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Come il caffè è diventato espresso

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fot. Katya Czarnecka

Fra i prodotti sinonimo di italianità vi è sicuramente il caffè, o per meglio dire il suo metodo di preparazione, universalmente noto come “espresso”, diffuso a livello mondiale a partire dagli anni ’60. Perché all’Italia si associa una bevanda, prodotta dalla lavorazione dei semi di una pianta originaria degli altopiani etiopici? Quanto è stato lungo il cammino per arrivare a quello che definiamo “espresso”? È quello che proviamo a descrivere in questo articolo ripercorrendo le principali tappe della diffusione di questa che è fra le bevande più consumate al mondo e la cui coltivazione è diffusa in molti paesi tropicali. Le prime notizie relative alla scoperta della pianta del caffè e soprattutto alle caratteristiche per la quale oggi è nota, sono tramandate da alcune leggende. La più accreditata, è quella, diffusa da un frate cristiano maronita, insegnante di lingue orientali a Roma e poi a Parigi, Antonio Fusto Naironi, secondo la quale un pastore di nome Kaldi pascolando il suo gregge sugli altopiani del sud dell’Etiopia, nella regione di Kaffa, notò l’irrequietezza delle sue capre ogni volta che si nutrivano dei semi di una  pianta dalla forma rotonda e dal colore brillante.

Kawa po turecku/Caffè alla turca
fot. Katya Czarnecka

Incuriosito, anche lui volle provarne e sentendosi rinvigorito da questo cibo, e ne volle portare ai sacerdoti di un vicino tempio che, diffidando del suo racconto, gettarono i semi nel fuoco per bruciarli, ma questi emanarono un aroma piacevolissimo che li convinse a raccoglierli sperimentando la loro infusione in acqua bollente.

La bevanda così prodotta era piacevole e, come detto loro detto dal pastore, aveva un effetto energizzante al punto che presero l’abitudine di usarla durante le liturgie notturne di preghiera, per tenersi svegli.

La leggenda concorda, peraltro, con le teorie di alcuni studiosi che ritengono come i semi della pianta di cui si cibava il gregge di Kaldi fossero consumati dalle popolazioni degli altopiani etiopici, mescolati a grassi animali, come cibo, soprattutto in occasione di viaggi e spostamenti

La coltivazione della Kaffa, cui fu successivamente attribuito il nome scientifico di Coffea, rimane circoscritta, per molti secoli, negli altopiani dell’Africa Orientale, dove cresceva anche spontaneamente, per poi diffondersi nello Yemen, separato solo da un braccio di mare dalle coste Etiopi (odierna Eritrea), che aveva frequenti contatti con queste popolazioni e ne dovette, probabilmente, subire anche alcune invasione prima dell’anno 1000.

Anche in questa regione la diffusione della Kaffa, il cui nome poi si evolve in lingua araba in “qahva”, e della bevanda prodotta dai suoi semi, pare sia dovuta ad alcuni monaci “sufi”, che praticavano un islamismo ascetico e traevano beneficio, come i loro colleghi etiopi, dalla bevanda, nel corso delle estenuanti veglie di preghiera e nella celebrazione di liturgie che si celebravano anche attraverso la danza.

Certamente il consumo di caffè si propagò dallo Yemen e dal suo porto principale, Moka, all’Arabia e successivamente a tutte le popolazioni di religione islamica, come testimonia una delle tante leggende sulla sua origine, nella quale si narra che una bevanda scura e fumante fosse portata dall’arcangelo Gabriele al profeta Maometto per aiutarlo a superare un momento di malessere e di profonda stanchezza.

I contatti fra le comunità religiose islamiche ed i pellegrinaggi a La Mecca, ai quali allora come oggi partecipano un gran numero fedeli, ebbero, un ruolo fondamentale nella diffusione dei semi di “qahva” che in arabo significa “bevanda energizzante o eccitante”.

Nell’arco di tre secoli, dallo Yemen il consumo di caffè si propaga all’Arabia e raggiunge i paesi del Nord Africa, del vicino Oriente e la Turchia , e fu grazie agli scambi commerciali con alcuni paesi europei, ma soprattutto con Venezia, che si cominciò a diffondere notizia di questa “usanza dei turchi”. Il veneto Prospero Alpini, illustre botanico di Padova e medico personale dell’allora console della Serenissima in Egitto, Giorgio Emo, fu il primo a descrivere le caratteristiche della pianta del caffè e a tramandarcene il primo disegno, nel suo trattato di botanica del 1592, “De plantis Aegypti”, vantando gli usi terapeutici della bevanda ricavata dall’infusione dei suoi semi, dal gusto “amaro come bere cicoria”.

Infatti l’utilizzo iniziale fu quello medicale ed i semi erano difficilmente reperibili, peraltro a costi altissimi, presso gli speziali (gli odierni farmacisti) indicati soprattutto quale antidoto contro i disturbi intestinali.

Pare che siano stati gli studenti dell’Università di Padova, dove l’Alpini insegnò dopo la sua esperienza in Egitto, ad acquistarne i primi quantitativi arrivati a Venezia. Il trattato di Prospero Alpini è di qualche anno successivo alla testimonianza del “balio” Gianfranco Morosini, ambasciatore, della Repubblica di Venezia a Istanbul, che nel 1585 , in una relazione al Senato, descrive la bevanda come “acqua nera bollente che si ricava da un seme, “qahva”, che fa stare l’uomo sveglio” e dava notizia del suo consumo in appositi locali “Qahveh Haneh”, già diffusi in quel periodo ad Istanbul, a modello di quelli già presenti al Cairo, Damasco ed Aleppo, nei quali sostavano cantastorie, ed avventori impegnati in partite di “mangala” (gioco simile agli scacchi ancora oggi molto diffuso in Turchia), il tutto accompagnato da chiacchiere, pettegolezzi e commenti, a volte anche critici nei confronti delle autorità, che periodicamente decretarono la chiusura delle “Qhaveh Haneh”, provvedimenti peraltro di breve durata o, di fatto, ignorati dalla popolazione, per la quale il consumo di caffè e la frequentazione delle “Haneh” era ormai diventata un’abitudine.

Da inizio ‘600 Venezia, grazie agli scambi con l’impero ottomano, diviene il primo porto europeo di arrivo e smistamento dei semi di caffè, che poi proseguivano il viaggio fino ai paesi del Nord Europa, in particolare verso la Germania. Comincia così a diffondersene il consumo grazie anche all’apprendimento delle tecniche per la sua preparazione, abbrustolendo, e mettendo a macerare i semi, a lungo, in acqua bollente “come facevano i turchi”. L’aggiunta di zucchero e spezie per renderne l’aroma ed il sapore più piacevole, pare sia successiva, quando il caffè cominciò ad essere una bevanda “alla moda”, gradualmente soppiantando l’utilizzo medicale indicato dall’Alpini nel suo trattato e, intorno al 1640, comincia a consumarsi, insieme ad altre bevande, nelle “Botteghe delle Acque e dei Ghiacci”.

