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Strega Tour a Varsavia – quattro domande per cinque finalisti

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Sebastiano Giorgi e Agata Pachucy
Varsavia 17 giugno 2025

Il Premio Strega è un riconoscimento importante per la letteratura italiana. Cosa significa per voi essere finalisti in questo momento della vostra carriera?

Andrea Bajani: “Credo che chiunque cominci a scrivere senta il bisogno di esprimersi rifacendosi a dei modelli, ecco quei modelli a cui rifarsi in Italia li offre il Premio Strega. Vivo negli USA dove la cultura è relegata nei campus universitari e in certi ristretti circoli della borghesia, in Italia per fortuna ci sono iniziative come il Premio Strega che rendono popolare la letteratura anche tra chi non legge o tra i lettori occasionali. Magari un bambino si imbatte alla televisione sul vincitore del Premio Strega e sogna “ah anch’io vorrei essere un giorno come lui”. Aggiungo che lo Strega Tour da un lato, andando in giro a parlare dei nostri libri, affina incontro dopo incontro il nostro modo di proporci e dall’altro è per me una occasione di portare in giro complessità al posto della superficialità, storie al posto di minacce di guerra o di dazi”.

Paolo Nori: “Per me è una cosa singolare. Pubblico libri dal 1999, quindi sono 26 anni, e negli ultimi anni ho fatto parte della cinquina del Premio Campiello e adesso della cinquina dello Strega. Non ero mai stato neanche in dozzina. È stata una sorpresa, quando me l’hanno chiesto non ci pensavo. Io ci metto del tempo a capire le cose, quindi se mi fai questa domanda tra due anni ti darò una risposta bella, intelligente”.

Elisabetta Rasy: “Intanto c’è il piacere e l’onore di contribuire alla diffusione della lettura ed in particolare di opere di autori che alla letteratura dedicano il massimo impegno. Personalmente è poi una bella esperienza umana, sia la preselezione che poi con i finalisti sono state occasioni per fare amicizia e scambiare idee sulla letteratura. Frequentazioni che penso ci abbiano aiutati tutti anche a capire meglio il nostro lavoro sentendo parlare gli altri, all’inizio eravamo un po’ legnosi poi lo stare insieme ci ha aiutato ad approfondire ed esporre meglio quello che abbiamo dentro è stata una esperienza molto stimolante”.

Michele Ruol: “Per me è una grande sorpresa, perché questo è il primo romanzo che pubblico uscito con una casa editrice piccola, indipendente, che non era mai arrivata in cinquina. C’è molto stupore da una parte, gratitudine dall’altra per chi ha creduto, mi ha sostenuto e dato questa possibilità. È anche un’occasione per esplorare un mondo effettivamente nuovo che non conosco e ricco di incontri sia con gli altri scrittori, sia della cinquina che della dozzina, sia con i lettori. Lo Strega Tour ci sta portando anche in molti luoghi dove non ero mai stato come Varsavia. Anche questo è molto bello, incontrare persone, scoprire luoghi, parlare di libri, un’esperienza molto arricchente”.

Nadia Terranova: “È la seconda volta che sono finalista al premio Strega. Era successo sei anni fa con il mio secondo romanzo. All’epoca era tutto nuovo, inaspettato e quindi c’era un certo tipo di emozione che veniva dalla novità. Era una edizione turbolenta, non nel senso che andassero male le cose tra noi, si va sempre molto d’accordo, nel senso che c’erano molte novità in quella cinquina, anche editoriali, eravamo due libri dello stesso editore per la prima volta. Ovviamente quest’anno una parte di me conosceva un po’ le regole di ingaggio, ma nonostante questo c’è stata molta sorpresa nella scoperta di alcuni dei finalisti e dei semifinalisti, quindi qualcuno della dozzina che non è arrivato fino alla cinquina ma con cui comunque abbiamo condiviso un pezzo di strada. Alla fine la cosa più bella del Premio per me è sempre quella: conoscere degli scrittori e trovarne magari qualcuno che è anche affine al mio modo di vivere, di vedere le cose. Oppure è completamente diverso, ma mi incuriosisce per quello”.

L’incontro con il pubblico polacco offre uno sguardo “altro” sulla vostra opera. C’è qualcosa che sperate di ricevere o scoprire nel dialogo con lettori non italiani? Quale aspetto del vostro libro pensate possa parlare anche a un pubblico internazionale, come quello che vi accoglie qui in Polonia?

Andrea Bajani: “L’internazionalizzazione è un tema che ho a cuore, ho una formazione cosmopolita, ho vissuto a Parigi, Berlino, Amsterdam ed ora negli USA il mio nutrimento letterario è in qualche misura una nazione di letteratura che contiene Gombrowicz, Celine, Faulkner, Tolstoj, Cechov, autori che trattano la condizione umana e non il luogo in cui questa si esprime. Il mio libro “Anniversario” tocca il tabù di un figlio che celebra i dieci anni di abbandono dei genitori come gli anni più belli della sua vita. Libro già acquistato in 25 paesi con diverse reazioni tra paesi cattolici, dove ha suscitato maggiore scandalo e curiosità, e protestanti”.

Paolo Nori: “Io cerco di non sperare mai. Io stimo molto, come sentimento, la disperazione, il fatto di non prevedere niente. Sono un appassionato di letteratura russa e mi piace molto l’Est, la Russia in particolare. Mi piace anche la Polonia. Sono stato a Cracovia sette volte, sono stato ad Auschwitz, è un posto che mi piace. Mi piace l’odore che c’è qua. L’est a me mi attira molto più dell’ovest. Posso fare a meno dell’America e lei può fare a meno di me, immagino. Mi piace anche il modo in cui i polacchi si muovono in giro per strada, sembrano persone serie. Però è difficile capire cosa succederà. Delle volte uno ha delle aspettative e non succede niente, delle volte invece hai degli incontri memorabili. Ho fatto tante presentazioni quando ho cominciato, me ne ricordo una a Sassari dove c’erano tre persone. Dopo 20 anni ho incontrato una signora che ha partecipato a questa presentazione e mi ha detto: io ero una di quelle tre persone, è stato memorabile, è stato un momento bellissimo. Però prima non possiamo saperlo, chissà, anche qui oggi cosa succede? Ma devi chiedermelo tra qualche anno… Quale parte del mio libro può parlare ad un pubblico internazionale? Tutto il mio libro. Io provo a scrivere i libri per tutti. Ho scritto prima un libro su Dostoevskij qualche anno fa, nel 2021, e l’ho regalato alla mia commercialista. E lei mi ha detto: “non ho mai letto Dostoevskij”. E io ho detto: “Roberta, è un libro per te”. Perché non è un libro per specialisti, io non sono uno specialista ma un appassionato. Quindi chi condivide la passione per la letteratura, forse, può condividere anche la passione per Raffaello Baldini, protagonista del mio libro, che i polacchi non conoscono tanto, purtroppo, per loro”.

