-Jeziorna, vicino a Varsavia. Va sottolineato che si è trattato di presentazioni particolarmente importanti, sia dal punto di vista artistico, sia per il tema personale e i legami familiari dell’artista. Considerando il momento e il luogo della sua nascita – nel 1947 a Beirut, in Libano, e il percorso bellico del II Corpo dell’Esercito Polacco, in cui prestavano servizio i suoi genitori Jadwiga e Józef Czok – ci troviamo di fronte a una situazione insolita: Marta Czok non ha conosciuto la Polonia. Nella sua memoria, l’infanzia è stata caratterizzata da continui spostamenti, dall’emigrazione della famiglia dal Libano attraverso l’Italia fino alla Gran Bretagna, dove ha trascorso i suoi primi anni di vita nella periferia di Londra, vivendo la difficile situazione economica di una famiglia di emigranti. È cresciuta in un ambiente di cultura, lingua e letteratura polacche. Le immagini dell’infanzia sono rimaste profondamente impresse nella memoria della futura pittrice e, dopo anni, sono tornate più volte nelle sue opere. Ha studiato alla prestigiosa St. Martin’s School of Art di Londra, dove ha ottenuto il successo con le sue prime mostre, tra cui quella alla Royal Academy di Londra. Ulteriori successi espositivi sono arrivati in Italia, dove si è trasferita con il marito a metà degli anni ’70. Le mostre in musei e gallerie di tutto il mondo, accompagnate da numerose pubblicazioni di cataloghi e album, contenevano informazioni biografiche in cui sottolineava con forza la sua origine polacca.

Nella foto, da sinistra: Direttore dell’IIC di Cracovia Matteo Ogliari, Henryka Milczanowska, Jacek Ludwik Scarso

La pittura di Marta Czok può essere suddivisa in due aree tematiche, che ci aiutano a orientarci nelle sue rappresentazioni multiforme. La prima area è quella della famiglia, dell’infanzia e dei giochi, la seconda quella delle forme metaforiche e dei riferimenti alla storia dell’arte e all’attualità socio-politica mondiale. In questi ambiti tematici dominano due correnti: la prima, satirica, che permette all’artista di esprimersi senza inibizioni e di fare critica socio-politica, e la seconda, come lei stessa la definisce, più leggera, che le permette di interpretare liberamente i ricordi d’infanzia, in cui la narrazione, spesso simbolica e grottesca, ma allo stesso tempo semplice e chiara, ruota attorno alla vita nella Londra bombardata durante la guerra. Va tuttavia sottolineato che l’artista ha sviluppato questo secondo filone, in cui i protagonisti sono i bambini, utilizzando simboli tratti da fiabe e leggende o inserendo nella narrazione giocattoli infantili, ai quali attribuiva ruoli seri e adulti. Particolarmente degne di nota sono le scene con molti personaggi sullo sfondo dell’architettura urbana, in cui Czok evocava i ricordi dei suoi primi anni a Londra. Guardare attraverso le finestre aperte delle case distrutte dalla guerra e prive di pareti era uno dei modi per soddisfare la curiosità infantile. Le scene di nascite, gli eventi solenni e occasionali, ma anche le attività quotidiane e ordinarie nella pittura di Czok assumevano qui il ruolo di una celebrazione speciale di ciascuno di questi eventi. Seguendo i protagonisti della sua storia pittorica, diventiamo involontariamente complici nel curiosare tra i vicini inglesi. I nostri occhi si spostano sui piani delle case piene di abitanti indaffarati. Non è esagerato pensare che in questo corso della vita possiamo sentire le conversazioni degli abitanti, il tintinnio delle stoviglie disposte sul tavolo o il rumore delle ruote del monopattino di una bambina con le treccine che osserva attentamente le persone che passa. Il bambino occupa un posto importante nella pittura di Marta Czok. Ad eccezione delle scene di genere, in cui le espressioni divertenti delle bambine tradiscono i loro scherzi, tutte le altre hanno ruoli molto importanti, sono espressione delle opinioni dell’artista, che proprio attraverso la figura dell’innocente bambino le esprimeva con fermezza e determinazione. Si dice che dovremmo imparare dalla storia, ma l’unica lezione che la storia ci insegna davvero è che non impariamo nulla, quindi le guerre continuano e le loro vittime principali sono sempre i bambini. La serie di 16 dipinti che ha presentato alla mostra intitolata “I bambini nella guerra e sulla Shoah” a Roma nel 2009 e a Padova nel 2011, è stata dedicata ai bambini polacchi ed ebrei deportati dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, la cui memoria è letteralmente andata perduta. I corpi dei bambini, espressivi nei disegni, sembrano sospesi su superfici grigie, nebbiose e piatte, e formulano il pensiero più ampio dell’artista, che vale la pena citare in questo contesto: … quando i bambini piangono, sono tutti uguali. Il mio tema, anche se è iniziato mezzo secolo fa nel mio paese natale, riguarda tutte le giovani vittime, chiunque esse siano, ovunque si trovino e, purtroppo, ovunque saranno.

Molti critici d’arte e recensori dell’opera di Marta Czok sottolineano il suo orizzonte interculturale e la sua visione multidimensionale della realtà, che unisce simbolismo, narrazione, emozioni e ironia. È impossibile non concordare con questa opinione, tanto più che l’artista stessa ha sottolineato più volte quanto sia importante nella sua pittura “seguire le orme” di artisti eccezionali, storicamente identificati con la grande arte delle epoche precedenti, sulla base delle quali ha reinterpretato il contenuto delle loro opere, adattando brevi slogan e commenti in modo ironico e scherzoso, ma in linea con la realtà contemporanea della nostra vita.

Indubbiamente Marta Czok possedeva una forte personalità, un senso di identità, coraggio e intransigenza. Secondo lei, il ruolo dell’artista è quello di esprimere le proprie preoccupazioni su ogni questione che riguarda l’uomo e la sua sicurezza nel mondo contemporaneo. Ricorrendo all’ironia e persino alla provocazione, sottoponeva le sue osservazioni a una riflessione esistenziale, riferendosi a temi quali la storia, la religione e anche la guerra, le cui conseguenze hanno influenzato la sua vita personale e familiare. Infrangendo tutti i modelli “politicamente corretti”, ha coraggiosamente sollevato questioni di moralità ed etica delle personalità più importanti del mondo. Ha toccato temi storici, mettendo in guardia dal sottovalutare gli eventi del passato che, come ciechi che corrono attraverso la vita, non notiamo.

Mostra: 18.06. – 31.08. 2025

Istituto Italiano di Cultura di Cracovia

Via Grodzka 49, Cracovia

 

* Il testo utilizza frammenti dell’articolo tratto dal catalogo della mostra intitolato “E questo lo chiami arte?”, scritto dalla curatrice della mostra Henryka Milczanowska.

Tour de Pologne, la corsa entra nel vivo: la situazione a metà settimana

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Ben Turner pochi istanti dopo la vittoria nella terza tappa a Wałbrzych

Testo e foto: Alberto Mangili

 

Prosegue con successo l’edizione numero 82 del Tour de Pologne, partito lunedì 3 agosto da Wrocław e diretto al gran finale di Wieliczka di domenica 10. Siamo infatti ormai giunti al termine della quarta tappa, nel cuore della settimana, giocatasi quest’oggi da Rybnik a Cieszyn. Nel circuito finale ripetuto più volte, fino a poco meno di 3 kilometri dal termine, è stato il duello tutto italiano-polacco tra Lorenzo Milesi (Movistar) e Filip Maciejuk (Red Bull – Bora – Hansgrohe) ad incendiare la gara, ma una volta riassorbiti, la volata finale ha infine premiato lo specialista francese Paul Magnier delle casacche T-Rex della Soudal – QuickStep.

Riavvolgiamo però il nastro e ripercorriamo meglio insieme anche le prime tre giornate di gara, che ho seguito e vissuto da vicino sul campo. 

Come avevo accennato nel primo articolo, raccontando la grande partenza da Wrocław, qualche tappa sarebbe potuta essere facile appannaggio dell’olandese Olav Kooij, ed ecco che a Legnica è proprio l’uomo della Visma – Lease a Bike a prendersi subito la prima gioia della settimana.