Nel corso degli anni la conoscenza dell’utilizzo del caffè si diffonde presso le famiglie aristocratiche e benestanti ed anche i luoghi deputati alla mescita della bevanda diventano sempre più raffinati collocandosi nelle zone “bene”, diremmo oggi, della città e, anche se servivano altri tipi di infusi, vengono identificati con la mescita della bevanda che arriva dall’oriente, nascono così i locali chiamati “Caffè”.

L’inizio della diffusione del caffè nei paesi cristiani come avvenuto un paio di secoli prima nei paesi dell’Islam, attira l’attenzione delle gerarchie religiose, a tal punto che a Papa Clemente VII (1595-1605) viene chiesto di proibirne l’uso in quanto bevanda “del diavolo”, ma il Pontefice l’assaggia e ne rimane entusiasta, dicendo che una simile prelibatezza non può essere di esclusivo uso degli “infedeli” e quindi la “battezza”, togliendone il, presunto, imprimatur di Satana.

Come abbiamo visto i locali dove veniva bevuto il caffè sono già presenti a Venezia fin dalla metà del ‘60 , la cui frequentazione è suggerita ai visitatori nelle “guide turistiche” dell’epoca, ma il primo di cui si tramanda il nome è il “Caffè Florian” (il nome originale era “Caffè della Venezia Trionfante”) dal nome del proprietario Floriano Francesconi, aperto nel 1720 che diventò ritrovo alla moda per la borghesia ed i letterati del tempo, ben presto imitato da altri locali simili, in particolare dal “Caffè Quadri”, che da allora ne è il principale concorrente, dal momento che i due locali, meravigliosamente conservati, continuano a tutt’oggi la loro attività , uno di fronte all’altro, sotto i porticati di Piazza San Marco.

I maggiori artisti, letterati e filosofi dell’epoca frequentavano questi ritrovi: Vivaldi, Goethe, Mozart, Rousseau e Carlo Goldoni che appunto titolò una delle sue commedie di maggior successo “La bottega del Caffè”, scritta nel 1750 e ambientata in un Campiello dove la bottega del Caffè diventa osservatorio privilegiato delle vicissitudini dei protagonisti su cui vigila il “caffettiere” Ridolfo, che ha un ruolo decisivo nel ricomporre dissidi coniugali e ricondurre i viziosi sulla retta via.

Caffettiera napoletana, fot. Evelina Ussardi

A partire da Venezia i “caffè” cominciarono a diffondersi anche nelle altre capitali europee, a Parigi il primo fu il “Procope” fondato dal siciliano Francesco Procopio. La nascita del primo “caffè” a Vienna vede protagonista un commerciante o, secondo altri, un ufficiale polacco, Jerzy Franciszek Kolschitzky che, nell’agosto 1683, con la capitale austriaca assediata dall’esercito turco guidato da Kara Mustafa Pasha, fu inviato dal conte von Starhemberg a cercare rinforzi. Kolschitzki, sfruttando la conoscenza di lingua e usi dei turchi riuscì a superare l’assedio. Fu anche grazie al successo della sua sortita che francesi e polacchi, guidati da Giovanni III Sobiesky, misero in fuga gli assedianti. Kolschitzki venne ricompensato con terreni, danari e 500 sacchi lasciati dai turchi che tutti pensavano contenessero mangime per animali. Erano invece bacche di caffè, dei quali Kolschitzky conosceva bene il valore. Aprì quindi un locale ed iniziò a servire la bevanda amara e non filtrata secondo il metodo di preparazione alla turca. Il successo arrivò solo quando iniziò a servire il caffè con l’aggiunta di miele, latte o crema; così i viennesi cominciarono ad amare questa bevanda, decretando il successo del “Den Blauen Flaschen”, la “Fiasca Blu”, il primo caffè di Vienna. Una statua di Kolschitzky ritratto vestito “alla turca” nell’atto di servire un caffè si può ammirare ancor oggi a Vienna, in un palazzo storico, al numero 4 della Kolschitzky Gasse. A lui, nel 2009, fu dedicato anche un francobollo delle Poste Polacche nell’ambito della serie filatelica “Tracce polacche in Europa”. Il crescente consumo del caffè aumentò l’interesse a coltivarlo in altri territori oltre a quelli di origine che vietavano l’esportazione della pianta. Il primo a riuscire nell’impresa, alla fine del ‘600, fu l’olandese Peter Van Der Broke che fece crescere la pianta del caffè nell’Orto Botanico di Amsterdam da dove poi ne iniziò la diffusione nelle colonie olandesi di Giava e Sumatra e quindi nella Guayana olandese, in Centro America. I Francesi ne iniziarono la coltivazione in Martinica a metà ‘700, e così fecero anche Inglesi e Portoghesi nelle rispettive colonie fra il Tropico del Cancro e del Capricorno. L’enorme espansione della coltivazione del caffè provocò una maggiore reperibilità e un minor costo del caffè ampliandone il consumo.

Recarsi al caffè diventa nel frattempo un rito soprattutto per intellettuali e letterati ed è da qui che si diffondono idee di emancipazione e progresso nel secolo dei “lumi”. Ne è testimonianza il nome, “Il Caffè’’, dato da Pietro Verri alla rivista che ideò nel 1764, volendo sottolinearne la varietà degli argomenti trattati: dalle lettere, alle scienze, alla filosofia, ed alla quale collaborò, fra gli altri, anche Cesare Beccaria, autore “Dei Delitti e delle Pene”, trattato nel quale si contestava, per la prima volta, l’utilizzo delle pene di morte. Siamo ormai nella seconda metà del ‘700 e nella nostra, necessariamente sommaria, panoramica sulla diffusione del caffè non abbiamo ancora menzionato Napoli, all’epoca una delle città più popolose d‘Europa, dove il consumo del caffè si diffuse più tardi rispetto alle altre capitali, grazie a Maria Carolina d’Asburgo, sposa di Ferdinando IV che lo fece servire, nel 1771, nel corso di un ballo alla reggia di Caserta.

Moka, fot. Magda Zbrzeska

Dall’utilizzo a corte a quello popolare il passo fu breve, grazie anche alla circolazione di alcuni “pamphlet” sull’utilizzo del caffè e del cacao, nei quali si smentiva la teoria che il consumo di caffè portasse sfortuna e fosse una “diavoleria”.

Quando il caffè cominciò a diffondersi nei paesi cristiani attirò l’attenzione delle gerarchie religiose, a tal punto che a Papa Clemente VII (1595-1605) venne chiesto di proibirne l’uso in quanto bevanda “del diavolo”, ma il Pontefice l’assaggiò, ne rimane entusiasta e disse che una simile prelibatezza non poteva essere di esclusivo uso degli “infedeli” e quindi la “battezzò”, togliendone il, presunto, imprimatur di Satana.

