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Raoul Bruni: Varsavia, città che non lascia indifferenti

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Raoul Bruni, professore associato all’Università Cardinale Stefan Wyszyński di Varsavia – dove ha diretto la cattedra di Letteratura Italiana tra il 2021 e il 2022 – è uno dei personaggi di riferimento nel panorama intellettuale italiano in Polonia. Autore di numerose pubblicazioni e membro del comitato scientifico del Centro Nazionale Studi Leopardiani, ha dedicato la maggior parte del suo impegno a Leopardi e alla sua eredità letteraria e filosofica. 

Uno studioso i cui imperscrutabili destini di vita, dopo gli studi a Firenze e il dottorato all’Università di Padova, hanno portato sulle rive della Vistola.

Come molti italiani, sono banalmente arrivato in Polonia a causa di una relazione sentimentale. Ho iniziato a lavorare qui insegnando prima alla SWPS di Varsavia e poi all’Università Pedagogica di Cracovia e poi. 

Il contatto con la Polonia cosa ha portato al tuo approccio alla letteratura?

Il vivere in questo Paese ha sicuramente arricchito il mio sguardo sulla letteratura. Varsavia in particolare mi ha influenzato. Una città, ricostruita da zero, che trovo interessante, moderna, stimolante, piena di librerie e con una scena letteraria più viva di quella di molte città italiane, basta vedere il pubblico che attira un reading di poesia. Varsavia non lascia indifferenti. Così ho trovato naturale approfondire le relazioni letterarie tra Italia e Polonia, e se gli autori polacchi in Italia sono studiati in modo soddisfacente credo invece si debba approfondire di più la ricerca sugli italiani, scrittori e giornalisti, in Polonia. Mi riferisco ad esempio al soggiorno di Curzio Malaparte a Cracovia e Varsavia durante la Seconda Guerra Mondiale in cui scrive pagine che confluiscono nel romanzo Kaputt, la cui traduzione in polacco ha raccolto un certo successo. E poi altri scrittori come Guido Piovene che scrisse cronache dalla Polonia del dopoguerra per il Corriere della Sera, articoli di cui sto curando una prossima pubblicazione. 

Sei stato il primo ad organizzare un convegno su Leopardi in Polonia. Esiste secondo te un aspetto particolare che caratterizza il recepimento di questo autore in Polonia?

A differenza di altri Paesi qui in Polonia Leopardi è poco conosciuto. Autore che tra l’altro in Italia, anche grazie ad un film di successo e una recente serie tv ha accresciuto la sua popolarità. Di Leopardi in Polonia ci sono alcuni importanti studi e traduzioni di Joanna Ugniewska, Jarek Mikolajewski e Stanisław Kasprzysiak grazie ai quali alcuni poeti polacchi, come Zagajewski, si sono interessati all’autore dell’Infinito, ma non c’era mai stata a livello universitario un’iniziativa di studi dedicata a Leopardi. Il convegno che ho faticosamente realizzato, grazie ad un generoso supporto dell’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia, ha cercato di aprirsi ad un pubblico popolare con anche un panel di poeti e studiosi polacchi con traduzione simultanea. In sintesi possiamo dire che di Leopardi c’è una ricezione abbastanza confinata al mondo accademico, si sente il bisogno di una maggiore attività di ricerca e sicuramente di una maggiore diffusione delle opere di Leopardi, ad esempio la traduzione polacca delle “Operette morali” è fuori pubblicazione e la copia della Biblioteca Universitaria di Varsavia è consumata… Sono comunque contento della ricaduta del convegno di altre iniziative leopardiane che ho organizzato qui a Varsavia, come un recente incontro sull’edizione polacca dell’epistolario che ha perfino conquistato spazio sulle pagine della cultura del Corriere della Sera.

Hai insegnato a Padova prima di trasferirti in Polonia, hai trovato differenze nell’approccio con gli studenti polacchi?

Bisogna sottolineare la grande attenzione che c’è in questo Paese verso l’Italia in generale, studio della lingua incluso. Un’attenzione confermata anche dal successo della vostra Gazzetta Italia. A Varsavia un po’ in tutti i quartieri si notano insegne di scuole che insegnano l’italiano, il che significa che c’è mercato e, anche a livello universitario, le facoltà di italianistica sono sorprendentemente numerose. È pur vero che oggi la laurea in italianistica, lavorativamente parlando, ti apre più porte in Polonia che in Italia. Per quanto riguarda il livello degli studenti in genere sono soddisfatto, sono molto preparati sul piano linguistico, hanno un primato quasi europeo di competenza linguistica. Noto meno interesse verso la letteratura, ma è un fenomeno generale. 