Elisabetta Rasy: “La capacità di rivolgersi e di raggiungere chiunque è il grande mistero della letteratura. Leggi Szymborska che parla del gatto e pensi che parli del tuo gatto. Noi non portiamo storie dell’Italia ma storie di condizioni umane che credo i lettori di ogni Paese possano sentire vicine. La Szymborska, che ho avuto la fortuna di conoscere, rendeva universale un bicchiere preso in mano, trasfigurava il quotidiano, è questo il mistero della letteratura. Lo scrittore si augura sempre che il suo scrivere contribuisca a creare un ponte, ogni racconto è un contributo. Il tema del mio libro è la famiglia, una dolorosa separazione tra figlia e padre vissuta in vari tempi che poi la figlia da adulta cerca di ricostruire. I problemi della famiglia sono un tema universale che dall’antica Grecia arriva fino ad oggi il mio contributo vuole essere quello di far capire che non bisogna mai essere sbrigativi o sommari nei rapporti umani che anche se sono difficili e tormentati hanno in sé qualcosa di archetipo che va indagato, l’enigma familiare travalica nazioni, civiltà, epoche.

Michele Ruol: “Il mio romanzo è in qualche modo sospeso, nel senso che non ci sono i nomi dei personaggi, non ci sono i nomi dei luoghi e quello che succede, succede tutto all’interno di una casa. E quindi ecco, io credo che poi i legami che ci uniscono, le relazioni che si instaurano tra una coppia che si ama e cerca di crescere dei figli e fa errori, in qualche modo, cerca di rimediare i propri errori, credo che siano dinamiche che poi possono essere vere in un paesino del nord Italia, così come in Polonia o in un altro paese. Sarei proprio curioso, invece, di capire magari se ci sono delle risonanze che si innescano magari in punti per me inaspettati, che possono essere diffusi, di abitudini, oppure appunto, anche quello che si dice all’interno di una relazione, quello che non si dice, quello che si mostra all’esterno, che cosa si racconta ad altri, che invece teniamo protetto”.

Nadia Terranova: “Hanno tradotto due miei libri in Polonia, tra cui uno dedicato a Bruno Schulz, che è uno scrittore che ho amato moltissimo. Schulz per me è uno di quegli autori della vita, letto a vent’anni e poi da allora altre 30 volte. Quindi diciamo che è stato lui il mio cavallo verso la Polonia. E poi l’anno scorso è stato tradotto “Trema la notte”, che è un libro che ho scritto sul terremoto dello Stretto di Messina nel 1908. E venendo qui ho capito che cosa di quel libro poteva avere parlato a buona parte dei polacchi. A radere al suolo Messina è stato un evento naturale qui a Varsavia è invece stata la mano dell’uomo. Però comunque questa idea di azzeramento delle città e di ricostruzione in qualche modo lega le nostre storie. Ma è da tanto tempo che comunque speravo di incontrare un pubblico polacco per una forma di curiosità che ho sempre avuto anch’io verso l’Est. Sottoscrivo quello che ha detto Paolo Nori: io posso fare a meno dell’America, l’America può fare a meno di me. Non mi ha mai interessato, ci sono stata una sola volta, malvolentieri. E invece sono molto felice tutte le volte che vengo a Est. Mi dispiaceva non esser mai stata a Varsavia. Qui sto bene qui, forse una parte di me viene da qui, non lo so, da questa parte di Europa, non so esattamente da dove, però sto bene, mi sento a casa, mi piace la luce, mi piace la compostezza, in effetti, molto diversa dalla mia, che non sono affatto una persona composta”.

Viviamo in un tempo complesso, pieno di crisi e trasformazioni. In che modo la scrittura – e il romanzo in particolare – può ancora incidere sul nostro modo di leggere il mondo?

Andrea Bajani: “Siamo in un momento storico in cui trionfano i messaggi semplificati, la propaganda che individua un nemico, le barriere doganali, i confini, i muri alzati, ecco la letteratura è esattamente il contrario. Scrivere una storia è opporsi alla semplificazione. Di cosa parlano i nostri libri? Non vorremmo neanche rispondere perchè se scrivo 190 pagine ognuna di questa ha una sua necessità e non è comprimibile in una sintesi semplificata. La letteratura è l’anti-riassunto, è un’isola che non ha confini al suo interno.

Paolo Nori: “Viviamo in un tempo complesso ed è vero, però mi chiedo in fondo tutti i tempi sono complessi. Il Novecento è stato un orrore, e l’Ottocento? Io appunto ho letto molti romanzi, tanti russi e uno in particolare che ho anche avuto il privilegio di tradurre “Memoria dal sottosuolo” di Dostoevskij, che è stato pubblicato nel 1864. In Russia c’era lo zar, che era un tiranno. E c’era la servitù della gleba, cioè c’era la schiavitù e c’era un’intellighenzia, le menti tra le più evolute d’Europa, che convivevano. Tolstoj, che era contemporaneo di Dostoevskij, era un nobile padrone di schiavi e si vergognava. Quindi non diamoci le arie di essere più nei guai di quanto sono stati i nostri predecessori. In “Memorie del sottosuolo” a un certo punto l’uomo del sottosuolo dice: “Io sono solo e loro sono tutti”. Io avevo vent’anni e ho pensato: sono io quello lì. E quando l’ho riletto per scrivere il mio romanzo, alla sera, a cena con mia figlia che aveva 15 anni, le ho chiesto: Senti, tu hai pensato che tu sei da sola e gli altri sono tutti? E lei è passato un attimo e poi mi ha detto: Altro che, se ci ho pensato. E la redattrice della casa editrice Mondadori, che ha corretto le bozze di quel romanzo lì, quando ha letto ‘sta cosa, l’ha chiesto ai suoi due figli e tutti e due le hanno detto: Altro che, se ci abbiamo pensato. Allora quella roba lì, scritta in un tempo complesso a 3000 km di distanza dall’Italia, ecco, quel signore lì, Fëdor Michajlovič Dostoevskij, ha scoperto e ha portato al mondo un segreto che tre ragazzi nati nel XXI secolo non avevano mai confessato ai loro genitori. Questa è la letteratura, il romanzo in particolare, secondo me, fa quella roba lì, cioè vince il tempo sia quelli complessi, che quelli non complessi, ammesso che ce ne siano, e anche lo spazio. Ed è quello che noi presuntuosi cerchiamo di fare, cioè trovare dei bambini polacchi che nel XXII secolo leggano i nostri libri e dicano: Sono io quello lì”.

Elisabetta Rasy: “Io credo che il romanzo sia veramente molto importante nei momenti di crisi e complessità perché – a fronte della terribile violenza che ci circonda che spinge verso una sorta di pensiero unico, ad un modo di pensare che scade verso un qualcosa di primitivo e semplificato – ci spinge a mantenere una riflessione complessa impedendoci di scadere in un sistema di giudizio bianco-nero. Il compito della letteratura è evitare le banalizzazioni del vivere, e lo fa da sempre: l’Iliade presenta le ragioni dei troiani e dei greci”.

Michele Ruol: “la scrittura e i romanzi, non servono per capire il mondo come sarà o per capire il mondo come è, i romanzi pongono domande, più che dare risposte, e quando funzionano sono anche capaci di metterci in crisi, perdere le certezze che abbiamo e farcele vedere da un altro punto di vista. Credo che la letteratura e i romanzi, possano aiutarci a capire la complessità della realtà che ci circonda. Siamo in una società in cui il dibattito è spesso polarizzato: c’è il bene, c’è il male, c’è il giusto e lo sbagliato. La realtà invece è molto più complessa, anche i media tendono a semplificare, a schematizzare. Penso che lo scrivere romanzi possa essere utile, anche se non vengono scritti per utilità”.

