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EuroBasket 2025, si gioca anche a Katowice. Italia e Polonia già oltre i gironi

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In Polonia, all’Arena Spodek di Katowice, si disputano alcune gare degli Europei di pallacanestro

Testo e foto Alberto Mangili

 

Ha preso il via ormai già da una settimana, lo scorso mercoledì 27 agosto, il Campionato europeo maschile di pallacanestro, la più importante rassegna continentale della palla a spicchi.  4 gironi composti da 6 squadre l’uno, con la nazionale italiana inserita nel gruppo C e quella polacca nel D. Ad ospitare l’edizione numero 42 della storia sono 4 diversi Paesi, tra i quali figura la Polonia, che in quel di Katowice offre appunto il parquet unico per tutto il proprio raggruppamento. L’Italia gioca invece tutte le sue gare a Limassol (Cipro), mentre i gironi A e B hanno luogo rispettivamente a Riga (Lettonia) e Tampere (Finlandia). Tutta la fase finale, dagli ottavi alla finalissima del 14 settembre, si disputerà nella capitale lettone.

In questo momento, con le sole quinte e ultime sfide della fase iniziale ancora da affrontare, per tutte e 24 le compagini, sia Italia che Polonia hanno già staccato il pass per l’accesso alla fase successiva. All’appello delle nostre mancano Italia-Cipro e Polonia-Belgio di giovedì sera, sfide almeno sulla carta non proibitive contro nazionali già fuori dai giochi. Ciò che ancora non è deciso è però quale delle 4 posizioni utili nel proprio girone occuperanno, e dipenderà proprio dagli ultimi impegni; e attenzione, perché potrebbe esserci lo scontro italo-polacco agli ottavi di finale, poiché i gironi C e D si incrociano tra loro (la prima del C incontra la quarta del D, seconda contro terza e così via).

Nelle partite giocate ieri sera (quarto turno), gli Azzurri hanno conquistato un meraviglioso successo sulla Spagna di Santi Aldama, dopo un avvio shock con oltre metà primo quarto a secco di punti, grazie anche al super talento in grande ascesa Saliou Niang (benissimo anche Diouf, Fontecchio, Ricci, ma direi davvero tutti quanti), mentre la Polonia, priva del fenomeno Sochan ma con degli ottimi Loyd e Ponitka, ha tenuto testa sino alla fine alla corazzata (pur con enormi assenze…) Francia, ma ha incontrato la prima sconfitta, dopo tre successi consecutivi, contro lo strapotere di Yabusele. L’Italia ha registrato il suo unico risultato negativo contro la Grecia di Giannīs Antetokounmpo, mentre la Polonia aveva sorpreso con una grande prestazione la Slovenia di Luka Dončić. Da non tralasciare anche la vittoria di carattere contro Israele del fortissimo Deni Avdija.

Dopo aver citato di proposito due dei migliori cestisti della competizione e del mondo, trascinatori totali delle proprie selezioni greca e slovena, allarghiamo infine brevemente il raggio e agli altri gironi e vediamo quali team possono avere ambizione di podio finale, e addirittura del gradino più alto.

Nel gruppo A filotto totale per Serbia, forse la favorita assoluta e con il giocatore più forte, Nikola Jokić, e Turchia, trascinata su tutti da Şengün; le due squadre si daranno battaglia quest’oggi. Ci terrà a far bene anche la Lettonia, che come detto ospiterà la fase finale, ma servirà un super Porziņģis nella sua migliore versione.

Nel gruppo B fa spavento la quantità di punti macinata dalla Germania (in tutti match sopra i 100), e Franz Wagner e Dennis Schröder sono i mattatori di un’altra seria candidata al colpo grosso. Speranze più o meno ambiziose di un bronzo per la Finlandia, trascinata dal mio giocatore preferito in assoluto Lauri Markkanen, del quale conservo con gran cura la sua canotta di Chicago del 2019; riflettori anche per il già quasi iconico giovane talento Miikka “Slim Jesus” Muurinen. Discorso simile per la Lituania, formazione ben attrezzata, ma che ha perso per infortunio il playmaker Jokubaitis.

L’AMBASCIATA D’ITALIA A VARSAVIA PARTECIPA ALL’INAUGURAZIONE DELLA PRIMA CLASSE BILINGUE (ITALIANO E POLACCO) PRESSO UN LICEO DI KATOWICE

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L’Ambasciata d’Italia ha partecipato oggi alla cerimonia di apertura dell’anno scolastico presso il IV Liceo Gen. Maczek di Katowice.

L’evento ha coinciso con l’inaugurazione della prima classe bilingue di italiano e polacco, un importante progetto pilota realizzato con il patrocinio dell’Istituto di Cultura di Cracovia. Alla classe sono iscritti 24 giovani alunni, che il primo anno studieranno la lingua italiana per 18 ore alla settimana e dal secondo anno aggiungeranno lo studio in italiano di altre materie curricolari.

Nel commentare l’avvio del progetto, l’Ambasciatore Franchetti Pardo ha evidenziato che si tratta di “un primo, significativo passo per rendere più organico l’insegnamento dell’italiano nelle scuole polacche, riscontrando così anche l’auspicio che era stato formulato dal COMITES. Ciò potrà contribuire a rafforzare i legami culturali ed economici tra i due Paesi, a beneficio dei sempre più numerosi connazionali qui residenti e delle tante  imprese italiane presenti in Polonia”.

L’iniziativa si inserisce nella più ampia azione di diplomazia culturale svolta dell’Ambasciata e dagli Istituti di Cultura di Varsavia e Cracovia per promuovere la lingua italiana, attraverso il rafforzamento delle cattedre di italianistica nelle Università, i lettorati, l’insegnamento nelle scuole e i corsi organizzati presso gli Istituti.

L’impegno mira a diffondere ulteriormente la conoscenza della lingua italiana, già oggi molto studiata e amata dai cittadini polacchi.

Jacek Cygan: amo l’Italia

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traduzione it: Natalia Zawadzka

 

Johann Wolfgang Goethe diceva che chi vuole conoscere un poeta deve visitare il suo paese. Il poeta Jacek Cygan parte per un viaggio sulle orme dell’autore di “Faust”, ma sceglie come meta l’Italia di cui ci racconta.

Federico Fellini affermava che i sogni sono l’unica realtà. Se avesse l’opportunità di incontrare in sogno qualche personaggio italiano famoso, sarebbe Claudia Cardinale, che il protagonista del suo racconto “Obietnica o twarzy Claudii Cardinale” incontra un giorno?

Ma io ho davvero incontrato Claudia Cardinale. Proprio nello stesso bar della Galleria Alberto Sordi in Via del Corso, dove la incontra il protagonista del mio racconto, dove ordino sempre un espresso e una piccola grappa. L’ho vista da una finestra aperta, ma non ho avuto il coraggio di disturbare la sua vita privata. Mi sono solo inchinato, e lei ha ricambiato l’inchino con un sorriso.

Chi altro ha incontrato in Italia?

Una volta ho scritto in polacco il testo del pezzo “La canzone di Marinella” di Fabrizio De André, che adoro. E proprio questa canzone l’abbiamo cantata con gli amici al mio compleanno, che ho organizzato in Liguria, al confine tra Portofino e Santa Margherita. Lì, nello stesso luogo e nello stesso momento, ho conosciuto Cristiano, il figlio di Fabrizio.