Si tratta del suo quinto successo complessivo al Tour de Pologne: un feeling davvero particolare con questa corsa, come ammesso da lui stesso sul palco la mattina seguente a Karpacz.

Ad ospitare lo start per la seconda giornata di gara è dunque l’Hotel Gołebiewski, nella rinomata località di montagna, dove splende un discreto sole che bacia la partenza. Non si può dire lo stesso però al traguardo sull’Orlinek, in uno scenario naturale meraviglioso, quando inizia a gocciolare proprio poco prima dello scatto vincente in salita di Paul Lapeira. Il francese della Decathlon colleziona momentaneamente maglia gialla (primo in classifica generale) e maglia bianca (primo in classifica a punti), ed altrettante bottiglie di champagne, con cui annaffiare (è giusto così!) anche il qui presente sotto al palco, già ben inzuppato dalla pioggia aumentata costantamente. E che continuerà incessante per la serata. Una pioggia che avevo preso anche tra marzo e aprile 2023, in una Karpacz deserta, un luogo che avevo adorato al tempo e dove ho rimesso piede con enorme piacere, ora con molta molta molta più gente.

Ricaricate le pile poche ore la notte, giocoforza anche meno del minimo necessario, mercoledì mattina già di buon ora sono a Wałbrzych, per il via della terza tappa. Oltre alla consueta cerimonia delle firme, è sempre bello assistere anche all’arrivo dei bus delle squadre, delle ammiraglie e di tutto il „carrozzone” che fa parte di una macchina organizzativa impressionante. Monta, smonta, sposta, monta ancora ecc.: è affascinante fermarsi a osservare anche al di fuori di quella che è la pura gara.

Il sole a questo giro non è timido e limitato, ma reale e duraturo. Lo splendido tempo difatti accompagna tutto lo svolgimento della frazione, ma a portare tempesta è una brutta caduta collettiva a 15 km dal termine, che induce la commissione alla sospensione momentanea della corsa e alla conseguente neutralizzazione (tempi congelati) della stessa. Si gioca solo per la vittoria del giorno.

Nonostante la ripartenza “sfalzata”, viene sostanzialmente vanificata nel finale dunque quella che era stata la fuga a tre che vedeva coinvolti anche gli italiani Diego Ulissi (XDS Astana) e Lorenzo Milesi (Movistar), poichè ad aggiudicarsi il trionfo in volata numerosa è la Ineos Grenadiers con il britannico Ben Turner, lanciato alla grande dal lavoro prezioso di Kwiatkowski. Terzo posto per Andrea Bagioli della Lidl-Trek, primo podio italiano in questo Polonia. Premiazione solo per la tappa dunque, in virtù di quanto detto sopra, e niente per quanto concerne le classifiche. La maglia gialla Lapeira, malamente coinvolto nella brutta caduta, arriva al traguardo con svariati minuti di ritardo, ma conserva pertanto il primato. Indubbiamente quando succedono episodi come questo terribile scontro il clima cambia, sono cose che non si vorrebbero veder succedere, ma purtroppo fa (troppo spesso, per varie ragioni) parte del gioco.

Tornando al presente, della quarta tappa odierna si è già detto in apertura di articolo. Domani per il quinto impegno sarà invece la volta della Katowice-Zakopane, il tracciato più lungo del Tour con i suoi oltre 206 chilometri. Si resterà poi in montagna per la sesta frazione di sabato, dove tornerò sul campo, con la scoppiettante ed attesissima tappa regina di Bukowina Tatrzańska. Imperdibile ovviamente anche l’ultima giornata di domenica nella quale, dopo la cronometro alle Miniere di Sale di Wieliczka, sapremo chi sarà incoronato vincitore del Tour de Pologne 2025.

Gazzetta Italia 112 (agosto – settembre 2025)

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Correte a prendere la vostra copia di Gazzetta Italia 112! Sul filo conduttore delle relazioni italo-polacche troverete Merlini al Parco Lazienki, la mostra dedicata a Maria Sobieska, l’italianità della Cattedrale di Plock. E poi tanta musica con il rap italiano, il fenomeno del “travoltismo” e gli ultimi album usciti. Il cinema con l’intervista ai registi di IDDU, il film sul boss Messina Denaro, in uscita nelle sale polacche. E poi ancora la storia della polacca che crea creme dal vino, il fotoracconto del Torneo di Calcetto Italiani in Polonia, e naturalmente spazio ad articoli e rubriche di cucina e benessere, si parla di aromaterapia per gli animali, e alla letteratura con l’intervista allo scrittore Sandrone Dazieri e l’approfondimento (ascoltabile con QRcode dalla voce dell’autore) su Szymborska. Il tutto avvolto da Eolo che in copertina soffia una piacevole brezza sulle nostre vacanze e sulle vele di Gazzetta Italia! 

Tour de Pologne al via: da Wrocław a Wieliczka, 7 giorni di grande ciclismo

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La partenza del Tour de Pologne da Wrocław: in primo piano a sinistra il campione polacco Rafał Majka

Testo e foto: Alberto Mangili

 

Ritorna, come ogni anno, la più importante competizione ciclistica nazionale polacca (e di tutto l’est Europa), con l’edizione numero 82 della propria storia. Parte del circuito UCI World Tour, il Tour de Pologne prende il via ufficialmente quest’oggi, lunedì 4 agosto 2025, da Wrocław, per poi concludersi domenica 10 a Wieliczka, con la settima e ultima tappa di una corsa intensa e appassionante. 

Wrocław-Legnica, Karpacz, Wałbrzych, Rybnik-Cieszyn, Katowice-Zakopane, Bukowina Tatrzańska e Wieliczka: questo in sintesi l’affascinante itinerario, che si snoderà per oltre mille chilometri per le strade e la natura della terra polacca.

Il percorso presenta tappe variegate, e sebbene non vi possano chiaramente essere le vette vertiginose dell’appena concluso Tour de France o dell’imminente Vuelta de España, ci sono situazioni adatte a tutti i tipi corridori, con molti tratti tecnici, segmenti da velocisti, scalate interessanti, diversi circuiti e alcune frazioni nel complesso non facilmente prevedibili.

A testimonianza di ciò e a rendere ulteriormente accesa una gara già scoppiettante, è la mancanza di un chiaro vincitore annunciato, come nell’ultima edizione con la presenza del danese Jonas Vingegaard della Visma Lease a Bike. Qualche tappa può certamente sembrare più indirizzata di altre (chiedere al ben noto compagno di squadra „calabrone” Kooij), ma il successo finale in una gara del genere, di importanza mondiale, fa certamente gola a tutti e può appunto essere un discorso tra più.

Tantissimi i ciclisti di spicco del panorama mondiale al via, con 22 team inclusa una rappresentativa polacca. Impossibile non iniziare citando i padroni di casa Rafał Majka (UAE Emirates) e Michał Kwiatkowski (Ineos Grenadiers), già iridati rispettivamente nel 2014 e nel 2018. Il primo, che corre da campione del mondo biancorosso, ha annunciato che questo sarà il suo ultimo Tour de Pologne. Grande attenzione anche per il corridore della Cofidis Stanisław Aniołkowski.

Sono ben 22 anche gli italiani al via, con due team che nel proprio roster (7 atleti in totale) ne schierano addirittura quattro. Si tratta infatti della Movistar con Davide Cimolai, Davide Formolo, Lorenzo Milesi e Manlio Moro, e della XDS Astana, con Alberto Bettiol, Michele Gazzoli, Alessandro Romele e Diego Ulissi. Altre compagini propongono una coppia nostrana, e nello specifico si tratta di Giosuè Epis e Alessandro Verre (Arkéa – B&B Hotels), Antonio Tiberi ed Edoardo Zambanini (Bahrain Victorious), Andrea Bagioli e Jacopo Mosca (Lidl-Trek), Filippo Zana e Alessandro De Marchi (Team Jayco AlUla). Rappresentanti italiani unici nei propri team sono infine Filippo Baroncini (UAE Emirates), Francesco Busatto (Intermarché – Wanty), Matteo Sobrero (Red Bull – BORA – hansgrohe), Andrea Raccagni Noviero (Soudal Quick-Step), Elia Viviani (Lotto), Marco Frigo (Israel – Premier Tech).