È ad inizio ‘800 che Napoli adotta il caffè, la cui moda si deve anche all’invenzione di uno stagnino parigino, Jean Louis Morize, che nel 1819 fabbrica una caffettiera di latta in cima alla quale incastona un filtro colmo di caffè macinato sul quale versare l’acqua bollente in modo da assorbirne le sostanze aromatiche evitando il permanere dei residui, cosa che accadeva nel normale processo di infusione dei semi in acqua bollente. All’epoca gli scambi con la Francia erano intensi, grazie anche alla dinastia dei Borboni, e l’invenzione di Morize trova a Napoli il successo che non ebbe in patria, perché gli artigiani la perfezionano incastonando il filtro, forato, contenente la polvere di caffè all’interno del serbatoio dell’acqua sul quale si avvita il contenitore della bevanda. Quando l’acqua va in ebollizione la caffettiera viene capovolta in modo da consentire, per gravità, il passaggio dell’acqua attraverso il filtro contenente il caffè. Nasce così la caffettiera “napoletana” o, dialettale, “cuccumella” che consente la preparazione del caffè in tutte le case trasformandolo in un momento della vita familiare ed in un’occasione di socialità.

È indimenticabile il monologo nel quale Edoardo De Filippo nella sua commedia “Questi Fantasmi” si rivolge al dirimpettaio, il Professor Santanna, descrivendo, in modo dettagliato, le fasi di preparazione del caffè con la “cuccumella”, in particolare suggerendogli l’utilizzo del “cuppitiello”, piccolo coperchio di carta da sistemare sul becco della caffettiera, una volta terminata la preparazione, per preservarne l’aroma.

La Cimbali Pitagora 1962; fot. Irene Fanizza

La coltivazione del caffè nella seconda metà dell’800 si diffonde ulteriormente, soprattutto in Sud America (Brasile, Guatemala, Colombia) e nelle colonie africane dei paesi europei dalle quali viene esportato verso il Vecchio Continente ed in Nord America.

All’Expo Universale di Parigi nel 1855 viene presentata dal francese Louis Bernard Babaut, la prima macchina a vapore per la preparazione di più caffè contemporaneamente ma ha scarso successo perché la temperatura del vapore, non controllata, rischia di far esplodere il macchinario.

Il salto di qualità avviene in Italia nel 1901 quando Luigi Bezzera, sulla scia di un altro inventore, Angelo Moriondo, mette a punto la prima macchina da caffè in grado di riempire tazze in serie, cedendone poi i brevetti a Desiderio Pavoni che inizia a produrla nel 1908.

Sono macchine dotate di una caldaia scaldata da un fornello a gas, in grado di riscaldare grandi quantità d’acqua e “percolare” la polvere di caffè (stesso principio della caffettiera napoletana) potendo servire in tempi rapidi un numero maggiore di clienti, ma sono macchine ingombranti, a sviluppo verticale e di non facile manutenzione che forniscono una bevanda dal sapore a volte “bruciato”, come nota un milanese che lavora nel caffè di famiglia, Achille Gaggia, che insieme ad Antonio Cremonese, inizia a produrre una caldaia che manda in ebollizione l’acqua utilizzando la pressione a temperatura costante e non il vapore per dare al caffè un sapore migliore, ma siamo nel 1938, alla vigilia della seconda guerra mondiale e la novità, ha scarsa eco.

Peraltro qualche anno prima (1935) era stato costruito un primo prototipo di macchina in grado di regolare automaticamente la temperatura dell’acqua, la “Illetta”, così denominata dal nome del suo inventore, Francesco Illy, fondatore del celeberrimo marchio “Illy caffè” di Trieste, divenuta importante città di torrefazione del caffè.

Bisogna attendere la messa in produzione di “Classica”, nel 1948, sempre su intuizione di Achille Gaggia per avere una macchina da caffè con la pressione e la temperatura dell’acqua regolate da una leva idraulica e la fuoriuscita del caffè contemporaneamente da più erogatori posizionati in orizzontale.

È la prima macchina industriale per la preparazione del caffè “espresso” che può essere pronto in circa 30 secondi grazie all’utilizzo di una leva idraulica che regola la temperatura dell’acqua che passa attraverso la polvere del caffè ad una temperatura ottimale, circa 90 gradi, dandogli un aspetto cremoso ed un aroma inconfondibile. Tanto che l’inventore la pubblicizzò come “macchina per Crema caffè naturale-funziona senza vapore”.

MUMAC, fot. Emanuel Galimberti

Dagli anni ’50 le macchine Gaggia, grazie alla meccanica innovativa ed al design accattivante, cominciano ad essere esportate in tutto il mondo a partire da quei paesi in cui le comunità italiane erano forti. Il marchio Gaggia, nel 1977, ha anche il merito di aver consentito a milioni di consumatori di preparare a casa un “espresso” come al bar, grazie alla “Baby Gaggia”, dal design compatto e dal classico colore arancione.

Ma un ruolo fondamentale nel consumo domestico del caffè lo si deve ad Alfonso Bialetti che, nel 1933, immette sul mercato una caffettiera a pressione, della quale se ne sono venduti ad oggi oltre 120 milioni di esemplari, alla quale dà il nome di Moka, dal porto dello Yemen dal quale partirono i primi carichi di caffè.

La diffusione capillare in Italia e poi nel mondo dell’espresso e delle macchine per la sua preparazione è dovuta anche a campagne di marketing molto accattivanti ideate -a partire dagli anni ’60, in televisione – dai più importanti produttori di caffè italiani.

È ancora oggi molto vivo in Italia il ricordo dello spot TV della Lavazza che, nel 1965 pubblicizzava il suo marchio “Paulista” attraverso le gesta di Caballero e Carmencita, due personaggi stilizzati creati da Armando Testa, mitico pubblicitario italiano.

Importanti designer come Giò Ponti, Bruno Munari, Achille Castiglioni, vengono ingaggiati per rendere accattivanti le forme delle macchine professionali da caffè e nel 1962, il “Compasso d’Oro”, il più prestigioso premio conferito dall’Associazione dei Designer Italiani, viene assegnato a “Pitagora”, macchina da caffè disegnata da Achille e Pier Giacomo Castiglioni, per conto de “La Cimbali Spa”, altro mitico marchio italiano delle macchine da caffè che, per celebrare i 100 anni di attività inaugura il MUMAC, “Museo delle Macchine da Caffè” professionali aperto a Binasco, a pochi chilometri da Milano, accanto alla sede del gruppo Cimbali, nel quale sono esposte le 200 macchine da caffè grazie anche alle quali si è diffuso nel mondo il mito dell’espresso che, come si è descritto, non è soltanto l’aggettivo della lingua italiana oggi comunemente usato nel mondo per ordinare un caffè, ma il frutto di un lungo viaggio che, nei secoli, ha coinvolto molti popoli e introdotto usanze ed abitudini ma che in Italia è diventato, secondo la definizione che Ernesto Illy ha dato dell’espresso, un miracolo di chimica e fisica, fatto di arte e scienza insieme.