Un’altra volta, con mia moglie, siamo capitati in una famosa osteria vicino a Roma, di fronte alla sede di Rai Uno. A un certo punto siamo rimasti senza parole: dall’altra parte della sala sedeva Renato Zero. Quando abbiamo brindato al compleanno di mia moglie, lui ha ricambiato con lo stesso gesto rivolto verso di me. Il nostro amico, padre Mirek, che era con noi, ha detto: “Ti ha riconosciuto!” Questo è successo diverse volte. Dopo un po’, si è alzato, si è avvicinato a me e abbiamo iniziato a parlare. Mi ha chiesto chi fossi, e quando gli ho detto che ero un poeta polacco, ha risposto che somigliavo al giovane Karol Wojtyła. Siamo andati al parcheggio, gli ho dato il mio libro di poesie in italiano “Ambulanza”. Un anno dopo, per caso, l’ho incontrato in un ristorante in Piazza Farnese, mi ha riconosciuto e ci siamo scambiati le email. Così il destino avvicina le persone.

E quando è iniziata la sua avventura con l’Italia?

La prima fascinazione per l’Italia è stata grazie ai libri di Jarosław Iwaszkiewicz. Tuttavia, il primo viaggio è stato in un certo senso caricaturale. Nel 1986, io e mia moglie siamo partiti per il nostro primo viaggio in Italia acquistato tramite Orbis. Dovevano essere sette giorni in Italia. Dovevano, o almeno così pensavamo… Il primo pernottamento è stato a Bielsko-Biała, il secondo in Ungheria, il terzo in Slovenia, e infine due notti al Lido di Venezia e ritorno. Tuttavia, mi sono innamorato di questo paese a prima vista.

Qualcosa l’ha sorpreso particolarmente allora?

Incantati da Venezia, ci siamo preparati per un pranzo italiano speciale e abbiamo iniziato a cercare il posto più adatto. Abbiamo scelto a lungo, rifiutando i posti troppo costosi, troppo turistici o troppo poco soleggiati. Quando finalmente ci siamo decisi, erano le 14:30 e il ristorante ha chiuso, invitandoci a tornare alle 19:30… Ci è rimasta la pizza a fette comprata in un chiosco. Ma alle 19:30 è iniziata la festa…

Se all’inizio c’era Jarosław Iwaszkiewicz e i suoi viaggi in Italia, da dove è venuta l’idea di seguire le orme di Goethe?

Ho scoperto il libro “Viaggio in Italia” di Goethe alla fine degli anni ‘90. L’ho cercato a lungo nelle librerie e dagli antiquari, ma non si trovava da nessuna parte. Allora, io e mia moglie eravamo a Krynica Górska e lì, nella biblioteca municipale, ho trovato il libro. Dopo averlo letto, per oltre quindici anni è diventato un elemento inseparabile di ogni viaggio. E poiché si conoscono meglio le persone durante i viaggi, volevo davvero conoscere Goethe, le sue emozioni, le persone che lo circondavano e la sua opera. Mi ha affascinato il fatto che 235 anni fa, in una notte di settembre, il poeta partì segretamente in diligenza da Karlovy Vary, senza dire una parola ai suoi cari, compreso il suo amore platonico Charlotte von Stein, e viaggiò per due anni in Italia.

Molti dei luoghi che visita sulle orme di Goethe li conosceva già, ma con Ferrara è stato diverso.

Ferrara mi ha intrigato. È una città dove despoti sanguinari toglievano la vita alle loro mogli e parenti, ma allo stesso tempo, come grandi amanti dell’arte, accoglievano e coccolavano artisti del calibro di Tiziano, Bellini o i poeti rinascimentali preferiti di Goethe, Ariosto e Tasso. La città mi ricorda un po’ Amsterdam. C’è molta tranquillità, persone che non hanno fretta, molti ciclisti. Quasi in ogni piazzetta qualcuno suona o canta. Curiosamente, sopra il ristorante Al Brindisi, che si vanta di essere il più antico del mondo (la sua apertura risale al 1435), ha vissuto durante i suoi studi Niccolò Copernico.

A Venezia dedica una poesia, quella che dà il titolo alla raccolta “Ambulanza”, e come sottolinea nel suo ultimo libro, il suo posto preferito nella città dei canali è la terrazza in legno dell’hotel Monaco & Grand Canal. Perché proprio quella terrazza?

Non lo so. Probabilmente per i ricordi conservati nella memoria e la luce. La prima volta che ci siamo andati è stato alla fine di marzo, tornando dalle sciate nelle Dolomiti. Venezia era quasi vuota. L’atmosfera di quel luogo è unica, i primi di pasta nel ristorante sono inimitabili. Lì, a 200 metri da Piazza San Marco, c’è il mio centro di questa città. Ho lo stesso con molti luoghi in Italia, mi affascinano, ma il perché, è un mistero imperscrutabile.

Roma. La madre di tutte le città italiane. Goethe scriveva che “chi ha conosciuto bene Roma, non sarà mai completamente infelice”. Com’è la sua Roma?

Roma è il mio luogo preferito sulla terra e so che un giorno, in senso metafisico, mi stabilirò lì per sempre e forse allora incontrerò Goethe. È una città da percorrere a piedi, da Piazza del Popolo a Trastevere ci vogliono alcune ore. Bisogna vagare per Roma, scoprire i propri luoghi, perdersi, fidarsi della città. Sempre dietro l’angolo si trova qualcosa di straordinario, anche solo un pezzo di pietra preziosa. Camminando per Roma, parliamo con noi stessi, ci conosciamo meglio. È la migliore meditazione!

Nella sua avventura italiana, un ruolo significativo svolge anche Igor Mitoraj.

Io e mia moglie abbiamo avuto l’onore di essere amici di questo eminente scultore polacco, che in Polonia è ingiustamente trascurato. È un artista di altissimo livello. L’abbiamo conosciuto meglio a Roma, dove preparava la sua mostra. Dopo una breve conoscenza, siamo andati a bere vino in una trattoria vicino al Pantheon. Ricordo che abbiamo bevuto una bottiglia da tre litri di vino siciliano Planeta, che era caldo, quindi dovevamo raffreddarlo in una bacinella con ghiaccio. Ancora oggi, quando torno lì, il cameriere al mio arrivo esclama: “Signore si ricorda il Maestro Mitoraj!” Dopo quell’incontro siamo diventati amici e Mitoraj ci invitava spesso nella sua casa a Pietrasanta in Toscana.

A Mitoraj deve il titolo del libro “Ciao Goethe!”.

Ho cercato a lungo un titolo per il racconto sulle orme di Goethe in Italia. Un giorno mi è venuta in mente una storia di Pietrasanta. Igor ci ha portato in un ristorante completamente nuovo, dove ci ha accolti una bellissima donna italiana, elegante come Monica Vitti. Lo scultore si è chinato verso di lei al saluto, l’ha baciata sulla guancia e ha detto: “Ciao, bella”. Quel “ciao” era intriso di tenerezza e rispetto. In quel momento ho capito che è un’espressione che si usa solo con le persone care, perché non si dice così agli estranei. Goethe, durante quegli anni di viaggio, mi è diventato una persona vicina. Per questo ho deciso che sarebbe stato proprio “Ciao, Goethe!”.

Come viaggiare in Italia?

Evitare la paura che un determinato luogo possa essere turistico. In ogni trattoria, anche la più affollata dai turisti, si nasconde un cuore, cioè le persone che la creano e la loro storia, che servono nel piatto. E inoltre, parlare con gli italiani, attingere da loro il più possibile. Nella vita si tratta di incontri.

Wiesław Myśliwski ha scritto una volta che, oltre alla patria data dal luogo di nascita, dagli antenati, dalla nostra storia, bisogna trovare la propria patria, sotto forma di una città diversa da quella in cui siamo cresciuti o di un paese. La sua patria elettiva è l’Italia?