È incredibile come, ancora una volta, e come in molti altri contesti, Italia e Polonia in qualche modo mettono in mostra un legame fortissimo e indissolubile.

Quanto alle altre nazionalità, non mancano come detto corridori di alto profilo, e sebbene ve ne siano moltissimi, ne vado a pescare giusto qualcuno solo nelle formazioni non finora citate (ossia quelle prive di italiani o polacchi), tra cui il già detto Olav Kooij ed Attila Valter della Visma Lease a Bike, Quinten Hermans della Alpecin-Deceuninck, Rémi Cavagna e Stefan Kung della Groupama-FDJ, Mikkel Honore della EF Education-Easypost, Dorian Godon della Decathlon, Casper Van Uden e Max Poole (e non solo) della Picnic PostNL, ed infine l’interessante Maikel Ziljaard della Tudor. Tra le già citate invece, attenzione a Brandon McNulty della UAE Emirates e Daniel Martínez della Red Bull – BORA – hansgrohe, impossibili da non menzionare, e forse tra i principali candidati al trionfo.

L’ultimo giubilo finale al Tour de Pologne di un italiano risale al 2012, con il sigillo di Moreno Moser. Chissà se per il vincitore del 2025 sventolerà una delle nostre bandiere, italiana o polacca, oppure altro ancora.

Tornando alla gara e al presente, nei pressi della maestosa Hala Stulecia di Wrocław è dunque partita questa mattina (lunedì 4 agosto 2025 ore 11.35) a tutti gli effetti la corsa, direzione Legnica, per la prima delle 7 tappe che porterà all’incoronazione del vincitore a Wieliczka. Se all’evento di presentazione del Tour de Pologne, nella medesima location odierna, il meteo aveva graziato i numerosi fan accorsi, oggi non è stato altrettanto benevolo, con una pioggia più o meno intensa a tratti che ha „benedetto” corridori, tifosi e addetti ai lavori.

E per questo Tour de Pologne ho dunque la grande possibilità di vivere la gara nella terza categoria, da giornalista, da vicinissimo, dopo aver sperimentato più volte la seconda (tra Tour de France, Giro d’Italia e altre Classiche), e ovviamente mai la prima (semmai fosse necessario dirlo!). Il ciclismo regala emozioni incredibili, basti vedere quanta gente affolla ogni tappa ad ogni gara, e coloro che contribuiscono a regalarle sono, da sempre, quasi degli eroi ai miei occhi e di molti altri.

Dopo oggi dunque sarò a Karpacz, a Wałbrzych, a Bukowina Tatrzańska ed infine a Wieliczka, pronto a vivere e raccontare con emozione uno degli eventi sportivi più importanti di questo meraviglioso Paese.

ODE A IGA E JANNIK

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Jannik Sinner e Iga Świątek (Foto: pagina Fb Wimbledon)

Nel weekend del 12 e 13 luglio 2025, la polacca Iga Świątek sabato, l’italiano Jannik Sinner domenica, hanno ricalcato ulteriormente il proprio nome (già comunque ben inciso) negli annali del tennis, conquistando Wimbledon. Sono passati ormai alcuni giorni, ma per gli appassionati o simpatizzanti la gioia è ancora più o meno grande, per i “neutrali” o i disinteressati poco è cambiato, senza però nuocere in alcun modo a nessuno (e non è un dettaglio…), mentre per la fetta restante dello schieramento, beh,  forse sarebbe meglio soprassedere. 

Non dedicherò molto spazio all’avverso in questo breve pezzo, prefigurato come un sincero  ringraziamento a due Campioni che stanno portando in alto i colori delle nostre amate bandiere, italiana e polacca, (f)issandole sempre più ad una altezza vertiginosa, motivo di vanto e di orgoglio, nel firmamento dello sport mondiale. 

Parlo da appassionato di sport, certo, ma prima ancora da persona dotata di etica e morale, con dei sani valori che ho avuto la fortuna, e anche la testa, di aver potuto e voluto coltivare. 

Come preannunciato, sarò celere sul lato brutto, scomodo, per cercare di offrire poi una visione su uno scenario più utile e vantaggioso. L’era moderna è purtroppo accompagnata da veleni, invidia, disinformazione, ed altri elementi inopportuni che vanno a minare qualsivoglia terreno, scavando malvagiamente ed arrecando un danno. Lo sport non fa ovviamente eccezione. A questi livelli, poi, men che meno. I nostri due Campioni, Iga e Jannik, oltre che accomunati dall’essere Campioni (per la terza volta, in lettera capitale) e dall’anno di nascita del 2001, hanno subito un tartassamento, mediatico e non solo, in tempi recenti, per ragioni note. Detto che esiste una giustizia “extra campo”, che si è espressa in loro favore (rebus sic stantibus, fine, leggibile sia in italiano sia all’anglofona, ma nell’accezione di “bene” e non di “multa”, che ironia), quella “in campo” se la sono fatta da soli, spazzando via a racchettate, sportivamente parlando, polemiche (in parte) e avversari (in toto). Per coerenza e correttezza giornalistica e non solo, circa l’ultima affermazione, non si può quantomeno giusto menzionare il bacio che la fortuna ha dato al nostro Jannik agli ottavi di finale.

Qualcuno potrebbe magari pensare di lasciar stare per una volta l’assidua ricerca ad ogni costo ed in ogni dove della polemica, e fare invece uno sforzo in più per una visione più costruttiva. Magari bisogna fare un passettino in più, certo, rispetto a una più semplice e sbrigativa critica gratuita, a quale pro poi mi chiedo, ma si sa, le cose intelligenti richiedono uno sforzo in più, seppur anche minimo. 

Vivere nell’era di grandi campioni dello sport (il discorso qui è logicamente legato allo sport, e si potrebbe estendere a molte altre sfere), della nazione a cui si appartiene o a cui ci si sente legati, è una fortuna immensa. La vittoria non è solo del campione, ma in un certo senso di tutti, e molto meno retoricamente di quanto si possa pensare.

A parte il già detto logico prestigio, è il movimento tutto, per l’appunto, a trarre un beneficio incredibile. Si parla troppo poco di quanto la figura di Jannik Sinner stia ispirando e spingendo moltissimi giovani atleti in Italia ad intraprendere la via del tennis, una nuova generazione di sportivi, che magari non vinceranno Wimbledon un giorno, ma avranno conquistato un passatempo salutare, conosceranno nuovi amici, forgeranno momenti indimenticabili, raggiungeranno i propri obiettivi, o quant’altro. Nel pratico, dati alla mano, si registrano a tutti gli effetti aumenti nelle iscrizioni ai circoli di tennis. Ed anche in Polonia, immaginate un bambino o una bambina che vede alla tv le gesta di Iga Świątek, se ne innamora sportivamente, e desidera in cuor suo provare quello stesso gioco. Il nuovo/la nuova piccolo/a tennista con gli occhi lucidi, con in mano la sua prima racchetta comprata dai genitori o dai nonni, è un po’ come quel bambino o bambina con i suoi primi scarpini da calcio, pattini da hockey , bicicletta o qualsivoglia strumento o equipaggiamento, all’inizio di un percorso di vita, non solo di uno sport. Un percorso che non si sa dove condurrà, ma è un’ottima partenza, e quel che conta è il viaggio, con i mille fattori che poi interverranno a scriverne il futuro. E se non si sa dunque dove porti questa avventura, si sa però con certezza, dove, come e perché è iniziata. E non è per forza solo un inizio, perché a chi come me ha dovuto abbandonare il tennis anni fa, potrebbe venire facilmente voglia di tornare a fare qualche scambio, qualche allenamento, qualche piccolo torneo. Anche (o soprattutto) grazie a loro e ad altri campioni. O perché no, addirittura iniziare in età adulta, un pensiero che per molti mai sarebbe forse altrimenti passato per la testa. Non c’è una regola, non c’è un’ età. C’è lo sport, c’è la passione. 