 

Il caffè, dopo l’acqua ed insieme al tè è la bevanda più diffusa al mondo. Se ne producono 11 miliardi di chili in 70 paesi e nella sua produzione sono coinvolti oltre 25 milioni di coltivatori (dati International Coffee Organization). I principali 10 produttori: Brasile, Vietnam, Colombia, Indonesia, Etiopia, India, Honduras, Perù, Guatemala, Uganda. I principali 10 importatori: Francia, Stati Uniti, Germania, Italia, Belgio, Francia, Spagna, Regno Unito. L’Italia esporta 1,5 miliardi di caffè torrefatto (Istat, 2021), in 90 paesi del mondo, principalmente destinati a: Germania, Francia, USA, Polonia, Grecia, Regno Unito, Russia. In Italia sono attive oltre mille torrefazioni.

Fattorie del Duca, la qualità italiana alla fiera HoReCa

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Dal 6 all’8 novembre 2024 a Cracovia si svolgerà la 31^ Fiera Internazionale HoReCa insieme alla 21^ Fiera Internazionale dei Vini ENOEXPO, due appuntamenti che da anni portano a Cracovia le migliori aziende dei settori alberghiero, gastronomico e dei vini. 

Tra le aziende italiane parteciperà il famoso marchio Fattorie del Duca, specializzato nell’importazione e distribuzione di prodotti gastronomici di alta qualità, direttamente dall’Italia alla Polonia. Fattorie del Duca propone una selezione esclusiva di prodotti pensati per soddisfare le esigenze di ristoranti, pizzerie e negozi specializzati che vogliono offrire il meglio della tradizione culinaria italiana. 

Tra i prodotti d’eccellenza di Fattorie del Duca ci sono una vasta gamma di formaggi italiani di qualità superiore, tra cui parmigiano reggiano, pecorino, gorgonzola, mozzarella di bufala. Per quanto riguarda i salumi artigianali l’offerta comprende ad esempio prosciutto crudo, salame, coppa e speck. Vi invitiamo a visitare il sito internet www.delduca.pl con una gamma di oltre 1000 prodotti.

I titolari dell’azienda provengono dalle terre del Prosecco e quindi propongono il Prosecco DOC e DOCG delle migliori cantine del Veneto, il vino ideale per accompagnare pasti raffinati o per brindare in occasioni speciali, sempre più popolare nei ristoranti e bar polacchi.

Fattorie del Duca si caratterizza anche per una distribuzione su misura fornendo prodotti esclusivi in tutta la Polonia e offrendo soluzioni logistiche efficienti per garantire consegne puntuali e prodotti freschi. L’azienda ha sviluppato una solida rete di distribuzione che copre le principali città polacche, da Cracovia (dove hanno la sede) a Varsavia, a Danzica e Poznań, per citarne alcune, ma anche i centri minori con un servizio rapido ed efficiente.

Durante la Fiera HoReCa ci sarà la presenza del partner Łukasz Hrabia – che insieme a Fattorie del Duca promuove l’ACCADEMIA POLSELLI in Polonia – a disposizione di tutti i pizzaioli che vogliono specializzare la proprie capacità o conoscere le novità. Polselli è marchio leader in Italia di produzione di farine.

Ogni anno, la Fiera attira un gran numero di professionisti del settore HoReCa e della gastronomia, offrendo un’occasione imperdibile per scoprire le ultime tendenze culinarie. Potrete partecipare a brevi ma coinvolgenti masterclass di cucina italiana e degustare gli eccellenti prodotti di Fattorie del Duca. Non perdete l’opportunità di arricchire le vostre competenze e deliziare il palato. Vi aspettiamo con entusiasmo!  

FIERA HORECA GASTROFOOD: 
Targi w Krakowie
31-586 Kraków
ul. Galicyjska 9
Contatti e opportunità di collaborazione: www.delduca.pl
tel. 122851640

Gazzetta Italia 107 (ottobre-novembre 2024)

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Gazzetta Italia (n.107) celebra, con una copertina dedicata e tanti articoli di letteratura, la Settimana della Lingua Italiana nel Mondo. Un numero assolutamente imperdibile!

Ecco alcuni titoli: Asiago, altopiano delle meraviglie 🔸 Tutti al Cinema! 🔸 Maciej Brzozowski, Italia paese della grande imprenditoria e dello stile 🔸 Appena Sfornati (musica) 🔸 Napoli miracoli e superstizioni 🔸 Zakręcony Włoski vince l’Italy Ambassador Awards 🔸 Vacanze romane nella vita quotidiana: la moda business italiana 🔸 L’ultima dogaressa 🔸 Modigliani 🔸 La nascita degli studi di Polonistica a Roma 🔸 Letteratura: Un’infanzia racchiusa nelle tessere di un puzzle / Chi dice, chi tace e chi dimentica le domande / Julia Kendall in Italia: la criminologa di Giancarlo Berardi e il Bel Paese 🔸 Ricette: Gnocchi di patate con ragù di pesce/Torta opera al caffè ganache di fondente

Gazzetta Italia si può comprare negli Empik, o sul sito gazzettaitalia.pl, o telefonando al 505 269 400.

Festival SpazInsoliti – alla ricerca di luoghi speciali

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Nel weekend 14 -15 settembre si è svolta a Vicenza la quinta edizione del festival SpazInsoliti. È il festival più itinerante di Vicenza che porta il pubblico a scoprire location insolite e sconosciute della città, utilizzandole come spazi di ricerca culturale e artistica grazie a performance ed esposizioni di diversa natura. SpazInsoliti rilancia la sfida di trasformare luoghi inusuali, sconosciuti o anonimi in palcoscenici per musicisti, performer, attori e artisti e di mettere in connessione il pubblico con la propria città.

Il progetto SpazInsoliti nasce da un’idea di Arci Servizio Civile ed è stato realizzato grazie al fondamentale contributo di giovani volontari under30. Lo scopo è quello di (ri)scoprire luoghi di Vicenza sconosciuti o non sempre accessibili e restituirli a quella città che ancora ha voglia di immaginare, creare e lasciarsi stupire. Arci Servizio Civile Vicenza è un’associazione che promuove la cittadinanza attiva e il protagonismo giovanile attraverso esperienze di volontariato e progetti culturali. Sottolinea i valori della pace, della nonviolenza e dell’intercultura. Il progetto SpazInsoliti è realizzato in rete con le associazioni del centro culturale Porto Burci e sostenuto da Regione Veneto e Comune di Vicenza. Il festival è  organizzato da un team di giovani volontarie, che scelgono le proposte artistiche, gestiscono il budget, ideano la comunicazione e si confrontano con istituzioni e privati, il tutto in un processo partecipato di condivisione e scambio di competenze.