Nadia Terranova: “Io ho avuto due strade parallele nella mia lontana giovinezza: la filosofia e la letteratura, che sono diversissime e non rispondono alle stesse domande. Però in tutte e due io ho sempre diffidato di chi è troppo schiacciato sul presente. Io tutte le volte che mi sono concentrata sull’attualità ho lasciato un po’ indietro le macro questioni e una visione più ampia per correre dietro a risposte singole. Dopo un po’ mi perdevo, mi annoiavo, mi accorgevo che cambiavo idea con una rapidità tale per cui evidentemente non ne avevo maturata una. E invece tutte le volte che mi sono fermata un attimo a guardare, ad aspettare, a usare altre categorie, altri sguardi che vengono appunto dalla letteratura, invece le analisi erano più durature. Però bisogna togliersi un po’ dal centro. E forse la letteratura, la poesia, il teatro, diciamo che forse fanno un po’ questo, tolgono fintamente dal centro e rimettono in un centro più universale”.

La Polonia ha una forte tradizione letteraria con autori come Tokarczuk, Miłosz e Szymborska molto amati in Italia. C’è un autore o un’opera polacca che vi ha colpito o influenzato in qualche modo?

Andrea Bajani: “Appena ho messo piede a Varsavia mi sono tornati in testa la letteratura e il cinema polacco, a cominciare da Kieslowski e il suo Decologo e poi Conrad, Miłosz e Herbert. Tra i contemporanei ovviamente Tokarczuk. Negli autori polacchi trovo un enorme senso di libertà e voglia di far saltare la crosta della formalità”.

Paolo Nori: “Sono un po’ monotematico verso i russi, però devo dire che a me piace, anche se conosco solo un libro suo che è stato tradotto in italiano, Zagajewski. E i poeti polacchi tra cui Miłosz. Io sono stato per anni a un festival di poesia in Sardegna, a Seneghe. E lì il motto del festival era della Szymborska: “preferisco il ridicolo di scrivere delle poesie al ridicolo di non scriverle”, che un po’ vale anche per i romanzi, ecco, vale anche per me. Poi c’è un autore polacco vivente, un giornalista e reporter, Mariusz Szczygieł. Ho letto due libri straordinari suoi. “Gottland” è un libro fantastico, è veramente una scoperta Non so se mi ha influenzato, però è un libro che io ho fatto leggere a tutti quelli che conosco”.

Elisabetta Rasy: “Sono rimasta affascinata dallo scrittore polacco Kazimierz Brandys, che conobbi, e che visse in esilio a Parigi. Secondo me ha scritto un libro di culto: Hotel d’Alsace e altri due indirizzi, una serie di racconti dal vero che mi colpirono molto perché allargavano i confini della letteratura abolendo distinzione tra piano biografico, realtà e invenzione. Ho sempre amato gli scrittori meticci. Di Szymborska abbiamo già parlato della sua capacità di rendere memorabile il gesto più ovvio della quotidianità. E poi Conrad che con Proust è uno degli autori della mia formazione. Nel cinema ho avuto un innamoramento per il lavoro di Wajda non solo perché mi ha fatto scoprire un mondo che non conoscevo ma anche per l’originalità del suo punto di vista.

Michele Ruol: “Nel mio libro c’è una citazione di Szymborska. Non ho una conoscenza approfondita della letteratura polacca, però ci sono alcune cose che negli autori suonano fortissime, superano questi confini di tempo e di luogo. E nelle poesie di Szymborska mi ritrovo perché hanno luce e calma, un’attrazione che mi è molto vicina.

Nadia Terranova: “Io rispondo subito: Bruno Schulz! So a memoria dei pezzi delle “Botteghe color cannella”, quando parla delle boiserie color cannella o quando si perde nelle stradine. C’è una scena in cui Bruno che è bambino, torna a casa la notte e si perde in questo quartiere ebraico di Drohobyč, dove poi sono anche stata, che non esiste più. E c’è il momento in cui la città, che è una manciata di case, ed in particolare il ghetto, che era piccolissimo, diventa un luogo infinito e magico e tu dici ma come ha fatto a perdersi a Drohobyč? C’erano quattro strade. E poi quando va a passeggio col padre nella via dei coccodrilli che è la via dei negozi, ci sono proprio delle scene, dei fatti, dei motteggi, della bellezza della lingua, delle scene semplicissime, minime, che per me sono memorabili. Forse il motivo per cui io ho proprio sentito in maniera così forte, irrazionale, sottopelle, Bruno Schulz, è che a me sembra di conoscere quel bambino, quel bambino Bruno a cui poi è dedicato il mio libro. È come se fosse un mio amico e quando lui guarda il padre trasformarsi, quando poi diventa più grande, assiste a questo padre che muore, anche se lo racconta in una maniera tutta fantasmagorica, io ero lì con lui”.

 

Maria Callas – la Divina con l’Italia nel destino

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Maria Callas alla Mostra del Cinema di Venezia, foto: Gianfranco Tagliapietra

Maria Callas è una delle più grandi cantanti d’opera di tutti i tempi. Nonostante il passare degli anni e una carriera relativamente breve, il cui apice è durato meno di vent’anni, rimane un’icona della musica classica e del teatro. La storia della sua vita è tanto affascinante quanto la sua voce, che abbracciava tre ottave. È segnata da numerosi alti e bassi, trionfi straordinari e sconfitte tragiche, il tutto legato da un forte rapporto con l’Italia, dove visse i suoi più grandi successi.

Sophie Cecelia Kalos, nata il 2 dicembre 1923 a New York, crebbe tra due culture: quella americana e quella greca. Fin dall’infanzia mostrò un talento musicale eccezionale e mosse i primi passi nell’opera in Grecia alla fine degli anni ’30. Dopo la Seconda Guerra Mondiale si trasferì in Italia, dove collaborò con i più grandi teatri lirici. La Scala di Milano divenne la sua seconda casa. Le registrazioni della sua voce, sebbene suscitino ancora dibattiti dal punto di vista tecnico, restano tuttora modelli di interpretazione operistica. La Divina era celebre per il timbro straordinario, che univa la profondità drammatica del soprano alla capacità di eseguire passaggi coloratura leggeri. Tuttavia, a causa delle intense esibizioni, della drastica perdita di peso e dello stress legato alla sua turbolenta vita privata, all’inizio degli anni ’60 la voce della Callas iniziò a perdere il suo antico splendore. Divenne sempre più instabile, rendendole difficile l’emissione delle note acute e il controllo del timbro. Uno dei simboli dei suoi problemi vocali fu la celebre interruzione della rappresentazione di Norma di Bellini al Teatro dell’Opera di Roma. Tra il pubblico vi erano numerose personalità, tra cui il presidente italiano Giovanni Gronchi e sua moglie. Dopo aver eseguito la difficile aria Casta diva, Callas si ritirò nel camerino lamentando gravi problemi alla voce e non tornò più in scena. Il pubblico reagì con furia, abbandonando il teatro in un’atmosfera di grande imbarazzo. L’episodio scatenò uno scandalo enorme, amplificato dalla presenza del presidente e dall’immagine già controversa della cantante, considerata difficile da gestire. Pochi anni dopo si ritirò definitivamente dalle scene. Tentò una nuova carriera come insegnante di canto, tenendo corsi di perfezionamento alla Juilliard School di New York. Nel 1973 provò un ultimo ritorno con una tournée mondiale di concerti, ma la sua voce non era più lo strumento che un tempo incantava il pubblico. Si ritirò presto dalla vita pubblica e trascorse gli ultimi anni in solitudine a Parigi.