E certo, sebbene io sia nato in un’Italia di metà anni ’90 inoltrati, in un periodo calcisticamente d’oro, nulla mi ha vietato da piccino di avere come idolo assoluto il genio brasiliano Ronaldinho, o per restare in tema tennis, di farmi regalare la mia prima racchetta non dello stesso modello di Federer, non di Nadal, ma dello stravagante talentuoso francese Monfils. Non c’è differenza tra bambino, bambina, Italia, Polonia. Con i mezzi odierni, poi, è ancora tutto più agevole. Chiaro è che avere “in casa” un Sinner o una Świątek amplifica solamente questa fortuna, e se si è intelligenti abbastanza da capirlo, con una visione più di insieme, si può facilmente comprendere come appunto i  giovamenti siano molteplici, per molte ed altre persone. Magari, col tempo, con sempre più trofei, sarà davvero impossibile per chiunque non apprezzare e voler bene a due persone di questo calibro.   

Ode a Iga e Jannik. Dziękuję Iga. DUMA POLSKI. Grazie Jannik. ORGOGLIO ITALIANO. Un esempio per piccoli e adulti, in Italia, in Polonia, in tutto il mondo. Ad maiora.

Paolo Genovese: dialogando con la nostra folle mente

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Cosa si nasconde nei nostri pensieri? Chi vive davvero nella nostra testa? La persona pazza, la persona romantica, la persona passionale, la persona razionale? Oppure c’è una bella folla nella nostra mente? Nel suo nuovo film “Follemente”, che uscirà nelle sale cinematografiche in Polonia il 4 luglio distribuito da Aurora Films, il regista e sceneggiatore Paolo Genovese parla di relazioni interpersonali e di diverse personalità che abitano la nostra mente. 

I protagonisti del film sono Piero e Lara. Il loro primo appuntamento provoca in tutti e due un comprensibile stress. Entrambi vorrebbero mostrare il loro lato migliore ed evitare scivoloni, che sono frequenti in situazioni di nervosismo, ma anche conoscere i pensieri e intuire i desideri dell’altra persona. Genovese guarda nel profondo dei suoi personaggi e cerca di capire e mostrare le loro paure, insicurezze, desideri. Tutte le sfaccettature delle nostre personalità vengono alla ribalta, discutendo, litigando e cercando di convincere le altre di avere ragione. Ne viene fuori un caos affascinante che non è sempre facile da domare. Nel cast vediamo: Pilar Fogliati, Edoardo Leo, Emanuela Fanelli, Maria Chiara Giannetta, Claudia Pandolfi, Vittoria Puccini, Marco Giallini, Maurizio Lastrico, Rocco Papaleo e Claudio Santamaria.  

Dove nasce l’idea di questo film?

L’idea è sempre difficile da capire. Ho pensato a questo film nel 1999, 25 anni fa. Avevo fatto degli spot per la Rai, dove il concetto era: in ogni abbonato ce ne sono tanti, cerchiamo di accontentarli tutti. Questi spot rappresentavano l’abbonato Rai che aveva nella testa tanti personaggi. Ognuno voleva fare cose diverse e non era mai soddisfatto. E lo spot diceva: “I programmi RAI soddisfano tutte le tue personalità”. Poi questa idea è rimasta lì per anni. Un po’ di tempo fa mi è venuto in mente di raccontare un primo appuntamento e di preciso che cosa succede nella nostra testa, overo emozioni, paure, debolezze, cosa dire, cosa fare. Mi sembrava bello raccontare tutto in una serata e allora abbiamo provato a scriverlo.

Non è che oggi, riparandosi dietro le applicazioni, tendiamo piuttosto a nasconderci e non far vedere tutte queste nostre personalità con cui conviviamo

Sì, è vero. Proprio per questo mi sembrava interessante far vedere un incontro reale e la necessità di dover rispondere d’istinto senza pensarci troppo. Oggi con le applicazioni tipo Tinder, Instagram, Facebook, hai tutto il tempo che vuoi per pensare che cosa rispondere, per dare la migliore versione di te. Invece nella vita vera non hai tutto quel tempo. Ed è bello vedere come molto velocemente si prende una decisione, che può essere anche sbagliata, però almeno è istintiva e vera.

Sì, così fai vedere il tuo lato più sincero.

Non è mai così sincero, perché comunque un filtro c’è. Però almeno non è che stai lì ore prima di rispondere.

Forse potrebbe essere anche un incoraggiamento ai giovani che fanno fatica a confrontarsi con gli altri e soprattutto a far vedere questo loro lato più debole, più vulnerabile.

Sì, perché questo è un film comunque positivo che vuole dare il messaggio che un incontro dal vivo è emozionante nonostante le paure. Quindi il chiudersi dietro il diaframma di uno schermo, di un app dove ti senti più sicuro a iniziare i rapporti perché hai una rete di protezione ti toglie la possibilità di sentire un ventaglio di emozioni e metterti davvero alla prova. 

Avete deciso subito che tipi di personalità volevate esaminare?

Tutti abbiamo dentro diverse personalità con cui conviviamo. Con gli sceneggiatori abbiamo voluto trovare le quattro caratteristiche che sicuramente hanno tutti. Quindi la razionalità, l’istinto sessuale, la parte romantica e la parte folle. Ci sembrava che queste quattro personalità fossero comuni a chiunque.

Il film rende perfettamente questo caos che abbiamo in testa. Come avete lavorato sul set per coordinare tutto e avere il feeling anche tra gli attori.

Sai, è un lavoro articolato. Prima di tutto è un lavoro di scrittura, devi essere convinto che la sceneggiatura funzioni. Abbiamo lavorato tanto con gli attori sul set. Questo è stato un po’ difficile perché nel film si vede tutto insieme, ma noi abbiamo girato le scene separatamente, quindi gli attori, delle due teste che interagivano, rispondevano a qualcosa che non vedevano. E gli attori, i due protagonisti, mentre recitavano avevano delle voci che non sentivano, quindi è stato abbastanza difficile. Però mi pare che abbia funzionato.

Durante la scrittura, per te è più importante la parte delle battute o della comicità situazionale?

Sicuramente la comicità situazionale, che è la più difficile, perché capisci se funziona solo quando vedi il film con il pubblico. Le battute, io non sono uno scrittore di film comici però la battuta più o meno capisci se fa ridere o meno. La situazione è una cosa che costruisci pezzo per pezzo, fai un patto con lo spettatore, perché a differenza della battuta che è finita, nella situazione c’è una parte di elaborazione da parte del pubblico, che se non la capisce, non elabora, non ride, per questo è più difficile da costruire.

E su quali registi ti ispiri quando pensi alla comicità?

È difficile avere proprio un’ispirazione, perché poi ogni storia ha la sua formula. Però ti posso dire che il tipo di comicità che a me piace molto, che è di situazione e di parole, è quella di Woody Allen.

Quando lavori con gli attori li lasci liberi o vuoi che siano fedeli al copione? 

Gli attori non vanno lasciati liberi. Secondo me la cosa più importante in un film è la sceneggiatura. Se sei convinto che la sceneggiatura funzioni devi riprodurre esattamente quello che tu hai scritto, quello che tu hai in testa. Non devi permettere a nessuno di deviare, perché non è detto che funzioni. Quindi io di solito sono abbastanza severo sulla sceneggiatura. Quello che ho scritto lo voglio. Poi si può aggiungere, ma mai sostituire o cambiare. Poi se un attore ha un’idea, una battuta, va bene, però è sempre qualcosa in più, così che poi al montaggio posso scegliere.

La musica invece come la scegli? Mi è piaciuta l’idea della canzone “Somebody to love” dei Queen cantata da tutti. È molto bella, sembra un inno di tutta la storia. Come mai questa scelta?

Guarda, quella è stata una scelta che è venuta veramente all’ultimo, pochissimo prima di iniziare le riprese. Perché insomma, il concetto di questo film è entrare nella testa e vedere cosa succede in diverse situazioni. Mentre è stato, non dico facile, ma insomma, più facile, forse, trovare cosa succede quando ti dimentichi una parola, quando sei imbarazzato, quando non sai cosa dire, eccetera. Alla domanda cosa succede quando finiamo di far sesso… Non ci veniva in mente niente.

I film raramente mostrano che cosa succede dopo il sesso.