Il festival prevede due percorsi che attraversano il cuore della città. I partecipanti possono scoprire giardini, androni, scalinate e altre location nascoste, ammirando le opere di illustratrici, fotografi e pittori, ascoltando la musica live e osservando installazioni e performance teatrali. Quest’anno tra le location c’erano:

Palazzo Cordellina – costruito in stile palladiano da Ottone Calderari tra il 1786 e il 1790. Gli interni sono ornati da affreschi e decorazioni opera di Paolo Guidolini e Girolamo Ciesa. Attualmente ospita la sede centrale della Biblioteca Bertoliana;

Ex Convento – Santa Caterina – sede di un monastero femminile dal 1190 al 1810. Il solenne e luminoso refettorio, decorato da stucchi veneziani settecenteschi, era il locale in cui le monache consumavano i pasti in silenzioso ascolto delle letture;

La scuola Dame Inglesi – fondata nel 1837 per precisa volontà dell’imperatore d’Austria Francesco I. Oggi la Scuola Dame Inglesi è gestita dalla Fondazione Mary Ward. Attualmente comprende le scuole d’infanzia, primaria e secondaria di primo grado, ispirate a valori cattolici.

Ecco alcuni artisti che hanno partecipato a questa edizione del festival: Alex De Zan, Davide Dalmanzio, Federico Franco, Filippo Munegato, Katrīna Līna Trektere, Daniele Vanzo, Beatrice Cera.

Fine Settimana Italiano a Bochnia

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Foto : Wojciech Salomon

La Fondazione “Jesteś”, insieme all’Ufficio dello Starosta del distretto di Bochnia, rappresentato dal sindaco Adam Korta, e con altre istituzioni, ha organizzato l’evento “Settimana Italiana” dal 13 al 15 settembre. Gli organizzatori hanno dichiarato che “quest’anno si è iniziato in modo semplice ma concreto, invitando una delegazione della città di Cassino in occasione dell’80° anniversario della battaglia di Monte Cassino.

La cultura italiana gode di una grande popolarità in tutto il mondo e vogliamo avvicinarla anche alla nostra comunità locale. Si scopre che la città di Bochnia ha da secoli radici nella collaborazione con l’Italia, in particolare con i mercanti italiani. Il 13 settembre, su invito del sindaco di Bochnia Magdalena Łacna, abbiamo accolto all’aeroporto di Cracovia il sindaco di Cassino, Enzo Salera, con la moglie; la consigliera di Cassino, Mercedes Galasso, e Antoine Tortolano. Anche se gli ospiti hanno trascorso solo due giorni con noi, hanno avuto l’opportunità di vedere molte bellezze locali. Hanno iniziato dalla Miniera di Sale di Bochnia, dove sono scesi a 200 metri sotto terra e sono stati simbolicamente accolti dagli “antenati” di Genova. Nella splendida cornice del ristorante Cameralna, di proprietà di Joanna e Jarosław Potasz, gli ospiti sono stati accolti dallo starosta Adam Korta e dal sindaco Magdalena Łacna. Durante l’incontro si sono tenute lezioni di storici locali, che hanno presentato in modo interessante la storia italiana in terra małopolska. Successivamente, gli ospiti hanno assaggiato specialità culinarie polacche.”


Enzo Salera e Mercedes Galasso hanno ammirato con interesse l’architettura storica di Bochnia, motivo per cui Adam Korta li ha invitati a visitare l’Ufficio dello Starosta. Il programma è proseguito con una mostra delle opere dell’artista polacco Marek Górny, intitolata “Lettere dall’Italia”, e poi con un concerto di pianoforte presso la Biblioteca Pubblica di Bochnia, durante il quale un giovane artista ha presentato brani sia polacchi che italiani.


Dopo una giornata intensa, durante una cena in uno dei ristoranti di Bochnia, si è parlato dei piani per il futuro e delle possibilità di ulteriori collaborazioni.
La domenica è iniziata tradizionalmente con la Messa nella Basilica di San Nicola, dedicata ai nostri ospiti, ai soldati caduti nella battaglia di Monte Cassino e alle loro famiglie. Il tempo era ideale, il che ha permesso un incontro presso il monumento di Dąbrowski a Pierzchów. Lì, insieme alle delegazioni delle associazioni e della Provincia,sono stati deposti mazzi di fiori. Il Circolo delle Casalinghe Rurali ha preparato un rinfresco e c’erano molte altre attrazioni per i partecipanti.
Sono stati giorni meravigliosi che hanno mostrato quanto siano importanti l’apertura nelle relazioni e la comunicazione.

 

Celebrazione della Giornata dello Sport Italiano nel mondo

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Si è svolta martedì 24 settembre 2024, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia, la prima Giornata dello Sport Italiano nel mondo, un’iniziativa fortemente voluta dal Ministero degli Affari Esteri Italiano per promuovere non solo le eccellenze sportive ma anche il mondo economico che gravita attorno allo sport. Dopo i saluti istituzionali portati dal Sottosegretario allo Sport e al Turismo polacco Piotr Borys, dall’Ambasciatore italiano a Varsavia Luca Franchetti Pardo e dal responsabile affari istituzionali di Confindustria Polonia Alessandro Saglio, è intervenuto il direttore dell’Ufficio ICE di Varsavia Roberto Cafiero con una dettagliata esposizione del Sistema Sportivo Italiano che ha un fatturato di 22 miliardi di euro – di cui ben 9 prodotti dalle esportazioni – coinvolge circa 400 mila posti di lavoro e 15 mila aziende private. A seguire si sono svolti due panel moderati dal giornalista Sebastiano Giorgi, il primo dedicato a Sport e Management con relatori l’ex calciatrice e dirigente del Genoa Marta Carissimi, l’ex giocatore di basket, nella hall of fame del basket italiano, Carlo Caglieris, il direttore del Lang Team, organizzatore del Tour de Pologne, John Lelangue, la direttrice dell’azienda eventi della Pallavolo Polacca Ewa Grzegorczyk e il professore di Sociologia dell’Accademia Sportiva AWF di Varsavia Michal Lenartowicz. Il secondo panel – incentrato sul positivo caso del calcio femminile italiano – ha visto dialogare Marta Carissimi e il responsabile marketing della Federazione Calcio Polacca Karol Tatar. In chiusura c’è stata la relazione sulla Dieta Mediterranea del nutrizionista Mariusz Panczyk. L’evento supportato da Confindustria Polonia si è poi concluso con un networking e buffet italiano offerti dalla sezione polacca dell’Associazione Cuochi Italiani, Kuchnia Wloska e PLOH. 