L’Italia è la mia scelta consapevole. Non sono attratto da altri luoghi, anche se sono stato anche più lontano, oltre il sud dell’Europa. Una volta un mio amico lodava la Thailandia e i gamberi più economici, che lì mangia a chili. Gli ho chiesto cosa beve con quei gamberi, e lui ha risposto: coca-cola. Gli ho detto che preferisco restare in Italia e gustare i frutti di mare con il mio vino preferito, La Scolca, piemontese, un vino bianco ottenuto da uve Cortese.

Ma questa patria, un po’ come Claudia Cardinale in sogno, la osserva da lontano.

È la mia felicità, alla quale mi piace tornare. Mi piace sentire nostalgia per l’Italia. È possibile che se l’avessi per sempre, nella quotidianità, se la incontrassi davvero come il protagonista del mio racconto incontra la sua Claudia Cardinale sognata, non sarebbe più la stessa emozione. Da desiderata e attesa, diventerebbe ordinaria. È più bello sentire la nostalgia dell’Italia da qui, dalla Polonia.

Goethe diceva che per comprendere un poeta bisogna visitare il suo Paese. Lei visita l’Italia subendone la fascinazione. Ma cosa ha scoperto su di lui?

Naturalmente, prima ho visitato la Germania, soprattutto Weimar. Nella Casa di Goethe mi ha colpito la quantità di oggetti italiani, le sue amate Giunoni o la bellissima Medusa. E poi chili di pietre, lava dell’Etna e del Vesuvio. Nel suo libro “Italienische Reise”, cioè Viaggio in Italia, Goethe si mostra come un osservatore non banale dell’architettura, dei dipinti, delle sculture e delle persone. Grazie a lui, per esempio, ho deciso di visitare Vicenza: mi ha affascinato il suo entusiasmo per l’architetto Andrea Palladio, che da scalpellino divenne un creatore eccezionale e intramontabile. Mi ha anche molto impressionato quando si recò in Sicilia e, a cavallo, con i bagagli trasportati dai muli, partì con tempo piovoso attraverso il cuore dell’isola per vedere i campi di grano più belli.

Bentornata Serie A! I calciatori polacchi al via del campionato 2025/2026

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L’Atalanta apre a Bergamo contro il Pisa. Esordio per Zalewski 

Testo e foto Alberto Mangili

Come ogni anno, il progressivo avvicinamento alla fine del mese di agosto, e dunque in sostanza al termine della vera e propria estate italiana (c’è pur settembre però), è rimarcato anche da un evento ai più caro, ossia la ripartenza dei campionati di calcio. Se l’Ekstraklasa polacca prende il via al solito già a metà luglio, e quest’anno ero a Poznań per Lech-Cracovia il 18 luglio, la Serie A italiana ha visto il principio della stagione 2025/2026 nel lungo weekend appena conclusosi, tra sabato 23 e lunedì 25 agosto. Dopo le tante amichevoli o tornei estivi dunque (come qui sotto in una mia foto della classica amichevole in famiglia della Juventus del 13 agosto) per i club è ora tempo di fare sul serio. 

Più che ai risultati e ai pronostici in sé, concentriamoci sulla presenza di calciatori polacchi nelle rose dei club italiani, al solito sempre molto folta. Sebbene si siano persi però molti campioni o giocatori „normali” rispetto agli ultimi anni, la rappresentanza biancorossa nel massimo campionato italiano è sempre spiccata. Il calciomercato è ancora aperto per tutto agosto, e dunque i trasferimenti non sono finiti. Gli ultimi giorni, in particolare, sono sempre i più caldi, e spesso regalano sorprese. Chissà dunque quanto potrà variare questo elenco in questo pur breve lasso di tempo. 

Partiamo con l’Atalanta, per ordine di importanza, ehm … alfabetico, che schiera tra le proprie fila il forte rappresentante della nazionale (con anche cittadinanza italiana) Nicola Zalewski, ex Roma prelevato dall’Inter, dove ha giocato la seconda parte della scorsa stagione. Al suo esordio contro il Pisa domenica sera a Bergamo è stato senza dubbio uno dei migliori degli orobici, un motorino costante sulla fascia sinistra, un giocatore con margini di crescita importanti e che personalmente adoro. Lo vidi la prima volta dal vivo in nazionale nel 2022 a Varsavia nel doppio match con Belgio e Paesi Bassi di Nations League, e mi fece un’impressione pazzesca. E ora anche all’esordio con la Dea, e lo ho davvero apprezzato. 23 anni, una bella speranza per club e Polonia.  

A difendere i pali del Bologna c’è sempre il solito e solido Łukasz Skorupski, anche lui giocatore della rappresentativa biancorossa, ed ora il massimo esponente polacco del ruolo in Italia dopo gli anni della „saracinesca” juventina (e prima romanista) Wojciech Szczęsny. Sul piede di partenza, invece, il talentuoso centrocampista Kacper Urbański, già girato in prestito nella seconda metà della scorsa stagione. Per il detto ordine alfabetico, è dunque il turno di Inter e Juventus, con due dei giocatori polacchi più importanti nella storia recente della Serie A: Piotr Zieliński e Arkadiusz Milik, entrambi affermatisi con il Napoli, ed ora l’uno nerazzurro e l’altro bianconero. Per il centrocampista e l’attaccante la speranza è quella di vederli più spesso in campo, senza gli infortuni (soprattutto nel caso di Arek…) che ne hanno limitato l’impiego, per il primo più nell’ultimo anno, per il secondo tristemente con costanza nella carriera.

E a proposito di infortuni (purtroppo), con la maglia del Lecce non si è praticamente mai visto, lo scorso anno, Filip Marchwiński. Il talento scuola Lech Poznań, 15 anni di esperienza tra giovanili e prima squadra, aveva accesso su di sé i riflettori con un gran precampionato. Un limitato/nullo impiego iniziale, seguito da noie fisiche e dalla rottura del legamento crociato più tardi a gennaio, gli hanno sostanzialmente fatto perdere la stagione in toto. Proseguiamo e, ironicamente e sfortunatamente ripeto, è il turno di un altro giocatore che ha avuto a che fare con seri problemi fisici, ossia l’attaccante del Parma Adrian Benedyczak. Nelle fila dei ducali sin dal 2021 e decisivo per il ritorno in Serie A del 2023/2024 con 10 gol in Serie B, non sta ancora riuscendo a brillare nel massimo campionato, nonostante una qualità indiscussa.

Interessante acquisto per la Roma, che si è assicurata il giovane portiere classe 2006 Radosław Żelezny, che dopo le esperienze con Primavera e Under 17 della Juventus, è stato prelevato a parametro zero dai capitolini. Ma anche un altro giovane è in arrivo nella capitale, sempre sponda giallorossa, che sembra aver avuto la meglio sulla concorrenza di diversi club. Si tratta infatti del giovane difensore classe 2005 Jan Ziółkowski del Legia Varsavia, un colpo interessante per rinforzare la retroguardia. Ormai un volto noto del campionato è invece il nuovo difensore del neopromosso Sassuolo Sebastian Walukiewicz: il centrale, che vanta un gol in nazionale e ha preso parte a Euro 2024 pur senza scendere in campo, è alla sua quarta compagine italiana dopo Cagliari, Empoli e Torino. Infine, nella zona centrale del campo, un bel rinforzo di spessore per l’Udinese, sempre con un calciatore nel giro della rappresentativa „biało-czerwony”, ossia Jakub Piotrowski. Da pochissimo (ufficialità arrivata questo martedì pomeriggio poco dopo le ore 14) lo ha raggiunto anche l’attaccante Adam Buksa, anch’egli frequentatore della nazionale, classe 1996 con una buona esperienza internazionale. Non si tratta del primo Buksa in Serie A, visto che il fratello minore Aleksander (2003), ora in Ekstraklasa, 4 anni fa ha vestito la casacca del Genoa, non riuscendo però a ripetere quello che è stato uno degli exploit recenti, in generale e non solo polacco, più travolgenti degli ultimi anni in A e in Europa: Krzysztof Piątek.