Raramente, o solo il momento quando alla fine veniamo. Quindi noi volevamo trovare qualcosa che funzionasse, che non fosse banale, volgare o già visto. Siamo arrivati quasi a inizio di riprese quando, per caso, ho sentito questa canzone in macchina. Aveva qualcosa di liberatorio, di trionfale e allo stesso tempo anche qualcosa di divertente e ironico. Ho detto: ecco, potrebbe essere questo, potrebbe essere che loro attraverso una canzone si liberano. Però lo devi costruire. Quella canzone funziona perché tu hai un crescendo fino a quel punto in cui anche il pubblico reagisce. In Italia molto spesso in quel momento battono le mani. Perché anche il pubblico si libera insieme agli attori.

Walter Prati: l’uomo che ha vestito la Polonia con l’eleganza italiana

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traduzione it: Michał Dorosz

 

Trent’anni fa, quando la Polonia si risvegliava in una nuova realtà, è arrivato con una visione: portare sulle strade di Varsavia lo spirito dell’eleganza italiana. Walter Prati, è di lui che parliamo, non solo ha visto il potenziale di un mercato nascente, ma con il coraggio di un pioniere ha deciso di plasmarlo. Oggi la sua agenzia.  GPoland, è un impero che rappresenta oltre ottanta marchi internazionali di prestigio, e lui stesso è stato definito l’architetto del mercato polacco della moda premium. Vi invitiamo a conoscere Walter Prati, l’uomo che ha vestito la Polonia con uno stile italiano raffinato.

La sua avventura con la Polonia è iniziata nel 1993. Cosa l’ha spinto a scegliere Varsavia invece di altri mercati emergenti?

 All’epoca analizzavo diversi paesi dell’Europa centro-orientale, inclusa la Russia, ma la Polonia mi è sembrata la più promettente e, semplicemente, più sicura per un’attività a lungo termine. Ho deciso di rischiare: nel maggio 1993 ho aperto il primo negozio monomarca Max Mara della regione. Il mercato del lusso praticamente non esisteva ancora, quindi quella boutique è stata qualcosa di completamente inedito.

Quando il negozio monomarca si è trasformato in un’agenzia che oggi rappresenta oltre 80 brand internazionali?

I clienti che inizialmente venivano “solo” a fare acquisti hanno cominciato a chiedere come aprire i propri negozi di moda italiana. Insieme alla sede centrale di Max Mara abbiamo sviluppato un modello di franchising. I passi successivi sono stati naturali: si sono aggiunti marchi come Marella, Weekend Max Mara, Pennyblack e Sportmax, poi – grazie alla collaborazione con un’altra agenzia italiana – Moschino, Trussardi, Jean Paul Gaultier e Alberta Ferretti. Poco dopo, abbiamo aperto il primo multibrand in Polonia con marchi internazionali, situato in Plac Trzech Krzyży.

I polacchi si sono subito innamorati della moda italiana?

L’amore è cresciuto gradualmente. Negli anni ’90 dominavano i marchi locali, e quelli stranieri – come Benetton o Mustang – erano considerati una rarità. Le collezioni italiane affascinavano, ma i prezzi erano elevati, quindi il numero di clienti era limitato. Abbiamo investito in cartelloni pubblicitari, campagne stampa e collaborazioni con riviste come “Twój Styl”. Grazie a ciò, le donne polacche hanno scoperto cosa significano qualità ed estetica italiane, e hanno imparato a interpretarle a modo loro.

Esiste una formula universale per il successo di un brand di lusso in Polonia?

Assolutamente no. Nel mondo del lusso non esistono soluzioni universali. Ogni marchio, con la sua storia, filosofia ed estetica, possiede un’identità unica e irripetibile. Per questo, ogni brand rappresentato da noi riceve una strategia su misura, che considera tutti gli aspetti della sua presenza sul mercato polacco, dal posizionamento preciso dei prezzi, alla narrazione coerente nei media locali, fino a un’esperienza d’acquisto unica. Un elemento chiave del successo è tuttavia il forte impegno e la preparazione professionale del partner straniero, la sua prontezza all’espansione internazionale e la comprensione delle specificità del mercato locale.

Lei definisce GPoland un “servizio a 360°”. Cosa significa esattamente?

Non siamo semplicemente un distributore o grossista. Il nostro coinvolgimento va ben oltre la vendita. Offriamo ai nostri partner un’ampia gamma di servizi: marketing strategico, relazioni pubbliche efficaci, formazione professionale per il personale, supporto completo per il visual merchandising, nonché assistenza cruciale nella scelta e negoziazione delle migliori location commerciali. Sappiamo che i brand stranieri, entrando nel mercato polacco, hanno bisogno non solo di supporto logistico, ma soprattutto di una narrazione ben costruita che risuoni con il cliente polacco. In questo ambito svolgono un ruolo chiave i nostri team PR e marketing, che creano una comunicazione coerente e coinvolgente. I nostri trent’anni di presenza sul mercato si sono tradotti anche in una fiducia preziosa da parte dei partner commerciali e dei principali centri commerciali in Polonia.

Guardando indietro a tre decenni di attività di GPoland, di cosa è più orgoglioso?

Del fatto che abbiamo cambiato il panorama delle strade e dei centri commerciali polacchi. Nel 1993, la moda di lusso era un’astrazione. Oggi, donne e uomini in Polonia la indossano ogni giorno. Abbiamo introdotto sul mercato oltre 80 brand, superato crisi e pandemia, e oggi il nostro team conta più di cento specialisti. Ma ciò che mi rende più felice è che ogni nuova apertura continua a regalarmi la stessa emozione del primo negozio Max Mara, trent’anni fa.

 

Lo scorso 26 febbraio GPoland ha ricevuto la Menzione Speciale per la Moda da Gazzetta Italia. A ritirare il riconoscimento, durante la serata di gala del Premio Gazzetta Italia, è stata Nefer Prati.

Leggo, vivo meglio: consigli di lettura per estate

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Libreria "Acqua Alta" a Venezia

Napoli, la Sardegna, la Sicilia, ricordi di viaggio, avventure tra Venezia e Varsavia, la Felicità da cercare a Polignano a Mare, ma poi anche gialli, storie familiari e amicizie in montagna! 

Le vacanze sono il momento ideale per staccarsi dall’invadente quotidianità virtuale che ci assedia tra e-mail, videocall, social network, whatsapp, e ritrovare uno spazio nostro di sogno e riflessione tuffandoci in arricchenti letture. Insieme ad alcune case editrici con cui collaboriamo, vi consigliamo qualche titolo che sarà il perfetto passatempo durante le vostre vacanze estive. In questo spaccato di generi e stili diversi, tutti troveranno qualcosa per sé.

 

Casa editrice Sonia Draga

Sandrone Dazieri, “Il male che gli uomini fanno”

“Il male che gli uomini compiono si prolunga oltre la loro vita, mentre il bene viene spesso sepolto insieme alle loro ossa.” Questa citazione tratta da “Giulio Cesare” di Shakespeare (atto III, scena II) è il motto e l’ispirazione per il titolo del romanzo di Dazieri.

Trent’anni fa Itala Caruso, poliziotta a capo di un giro di corruzione, viene incaricata di trovare le prove per mandare in carcere l’uomo accusato di essere il Persico, assassino che ha rapito e strangolato tre adolescenti. Itala non può rifiutare, ma sa che sta facendo la scelta sbagliata. Dopo qualche anno il Persico colpisce di nuovo, rapisce Amala Cavalcante e la imprigiona nel sotterraneo di un edificio. Amala capisce che non uscirà viva da lì, a meno che non trovi il modo di fuggire. Francesca Cavalcante è la zia di Amala ed è un avvocato. Trent’anni prima ha difeso senza successo l’uomo accusato di essere il Persico. Lei sa che il suo cliente era innocente, e che il vero assassino è ancora in giro. E che forse è stato lui a rapire sua nipote. Gershom Peretz, detto Gerry, dichiara di essere un turista israeliano, ma è arrivato subito dopo il rapimento di Amala e sembra disposto a tutto pur di ritrovarla. Anche a uccidere.