Maria Callas a destra, foto: Gianfranco Tagliapietra

La vita di Maria Callas al di fuori della scena fu tanto drammatica quanto le sue esibizioni. Nel 1949 sposò Giovanni Battista Meneghini, un uomo d’affari italiano che si dedicò completamente alla sua carriera, diventandone il manager. Per sostenerla nella scalata al successo, sacrificò i propri interessi professionali. Tuttavia, il loro matrimonio non resistette alla prova del tempo: se inizialmente sembrava stabile, con il tempo emersero tensioni, soprattutto quando all’orizzonte apparve l’imprenditore greco Aristotele Onassis. La loro relazione, durata un decennio, fu uno degli scandali più eclatanti nella storia dello spettacolo. Callas lasciò il marito per lui, ma la loro storia si concluse bruscamente quando Onassis sposò Jacqueline Kennedy, vedova dell’ex presidente degli Stati Uniti. Distrutta, Callas non riusciva a credere che quella relazione, che considerava indissolubile, fosse giunta a una fine così improvvisa. Questa separazione la lasciò in un profondo vuoto emotivo, con gravi ripercussioni sulla sua psiche e sulla sua carriera, dalle quali non riuscì mai a riprendersi completamente. Poco tempo dopo, Callas conobbe Pier Paolo Pasolini, intellettuale, scrittore e artista italiano, con cui instaurò un legame speciale, sebbene platonico. Il loro incontro portò alla realizzazione del film Medea, in cui la diva greca interpretò il ruolo della protagonista. Fu il suo debutto sul grande schermo, un’occasione per riscoprirsi e presentarsi al pubblico sotto una nuova luce, quella di attrice. La loro relazione si basava su un’intesa intellettuale profonda, un reciproco rispetto della sensibilità dell’altro e un atteggiamento ribelle nei confronti della società. Il legame tra loro era intimo e fondato sulla comprensione reciproca. Pasolini morì tragicamente nel 1975, infliggendo a Callas un altro duro colpo che acuì il suo senso di solitudine. Dopo la sua scomparsa, si chiuse sempre più in se stessa, fino ad allontanarsi completamente dal mondo.

Poster film “Medea”, arch. Antonio Bettanini

Maria Callas continua a essere, da anni, una fonte inesauribile di ispirazione per il mondo del cinema, che cerca di raccontare la sua vita turbolenta. L’ultima opera a rendere omaggio alla cantante è il film Maria, diretto lo scorso anno da Pablo Larraín, con Angelina Jolie nel ruolo principale. Ogni biografia aggiunge una nuova prospettiva sul personaggio di Callas, ma in cosa questa produzione si distingue dalle precedenti? “Beh, innanzitutto, non si tratta di una biografia, ma piuttosto di un racconto degli ultimi giorni di vita di Maria Callas, arricchito da una serie di flashback. […] Ci concentriamo sugli ultimi otto-dieci giorni della sua esistenza, quindi non si può parlare di una biografia nel senso stretto del termine. Altri film hanno raccontato l’intero arco della sua vita, mentre questa pellicola si focalizza su un periodo molto specifico. Ed è proprio questa la differenza fondamentale”, spiega Alessandro Bressanello, l’attore veneziano che interpreta il marito della Callas, Giovanni Battista Meneghini. Il ruolo principale è affidato ad Angelina Jolie, la cui scelta ha suscitato grande interesse fin dall’annuncio del progetto. Il regista Pablo Larraín l’ha voluta non solo per la somiglianza fisica con la cantante, ma anche per la sua eleganza, sensibilità e capacità di restituire l’intensa emotività della protagonista. Jolie interpreta con grande maestria la malinconia e la solitudine di Callas, nonché la sua incrollabile passione per la perfezione. Per prepararsi al ruolo, ha studiato minuziosamente i gesti, le espressioni facciali e il modo di muoversi della cantante. Per immedesimarsi completamente nel personaggio, ha approfondito le fonti d’archivio e studiato la sua biografia. Durante una conferenza stampa, l’attrice ha rivelato di aver preso lezioni di canto lirico per circa sette mesi, scoprendo di essere un soprano naturale. Nel film utilizza le sue nuove competenze vocali, mescolando la propria voce con registrazioni originali della Callas, per rendere l’interpretazione il più realistica possibile. La sua performance ha ricevuto ampi consensi dalla critica e le è valsa diverse nomination ai più prestigiosi premi cinematografici.

Foto dal set di “Maria”

Oltre ad Angelina Jolie, il film vanta un cast eccezionale, che contribuisce a restituire il dramma della primadonna del secolo. Il ruolo di Aristotele Onassis, il miliardario greco e grande amore della Callas, è interpretato dall’attore turco Haluk Bilginer. La loro relazione è il fulcro della narrazione e ne determina il tono. Il film esplora sia la passione che li ha legati sia il dolore della loro separazione. Nelle scene iniziali appare anche Giovanni Battista Meneghini, marito e manager di Callas, interpretato da Alessandro Bressanello. Il suo personaggio illumina le origini della carriera della cantante. L’attore, interrogato sull’influenza di Meneghini sulla vita della Callas, sottolinea quanto sia stato determinante per il suo successo: “Ovviamente Maria aveva un talento straordinario, ma ogni talento ha bisogno di qualcuno che lo valorizzi: un produttore, un manager, qualcuno che sappia guidare, organizzare, promuovere, curare ogni dettaglio, persino l’immagine. I grandi artisti devono molto a chi lavora dietro le quinte. E Meneghini, oltre a essere il suo manager, era anche suo marito, quindi aveva un coinvolgimento ancora più profondo. La amava davvero.” Interrogato sull’essenza del film Maria, Bressanello sottolinea: “Il vero tema è proprio questo: la caduta di un artista nel momento in cui perde le proprie capacità. È un aspetto molto interessante, perché siamo abituati a vedere le grandi star nel loro momento migliore, all’apice della carriera. Ma raramente assistiamo alla loro decadenza, alla perdita del talento e alla fragilità che ne deriva. Ed è proprio l’analisi della caduta di un’icona a rendere il film così potente.”

Angelina Jolie, Alessandro Bressanello, Alba Rohrwacher. Fot. Alexander Zyuryaev

Una cosa è certa: Maria Callas è stata una cantante straordinaria, diventata un fenomeno internazionale. Il suo lascito continua a suscitare emozioni ed è ancora oggi oggetto di vivaci dibattiti. Sebbene alcuni appassionati d’opera possano mettere in discussione l’accuratezza o l’autenticità di alcune scene nei racconti che la riguardano, una cosa rimane invariata: la leggenda di Callas vive ancora, e la sua voce continua a incantare il pubblico. Per tutti coloro che desiderano approfondire la sua arte, questo è il momento perfetto per immergersi nel suo mondo e scoprire il talento magico de La Divina, comprendendo così perché Maria Callas resta un’icona eterna dell’opera.