Ultima nota per segnalare la partenza di due giocatori che ormai rappresentavano due colonne per la Polonia nel campionato di Serie A, dove hanno militato per tante stagioni; sarà infatti strano non trovare più i nomi di Karol Linetty e Paweł Dawidowicz nei listoni, al termine dei loro contratti con Torino e Hellas Verona.

Pattuglie polacche nelle maggiori città italiane

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Anche quest’anno si è ripetuta l’iniziativa di coordinamento tra forze dell’ordine italiane e polacche. In questi giorni a Venezia a supporto della stazione dei Carabinieri di San Zaccaria ci sono i poliziotti Jacek Borsuk (grado: aspirant) e Katarzyna Pilipiuk (grado: młodszy aspirant) che hanno già avuto modo di supportare una famiglia polacca in vacanza nel veneziano.

“Queste iniziative di interscambio forze avvengono da anni, anche con altri paesi, come la Francia ad esempio. In Italia” spiega il generale dei Carabinieri Marco Aquilio “accogliamo esponenti di forze dell’ordine straniere nelle maggiori località turistiche italiane come Roma, Napoli, Firenze, Milano e appunto Venezia. E per Venezia la polizia polacca ha scelto di mandare due poliziotti che hanno anche competenze di controllo nautico”. Borsuk ha infatti esperienza nei laghi attorno a Lublino e Pilipiuk fa servizio regolare lungo la Vistola a Varsavia.

A celebrare questa collaborazione di forze dell’ordine, che viene ricambiata dalla presenza di Carabinieri a Cracovia, il 22 agosto c’è stato un informale incontro presso la splendida Stazione dei Carabinieri di San Zaccaria, cui hanno partecipato il generale dei Carabinieri Marco Aquilio, il tenente colonnello Giuseppe Battaglia, i poliziotti polacchi Borsuk e Pilipiuk, il console polacco a Venezia Marco Ferruzzi Balbi e il direttore di Gazzetta Italia, unico media italo-polacco, Sebastiano Giorgi.

La Vuelta, storica partenza dall’Italia: da Torino a Madrid, 3 super settimane di ciclismo

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Jasper Philipsen vince in volata la prima tappa a Novara

Testo e foto: Alberto Mangili

 

La più celebre corsa ciclistica di Spagna e tra le più importanti al mondo, la Vuelta, festeggia la sua edizione numero 80 con quattro tappe in partenza eccezionalmente dalla nostra Italia. Lo stesso accadde per il Tour de France lo scorso anno, con altrettante frazioni in partenza dal Bel Paese. 

Allora presenziai alla seconda giornata sul salitone del San Luca a Bologna, il 30 giugno 2024, e da grande fan di ciclismo eccomi dunque qui per il primo storico arrivo della corsa spagnola in Italia, sul traguardo di Novara. La corsa è partita nella mattinata di sabato 23 agosto da Venaria Reale, Torino, per una lunghezza di circa 180 kilometri.

Ah, per chi se lo fosse perso, ho recentissimamente seguito e raccontato tutto il Tour de Pologne, tra il 4 e il 10 agosto, una meravigliosa settimana di sport tra scenari mozzafiato, dalla grande partenza di Wrocław, passando per le montagne di Karpacz e Bukowina Tatrzańska, per arrivare infine al finale di Wieliczka.

Tanti ciclisti che hanno preso parte alla 7 giorni polacca sono ai blocchi di partenza della 21 giorni spagnola. 18 gli italiani al via, tra cui Antonio Tiberi e Matteo Sobrero, entrambi a podio nel „Polonia”, e i 2 polacchi Stanisław Aniołkowski e Michał Kwiatkowski, che non avevano portato a compimento il Tour.

Ecco di seguito dunque l’elenco completo con anche le squadre di appartenenza degli atleti delle nostre nazioni.

Andrea Bagioli, Giulio Ciccone (Lidl –Trek), Giovanni Aleotti, Giulio Pellizzari, Matteo Sobrero (Red Bull – Bora – Hansgrohe), Gianmarco Garofoli (Soudal Quick-Step), Filippo Ganna (Ineos Grenadiers), Luca Vergallito (Alpecin-Deceuninck), Antonio Tiberi, Nicolò Buratti, Damiano Caruso (Bahrain – Victorious), Nicola Conci, Lorenzo Fortunato, Fausto Masnada (XDS Astana Team), Alessandro Verre (Arkeá – B&B Hotels), Simone Petilli (Intermarché – Wanty), Elia Viviani (Lotto), Marco Frigo (Israel – Premier Tech), Michał Kwiatkowski (Ineos Grenadiers), Stanisław Aniołkowski (Cofidis).

Se per me e i miei amici la giornata è stata un’ottima scusa anche per visitare Novara e mangiare degli ottimi piatti, per tutti gli atleti in gara è solo il preludio a ben tre settimane di fatica e sacrificio come detto, che culmineranno con l’arrivo a Madrid il 14 settembre, dopo oltre 3000 kilometri e quasi 24000 metri di dislivello totale. Addirittura dieci gli arrivi in salita e due le cronometro. Dopo la Torino-Novara odierna, domani partenza da Alba e arrivo a Limone Piemonte, mentre lunedì il percorso prevede partenza da San Maurizio Canavese e arrivo a Ceres. Martedì lo sconfinamento in Francia, con la quarta tappa Susa-Voiron, prima del passaggio effettivo in Spagna (in aereo).

Grandissimo favorito per la vittoria finale, e con tutti gli occhi puntati addosso, l’alieno della Visma – Lease a Bike Jones Vingegaard: nonostante la presenza di grandi campioni, il danese (che è più di un campione …) è chiamato a una grande Vuelta, dopo un pur ottimo Tour de France, non abbastanza però da aver avuto la meglio sul grande rivale Tadej Pogačar.

Per quanto concerne l’arrivo di Novara della prima tappa, forse l’unica del programma davvero cucita a misura dei velocisti, la vittoria è andata, senza troppe sorprese o ribaltamenti di pronostici, al belga della Alpecin-Deceuninck Jasper Philipsen.

Oltre alla prima maglia rossa ben indossata dal superl favorito, bene anche gli italiani Elia Viviani, quarto in generale, e Alessandro Verre, con la momentanea maglia di miglior scalatore. Entrambi erano presenti al già detto Tour de Pologne.

Ultima postilla finale, ho scritto il paragrafo con il pronostico della tappa odierna mezz’ora prima dell’arrivo, promettendomi di andare a Madrid in caso di errore. Anche se non si sarebbe trattato nel caso certamente di una crudele punizione o di un insormontabile sacrificio, pericolo scampato 🙂

Il gusto del cioccolato digitale, perché i libri cartacei hanno il “sapore del cioccolato vero”?

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traduzione it: Anna Zalewska

Alle 5:00 del mattino suona la sveglia digitale sul telefono; dalle 7:00 usiamo laptop e telefono, a volte entrambi, tablet e diversi monitor. Quattro caricatori. Posta elettronica, social media, giornali on-line, consigli online, acquisti su un unico schermo. Un diluvio di informazioni. Spesso scritte in fretta, in modo provocatorio, che si mescolano in rete con articoli di qualità.