Italy Ambassador Awards – II Edizione. 28 settembre 2024, Cracovia, Polonia

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Siamo lieti di annunciare la seconda edizione del Premio Italy Ambassador Awards, che si terrà il 28 settembre 2024 nella storica e suggestiva cornice del Castello Reale di Wawel, a Cracovia, in Polonia.

Il Premio Italy Ambassador Awards nasce con l’obiettivo di celebrare e riconoscere i migliori content creator che promuovono l’Italia e il Made in Italy nel mondo. In quest’edizione il focus sarà sui creativi che hanno saputo raccontare l’Italia attraverso i loro contenuti digitali, evidenziando la bellezza, la cultura, l’arte, la gastronomia e le tradizioni del nostro paese.

La seconda edizione del Premio sarà patrocinata da importanti istituzioni italiane e polacche, tra cui l’Ambasciata d’Italia, la Camera di Commercio e Industria Italiana in Polonia, la Federazione Italiana Cuochi (sezione Polonia), il Consolato Onorario d’Italia a Cracovia, l’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia, Confindustria Polonia e altri prestigiosi enti che condividono l’obiettivo di rafforzare i legami culturali e promuovere le eccellenze italiane a livello internazionale.

Durante l’Italy Ambassador Awards saranno presentati i finalisti della seconda edizione.

Un momento speciale della serata sarà l’esclusiva performance del celebre violinista Vadim Brodski, che creerà un’atmosfera magica e indimenticabile nello straordinario contesto del Castello.

L’apericena sarà un vero e proprio viaggio nei sapori italiani, preparato dalla Federazione Italiana Cuochi (sezione Polonia) con la partecipazione di rinomati chef tra cui: Cristina Catese, Maicol Guazzini, Andrea Camastra, Alan Penone, Calogero Cascio, Fabio Pantano, Carlo Bognolo e Krzysztof Żurek. Utilizzeranno prodotti italiani d’eccellenza per deliziare gli ospiti con piatti autentici.

L’Italy Ambassador Awards rappresenta un’importante occasione per riconoscere il lavoro dei content creator che, attraverso le loro piattaforme digitali, raccontano l’Italia a un pubblico globale. L’evento sarà anche un’opportunità di networking per professionisti del settore, istituzioni e aziende, con l’obiettivo di sviluppare nuove sinergie e collaborazioni.

Sostenibilità, Solidarietà, Educazione, Rispetto, Collaborazione e Innovazione sono i valori fondamentali del Premio e rappresentano il filo conduttore di tutte le iniziative legate all’evento. Questi principi guideranno la scelta dei vincitori e saranno al centro delle celebrazioni del 28 settembre 2024.

La Giuria è composta da: Svetlana Trushnikova, Fondatrice del Premio Italy Ambassador Awards, Izabela Krzanowska, Direttore del IAW Poland Edition, Katarzyna Likus, Console Italiano Onorario a Cracovia, Matteo Ogliari, Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia, Sebastiano Giorgi, Direttore della rivista bilingue italo-polacca “Gazzetta Italia”, Anna Zając, Proprietaria di See Bloggers, blog Fashionable, Mono Cafe & Bistro e Roselle, Cristina Catese, Presidente FIC Federazione Italiana Cuochi (sezione Polonia), Emiliano Castagna, Proprietario di Socialkuchnia Sp. z o.o. (Food Marketing Agency), Macin Lewicki, Redattore capo di Lounge Magazine, Jagoda Walczak, Direttore generale di Wiadomości Turystyczne Mice Poland, Antonio Maglietta, Proprietario di Ristorante Sant’Antioco & Ristorante Santa Caterina, Odoardo Spataro, Proprietario di KATANE Gelato Siciliano.

Italy Ambassadors Award – Polonia si svolge in collaborazione con preziosi partner e con un gran numero di sponsor scelti tra le più importanti ditte italiane e polacche attive in Polonia tra cui Latre Luxury, Stardom House Hotel, Hotel Podroza, Akademia Kulinarna, Ferrari Trento, Woda Primavera, Vespa Resto, Gastro Rental, Ristorante Santa Caterina e Sant’Antioco, Fattorie del Duca, Agroip, BYKirin, Katane, Vera Mia, Fettine, Rocca Toscana Formaggi con la partecipazione di Gazzetta Italia, Lounge, All Incusive Magazine e Wiadomosci Turystyczne come media partner in Polonia.

Siamo entusiasti di poter accogliere tutti i partecipanti, ospiti e partner a Cracovia per una serata indimenticabile, piena di emozioni, creatività e passione per l’Italia.

Ricordiamo che l’edizione principale del premio si terrà a Firenze il 28 novembre nella cornice della fiera BTO: un appuntamento annuale dedicato al Made in Italy, alla bellezza, alla cultura, ai sapori e ai profumi che caratterizzano il Bel Paese, con un occhio particolare al mondo del turismo, del lusso, del benessere attento alla sostenibilità.

Per ulteriori informazioni sulla seconda edizione del Premio Italy Ambassador Awards e per scoprire come partecipare, visitate il sito web Italy Ambassador Awards.

Calabria, terra di contrasti e bellezze naturali

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Tramonto sullo Stromboli visto dal Capo Vaticano / fot. Saverio Danese

La Calabria, una delle regioni più affascinanti del sud Italia, offre un’incredibile varietà di paesaggi, dalla montagna al mare cristallino, intrisi di una profonda cultura e d’antiche tradizioni. Questo lembo di terra è stretto tra due mari: il mar Tirreno e lo Ionio, ciascuno con caratteristiche uniche che attraggono viaggiatori da ogni angolo del mondo.

La costa ionica, con la sua storia e natura eccezionali, è peraltro facilmente raggiungibile dalla Polonia, grazie ai vari collegamenti aerei, spesso anche a buon prezzo. Le possibilità per arrivare all’aeroporto di Sant’Anna di Crotone sono multiple, partendo da varie città polacche sono disponibili voli con scalo a Milano, Venezia – Treviso o Bologna. Uno dei luoghi più incantevoli della regione è Le Castella, un borgo della Calabria Ionica, celebre per la sua imponente fortezza aragonese emergente dalle acque cristalline. Noto per le sue leggende storiche e la sua bellezza naturale, il borgo offre spiagge di sabbia fine e acque bandiera blu, ideali per chi è in cerca di relax e avventure marine. La fortezza ha guadagnato notorietà anche nel mondo del cinema, per essere stata location di film come “L’Armata Brancaleone” e “Il Vangelo Secondo Matteo”, e più recentemente set per le riprese del nuovo “Sandokan”. Adiacente al borgo si estende l’Area Marina Protetta di Capo Rizzuto, una delle più grandi in Italia, che protegge una tra le più diversificate biodiversità marine e offre attività educative come gite a bordo di battelli dal fondo trasparente. Le vicine spiagge de Le Cannella e la Riserva Marina di Isola di Capo Rizzuto arricchiscono l’offerta turistica con possibilità di snorkeling e immersioni. Quest’anno, Le Castella è candidata ai “Borghi più belli d’Italia”, riconoscendo il suo valore come gemma turistica della regione.