Mussolini – uno spietato opportunista

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Immagine tratta dalla serie "M. Il figlio del secolo".

Immaginatevi un uomo robusto, sensuale, che agisce guidato dalle emozioni ma nello stesso tempo è impulsivo e pronto a sacrificare ogni sua convinzione per ottenere il successo. Un uomo altruista e generoso, intelligente e attento che, inoltre, riesce a capire bene altre persone. Le donne lo adorano. È coraggioso e molto ambizioso e, in più, è un oratore nato. Si potrebbe pensare (ahimè!) che abbia le doti di un uomo ideale se non fosse per il fatto che, oltre ad essere convinto della sua superiorità, adora il potere, dominare e non accetta ruoli di secondo piano. Usa le donne piuttosto che amarle. Inoltre solo lui sa (o almeno così pensa) qual è il piano ideale per salvare l’Italia e cerca di realizzarlo a tutti i costi attraverso l’intimidazione e la repressione. È Benito Amilcare Andrea Mussolini. Figlio del fabbro Alessandro Mussolini e dell’insegnante Rosa Maltoni.

I nomi gli furono dati dal padre, socialista, per rendere omaggio alla memoria di Benito Juárez, leader rivoluzionario ed ex presidente del Messico, di Amilcare Cipriani, patriota e socialista italiano e di Andrea Costa di Imola, leader del socialismo italiano. Che ironia del destino!

Mussolini iniziò come giornalista e figura di spicco del Partito Socialista Italiano. Dal 1912 fu molto apprezzato per il suo lavoro e impegno come direttore del giornale di partito “Avanti!”. All’epoca fu anche un forte oppositore dell’intervento armato e dell’uso della forza. Nel 1914 cambiò radicalmente la visione e si dichiarò a favore dell’entrata in guerra. A causa di un conflitto con le linee politiche del partito, si dimise dall’incarico all’”Avanti!” e fondò il suo giornale “Il Popolo d’Italia” con una linea politica conforme alle sue nuove convinzioni. I Fasci italiani di combattimento, da lui creati nel 1919, inizialmente era solo un’organizzazione politica senza aspirazioni a partecipare alle elezioni o a entrare in Parlamento. Tuttavia, Mussolini cambiò presto idea (come gli sarebbe successo molte altre volte) e nel 1921 i Fasci furono trasformati in Partito Nazionale Fascista. Entrarono in parlamento solo dopo la seconda prova, dopo la cosiddetta “marcia su Roma” (1922), proponendo un programma politico nazionalista e radicale. Nel corso di tutta la sua carriera politica, Mussolini si adattò alla situazione e le sue decisioni dipendevano sempre da ciò che voleva ottenere in quel momento. Quando prese il timone del governo, nel 1922, aveva 39 anni ed era il più giovane primo ministro nella storia dell’Italia e del mondo. All’epoca aveva un’esperienza quasi nulla in politica, la sua guida nel grande mondo e il suo mentore intellettuale era l’amante Margherita Sarfatti, più grande di lui, ricca e colta donna veneziana di origine ebraica, collezionista e critica d’arte.

Immagine tratta dalla serie “M. Il figlio del secolo”.

Nel suo romanzo M. Figlio del secolo (vincitore del Premio Strega 2019, edizione polacca Sonia Draga, 2020), Antonio Scurati presenta Mussolini in modo del tutto inedito. Come demagogo, dittatore e fascista, ma anche come maschilista sessuomane, grande opportunista, a volte non del tutto sicuro delle sue decisioni. L’autore definisce il suo libro un romanzo documentario, perché vi presenta solo fatti della storia e della politica italiana. L’intero libro è suddiviso in anni che segnano l’ascesa al potere di Mussolini dal 1919 (la fondazione dei Fasci di Combattimento) al 1925 (l’assassinio del leader del Partito Socialista Unitario Giacomo Matteotti e il famoso discorso di Mussolini al parlamento italiano). Tutto è descritto al presente e, anche se conosciamo la storia, a volte leggendo ci piace pensare che le cose possano andare diversamente. Inoltre, l’ambientazione nel presente ci rende consapevoli del fatto che questi eventi potrebbero benissimo succedere anche oggi (o forse stanno già succedendo?). È importante anche il fatto che nello scrivere Scurati non giudica, non prende posizione, ma presenta i fatti in modo asciutto e molto accurato. Arricchisce la sua storia concludendo ogni sezione con estratti di articoli di giornali dell’epoca e corrispondenza tra i personaggi che incontriamo nelle pagine del libro.

Antonio Scurati alla conferenza stampa all’81a Mostra del Cinema di Venezia.

Ci si potrebbe chiedere: perché scrivere un libro su un personaggio che tutti conoscono bene, perché raccontare ancora una volta la storia che conosciamo dai manuali? L’autore stesso ammette che, guardando una delle puntate dei cinegiornali dell’Istituto Luce, si è reso conto che nessuno aveva mai scritto un romanzo su Mussolini e sul fascismo, che c’era una sorta di paura di raccontare la dittatura e i suoi meccanismi dall’interno, dalla prospettiva dei personaggi stessi e senza un filtro ideologico. Essendo un grande fan della serie Il trono di spade, ha pensato che gli sarebbe piaciuto scrivere un romanzo sulla presa del potere da parte dei fascisti nello stesso stile, attenendosi però il più possibile ai fatti storici. Che cos’era il fascismo per i suoi membri, chi erano, chi era Benito Mussolini? Queste sono le domande a cui Scurati ha cercato di rispondere, decostruendo l’immagine monumentale dei personaggi storici e dando loro una dimensione più umana. Chi, ad esempio, sapeva che a Mussolini puzzavano i piedi? È un problema tipicamente maschile, quindi forse non sorprende, ma è stata menzionata da molti dei suoi collaboratori che hanno avuto l’opportunità di essere nella stessa stanza con lui quando il duce si toglieva le scarpe e appoggiava con nonchalance i piedi sul tavolo. Di queste curiosità e chicche il libro è pieno. L’intento principale dell’autore era proprio quello di restituire a Mussolini la sua dimensione umana, di non farne né una caricatura né un demone, ma di mostrarlo come un uomo di straordinarie capacità e un politico efficace che tuttavia alla fine ha portato l’Italia alla rovina. È in una valutazione così oggettiva, secondo l’autore, che risiede la maturità della coscienza civile di un Paese. “Bisogna saper guardare indietro, guardare dentro la propria storia e rendersi conto che il fascismo ha plasmato antropologicamente gli italiani. Leggendo questo libro, ci rendiamo conto che siamo più simili a Mussolini e ai fascisti di quanto vorremmo. Dobbiamo accettarlo, affrontarlo, imparare dal passato e condannare con forza questa fetta di storia”, afferma Scurati. L’obiettivo del libro e dell’omonima serie televisiva, presentata quest’anno in anteprima mondiale all’81ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, è quello di smuovere le coscienze dei lettori e degli spettatori e di farli sentire disgustati dal fascismo. Sia l’autore del romanzo che il regista Joe Wright (“Orgoglio e pregiudizio” 2005, “Espiazione” 2007, “L’ora più buia” 2017), così come gli attori, sentivano che stavano compiendo una sorta di missione storica nel raccontare questi eventi. Il punto di forza della serie è la fenomenale recitazione degli attori. Luca Marinelli, uno degli attori italiani più acclamati, è strepitoso nel ruolo di Mussolini. Inizialmente ha avuto grandi dubbi nell’accettare il ruolo, perché è un antifascista incallito, ma ha capito che interpretando questo personaggio si assumeva la responsabilità di raccontare la storia del fascismo come monito. Nel prepararsi al ruolo, ha dovuto sospendere ogni giudizio sul suo personaggio. Non pensava a Mussolini come a un demone o a un pazzo, come veniva descritto, ma come a un criminale perché aveva scelto di commettere crimini terribili.