Su Internet non cerchiamo quasi nulla da soli, cerco per ore, perché non esiste una scorciatoia. In rete c’è tutto, così tanto che il dosaggio di questa conoscenza dipende dalla qualità del posizionamento. Cerco contenuti utili in un Internet sconfinato, tra notizie e post di poco valore (circondati da pubblicità e consensi ai cookie). C’è qualcosa di assuefacente e coinvolgente in tutto questo, in qualsiasi momento della giornata, assorbire tutti quei colori che a volte colorano la realtà, può anche far sentire più felici. Per un attimo. Vedo una certa dipendenza. Mia figlia, quando guarda gli schermi, è molto più incline alla rabbia, all’irritazione, rispetto a quando le interrompo la lettura di libri di carta. La nostra razionalità di adulti tiene a bada i nervi, se veniamo interrotti dalla lettura su Internet non ci irritiamo immediatamente, ma ci sentiamo comunque più agitati e impazienti. Un’altra dipendenza, più preoccupante, è questa: via via che diminuisco la lettura di giornali e libri su carta, e sempre più li sfoglio in formato digitale, meno so. Davanti al laptop non riesco a concentrarmi sul contenuto come quando tengo la carta tra le mani. È come se guardassi, ma non vedessi.

La scrittura a mano è mille volte più preziosa e coinvolgente dei like, c’è qualcuno al mondo che possa negare questa magia?

Ho chiesto alla mia bambina di dieci anni cosa la convince a stare a letto con il naso immerso nei fumetti di carta, e a correre sul divano al mattino per leggerli. “Qui tutto è come vorrei, posso immaginare il mondo della fiaba che leggo, e nessuno decide per me cosa deve succedere. Non devo controllare il livello di carica del mio telefono. I libri non si rovinano sulla spiaggia per la sabbia, non si rompono. Mamma, leggendo i libri non mi fanno male gli occhi, posso leggerli anche in aereo”.

Un ottimo articolo, un libro è ore di scrittura, ispirazione, estro, non ci sono parole messe a caso, non conta l’analisi della popolarità delle parole su Google. C’è anche un elemento di gioco, arte, il piacere di possedere qualcosa di magico tra le mani. Ha un inizio e una fine, e dentro c’è una sorpresa racchiusa in una copertina curata con attenzione. 

E quando ti rendi conto che l’ordine delle pagine non è casuale, ti chiedi quante altre sorprese ci siano ancora da scoprire. Avete notato che nelle versioni cartacee anche le pubblicità sono carine? Incastonate sottilmente tra le pagine accuratamente selezionate.

Leggere su carta è un piacere che da anni sta lentamente scomparendo. Se facessimo un passo indietro, aprissimo un libro, entrassimo in una biblioteca, ci ricorderemmo cosa significava davvero. È difficile staccarsi dal mondo online quando tutto il mondo è sotto al pollice, veloce… Ma dove corriamo così tanto? La sera resta un vuoto: cosa abbiamo ricordato di tutta la giornata e cosa rimarrà impresso nella memoria, oltre agli occhi che bruciano?

Una serie di fumetti perfettamente curata e splendidamente illustrata

Da dove nasce questa impazienza? Nel libro, voltando pagina passo dopo passo, cerchiamo di capire, la concentrazione arriva da sé. Il ritmo lo decidiamo noi, ciò che leggiamo lo ricordiamo.

“Guardare la televisione è invece un’attività così banale che non è mai stata riscontrata una difficoltà a farlo da parte di nessuno. Dopotutto, la scrittura è la base della civiltà…” Questa citazione appare in molte pubblicazioni online (nomen omen, è proprio quello di cui parlo: su Internet c’è una ripetitività drammatica dei contenuti, a volte è difficile capire chi ha copiato da chi). È però una citazione molto azzeccata, che si può riferire non solo ai video, ma anche a gran parte dei contenuti pubblicati in rete. La carta non è vulnerabile alle pubblicità e grazie ai testi ben scritti abbiamo un vocabolario più ricco che ci permette di esprimerci liberamente, con leggerezza e senza errori. Serve così poco per diventare più intelligenti.

Come autrice di un blog seguo alcuni siti piacevoli e vedo che solo pochi riescono a mantenersi senza pubblicità. Un tempo c’erano bellissime foto artistiche, tanto testo, a volte non riuscivo più a distinguere tra un libro e le storie che leggevo nei post. Nei libri questo si è preservato in quanto sono senza tempo e manca poco al loro tornare di moda, perché la classe non passa mai.

Raoul Bruni: Varsavia, città che non lascia indifferenti

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Raoul Bruni, professore associato all’Università Cardinale Stefan Wyszyński di Varsavia – dove ha diretto la cattedra di Letteratura Italiana tra il 2021 e il 2022 – è uno dei personaggi di riferimento nel panorama intellettuale italiano in Polonia. Autore di numerose pubblicazioni e membro del comitato scientifico del Centro Nazionale Studi Leopardiani, ha dedicato la maggior parte del suo impegno a Leopardi e alla sua eredità letteraria e filosofica. 

Uno studioso i cui imperscrutabili destini di vita, dopo gli studi a Firenze e il dottorato all’Università di Padova, hanno portato sulle rive della Vistola.

Come molti italiani, sono banalmente arrivato in Polonia a causa di una relazione sentimentale. Ho iniziato a lavorare qui insegnando prima alla SWPS di Varsavia e poi all’Università Pedagogica di Cracovia e poi. 

Il contatto con la Polonia cosa ha portato al tuo approccio alla letteratura?

Il vivere in questo Paese ha sicuramente arricchito il mio sguardo sulla letteratura. Varsavia in particolare mi ha influenzato. Una città, ricostruita da zero, che trovo interessante, moderna, stimolante, piena di librerie e con una scena letteraria più viva di quella di molte città italiane, basta vedere il pubblico che attira un reading di poesia. Varsavia non lascia indifferenti. Così ho trovato naturale approfondire le relazioni letterarie tra Italia e Polonia, e se gli autori polacchi in Italia sono studiati in modo soddisfacente credo invece si debba approfondire di più la ricerca sugli italiani, scrittori e giornalisti, in Polonia. Mi riferisco ad esempio al soggiorno di Curzio Malaparte a Cracovia e Varsavia durante la Seconda Guerra Mondiale in cui scrive pagine che confluiscono nel romanzo Kaputt, la cui traduzione in polacco ha raccolto un certo successo. E poi altri scrittori come Guido Piovene che scrisse cronache dalla Polonia del dopoguerra per il Corriere della Sera, articoli di cui sto curando una prossima pubblicazione. 

Sei stato il primo ad organizzare un convegno su Leopardi in Polonia. Esiste secondo te un aspetto particolare che caratterizza il recepimento di questo autore in Polonia?

A differenza di altri Paesi qui in Polonia Leopardi è poco conosciuto. Autore che tra l’altro in Italia, anche grazie ad un film di successo e una recente serie tv ha accresciuto la sua popolarità. Di Leopardi in Polonia ci sono alcuni importanti studi e traduzioni di Joanna Ugniewska, Jarek Mikolajewski e Stanisław Kasprzysiak grazie ai quali alcuni poeti polacchi, come Zagajewski, si sono interessati all’autore dell’Infinito, ma non c’era mai stata a livello universitario un’iniziativa di studi dedicata a Leopardi. Il convegno che ho faticosamente realizzato, grazie ad un generoso supporto dell’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia, ha cercato di aprirsi ad un pubblico popolare con anche un panel di poeti e studiosi polacchi con traduzione simultanea. In sintesi possiamo dire che di Leopardi c’è una ricezione abbastanza confinata al mondo accademico, si sente il bisogno di una maggiore attività di ricerca e sicuramente di una maggiore diffusione delle opere di Leopardi, ad esempio la traduzione polacca delle “Operette morali” è fuori pubblicazione e la copia della Biblioteca Universitaria di Varsavia è consumata… Sono comunque contento della ricaduta del convegno di altre iniziative leopardiane che ho organizzato qui a Varsavia, come un recente incontro sull’edizione polacca dell’epistolario che ha perfino conquistato spazio sulle pagine della cultura del Corriere della Sera.