Qualche strategia per aumentare l’attrattività della materia?

Spiego la letteratura cercando di collegarla all’attualità. Ad esempio Leopardi è un autore che appare oggi più contemporaneo di molti autori contemporanei, ha sempre avuto sguardo profetico tanto da progettare una “lettera a un giovane del ventesimo secolo”. E poi l’Italia, come la Polonia, non si può capire se non attraverso la letteratura. L’Italia, come anche la Polonia, fu divisa per secoli in vari Stati e ha sviluppato una unità culturale e linguistica soprattutto attraverso la letteratura: Dante, Petrarca, Machiavelli cardini di una cultura e di una lingua quando ancora non c’era un Paese. E per tornare a Leopardi il suo “Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani” è il testo forse più attuale e acuto su l’Italia moderna.

L’Intelligenza Artificiale è come un meteorite che piove sul sistema didattico?

I cambiamenti sono forieri sia di opportunità che di rischi. L’Intelligenza Artificiale, come spesso capita alle innovazioni, da alcuni viene vista come l’Apocalisse. Io non sono né tra gli entusiasti né tra gli apocalittici, credo piuttosto che come ogni novità tecnologica vada gestita in modo intelligente. Certo noi insegnanti dobbiamo prendere atto che potrebbe stravolgere il valore degli scritti degli studenti, bisogna trovare il modo di renderla compatibile con lo studio, magari è l’occasione per rivalutare le prove orali. 

Non metterà in crisi la professione del traduttore?

Ho tradotto dei testi con l’AI e posso dire che non sono certo paragonabili al lavoro di un professionista. L’Infinito di Leopardi, ma anche tante metafore del linguaggio comune, non sono traducibili digitalmente. Al contrario l’Intelligenza Artificiale può rivelarsi uno strumento che agevola e potenzia il mestiere del traduttore che può fare molto di più in meno tempo. Infatti tra i miei amici traduttori nessuno è particolarmente preoccupato di perdere il lavoro. 

L’italiano, nonostante il suo utilizzo sia sostanzialmente limitato al Bel Paese, rimane una delle lingue più studiate. È troppo romantico sostenere che lo studiano per il suo valore culturale?

No, non lo è. L’Italia ha un patrimonio culturale immenso e declinato in tutte le arti e le professioni, la conferma viene dal fatto che lo studio dell’italiano a volte diventa l’hobby o la passione per chi ha già alle spalle un certo percorso di vita, ci capita infatti d’avere studenti quarantenni che credo siano anche tra i maggiori fruitori dei corsi dell’Istituto Italiano di Cultura e delle scuole private.

In “Passato e Presente”, programma di RAI Storia che adoro, il grande Paolo Mieli chiede sempre agli intervistati di suggerire tre libri, tu quali consiglieresti per avvicinare chi parla italiano alla nostra letteratura?

Comincio con un classico: “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo. Capolavoro della letteratura novecentesca italiana scritto da chi usava l’italiano come seconda lingua e in una città di cultura mitteleuropea come Trieste. Poi consiglio di leggere qualche libro di Carlo Ginzburg, storico e saggista che è anche un grande narratore. Infine vorrei suggerire la lettura di un romanzo appena uscito di un autore che varrebbe la pena tradurre: “Il detective sonnambulo” di Vanni Santoni (Mondadori). 

In chiusura qualche pillola della cultura polacca che vivendo in questo Paese hai apprezzato?

Nonostante mi sia difficile leggere bene in polacco da quando sono qui ho approfondito la lettura di un grande poeta come Zbigniew Herbert, autore di un magistrale libro in prosa sull’Italia non ancora tradotto da noi, e poi in ambito cinematografico apprezzo molto Paweł Pawlikowski.