Un altro innegabile punto di forza del film è il tempo e il ritmo della narrazione che gli autori hanno ottenuto grazie a un ottimo montaggio e alla musica, composta da Tom Rowlands dei Chemical Brothers. Interessante inoltre il fatto che Mussolini si rivolga direttamente alla macchina da presa e spieghi i motivi delle sue decisioni direttamente allo spettatore. Di solito queste soluzioni non mi convincono, ma in questo caso entrare nella testa di un uomo posseduto dalla brama di potere aiuta a comprendere meglio le sue azioni. Tutto questo insieme ha dato un’eccellente rappresentazione del dinamismo, della paura e della massima fedeltà all’epoca. Inizialmente Scurati non era del tutto convinto di questo stile di narrazione cinematografica. Aveva immaginato un adattamento cinematografico della prima parte della sua tetralogia (i titoli delle parti successive sono M. l’uomo della provvidenza, M. Gli ultimi giorni d’Europa, M. l’ora del destino, Giunti Editore) con un tono più tradizionale e documentaristico, motivo per cui ci sono state lunghe discussioni con regista e produttore che fortunatamente sono andate a buon fine.  

Quando si legge M. Figlio del secolo, è bene ricordare che la storia deve essere sempre contestualizzata, non può essere giudicata dalla prospettiva dei tempi in cui viviamo. All’epoca, l’Italia era in totale rovina e in crisi economica. La gente aveva bisogno di uscire dalla povertà, voleva una crescita economica e una vita migliore. Mussolini si impegnò a soddisfare queste aspettative e, una volta conquistata la fiducia e il sostegno delle persone, cercò di ottenere di più, ricorrendo a misure radicali per raggiungere i suoi obiettivi. Conviene ricordarselo perché, come ci dice Luca Marinelli dallo schermo nei panni del duce, “la democrazia è bellissima, ti dà un sacco di libertà, anche quella di distruggerla”.

 

La traduzione polacca dell’ultimo volume della tetralogia su Mussolini sarà pubblicata dalla casa editrice Sonia Draga nell’autunno 2025.

Gazzetta Italia 111 (giugno – luglio 2025)

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Nuovo numero di Gazzetta Italia con in copertina la fantastica Favignana, raccontata all’interno con eccezionali foto. Vi proponiamo poi tanti interessanti personaggi: Jacek Cygan dichiara il suo amore per l’Italia; il regista Paolo Genovese ci fa entrare nel suo divertente e delicato film “Follemente” che esce ora nei cinema polacchi; e poi ancora l’intervista con Raoul Bruni professore dell’Università Wyszynski di Varsavia che parla dell’alto livello degli studenti polacchi.  

Tanti gli articoli di viaggio tra cui quello in auto da Bari a Como, una guida sulla Sardegna e “Giulietta a Roma”. Per il cinema c’è uno splendido approfondimento su “Fantozzi”. Trovate anche tutte le nostre storiche rubriche dalla letteratura alla cucina, dal benessere ai motori ai fumetti. E con il QRCODE presente nella rivista potrete ascoltare la voce del professor Tucciarelli che parla di Szymborska!  

Insomma, un numero assolutamente da non perdere! E se negli Empik finisce potete acquistarlo online su gazzettaitalia.pl o scrivendoci a redazione@gazzettaitalia.pl 

Foto sulla copertina: Vito Lombardo 

Premio Aquila d’Oro International a Gniezno

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Si è svolta sabato 31 maggio la XX Edizione del PREMIO AQUILA D’ORO INTERNATIONAL, presso il Centro Culturale Cittadino di Gniezno.
 
La manifestazione è stata condotta dal Direttore del Premio Dott. Francesco Di Nisio e dal Dott. Andrea Mariani, per le traduzioni in lingua polacca. I riconoscimenti sono stati attribuiti al già Primo Ministro di Polonia e Ambasciatore della Repubblica di Polonia presso la Santa Sede e l’Ordine di Malta S.E. Prof.ssa Hanna Suchocka, per la sezione “Istituzioni Pubbliche”, al Direttore del Teatr Wielki – Opera nazionale polacca di Varsavia – Maestro Waldemar Dąbrowski, per la sezione “Musica”, alla Docente Universitaria alla Prof.ssa Ligia Henczel, per la sezione “Scienza e Progresso”.
 
La Commissione Scientifica del Premio, presieduta dal Prof. Fabrizio Politi, ha inoltre conferito il “Premio Speciale ITALIA” alla giornalista Magdalena Wolińska Riedi, per la sezione “Giornalismo”, al Presidente della Provincia di Gniezno Dott. Tomasz Budasz, per la sezione “Istituzioni Pubbliche”, all’Ambasciatore d’Italia in Polonia S.E. Dott. Luca Franchetti Pardo, per la sezione “Istituzioni Diplomatiche”.
 
Inoltre sono state conferite le “Menzioni Speciali” al Sindaco di Gniezno Prof. Michał Powałowski, per la sezione “Istituzioni Pubbliche”, al Direttore del Centro Culturale Cittadino di Gniezno Dott. Dariusz Pilak, per la sezione “Istituzioni Culturali”, alla Presidente del Club Włoski, Dott.ssa Daria Malinger, per la sezione “Cultura Italica”.
 
Ricordiamo che la manifestazione, dal tema “Pace, Libertà e Dignità Umana”, si è svolta con la partnership della FLAEI Cisl e dell’AIDOSP, Associazione Italiana Dottori in Scienze Politiche, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Consiglio della Regione Abruzzo, del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, del Parco Nazionale della Majella e del Comune di Corfinio.

“Vogliamo mostrare agli italiani che la Polonia è moderna” – Intervista con Magdalena Trudzik, vicedirettrice dell’Istituto Polacco di Roma

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traduzione it: Kacper Czapiewski

 

Incontriamo Magdalena Trudzik all’Istituto Polacco di Roma per fare il punto sul lavoro di questa importante istituzione. 

Cosa significa per voi la “polonità”? Quale volto della cultura polacca cercate di mostrare al pubblico italiano?