Hai insegnato a Padova prima di trasferirti in Polonia, hai trovato differenze nell’approccio con gli studenti polacchi?

Bisogna sottolineare la grande attenzione che c’è in questo Paese verso l’Italia in generale, studio della lingua incluso. Un’attenzione confermata anche dal successo della vostra Gazzetta Italia. A Varsavia un po’ in tutti i quartieri si notano insegne di scuole che insegnano l’italiano, il che significa che c’è mercato e, anche a livello universitario, le facoltà di italianistica sono sorprendentemente numerose. È pur vero che oggi la laurea in italianistica, lavorativamente parlando, ti apre più porte in Polonia che in Italia. Per quanto riguarda il livello degli studenti in genere sono soddisfatto, sono molto preparati sul piano linguistico, hanno un primato quasi europeo di competenza linguistica. Noto meno interesse verso la letteratura, ma è un fenomeno generale. 

Qualche strategia per aumentare l’attrattività della materia?

Spiego la letteratura cercando di collegarla all’attualità. Ad esempio Leopardi è un autore che appare oggi più contemporaneo di molti autori contemporanei, ha sempre avuto sguardo profetico tanto da progettare una “lettera a un giovane del ventesimo secolo”. E poi l’Italia, come la Polonia, non si può capire se non attraverso la letteratura. L’Italia, come anche la Polonia, fu divisa per secoli in vari Stati e ha sviluppato una unità culturale e linguistica soprattutto attraverso la letteratura: Dante, Petrarca, Machiavelli cardini di una cultura e di una lingua quando ancora non c’era un Paese. E per tornare a Leopardi il suo “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani” è il testo forse più attuale e acuto su l’Italia moderna.

L’Intelligenza Artificiale è come un meteorite che piove sul sistema didattico?

I cambiamenti sono forieri sia di opportunità che di rischi. L’Intelligenza Artificiale, come spesso capita alle innovazioni, da alcuni viene vista come l’Apocalisse. Io non sono né tra gli entusiasti né tra gli apocalittici, credo piuttosto che come ogni novità tecnologica vada gestita in modo intelligente. Certo noi insegnanti dobbiamo prendere atto che potrebbe stravolgere il valore degli scritti degli studenti, bisogna trovare il modo di renderla compatibile con lo studio, magari è l’occasione per rivalutare le prove orali. 

Non metterà in crisi la professione del traduttore?

Ho tradotto dei testi con l’AI e posso dire che non sono certo paragonabili al lavoro di un professionista. L’Infinito di Leopardi, ma anche tante metafore del linguaggio comune, non sono traducibili digitalmente. Al contrario l’Intelligenza Artificiale può rivelarsi uno strumento che agevola e potenzia il mestiere del traduttore che può fare molto di più in meno tempo. Infatti tra i miei amici traduttori nessuno è particolarmente preoccupato di perdere il lavoro. 

L’italiano, nonostante il suo utilizzo sia sostanzialmente limitato al Bel Paese, rimane una delle lingue più studiate. È troppo romantico sostenere che lo studiano per il suo valore culturale?

No, non lo è. L’Italia ha un patrimonio culturale immenso e declinato in tutte le arti e le professioni, la conferma viene dal fatto che lo studio dell’italiano a volte diventa l’hobby o la passione per chi ha già alle spalle un certo percorso di vita, ci capita infatti d’avere studenti quarantenni che credo siano anche tra i maggiori fruitori dei corsi dell’Istituto Italiano di Cultura e delle scuole private.

In “Passato e Presente”, programma di RAI Storia che adoro, il grande Paolo Mieli chiede sempre agli intervistati di suggerire tre libri, tu quali consiglieresti per avvicinare chi parla italiano alla nostra letteratura?

Comincio con un classico: “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo. Capolavoro della letteratura novecentesca italiana scritto da chi usava l’italiano come seconda lingua e in una città di cultura mitteleuropea come Trieste. Poi consiglio di leggere qualche libro di Carlo Ginzburg, storico e saggista che è anche un grande narratore. Infine vorrei suggerire la lettura di un romanzo appena uscito di un autore che varrebbe la pena tradurre: “Il detective sonnambulo” di Vanni Santoni (Mondadori). 

In chiusura qualche pillola della cultura polacca che vivendo in questo Paese hai apprezzato?

Nonostante mi sia difficile leggere bene in polacco da quando sono qui ho approfondito la lettura di un grande poeta come Zbigniew Herbert, autore di un magistrale libro in prosa sull’Italia non ancora tradotto da noi, e poi in ambito cinematografico apprezzo molto Paweł Pawlikowski.

Tour de Pologne, due italiani a podio con Re McNulty, altri 3 in top 10, la festa di Majka: il successo e le emozioni di una grande corsa

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Il podio finale del TdP 2025: 1 McNulty (USA), 2 Tiberi (Italia), 3 Sobrero (Italia)

Testo e foto: Alberto Mangili

 

Sembra passato davvero pochissimo dalla grande presentazione di Wrocław di domenica 3 agosto, o dalle primissime tappe di inizio settimana, ed invece l’edizione numero 82 del Tour de Pologne, prestigiosa competizione ciclistica del circuito UCI World Tour, è già un ricordo. Con la settima tappa di ieri, domenica 10 agosto, alle celebri Kopalnia Soli di Wieliczka, si è dunque chiusa una 7 giorni di grande sport, passione e partecipazione. A consegnare il proprio nome alla storia è stato l’americano della UAE Emirates Brandon McNulty, autentico specialista a cronometro (ex campione del mondo a livello giovanile nel 2016), conquistando tappa e classifica generale.

Facciamo un rapido passo indietro, per giusti doveri di cronaca, andando per un attimo prima a raccontare le tappe del venerdì e del sabato, il preludio all’atto finale. Nella quinta tappa del venerdì, la più lunga dell’intero programma con oltre 206 km, il tragitto prevedeva partenza da Katowice ed arrivo a Zakopane, un comunque difficile antipasto della tappa regina sui Tatra dell’indomani. Svanito il tentativo di fuga nel finale tra Jan Christen (UAE Emirates) e l’italiano Alberto Bettiol (Astana), una volta ricompattatosi il gruppo a spuntarla è stato il britannico della Visma – Lease a Bike Matthew Brennan, con uno scatto devastante per potenza e lunghezza: partito da lontanissimo, si è lasciato tutti alle spalle, in primis il connazionale della Ineos Ben Turner, secondo anche il giorno precedente ma trionfatore in quello prima ancora.

Sabato 9 agosto scocca dunque l’ora della pura montagna, una tappa pronta a riservare difficoltà a tutti, nessuno escluso. Nemmeno a me, pur non dovendo correrla, ma anche solo raggiungere Bukowina Tatrzańska quella mattina, con la chiusura delle strade, sembrava davvero arduo. Dopo aver preso un altro mezzo di fortuna per un tratto, ma in seguito quasi rassegnato a dover raggiungere l’Hotel Bukovina, teatro della partenza, a piedi per un ultimo bel pezzo (1 ora e mezza!), riesco con il mio pur non super fluente polacco, ma onesto, a chiedere a un poliziotto se ci fosse un mezzo dell’organizzazione, uno sponsor, ambulanza, o perfino la polizia stessa, che salisse sull’ultimo lungo pezzo di strada chiuso verso la partenza. Ed ecco che per caso, pochi momenti dopo, passa una ragazza, proprio di uno sponsor, che mi porta dunque in cima e mi regala anche l’ulteriore esperienza di attraversare il traguardo della tappa in macchina.