Tour de Pologne, due italiani a podio con Re McNulty, altri 3 in top 10, la festa di Majka: il successo e le emozioni di una grande corsa

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Il podio finale del TdP 2025: 1 McNulty (USA), 2 Tiberi (Italia), 3 Sobrero (Italia)

Testo e foto: Alberto Mangili

 

Sembra passato davvero pochissimo dalla grande presentazione di Wrocław di domenica 3 agosto, o dalle primissime tappe di inizio settimana, ed invece l’edizione numero 82 del Tour de Pologne, prestigiosa competizione ciclistica del circuito UCI World Tour, è già un ricordo. Con la settima tappa di ieri, domenica 10 agosto, alle celebri Kopalnia Soli di Wieliczka, si è dunque chiusa una 7 giorni di grande sport, passione e partecipazione. A consegnare il proprio nome alla storia è stato l’americano della UAE Emirates Brandon McNulty, autentico specialista a cronometro (ex campione del mondo a livello giovanile nel 2016), conquistando tappa e classifica generale.

Facciamo un rapido passo indietro, per giusti doveri di cronaca, andando per un attimo prima a raccontare le tappe del venerdì e del sabato, il preludio all’atto finale. Nella quinta tappa del venerdì, la più lunga dell’intero programma con oltre 206 km, il tragitto prevedeva partenza da Katowice ed arrivo a Zakopane, un comunque difficile antipasto della tappa regina sui Tatra dell’indomani. Svanito il tentativo di fuga nel finale tra Jan Christen (UAE Emirates) e l’italiano Alberto Bettiol (Astana), una volta ricompattatosi il gruppo a spuntarla è stato il britannico della Visma – Lease a Bike Matthew Brennan, con uno scatto devastante per potenza e lunghezza: partito da lontanissimo, si è lasciato tutti alle spalle, in primis il connazionale della Ineos Ben Turner, secondo anche il giorno precedente ma trionfatore in quello prima ancora.

Sabato 9 agosto scocca dunque l’ora della pura montagna, una tappa pronta a riservare difficoltà a tutti, nessuno escluso. Nemmeno a me, pur non dovendo correrla, ma anche solo raggiungere Bukowina Tatrzańska quella mattina, con la chiusura delle strade, sembrava davvero arduo. Dopo aver preso un altro mezzo di fortuna per un tratto, ma in seguito quasi rassegnato a dover raggiungere l’Hotel Bukovina, teatro della partenza, a piedi per un ultimo bel pezzo (1 ora e mezza!), riesco con il mio pur non super fluente polacco, ma onesto, a chiedere a un poliziotto se ci fosse un mezzo dell’organizzazione, uno sponsor, ambulanza, o perfino la polizia stessa, che salisse sull’ultimo lungo pezzo di strada chiuso verso la partenza. Ed ecco che per caso, pochi momenti dopo, passa una ragazza, proprio di uno sponsor, che mi porta dunque in cima e mi regala anche l’ulteriore esperienza di attraversare il traguardo della tappa in macchina.

Grazie a lei, e al poliziotto, non mi perdo dunque l’ultima cerimonia delle firme, visto che la prassi per la cronometro dell’indomani segue un protocollo differente. Come tutti gli altri giorni, vedere da così vicino i corridori, le bici, e quant’altro, è un’emozione incredibile e un grande privilegio. Bisogna mantenere tuttavia una professionalità. Un saluto o persino una chiacchiera con gli atleti è sacrosanta per carità, pur rispettando la concentrazione e tutto quanto concerne le fasi antecedenti a una gara. Per la sola e unica volta in tutta la settimana, però, mi sono concesso (o meglio, fatto concedere) un selfie con un corridore. Chi? Lo scopriamo alla fine dell’articolo.

 

Ora invece andiamo subito alla fine della sesta tappa, come detto montuosa, la più difficile, e la selezione è inevitabile. La maglia gialla Lapeira (buon corridore, ma certo non al livello dei top, con tutto il rispetto del mondo) crolla, ed il successo finale sembra cosa ormai fatta per Brandon McNulty (UAE Emirates), forte di un largo vantaggio, ma accade l’impensabile, con una rimonta senza senso del monegasco Victor Langellotti (Ineos Grenadiers), che divora l’americano nel finale e si prende tappa e maglia gialla di leader. Nelle centinaia e centinaia e centinaia di gare che ho visto, fatico a rammentare un arrivo del genere: vedere per credere. Meriti dell’uno, demeriti dell’altro, la sostanza non cambia. Langellotti ride, nelle vesti tradizionali locali, McNulty è imbronciato. Ma ci sono solo 7 secondi a dividerli in classifica, e al terzo posto momentaneamente c’è l’italiano Antonio Tiberi (Bahrain Victorious) a +20: con questa situazione l’atleta UAE gode senza ombra di dubbio dei favori del pronostico dell’indomani.