Silvia Avallone, “Cuore nero”

Un romanzo commovente sui cuori pieni di oscurità, sul potere della rabbia e sulla difficoltà di perdonare se stessi

L’unica strada che porta a Sassai, un piccolo insediamento in mezzo alle montagne, è un sentiero ripido e tortuoso che attraversa un bosco di faggi. È qui che un giorno appare Emilia, con i capelli rossi e ricci, una trentenne magra e robusta che indossa una tuta da ginnastica viola e una giacca verde brillante.

Il suo arrivo viene osservato da Bruno dalla casa vicina, come un’intrusione. È una donna dall’accento straniero, con tante borse e valigie: cosa ci fa in un posto così isolato dal resto del mondo?

Quando finalmente si incontrano, ognuno con il proprio bagaglio di solitudine, negli occhi di Emilia – “privi di luce, come due stelle spente” – Bruno vede un abisso simile al suo. Entrambi hanno vissuto il male: lui come vittima, lei come carnefice, per il quale ha pagato con molti anni di carcere, ma senza la possibilità di redimere le proprie azioni.

Sassaia è il loro nascondiglio: l’unico modo per sfuggire a un futuro in cui nessuno dei due crede più. Ma il futuro arriva nonostante tutto ed è governato dalle sue leggi. Colpevoli o meno, vittime o carnefici, il tempo passa e ci mostra ciò che siamo veramente: infinitamente fragili e fatalmente umani.

Una storia penetrante che commuove e diverte, che si muove tra condanna e salvezza e che dimostra che tutti, indipendentemente dalle loro azioni, meritano comprensione e perdono.

Paolo Giordano, “Tasmania”

Una storia commovente sulle crisi, grandi e piccole, su un luogo sicuro dove rifugiarsi e sulle difficoltà che dobbiamo affrontare.

Paolo sente che la sua vita sta andando a rotoli. Sua moglie, Lorenza, decide di rinunciare a cercare una gravidanza, mentre lui non smette di sognare un figlio suo: essere padre del figlio di Lorenza non gli basta. La coppia si allontana sempre di più. Paolo si immerge nel suo lavoro e intraprende un viaggio alla ricerca del senso perduto.

Come giornalista, racconta da Parigi la conferenza sul clima dopo gli attacchi terroristici che hanno sconvolto il mondo. Vuole anche scrivere ossessivamente un libro sulla bomba atomica e sulle conseguenze del suo uso. Seguendo i suoi sogni, viaggia attraverso l’Europa e infine finisce in Giappone. Lungo la strada incontra diverse persone, ognuna delle quali cerca di trovare il proprio rifugio sicuro in cui sopravvivere alle crisi che verranno: riscaldamento globale, pandemie, guerre e governi autoritari.

Tasmania è un romanzo sul futuro che vogliamo e temiamo, e sul presente che si sta creando sotto i nostri occhi. L’ansia e la sorpresa di perdere il controllo sono sentimenti insiti nel nostro tempo, e pochi sanno raccontarlo con la stessa bellezza di Paolo Giordano.

Giulia Caminito, “L’acqua del lago non è mai dolce”

Un bel romanzo sulle difficoltà della crescita, sui problemi che dobbiamo affrontare in ogni fase della vita e sui rapporti familiari non sempre positivi

Gaia affronta con coraggio un mondo che sembra non avere nulla di buono da offrirle. Vive ad Anguillara, vicino a Roma: qui trova amore e amicizia, qui sente il peso delle aspettative, delle bugie, delle delusioni e della solitudine. Con il passare del tempo, desidera disperatamente diventare una persona diversa da sua madre, Antonia, una donna orgogliosa e testarda che cerca morbosamente di controllare il marito disabile e i quattro figli. Ma è possibile tagliare il nodo che ci lega ai nostri genitori? O ci sono momenti in cui, senza rendercene conto, ci comportiamo esattamente come loro?

L’acqua del lago non è mai dolce racconta la storia di un difficile viaggio verso l’età adulta. Della forza di una donna che ha il coraggio di seguire i propri sogni e della necessità di sfidare tutti, a volte anche le persone più vicine.

Paolo Cognetti, “Le otto montagne”

Le montagne non sono solo neve, precipizi, cime, torrenti, laghi e pascoli. Le montagne sono uno stile di vita. Un susseguirsi di passi, silenzio, tempo e giusta misura. 

Pietro è un ragazzo di città, un solitario un po’ lunatico. Sua madre lavora in un consultorio familiare in periferia, suo padre è un chimico che ogni sera torna dal lavoro pieno di rabbia. Pur essendo diversi, sono uniti da una passione comune: la montagna. È lì che si sono incontrati e innamorati, e hanno stretto un legame così forte che nemmeno una tragedia familiare è riuscita a separarli.

Quando scoprono Grana, un piccolo villaggio in una valle ai piedi del massiccio del Monte Rosa, sentono di aver trovato il loro posto sulla terra. È lì che Pietro trascorre d’ora in poi tutte le sue vacanze estive e incontra Bruno, un coetaneo con i capelli della tonalità della corda di canapa e il collo bruciato dal sole, che invece di riposare deve pascolare le mucche.

Durante questi mesi estivi, Pietro inizia a fare escursioni in montagna con il padre, scopre i segreti della valle e degli edifici abbandonati, conquista sentieri ripidi. È allora che nasce l’amicizia con Bruno che, sebbene spesso a distanza, durerà a lungo.

Casa editrice Austeria

Jarosław Iwaszkiewicz, “Viaggi in Italia”

Se devo credere alle voci delle guide e dei bedeker, sono stato a Roma circa trenta volte, in Italia senza Roma sei volte e in Sicilia tredici volte. Questi viaggi si sono estesi per più di mezzo secolo. Mi è stato suggerito di scrivere qualcosa di simile al Voyage en Italie di Taine o alle Lettere dall’Italia di Kremer, ma sarebbe difficile per me concentrare in un insieme ragionevole impressioni disperse in un tale arco di anni e ricevute in condizioni così diverse. Tanto più che non è mia intenzione unificare queste impressioni mettendo un rivestimento filosofico sotto il mio lavoro, come ha fatto Taine, o la mia ambizione di illustrare la storia dell’arte europea, come ha fatto Kremer, abbellendo la sua argomentazione con la filosofia di Hegel. Né vorrei trasmettere un’opera su un “viaggio in Italia” sotto forma di immagini separate, sparse come perline, non infilate insieme e già tinte di una visione troppo personale dei luoghi e delle vicende italiane, come ha fatto la signora Kaschnitz con grande fascino ed erudizione.

Già dalle poche parole che ho scritto finora, sono un po’ in apprensione, in primo luogo per il numero dei miei predecessori che, nel corso di molti secoli, hanno scritto i loro “viaggi in Italia”, ognuno a modo suo; e in secondo luogo per le difficoltà che incontrerò nel cercare di cementare in qualche modo questa moltitudine di esperienze, distese in tanti anni. La cosa più difficile sarà dare la quintessenza di un Paese e di un costume che, immutabile in linea di principio, ha in fondo sperimentato molto nel corso di più di mezzo secolo e ha accolto queste esperienze, forse non cambiando la sua natura, ma aggiungendo una grande varietà ai dettagli della vita quotidiana, oltre che al contenuto essenziale della sua esistenza.