Grazie a lei, e al poliziotto, non mi perdo dunque l’ultima cerimonia delle firme, visto che la prassi per la cronometro dell’indomani segue un protocollo differente. Come tutti gli altri giorni, vedere da così vicino i corridori, le bici, e quant’altro, è un’emozione incredibile e un grande privilegio. Bisogna mantenere tuttavia una professionalità. Un saluto o persino una chiacchiera con gli atleti è sacrosanta per carità, pur rispettando la concentrazione e tutto quanto concerne le fasi antecedenti a una gara. Per la sola e unica volta in tutta la settimana, però, mi sono concesso (o meglio, fatto concedere) un selfie con un corridore. Chi? Lo scopriamo alla fine dell’articolo.

 

Ora invece andiamo subito alla fine della sesta tappa, come detto montuosa, la più difficile, e la selezione è inevitabile. La maglia gialla Lapeira (buon corridore, ma certo non al livello dei top, con tutto il rispetto del mondo) crolla, ed il successo finale sembra cosa ormai fatta per Brandon McNulty (UAE Emirates), forte di un largo vantaggio, ma accade l’impensabile, con una rimonta senza senso del monegasco Victor Langellotti (Ineos Grenadiers), che divora l’americano nel finale e si prende tappa e maglia gialla di leader. Nelle centinaia e centinaia e centinaia di gare che ho visto, fatico a rammentare un arrivo del genere: vedere per credere. Meriti dell’uno, demeriti dell’altro, la sostanza non cambia. Langellotti ride, nelle vesti tradizionali locali, McNulty è imbronciato. Ma ci sono solo 7 secondi a dividerli in classifica, e al terzo posto momentaneamente c’è l’italiano Antonio Tiberi (Bahrain Victorious) a +20: con questa situazione l’atleta UAE gode senza ombra di dubbio dei favori del pronostico dell’indomani.

 

Domenica 10 agosto: il gran finale. Wieliczka, cronometro, con tutti i corridori rimasti (116 da distinta ufficiale) a giocarsi al proprio meglio i 12,5 km del tracciato attorno alle Miniere di sale. Alle ore 14.11 apre le danze la leggenda colombiana della Movistar Fernando Gaviria, ultimo in quel momento nella generale, e via secondo classifica tutti gli altri, con un corridore al minuto. Per gli ultimi 10 a partire, ossia i migliori 10 nella graduatoria generale, lo stacco l’uno dall’altro è di due minuti. L’ultimo ad affrontare il percorso è pertanto Langellotti, prima di lui McNulty, prima ancora Tiberi e così via. Sestultimo blocco di partenza per Rafał Majka (UAE Emirates), alla sua ultima pedalata al Tour de Pologne. Dati alla mano, a registrare il miglior tempo è dunque l’americano Brandon McNulty, e con il ritardo di Langellotti che ben supera i secondi di vantaggio di cui godeva in classifica generale, il corridore a stelle e strisce è ufficialmente il vincitore della settima tappa e del Tour de Pologne 2025, edizione numero 82. Menzione d’onore gigantesca per Lorenzo Milesi della Movistar, protagonista anche nella seconda e terza tappa, con il miglior tempo che è durato quasi fino alla fine: d’altronde parliamo di un italiano che è stato campione del mondo U23 a Glasgow nel 2023 a cronometro. Terzo tempo per un altro italiano, Matteo Sobrero della Red Bull – Bora – Hansgrohe.

 

Tempo di premiazioni e della grande cerimonia finale. Detto del podio della tappa del giorno, il podio della classifica generale vede un’unica variazione, con uno switch tutto italiano tra Milesi e Tiberi (quarto nella cronometro). Nella top 10 generale figurano altri tre italiani: sesto Alberto Bettiol (Astana), settimo Marco Frigo (Israel – Premier Tech) e decimo Filippo Zana (Jayco AlUla). Per quanto concerne le altre classifiche, la maglia di combattivo va al polacco Patryk Stosz (Team Polonia), quella di miglior scalatore al belga Timo Kielich (Alpecin Deuceninck) e quella a punti al britannico Ben Turner (Ineos Grenadiers).  Piccola parentesi: non so quanto champagne sotto al palco ho assorbito (o meglio, i miei vestiti e il mio zaino, finito anche lui dritto in lavatrice) per i festeggiamenti dei vincitori ad ogni tappa, ma da quest’ultimo, Ben Turner, ho ricevuto addirittura anche il tappo. Con una traiettoria balistica che ancor non mi spiego, ma si vede bene nei video a proposito, è riuscito infatti a centrare con la stappata il tettuccio del palco, ed ecco che il tappo è rimbalzato nei miei pressi e, in due tempi, l’ho preso.

 

Altri tre riconoscimenti poi in casa UAE Team Emirates XRG, con il premio di miglior squadra, quello di miglior giovane allo svizzero Jan Christen e al miglior corridore piazzato polacco Rafał Majka, protagonista assoluto di un tributo, con tante interazioni, con un video mostrato sul maxischermo, e con lui la famiglia e un pubblico di appassionati che lo ha sempre seguito, amato e ringraziato con un calore ancora superiore a quello del sole cocente della domenica “Wieliczkiana”. A proposito di UAE, un pensiero speciale a Filippo Baroncini, promettentissimo talento italiano coinvolto nella grande caduta della terza tappa a Wałbrzych. Pesante il bollettino medico, con diversi brutti infortuni che lo terranno per un po’ fuori dai giochi, ma siamo sicuri lo rivedremo più forte di prima. Forza Fili!

Conclusioni. Sono molto contento di aver vissuto questa esperienza, ma non voglio dilungarmi oltre con altre parole o sensazioni esclusivamente personali. Manca però un’ultima cosa da raccontare, che ho accennato, ossia quel selfie. Mi ero detto che, pur avendo la possibilità di vedere da pochissimi centimetri i corridori, addirittura toccarli con una stretta di mano o un saluto, fotografarli e “studiarli”, avrei voluto una sola e unica foto con uno di loro, con il vincitore del Tour. Farlo a giochi fatti, però, non lo so, forse avrebbe avuto un sapore meno particolare. Perciò ho “scommesso” la mattina del penultimo giorno, prima del tappone di montagna. Ok, non era un pronostico impossibile, lo avevo anche messo tra i favoriti nel primo articolo, però è un ulteriore aspetto simpatico che mi strappa un sorriso nel ripensare a questa fantastica esperienza. Per strappare un sorriso (mezzo?) a McNulty, invece, ragazzo sempre pacatissimo nei modi e professionista serio, è servita nientemeno che la vittoria di un meraviglioso Tour de Pologne 2025. Ultima nota, lo spettacolo del ciclismo sulle strade polacche non termina qui, poiché tra il 12 e il 14 agosto sarà la volta del Tour de Pologne Women.

Sulle mostre di pittura di Marta Czok in Polonia. In Memoriam

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Testo: Henryka Milczanowska

Traduzione in italiano e foto: Wojciech Wróbel

 

In Memoriam è il titolo della mostra di pittura presentata alla Galleria dell’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia, dedicata alla pittrice italo-britannica di origini polacche Marta Czok, scomparsa nel febbraio di quest’anno. La mostra è un omaggio postumo all’artista e una retrospettiva completa della sua opera. I curatori della mostra sono Henryka Milczanowska e Jacek Ludwik Scarso, mentre gli organizzatori sono la Fondazione dell’arte polacca e migrante, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia e la Fondazione Marta Czok di Roma. L’evento ha avuto ampia risonanza nei media polacchi e italiani, che hanno sottolineato la forza espressiva e il coraggio dei temi affrontati nelle opere presentate.