Il capoluogo di Provincia è Crotone, una città situata sulla costa ionica della Calabria, che vanta una storia ricca e affascinante che risale al 710 a.C., quando fu fondata come colonia greca dagli Achei. Nel corso dei secoli, Crotone è diventata famosa non solo per la sua potenza marittima e i suoi successi sportivi, ma anche per essere stata un importante centro culturale e spirituale, ospitando figure storiche come il filosofo Pitagora. Uno dei siti più emblematici vicino a Crotone è Capo Colonna, noto nell’antichità come Lakinion Akron. Questo promontorio ospita i resti dell’antico tempio dedicato alla dea Hera Lacinia, un tempo uno dei santuari più venerati del mondo greco. L’area, ricca di vestigia archeologiche e circondata da una natura rigogliosa, testimonia il passato glorioso di Crotone e continua a essere un punto di riferimento storico e culturale. La solitaria colonna sopravvissuta al tempo simboleggia la tenacia e l’importanza storica di questo antico luogo di culto, rendendo Capo Colonna una tappa obbligatoria per chiunque visiti la Calabria. Un’altro luogo da vedere è Santa Severina, un pittoresco borgo medievale situato nel cuore della Calabria, posizionato strategicamente tra il mare Ionio e i monti della Sila. Celebrato come uno dei “Borghi più Belli d’Italia” 2018, si trova su uno sperone di tufo che domina la vallata del fiume Neto, offrendo affascinanti vedute, specialmente durante le albe nebbiose. Il suo centro storico, ricco di architetture che variano dal castello normanno alle chiese bizantine, riflette le diverse fasi storiche e architettoniche del borgo.

Colonna superstite del Tempio di Hera Lacinia, Capo Colonna / fot. Saverio Danese

Da notare anche il quartiere bizantino della Grecìa e il rione della Giudea, che evidenziano la storica presenza ebraica fino al 1510. Il Castello di Santa Severina, simbolo del borgo, ospita un significativo Museo Archeologico e vanta decorazioni barocche, affreschi medievali e un belvedere con vista sul Marchesato. All’interno del palazzo arcivescovile, il Museo Diocesano di Arte Sacra e l’Archivio Storico Diocesano conservano e espongono preziosi artefatti che attestano l’importanza religiosa e culturale di Santa Severina.
Un’altra tappa: tra giganti e laghi incantati, chiamato il cuore verde della Calabria, c’è il Parco Nazionale della Sila, un vasto altopiano noto per i suoi “giganti”, gli alberi secolari anziani 350 anni e alti fino a 45 metri dominano il paesaggio. Questi imponenti esemplari di pino loricato sono testimoni silenziosi di storie millenarie e conferiscono al parco un’atmosfera quasi mistica. Tra i laghi che punteggiano la Sila, spicca il Lago di Lorica, incastonato tra le montagne. Questo specchio d’acqua, circondato da fitti boschi, è un luogo perfetto per attività ricreative come il canottaggio, la pesca e il trekking, offrendo panorami mozzafiato in tutte le stagioni. Da non perdere anche la cantina Ippolito, fondata nel 1845 a Cirò Marina, è la più antica azienda vinicola della Calabria, nota per vini da vitigni autoctoni come il Gaglioppo e il Greco Bianco. Pioniere nella modernizzazione della vinificazione, ha introdotto tecniche innovative e mantiene una gestione qualitativa rigorosa. Riconosciuta a livello nazionale e internazionale, la cantina è oggi guidata dalla quinta generazione della famiglia Ippolito, continuando a valorizzare tradizione e innovazione, sostenibilità e il rispetto del territorio calabrese.

La costa tirrenica: un viaggio tra colori, sapori e storia raggiungibile con l’aereo da Cracovia a Lamezia Terme. Iniziando il nostro viaggio lungo la costa tirrenica, incontriamo Diamante, famosa per i suoi murales e per la vivace cultura del peperoncino. Non lontano da qui, l’Isola di Dino si staglia all’orizzonte, un piccolo paradiso per gli amanti dello snorkeling grazie alle sue acque trasparenti e grotte marine suggestive come la Grotta Azzurra e la Grotta del Leone. Proseguendo verso sud, Pizzo Calabro accoglie i visitatori con il suo delizioso tartufo gelato, una prelibatezza locale che combina gelato al cioccolato e nocciola con un cuore di cioccolato fuso, il tutto ricoperto da una croccante scorza di cacao. Questo piccolo borgo affacciato sul mare è anche noto per il suo castello aragonese e le serene passeggiate lungo la costa.

Tropea, spesso descritta come la “Perla del Tirreno”, è celebre per le sue spiagge bianche e le acque turchesi. Il centro storico, situato su un’imponente rupe a picco sul mare, offre panorami mozzafiato e viuzze piene di vita. Tropea è rinomata anche per la sua cipolla rossa IGP, un ingrediente apprezzato in cucina per il suo sapore dolce e delicato. Più a sud, il borgo di Scilla, con il suo Castello Ruffo che domina la spiaggia, è un incantevole esempio di come mitologia e storia si intrecciano, evocando storie di sirene e antichi navigatori. Capo Vaticano, poi, è noto per le sue spiagge incontaminate e scenari quasi tropicali, un vero paradiso per gli amanti della natura e delle immersioni. Da Capo Vaticano, si può osservare il sole che lentamente scompare dietro il profilo del vulcano attivo Stromboli, tingendo il cielo di arancio e rosso in uno dei tramonti più spettacolari del mondo. La Calabria è rinomata per la sua cucina speziata e i prodotti tipici che hanno guadagnato fama mondiale. Due delle sue specialità più emblematiche sono la ‘nduja e la sardella. La ‘nduja, originaria di Spilinga, è un salume spalmabile piccante preparato con carne di maiale, grasso, sale e abbondante peperoncino rosso calabrese. La sua consistenza morbida e il gusto deciso la rendono ideale su pane croccante o come arricchimento per salse e pizze. La sardella, soprannominata “caviale del sud”, è popolare soprattutto a Crotone. Si tratta di una crema piccante fatta con piccoli pesci come sardine o neonata, peperoncino rosso, sale e finocchietto selvatico, usata per condire pasta o come antipasto su pane tostato.

Le Castella / fot. Saverio Danese

La Calabria offre un viaggio indimenticabile tra paesaggi mozzafiato, cultura ricca e avventure autentiche, toccando l’anima di ogni viaggiatore.

Il sogno realizzato dello studente di storia mancato

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foto: Simone Mutti

Dato che è passato qualche lustro da quando, fiero di una copiosa chioma ben pettinata con la riga in parte e il ciuffo, frequentavo i banchi dell’amato Liceo Classico Marco Polo, posso pubblicamente ammettere che non è che fossi uno studente modello.