Questa domanda va considerata in due aspetti. In primo luogo, come Istituto Polacco, dipendiamo dal Ministero degli Affari Esteri e, di conseguenza, dobbiamo attuare le priorità della politica estera polacca nel campo della diplomazia pubblica e culturale. Al momento, poniamo la maggiore enfasi sui successi contemporanei del nostro Paese. Posso citare, ad esempio, le mostre di Robert Kuśmirowski a Bologna e Torino. Sosteniamo anche la promozione del teatro polacco, basti menzionare Łukasz Twarkowski e il suo spettacolo Rohtko o Marta Górnicka con Matki. Pieśń na czas wojny al Festival teatrale Presente Indicativo – Milano Porta Europa. Non dimentichiamo, però, i legami storici tra Polonia e Italia, che danno vita a importanti iniziative culturali. Ci riferiamo alle relazioni secolari tra i nostri Paesi – dal Rinascimento ai giorni nostri – ad esempio, la storia della battaglia di Montecassino e il contributo dei soldati del II Corpo d’Armata Polacco del generale Władysław Anders alla liberazione dell’Italia.

Nel programma dell’Istituto troviamo Penderecki, Moniuszko e Chopin, ma anche giovani artisti contemporanei. Qual è il filo conduttore di queste proposte?

Cerchiamo qualità eccellente, indipendentemente dal campo artistico. Accanto alla musica classica, proponiamo anche il jazz, che in Italia gode di grande apprezzamento. Ne sono prova la popolarità di istituzioni come la Casa del Jazz a Roma o dei festival jazz italiani, ad esempio a Novara o Ancona. In collaborazione con la Fondazione Musica per Roma, a gennaio abbiamo ospitato Leszek Możdżer e Zohar Fresco. Questa musica trova sempre un pubblico qui.

Cercate anche di raccontare la Polonia attraverso la cultura popolare?

Questo è un tema importante. L’anno scorso, il gruppo Mazowsze si è esibito a Roma (al completo). Il concerto è stato accolto con entusiasmo dal pubblico italiano e dalla comunità polacca locale.

È difficile promuovere la cultura polacca in Italia, un Paese con una storia e un patrimonio artistico così straordinari?

È davvero difficile competere con l’Italia, ma credo che questo non riguardi solo la Polonia, bensì qualsiasi altro Paese che cerchi di promuovere il proprio patrimonio culturale in Italia.  Per questo è necessario trovare altre strade. Il campo in cui possiamo competere e offrire un programma di alto livello è proprio la contemporaneità. Questo è ciò che interessa agli italiani. Il già citato Robert Kuśmirowski è stato invitato dal Museo d’Arte Moderna MAMBO di Bologna per organizzare delle mostre nel 2024. Attualmente, la sua mostra è in corso al Museo Nazionale dell’Automobile di Torino. Inoltre, il festival delle arti performative di Santarcangelo è da alcuni anni sotto la direzione di Tomasz Kireńczuk…

Ci sono valori universali su cui ponete particolare attenzione nella promozione della cultura polacca?

La diplomazia pubblica e culturale è uno strumento fondamentale della politica estera di un Paese. Vogliamo mostrare la Polonia come un Paese solidale, creativo e ispiratore. Cerchiamo di presentarla come un luogo moderno, dinamico, con un ricco patrimonio culturale. Spesso riusciamo a incoraggiare gli italiani a viaggiare in Polonia e, una volta visitate Cracovia, Breslavia o Varsavia, la loro percezione del nostro Paese cambia. Si rendono conto che siamo un Paese tecnologicamente avanzato, con città ben collegate e un’architettura moderna. Vogliamo che la nostra attività ispiri gli italiani e che gli eventi culturali li invoglino a scoprire la Polonia di persona, oltre che a interessarsi al nostro cinema e alla nostra letteratura. Attraverso la cultura, cerchiamo di stimolare l’interesse degli studenti italiani per lo studio della lingua polacca. Attualmente in Italia ci sono ben tredici corsi di laurea in polonistica. A novembre scorso, abbiamo organizzato una conferenza dedicata a Jarosław Iwaszkiewicz per mostrare agli italiani che vale la pena studiare il polacco. Sempre più spesso questa conoscenza assume anche un valore economico: chi parla polacco trova spesso buoni posti di lavoro nel nostro Paese.

La Polonia sta diventando un luogo attraente per gli italiani anche per viverci?

Sì, rappresenta un’opportunità di sviluppo professionale. Sempre più spesso, parlando con amici italiani che vivono a Varsavia, scopro che la loro emigrazione in Polonia non è temporanea: dopo alcuni anni trascorsi qui, vedono il nostro Paese come la loro destinazione definitiva, grazie al mercato del lavoro e alla qualità della vita.

Cosa apprezzano gli italiani della nostra cultura?

Le nostre scrittrici premiate con il Nobel – Wisława Szymborska e Olga Tokarczuk – sono sempre molto popolari. Le loro opere, regolarmente ristampate, occupano posti d’onore nelle librerie italiane. Gli italiani apprezzano anche il cinema polacco. Ogni anno, organizziamo il festival del cinema polacco CIAK Polska, in cui presentiamo sia novità che classici, grazie alla collaborazione con la Wytwórnia Filmów Dokumentalnych i Fabularnych. Wajda, Kieślowski, Zanussi, Has… Il cinema polacco del realismo socialista è molto amato in Italia. Anche la cucina polacca è molto apprezzata! La gastronomia è un tema centrale nelle conversazioni italiane. L’anno scorso, in collaborazione con la sede romana dell’Ente Polacco per il Turismo, abbiamo organizzato un evento che ha messo a confronto la cucina della Piccola Polonia con quella toscana. Ha vinto la Polonia! I piatti erano presentati in chiave moderna, con combinazioni di sapori insolite, come un dessert a forma di ghianda di cioccolato, con una mousse ai funghi selvatici all’interno. Un accostamento sorprendente che ha conquistato tutti.

Come vedono gli italiani l’architettura delle città polacche?

Ci sono due aspetti… È vero che, ad esempio a Roma, i ritrovamenti archeologici rallentano la costruzione delle linee della metropolitana, ma… una cosa è passeggiare lentamente per la città in vacanza, un’altra è affrontare la vita quotidiana. Le soluzioni architettoniche moderne in Polonia migliorano la qualità della vita urbana e gli italiani lo apprezzano molto.

Trova che ci siano temi relativi alla cultura polacca difficili da trasmettere?

Probabilmente no. Dopo tutto, veniamo dalla stessa cerchia di cultura latina. L’unica cosa che dobbiamo ancora convincere è che il polacco è bello e non è così difficile… Ci sono tanti prestiti dal latino e dal greco, che tra l’altro viene ancora insegnato nelle scuole italiane. 

Quali sono i vostri progetti per quest’anno?

Stiamo preparando una mostra sulla famiglia Sobieski ai Musei Capitolini di Roma e bisogna sottolineare che l’iniziativa è stata proposta da parte italiana. La mostra sarà inaugurata nel corso di questo semestre e si riferisce all’Anno del Giubileo attualmente in corso. La Regina Marysieńka Sobieska è stata a Roma durante il Giubileo del 1700. La mostra sarà accompagnata da una serie di concerti barocchi tra cui opere di Alessandro e Domenico Scarlatti, commissionati da Maria Kazimiera. Il primo si terrà già il 24 maggio nella Chiesa di Santa Cecilia a Trastevere. Si torna così a contatti storici, che vale la pena ricordare perché offrono un ampio spazio per collaborazione. 

E per quanto riguarda il contemporaneo?