La prima mostra dell’artista si è tenuta nel 2017, su invito dell’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia, anche in collaborazione con la Fondazione dell’arte polacca e migrante. Nell’aprile 2020, al Museo della Caricatura di Varsavia è stata inaugurata la seconda mostra dell’artista dal titolo “E questo lo chiami arte?”. In quell’occasione sono stati presentati 30 dipinti, mentre la terza mostra si è tenuta nel luglio dello stesso anno al Centro Incontro delle Culture di Lublino. Le successive mostre sono state presentate nel 2022 e nel 2023, rispettivamente nelle gallerie di Breslavia, Łódź e Konstancin-Jeziorna, vicino a Varsavia. Va sottolineato che si è trattato di presentazioni particolarmente importanti, sia dal punto di vista artistico, sia per il tema personale e i legami familiari dell’artista. Considerando il momento e il luogo della sua nascita – nel 1947 a Beirut, in Libano, e il percorso bellico del II Corpo dell’Esercito Polacco, in cui prestavano servizio i suoi genitori Jadwiga e Józef Czok – ci troviamo di fronte a una situazione insolita: Marta Czok non ha conosciuto la Polonia. Nella sua memoria, l’infanzia è stata caratterizzata da continui spostamenti, dall’emigrazione della famiglia dal Libano attraverso l’Italia fino alla Gran Bretagna, dove ha trascorso i suoi primi anni di vita nella periferia di Londra, vivendo la difficile situazione economica di una famiglia di emigranti. È cresciuta in un ambiente di cultura, lingua e letteratura polacche. Le immagini dell’infanzia sono rimaste profondamente impresse nella memoria della futura pittrice e, dopo anni, sono tornate più volte nelle sue opere. Ha studiato alla prestigiosa St. Martin’s School of Art di Londra, dove ha ottenuto il successo con le sue prime mostre, tra cui quella alla Royal Academy di Londra. Ulteriori successi espositivi sono arrivati in Italia, dove si è trasferita con il marito a metà degli anni ’70. Le mostre in musei e gallerie di tutto il mondo, accompagnate da numerose pubblicazioni di cataloghi e album, contenevano informazioni biografiche in cui sottolineava con forza la sua origine polacca.

Nella foto, da sinistra: Direttore dell’IIC di Cracovia Matteo Ogliari, Henryka Milczanowska, Jacek Ludwik Scarso

La pittura di Marta Czok può essere suddivisa in due aree tematiche, che ci aiutano a orientarci nelle sue rappresentazioni multiforme. La prima area è quella della famiglia, dell’infanzia e dei giochi, la seconda quella delle forme metaforiche e dei riferimenti alla storia dell’arte e all’attualità socio-politica mondiale. In questi ambiti tematici dominano due correnti: la prima, satirica, che permette all’artista di esprimersi senza inibizioni e di fare critica socio-politica, e la seconda, come lei stessa la definisce, più leggera, che le permette di interpretare liberamente i ricordi d’infanzia, in cui la narrazione, spesso simbolica e grottesca, ma allo stesso tempo semplice e chiara, ruota attorno alla vita nella Londra bombardata durante la guerra. Va tuttavia sottolineato che l’artista ha sviluppato questo secondo filone, in cui i protagonisti sono i bambini, utilizzando simboli tratti da fiabe e leggende o inserendo nella narrazione giocattoli infantili, ai quali attribuiva ruoli seri e adulti. Particolarmente degne di nota sono le scene con molti personaggi sullo sfondo dell’architettura urbana, in cui Czok evocava i ricordi dei suoi primi anni a Londra. Guardare attraverso le finestre aperte delle case distrutte dalla guerra e prive di pareti era uno dei modi per soddisfare la curiosità infantile. Le scene di nascite, gli eventi solenni e occasionali, ma anche le attività quotidiane e ordinarie nella pittura di Czok assumevano qui il ruolo di una celebrazione speciale di ciascuno di questi eventi. Seguendo i protagonisti della sua storia pittorica, diventiamo involontariamente complici nel curiosare tra i vicini inglesi. I nostri occhi si spostano sui piani delle case piene di abitanti indaffarati. Non è esagerato pensare che in questo corso della vita possiamo sentire le conversazioni degli abitanti, il tintinnio delle stoviglie disposte sul tavolo o il rumore delle ruote del monopattino di una bambina con le treccine che osserva attentamente le persone che passa. Il bambino occupa un posto importante nella pittura di Marta Czok. Ad eccezione delle scene di genere, in cui le espressioni divertenti delle bambine tradiscono i loro scherzi, tutte le altre hanno ruoli molto importanti, sono espressione delle opinioni dell’artista, che proprio attraverso la figura dell’innocente bambino le esprimeva con fermezza e determinazione. Si dice che dovremmo imparare dalla storia, ma l’unica lezione che la storia ci insegna davvero è che non impariamo nulla, quindi le guerre continuano e le loro vittime principali sono sempre i bambini. La serie di 16 dipinti che ha presentato alla mostra intitolata “I bambini nella guerra e sulla Shoah” a Roma nel 2009 e a Padova nel 2011, è stata dedicata ai bambini polacchi ed ebrei deportati dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, la cui memoria è letteralmente andata perduta. I corpi dei bambini, espressivi nei disegni, sembrano sospesi su superfici grigie, nebbiose e piatte, e formulano il pensiero più ampio dell’artista, che vale la pena citare in questo contesto: … quando i bambini piangono, sono tutti uguali. Il mio tema, anche se è iniziato mezzo secolo fa nel mio paese natale, riguarda tutte le giovani vittime, chiunque esse siano, ovunque si trovino e, purtroppo, ovunque saranno.

Molti critici d’arte e recensori dell’opera di Marta Czok sottolineano il suo orizzonte interculturale e la sua visione multidimensionale della realtà, che unisce simbolismo, narrazione, emozioni e ironia. È impossibile non concordare con questa opinione, tanto più che l’artista stessa ha sottolineato più volte quanto sia importante nella sua pittura “seguire le orme” di artisti eccezionali, storicamente identificati con la grande arte delle epoche precedenti, sulla base delle quali ha reinterpretato il contenuto delle loro opere, adattando brevi slogan e commenti in modo ironico e scherzoso, ma in linea con la realtà contemporanea della nostra vita.

Indubbiamente Marta Czok possedeva una forte personalità, un senso di identità, coraggio e intransigenza. Secondo lei, il ruolo dell’artista è quello di esprimere le proprie preoccupazioni su ogni questione che riguarda l’uomo e la sua sicurezza nel mondo contemporaneo. Ricorrendo all’ironia e persino alla provocazione, sottoponeva le sue osservazioni a una riflessione esistenziale, riferendosi a temi quali la storia, la religione e anche la guerra, le cui conseguenze hanno influenzato la sua vita personale e familiare. Infrangendo tutti i modelli “politicamente corretti”, ha coraggiosamente sollevato questioni di moralità ed etica delle personalità più importanti del mondo. Ha toccato temi storici, mettendo in guardia dal sottovalutare gli eventi del passato che, come ciechi che corrono attraverso la vita, non notiamo.

Mostra: 18.06. – 31.08. 2025

Istituto Italiano di Cultura di Cracovia

Via Grodzka 49, Cracovia

 

* Il testo utilizza frammenti dell’articolo tratto dal catalogo della mostra intitolato “E questo lo chiami arte?”, scritto dalla curatrice della mostra Henryka Milczanowska.