Per carità non ero neanche un disastro, diciamo che mi assestavo su un livello di salvifica mediocrità. Salvifica nel senso che in qualche modo riuscivo a raggiungere il minimo per salvare l’anno scolastico e andare avanti. In italiano e geografia astronomica avevo voti discreti, in greco e latino carpivo la sufficienza per il rotto della cuffia, in matematica e fisica ero insufficiente ma… – si c’è un salvifico ma – in storia e filosofia me la cavavo bene. E così inevitabilmente quando ho preso un 48/60 alla maturità, portando all’orale Italiano e Storia, sono entrato a casa trionfante comunicando che mi sarei iscritto all’università di Storia e Filosofia. La reazione fu fredda per usare un eufemismo. “E poi cosa farai? Ti pare che riuscirai a trovare un lavoro?” Così passai l’estate a cercare una facoltà “utile, che mi avrebbe fatto trovare un lavoro”. Alla fine scelsi di studiare Giurisprudenza nell’Università più antica del mondo: Bologna. Quel ragazzo, con in tasca la laurea in legge, dopo diverse peripezie lavorative, tra cui l’esser stato perfino amministratore di condominio, è finito a fare il giornalista che si sa, come si suol dire in Italia, “piuttosto che lavorare è meglio fare il giornalista”. Un mestiere particolare in cui si è costretti a parlare e scrivere di tutto anche se spesso non si conosce granché della materia di cui si tratta.

Ora fatta questa premessa immaginatevi la reazione dello studente mancato di Storia e Filosofia, ovvero io, alla notizia che avrei moderato Alessandro Barbero, eccezionale storico, eccelso divulgatore, celebre personaggio televisivo, protagonista di meravigliosi podcast sui più disparati temi storici dalla “Vita sessuale nel Medioevo” a “Chi è stato San Francesco”, da “Hitler non voleva la guerra?” a “Le Brigate Rosse e il caso Moro”. Un professore di storia capace di appassionare alla materia un pubblico intergenerazionale e delle più diverse estrazioni sociali; un personaggio che ha un seguito pari ad una rock star, con nugoli di persone che si dichiarano suoi vassalli e gli dedicano pagine social.

foto: Simone Mutti

Lo studente di storia mancato che è in me si è quindi messo furiosamente al lavoro per affrontare l’ossimoro “moderare Barbero”. Come si fa a moderare un fiume in piena di conoscenza trasmessa con straordinario pathos? Diciamo che a Barbero il massimo che si possa fare è dargli il microfono in mano proferendo quattro parole: “dica quel che vuole”.

Però sono un giornalista e la deontologia del mestiere mi impone di mettere tutti allo stesso livello, perché in fondo siamo tutti umani, così come quel giorno di qualche anno fa a Varsavia quando attraversai lo sbalordito cordone di sicurezza per porre una domanda all’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, senza batter ciglio, si fece intervistare.

E questo è uno di quegli aneddoti vissuti che esaltano questo mestiere e che mi fanno pensare a Humphrey Bogart che in “Deadline”, quando dà il via alle rotative, sentenzia: “È la stampa bellezza, la stampa, e tu non puoi farci niente!”.

foto: Simone Mutti

E così, il 25 maggio scorso, eccomi sul palco principale della Fiera Internazionale del Libro di Varsavia, dove l’Italia è paese ospite d’onore. Nella sfilza di interessanti autori del ricco calendario italiano uno degli assi è sicuramente il professor Barbero che alle 15 si presenta puntualissimo sul palco accompagnato da Fabio Troisi direttore dell’Istituto Italiano di Cultura che ha il grande merito di accollarsi la presentazione dell’incontro. Io da bravo giornalista mi sarei preparato delle domande ma invece comincio chiedendo che effetto gli fa questa Varsavia in rutilante sviluppo architettonico. Barbero parte subito dicendo che in fondo il vecchio Palazzo della Cultura gli sembra esteticamente più interessante dei nuovi grattacieli che lo circondano. Applauso a scena aperta di una sala gremita di centinaia di persone con altre che seguono dall’esterno mentre i più smaliziati si sono direttamente distesi a terra davanti al palco. Dopo qualche altra riflessione gli chiedo se questa sorprendente attrazione intergenerazionale per la storia sia dovuta, oltreché al merito del divulgatore, anche ad un bisogno dell’uomo contemporaneo di dare un senso alla sua esistenza. Barbero prende il là e decolla sul rapporto tra storia e popoli, ricordando quei Paesi che fanno della storia uno strumento di propaganda, di identità, per arrivare a parlare di una contemporaneità in cui a volte si rischia il pericolo di vivere in una bolla di eterno presente. La brava traduttrice trasforma l’italiano in polacco e io rilancio con domande sugli speciali rapporti storici tra Italia e Polonia e poi ancora sul raccontare l’Italia come continente di culture. Il professore risponde ammaliando il pubblico con il suo modo di raccontare che ti fa letteralmente scorrere davanti agli occhi le cose che spiega. Una narrazione che non vorresti mai interrompere perché mentre Barbero mulina il suo braccetto, con il suo abitudinario gesto dall’alto in basso, tu sai che ti stai arricchendo di nozioni.

A questo punto sono talmente a mio agio che gli chiedo della “fine della storia”, che sarebbe simbolicamente avvenuta con l’entrata delle truppe napoleoniche a Jena dopo aver vinto l’omonima battaglia del 1806, una teoria emersa dalle riflessioni di Hegel, Kojeve e Fukuyama. “Ma dai il fatto che la storia possa finire è solo un divertente aneddoto, l’illusione che le democrazie liberali e il capitalismo diffuso avessero esaurito il confronto sociale tra gli uomini è superata da tempo, è un’idea figlia del nostro modo europa-centrico di vedere la storia,” ribatte Barbero a cui allo scadere, tiranno, del tempo faccio ancora in tempo a chiedere “Cosa scriverà uno storico tra 50 anni quando dovrà parlare dei primi 25 anni del 2000?”.

“Magari gli storici daranno una enorme importanza all’epidemia di Covid del 2020 dicendo è stato l’inizio dell’epoca delle grandi epidemie. Oppure no? E poi gli storici tra 100 anni scriveranno ancora nelle nostre lingue o in cinese? Chissà! Al momento mi fermo qui con le previsioni. Grazie a tutti!”, saluta Barbero prima di raggiungere lo stand dell’Italia e firmare pazientemente centinaia di copie di libri di adoranti lettori concedendo un’infinità di sorrisi per gli altrettanti infiniti selfie cui si presta.

Il video completo sull’intervento di Alessandro Barbero alla Fiera Internazionale del Libro di Varsavia è disponibile QUI.

foto: Simone Mutti