A marzo la galleria Eastcontemporary di Milano ospiterà una mostra di artisti provenienti dai Paesi dell’Europa centrale, tra cui Dominika Olszowa e Ali Savashevich. Sempre a marzo, vi invitiamo alla galleria MAGTRE di Roma per una mostra di istallazioni di Agata Stępień, incentrata sul tema della terra. La curatrice è Martyna Sobczyk del museo MOCAK di Cracovia. A maggio è prevista l’inaugurazione di una mostra di fotografie di Rafał Milach presso la galleria Interzone di Roma. Ad aprile celebreremo anche l’80° anniversario della liberazione di Bologna da parte dei soldati polacchi del generale Anders. A luglio, abbiamo in programma di essere presenti al festival letterario di Gavoi, in Sardegna, e al festival jazz di Ancona. A fine anno, vogliamo presentare al pubblico italiano lo spettacolo Capitain Who – una semi-opera, una baracconata musicale in cui si combinano generi musicali di epoche diverse: il barocco e l’opera con il folk e il jazz, le canzoni del lavoro marittimo con la musica ispirata all’opera del compositore del XVII secolo Henry Purcell, il suono del violino jazz con la viola da gamba barocca. Il 1° ottobre si inaugura alla Fondazione Pastificio Cerere di Roma la mostra italo-polacca Radical Pleasures. A novembre, come da tradizione, vi invitiamo al festival cinematografico CIAK Polska. Ecco alcune proposte selezionate per i prossimi mesi… Molte altre attrazioni attendono il pubblico italiano fino alla fine dell’anno. Vi invitiamo a consultare gli eventi sul nostro sito www.instytutpolski.pl/roma e sui social media. 

FRACOMINA – il volto primaverile della femminilità

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Femminili, forti, consapevoli del loro valore e della loro bellezza che risuona con un particolare modo di vedere il mondo, così uniche ed eccezionali sono le donne di Fracomina. La collezione primavera-estate 2025 di questo marchio italiano è ancora una volta un omaggio alla femminilità e alle sue diverse sfaccettature.

La collezione FRACOMINA primavera-estate 2025 è una sinfonia di eleganza, audacia e versatilità. Pensata per accompagnare ogni donna nella vita di tutti i giorni, ma anche nei momenti particolarmente importanti del suo percorso di vita. Diverse per carattere e stile, le linee raccontano storie diverse, ma sono accomunate dal DNA unico del marchio, che è un mix di personalità interessante, femminilità e audace espressione di sé. Ogni linea è un omaggio a una donna moderna e alla sua anima multidimensionale.

Successo dell’Italia alla Fiera Internazionale del Libro di Varsavia 2025

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La presenza italiana alla Fiera Internazionale del Libro di Varsavia, tenutasi dal 15 al 18 maggio, ha riscosso un grande successo. Il Padiglione italiano, con il bookshop organizzato da Italicus, ha accolto migliaia di visitatori così come gli incontri organizzati hanno registrato sempre un’ampia partecipazione di pubblico.
Un successo confermato anche dagli organizzatori della Fiera che durante la cerimonia di chiusura hanno inaspettatamente voluto sottolineare la qualità del calendario di incontri organizzato dall’Italia dando un riconoscimento al direttore dell’Istituto Italiano di Cultura Fabio Troisi e al direttore dell’ICE Varsavia Roberto Cafiero. Il direttore della Fiera Jacek Oryl nel sottolineare l’importante presenza italiana ha snocciolato un po’ di numeri sulla Fiera con 20 padiglioni nazionali, 600 editori presenti, migliaia di autori e oltre 120 mila visitatori con un incremento delle vendite di libri.
Oryl ha poi annunciato che la Fiera ha siglato un accordo per le prossime due edizioni con lo Stadio Nazionale che quindi ospiterà la prossima edizione in programma dal 28 al 31 maggio 2026, date che questa volta non coincideranno con la Fiera del Libro di Torino.

L’Italia alla Fiera del Libro di Varsavia

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Nel 2024, l’Italia è stata per la prima volta paese Ospite d’Onore alla Fiera internazionale del Libro di Varsavia: un evento straordinario, che ha permesso al nostro paese di consolidare la propria presenza sulla scena editoriale polacca diventando protagonista di una delle manifestazioni culturali più importanti della capitale. Grazie all’Ambasciata d’Italia a Varsavia, all’ufficio ICE e all’Istituto Italiano di Cultura è stato realizzato un imponente stand dedicato a pubblico e operatori, animato da alcune tra le maggiori case editrici italiane, oltre a un programma di incontri e conferenze che ha visto la partecipazione di più di 20 autori nel corso delle quattro giornate della Fiera. L’iniziativa, coordinata in Italia dal Ministero della Cultura, Centro per la Promozione del Libro e la Lettura e Associazione Italiana Editori, ha avuto un importante seguito nel dicembre scorso, quando la Polonia è stata selezionata per la prima volta come paese “Fellow” nell’ambito della Fiera “Più Libri Più Liberi” a Roma.

Anche nel 2025, pertanto, si è deciso di confermare la presenza dell’Italia alla Fiera Internazionale del Libro di Varsavia, sia come segnale di continuità dopo il successo dell’anno precedente che per proseguire il lavoro che gli editori italiani e polacchi stanno facendo per accrescere le collaborazioni e le possibilità di scambio. Il centro della partecipazione italiana sarà anche quest’anno lo stand, realizzato dall’Istituto Italiano di Cultura in collaborazione con l’ufficio ICE di Varsavia, che sarà situato nella prestigiosa Sala Marmurowa del Palazzo della Cultura e della Scienza, e che ospiterà una libreria italiana, spazi per la promozione dell’editoria del nostro paese e iniziative dedicate alla promozione della lingua. Inoltre, non mancheranno gli incontri con gli autori, che spazieranno dalla narrativa alla saggistica, dai classici del Novecento ad autori contemporanei, fino a momenti dedicati alle collaborazioni editoriali in senso stretto: nel corso di tutti i quattro giorni della manifestazione, dal 15 al 18 maggio, non mancheranno pertanto presenze italiane, anche in collaborazione con alcuni degli editori polacchi presenti in Fiera.

La promozione della cultura italiana in Polonia, e del nostro sistema paese in generale, non può prescindere dalla valorizzazione dell’editoria, settore di punta sia dal punto di vista degli scambi commerciali che dal punto di vista dell’impatto sul pubblico: la prova di ciò è nell’enorme successo che un gran numero di autori italiani ha presso il pubblico polacco, nell’amore nei confronti della nostra lingua, nell’eccellenza degli studi di italianistica in tutto il paese. Un settore che noi istituzioni abbiamo il dovere e l’onore di sostenere e contribuire a sviluppare, sia per le positive ricadute economiche, sia perché solo attraverso il libro è possibile custodire, trasmettere e scambiare idee, valori, sentimenti, emozioni. La partecipazione alla maggiore fiera in Polonia dedicata al libro e alla lettura è un’occasione straordinaria, un momento di reale crescita del dialogo interculturale tra Italia e Polonia, a cui siamo orgogliosi di contribuire ancora una volta.

Ci auguriamo di trovarvi numerosi per celebrare il libro italiano, il libro polacco e l’amore per la lettura che unisce i nostri paesi!