Estratto dalla prefazione intitolata Al lettore di Jarosław Iwaszkiewicz

Jarosław Iwaszkiewicz, “Il libro sulla Sicilia”

“Ho letto Il libro sulla Sicilia di Jarosław Iwaszkiewicz due volte in una volta […]. Ho cercato di seguire i singoli fili. Fin dall’inizio ne appaiono tre principali. Considerazioni estetiche. Accanto ad esse, un filo di riflessioni storiche, sociali e politiche e, infine, un filo di reminiscenze personali. Qual è il filo conduttore più importante? Quale domina? Naturalmente, mi rendo conto che la formulazione stessa di queste domande non è molto felice. Dopotutto, questi fili si intrecciano grazie all’arte scrittoria di Iwaszkiewicz in un bellissimo disegno e, come in un elaborato arazzo, non possono essere separati, poiché sono elementi di un insieme armonioso e inseparabile, eppure, se penso a questo libro ora, mi sembra che il filo più importante in esso sia la corrente dei ricordi personali dello scrittore. È per questo che Viaggi siciliani è diventato una lettura così appassionata, perché ci permette di capire meglio la sua opera. […]

Henryk Krzeczkowski,

Estratto di una recensione su “Express Wieczorny”, 1957, n. 3

Natalia Ginzburg, “Tutti i nostri ieri”

«Scritto nel 1952, Tutti i nostri ieri è il pendant romanzesco di Lessico famigliare… Chi scruta e registra è una ragazza un po’ al margine, che si tiene come fuori dal gioco, che pare finga non saperne nulla ma che poi è l’anima, affettuosa e feroce, di tutto il nodo di sentimenti che intorno si svolge. Solo che qui la voce è fissata in una specie d’immaturità attonita e sorda, e in un’unica cadenza, quasi un canto monodico, percorre tutto il libro… Il piacere di Natalia è inventare storie familiari che portino in sé quello snodarsi di sentimenti e legami e caratteri e simpatie e antipatie e rancori e amori, che hanno le storie delle vere famiglie, e quel tanto di sempre prevedibile e quel tanto di sempre casuale, e quel tanto di comune aria di famiglia e quel tanto d’imprevedibilità individuale nel venir su dei figlioli, una generazione dopo l’altra».

Italo Calvino

Sebastiano Giorgi, “Corte Polacca. Un veneziano a Varsavia”

Dopo il successo ottenuto nella versione italiana, pubblicata nel luglio del 2023, dalla casa editrice Austeria, il racconto “Corte Polacca” – divertente avventura tra Venezia e Varsavia – di cui è autore Sebastiano Giorgi, è uscito nel maggio del 2025 in polacco, sempre con Austeria e con traduzione di Magdalena Wrana. La traduzione del libro, presentata durante la scorsa edizione della Fiera Internazionale del Libro di Varsavia, è stata possibile grazie al contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Italiano. Sul sito di Austeria il libro è disponibile sia in polacco che in italiano.

Proponiamo qui un breve estratto dell’introduzione scritta da Jacek Palasinski e della postfazione di Jarek Mikolajewski. Buona lettura!

Condivido l’amore dell’autore per Varsavia e Venezia, il destino di entrambe le città mi sta a cuore, e con il mio lavoro cerco di avvicinarle, convinto che possiamo imparare l’uno dall’altro, per unire le culture inesauribili di queste metropoli, di cui noi polacchi conosciamo troppo poco i legami. Ma dopo aver letto il libro, ne sapremo molto di più.

Jacek Pałasiński

Sebastiano Giorgi vive a Varsavia, dove ha portato con sé Venezia, dove vive lui, la sua memoria, la natura e la cultura. Quindi abbiamo Varsavia, abbiamo Venezia e abbiamo i personaggi: Agata, di cui sappiamo tutto quello che c’è da sapere, cioè niente, a parte il fatto che è il contenuto della vita e l’oggetto di ammirazione quotidiano di Sebastiano. Abbiamo un amico italiano che è venuto a recitare in un film su Bernardo Bellotto, detto Canaletto. Abbiamo Casanova, che non solo si inserisce perfettamente nella struttura mozartiana della storia, ma è stato anche a Varsavia, e quindi non c’è motivo per cui non debba essere presente nel libro. Abbiamo il mondo veneziano, tratto dalla biblioteca dei ricordi dell’autore, con le delizie, le curiosità, i souvenir, i problemi (come le restrizioni della città all’accesso dei turisti, verso le quali – le restrizioni, non i turisti – Sebastiano ha un atteggiamento chiaro e radicale). Infine, abbiamo Varsavia, con particolare riferimento al Parco Łazienki, che è l’ambientazione del film realizzato sullo sfondo della storia.

Jarek Mikołajewski

Link alla recensione di Małgorzata Ślarzyńska: https://www.gazzettaitalia.pl/corte-polacca-sebastiano-giorgi/

Joanna Olkiewicz, “La Sicilia tra la storia e la leggenda”

Il libro di Joanna Olkiewicz sulla Sicilia inizia come dovrebbe: con il mito, con lo scontro tra Zeus e Tifone, e finisce in modo meno poetico con osservazioni sulla povertà, l’arretratezza, la politica. Ma la cosa più importante è sempre la storia. Perché è impossibile capire la Sicilia senza conoscere la sua storia, che in genere è confusa. Ci vuole un grande talento per semplificare ciò che è complesso senza perdere i dettagli o generalizzare. Olkiewicz vede la Sicilia in un caleidoscopio di storia e leggenda. Di tanto in tanto cambia il punto di vista, a volte zoomando su qualcosa, altre volte guardandola da lontano. Mescola campi, paesaggi, equipara il sublime a ciò che è vicino alla vita. Non dimentica le persone che hanno fatto la storia dell’isola, sia quelle registrate negli annali, quelle in prima linea, sia quelle che scompaiono nel buio della storia. La Sicilia di Olkiewicz è un’arena di lotta tra potenti forze della storia, nazioni e religioni, e allo stesso tempo un palcoscenico intimo attraverso il quale, come in un teatro, sfila una galleria di personaggi-attori, dalle fisionomie particolari. Ci sono greci, romani, arabi, ebrei, normanni, andegavi e aragonesi, ci sono borbonici, italiani contemporanei e americani. Ci sono re, soldati, cospiratori, strambi e sottili amanti dell’arte. Ci sono cronache storiche e romanzi contemporanei, c’è l’architettura e il cinema, e accanto ad essi, o meglio sotto di essi, le risorse naturali che cambiano l’aspetto dell’isola. Ci sono mare e montagne, ci sono città e villaggi. Olkiewicz appartiene a un ristretto gruppo di grandi divulgatori, amanti dell’Italia, che scrivono con competenza e amore. Ripete ciò che andrebbe ripetuto, e ci incoraggia a cercare le nostre tracce, a tracciare un percorso privato tra ciò che già esiste nella storia, nella letteratura e nell’arte. Perché solo così si può conoscere e capire l’isola di cui Sciascia ha scritto che è “misteriosa, spietata, vendicativa e bellissima”.

Marek Zagańczyk

Joanna Olkiewicz, “Racconti di italiani e polacchi”

Rigogliosi, ramificati in tutti i settori della vita, i contatti reciprocamente vantaggiosi tra polacchi e italiani esistono da secoli, dagli albori della storia. L’estesissimo legame polacco-italiano è difficile da cogliere nella sua interezza: è un tema-fiume, rapido e ampio, in cui emergono sempre nuove correnti, alcune delle quali ci trascinano nelle loro profondità e altre ci sfiorano appena. […] Dalla grande quantità di materiale, l’autore ha cercato di estrarre ciò che è più importante e allo stesso tempo di delineare l’intera questione: quali doni storici di inestimabile valore si sono dati i polacchi e gli italiani, e come la loro storia si è intrecciata.

Wydawnictwo Czarne

Jeff Biggers, “Sardegna. Viaggio nel tempo”

“Sardegna. Viaggio nel tempo” di Jeff Biggers non è una guida ma piuttosto quello che i sardi chiamano s’arrogliu ovvero un incontro conviviale tra amici. Come ammette l’autore: “voglio che la gente viaggi e faccia vacanze in Sardegna, ma voglio che sia un viaggio profondo. Invito i lettori a sedersi con me la sera, bere un bicchiere di vino, mangiare e raccontare le loro storie. È questa idea del libro”. 

Jeff Biggers, storico e scrittore americano, è arrivato in Sardegna nel 2017 per passare un anno sabbatico. Una iniziale voglia di pausa e riposo si è trasformata in un sorprendente viaggio alla scoperta della storia e della cultura sarda. “Ho partecipato ai loro eventi, sono stato con loro, alle loro feste. Ho fatto delle amicizie e loro mi portavano i loro libri per farmi conoscere gli scrittori locali. È stato più che altro un tour di ascolto. E poi è diventato un tour di lettura. E credo che sia così che si inizi a entrare nelle altre culture, mettendo da parte le proprie visioni. La parte più importante di questo libro è stata la scritta durante il Covid. Quando sono rimasto 18 mesi senza lavoro mi sono chiuso a leggere i miei 300 libri che avevo portato dalla Sardegna e ho capito che voglio essere il messaggero di questi scrittori per mostrare questo incredibile tesoro di letteratura. Il mio libro è un’introduzione agli scrittori e agli storici sardi.”

Gregor von Rezzori, “Tracce sulla neve”

Una storia piena di nostalgia sul declino della Mitteleuropa. Un ritratto elegiaco del tempo e dei luoghi nella mano del maestro austriaco del modernismo

“I bei momenti del passato possono essere portati dentro di noi come un gioiello nascosto o trascinati dietro di noi come una palla di ferro sulla catena di un galeotto”, scrive Rezzori, riportando alla luce immagini di un passato lontano e coinvolgendo noi lettori in questo flusso temporale e restituendo ciò che sembrava irrimediabilmente perduto.

Rievocando il momento storico del crollo dell’Impero austro-ungarico in Tracce sulla neve, von Rezzori scrive della disintegrazione del suo mondo privato, della disintegrazione della sua famiglia, della sua vita nomade tra le case della madre e del padre in Bucovina, la casa dei nonni a Vienna e le scuole e i collegi. Crea ritratti delle persone care che hanno influenzato la sua vita: una madre con tendenze nervose, un padre che travolge tutti con la sua brutale vitalità, una sorella prematuramente scomparsa, una tata “selvaggia” di nome Cassandra e un’istitutrice dai capelli bianchi con cui ha mantenuto un’amicizia fino alla fine della sua vita. 

Rezzori non sembra credere nella possibilità di scrivere un racconto autobiografico cronologico, fedele alla verità e al tempo. Sceglie un metodo che si muove tra finzione e realtà, e il loro gioco diventa parte delle sue riflessioni.

Vincenzo Latronico, “Le perfezioni”

Finalista all’International Booker Prize

Lavorare nell’industria creativa, senza un lavoro a tempo pieno o seduti in ufficio. Appartamento berlinese luminoso, arredato alla moda e pieno di piante. Esperimenti culinari, discussioni politiche, avventure con le droghe e serate che finiscono in tarda mattinata. Una vita eccitante e perfetta, meticolosamente raccontata sui social media: chi non vorrebbe essere Anna e Tom?

Tuttavia, fuori dalla vista di amici e follower, l’insoddisfazione cresce. La vita di tutti i giorni, codificata dalle riviste di lifestyle e replicata all’infinito sui feed di Facebook e Instagram, comincia ad essere opprimente. Il lavoro annoia e frustra, il gruppo di amici si disintegra, l’impegno politico inizia e finisce online. I personaggi, intrappolati nelle loro idee di perfezione di vita, vogliono trovare qualcosa di vero. Ma esiste ancora qualcosa del genere?

Il libro di Vincenzo Latronico è una prosa amara sui sogni e le delusioni di una generazione di trentenni contemporanei. Una parabola sull’autenticità, sempre più difficile da trovare.

Piotr Kępiński, “Napoli dolce come il sale”

Chiunque sia stato a Napoli sa che è impossibile restarne indifferenti. L’odore della pizza e la puzza di spazzatura. La bellezza dell’architettura e la bruttezza dei palazzi sporchi. La dolcezza delle arance mature e la salinità del Mar Tirreno. Per secoli, Napoli ha affascinato gli studiosi, ispirato gli artisti e attirato i viaggiatori. E sebbene ne conosciamo il volto letterario o cinematografico, non sappiamo ancora bene perché sia sinonimo di stancante disordine per alcuni e di incantevole degrado italiano per altri.

Piotr Kępiński ci accompagna in un viaggio letterario e ci fa conoscere gli angoli del mondo napoletano. Insieme all’autore, leggiamo libri sulla città e seguiamo i titoli dei giornali. Beviamo limoncello e brodo di polpo, esploriamo le periferie e le moderne stazioni della metropolitana, ammiriamo la street art e guardiamo i film con Totò. Camminiamo con il Vesuvio in testa e la selva di cunicoli sotto i piedi.

Napoli dolce come il sale è un tentativo di ridefinire Napoli, andando oltre i soliti schemi fissati dai classici e dalla cultura pop. Una storia vivace, densa e brillante su un luogo che si ama o si odia. Perché c’è forse un’altra città al mondo, che, come scrisse Goethe, dopo averla vista, ci invita a morire?

Wydawnictwo Znak

Maciej A. Brzozowski, „Boskie. Włoszki, które uwiodły świat”

Passionali e amorevoli. Spietate, viziose, vanitose. Le donne italiane piacciono. Possono essere pericolose. Matilde – la donna più potente dell’Europa medievale – è combattuta tra fede e fedeltà per tutta la vita. Olimpia governa lo Stato della Chiesa, il Papa e i re la ascoltano, le folle la ammirano e la odiano. Grazie alla sua perseveranza e alla sua coerenza, Jadwiga si fa strada dal villaggio vicino a Kielce fino ai salotti italiani, e da lì è a un passo dalla fama internazionale. Virginia getta il suo ritratto nel camino, perché non sopporta di competere con l’immagine fissata sulla tela. Christine cerca la realizzazione nell’amore. Lo trova nella politica, capace di contenere il suo ego gonfiato. Carla vive come una principessa di una fiaba franco-italiana. La stampa attende i suoi inciampi con il fiato sospeso. Monica, una bella ragazza di una piccola città umbra, nei film interpreta sante, regine, la moglie di un faraone, uno scienziato, una spia, una femminuccia – convertita e temporanea, una diva dell’opera, una strega e se stessa. In qualsiasi parte del mondo si dica “attrice italiana”, la risposta sarà lei. Chiara sta costruendo un impero online che nessun altro influencer può eguagliare. Ha tanti fan quanti ne hanno la Svizzera, il Portogallo e la Svezia messi insieme. È bella e potente, e per questo non sorprende che “Forbes” l’abbia nominata persona dell’anno. La nuova edizione del primo libro sulle donne italiane in cui non troverete Sophia Loren. Però Monica Bellucci c’è! 

Il 2 luglio la casa editrice Znak pubblicherà la seconda parte della collana, questa volta dedicata agli uomini, “Rajskie ptaki. Włosi, którzy podbili świat “.

Wydawnictwo Wielka Litera

Katarzyna Kalicińska, Radosław Figura, „Felicità”

Il titolo del romanzo di Katarzyna Kalicińska e Radosław Figura è un po’ ingannevole. “Felicità” (Wielka Litera 2024) fa venire subito in mente la canzone di successo di Albano e Romina, che viene spogliata del suo magnifico splendore non appena iniziamo a imparare l’italiano e a capire il senso (o meglio il nonsenso) delle parole. La seconda cosa che uno pensa quando legge il titolo del libro è che sarà una storia sdolcinata con sullo sfondo il sud d’Italia. Una storia sugli amori sfrenati, buon cibo e sul banalissimo dolce far niente. In questo caso, il nostro scetticismo iniziale di trovarci di fronte all’ennesimo cliché andrà in fumo dopo la lettura dei primi capitoli. Stiamo infatti leggendo storie di vita, ma di una vita verosimile in cui protagonisti devono affrontare avversità, a volte al di là delle loro possibilità. Zośka, la protagonista del libro, deve affrontare il tradimento, la perdita del marito e la rottura del rapporto con la figlia adolescente Oliwia. Il ritmo dinamico della trama, i dialoghi vicini alla vita quotidiana di ognuno di noi, fanno sì che ci si immerga completamente nella storia. Le protagoniste sono due ragazze comuni con cui ci identifichiamo facilmente, e i loro problemi probabilmente ricordano spesso i nostri, e questo ci invoglia alla lettura per sapere cosa hanno fatto loro in quelle situazioni. “Felicità” è un romanzo scritto dal punto di vista della madre della storia, ma esiste anche un secondo libro, “Primo amore” di Kamila Kisiała, che racconta la stessa storia attraverso gli occhi della figlia. Si tratta di un metodo interessante che offre grandi possibilità nel previsto adattamento televisivo di entrambi i romanzi.

“Felicità” è un libro sulla ricerca del senso e della gioia in un momento in cui la vita sembra andare in pezzi. La felicità è solo un barlume, una nanoparticella che appare e scompare. Il trucco è saperla notare, anche nella vita reale.