 

Domenica 10 agosto: il gran finale. Wieliczka, cronometro, con tutti i corridori rimasti (116 da distinta ufficiale) a giocarsi al proprio meglio i 12,5 km del tracciato attorno alle Miniere di sale. Alle ore 14.11 apre le danze la leggenda colombiana della Movistar Fernando Gaviria, ultimo in quel momento nella generale, e via secondo classifica tutti gli altri, con un corridore al minuto. Per gli ultimi 10 a partire, ossia i migliori 10 nella graduatoria generale, lo stacco l’uno dall’altro è di due minuti. L’ultimo ad affrontare il percorso è pertanto Langellotti, prima di lui McNulty, prima ancora Tiberi e così via. Sestultimo blocco di partenza per Rafał Majka (UAE Emirates), alla sua ultima pedalata al Tour de Pologne. Dati alla mano, a registrare il miglior tempo è dunque l’americano Brandon McNulty, e con il ritardo di Langellotti che ben supera i secondi di vantaggio di cui godeva in classifica generale, il corridore a stelle e strisce è ufficialmente il vincitore della settima tappa e del Tour de Pologne 2025, edizione numero 82. Menzione d’onore gigantesca per Lorenzo Milesi della Movistar, protagonista anche nella seconda e terza tappa, con il miglior tempo che è durato quasi fino alla fine: d’altronde parliamo di un italiano che è stato campione del mondo U23 a Glasgow nel 2023 a cronometro. Terzo tempo per un altro italiano, Matteo Sobrero della Red Bull – Bora – Hansgrohe.

 

Tempo di premiazioni e della grande cerimonia finale. Detto del podio della tappa del giorno, il podio della classifica generale vede un’unica variazione, con uno switch tutto italiano tra Milesi e Tiberi (quarto nella cronometro). Nella top 10 generale figurano altri tre italiani: sesto Alberto Bettiol (Astana), settimo Marco Frigo (Israel – Premier Tech) e decimo Filippo Zana (Jayco AlUla). Per quanto concerne le altre classifiche, la maglia di combattivo va al polacco Patryk Stosz (Team Polonia), quella di miglior scalatore al belga Timo Kielich (Alpecin Deuceninck) e quella a punti al britannico Ben Turner (Ineos Grenadiers).  Piccola parentesi: non so quanto champagne sotto al palco ho assorbito (o meglio, i miei vestiti e il mio zaino, finito anche lui dritto in lavatrice) per i festeggiamenti dei vincitori ad ogni tappa, ma da quest’ultimo, Ben Turner, ho ricevuto addirittura anche il tappo. Con una traiettoria balistica che ancor non mi spiego, ma si vede bene nei video a proposito, è riuscito infatti a centrare con la stappata il tettuccio del palco, ed ecco che il tappo è rimbalzato nei miei pressi e, in due tempi, l’ho preso.

 

Altri tre riconoscimenti poi in casa UAE Team Emirates XRG, con il premio di miglior squadra, quello di miglior giovane allo svizzero Jan Christen e al miglior corridore piazzato polacco Rafał Majka, protagonista assoluto di un tributo, con tante interazioni, con un video mostrato sul maxischermo, e con lui la famiglia e un pubblico di appassionati che lo ha sempre seguito, amato e ringraziato con un calore ancora superiore a quello del sole cocente della domenica “Wieliczkiana”. A proposito di UAE, un pensiero speciale a Filippo Baroncini, promettentissimo talento italiano coinvolto nella grande caduta della terza tappa a Wałbrzych. Pesante il bollettino medico, con diversi brutti infortuni che lo terranno per un po’ fuori dai giochi, ma siamo sicuri lo rivedremo più forte di prima. Forza Fili!

Conclusioni. Sono molto contento di aver vissuto questa esperienza, ma non voglio dilungarmi oltre con altre parole o sensazioni esclusivamente personali. Manca però un’ultima cosa da raccontare, che ho accennato, ossia quel selfie. Mi ero detto che, pur avendo la possibilità di vedere da pochissimi centimetri i corridori, addirittura toccarli con una stretta di mano o un saluto, fotografarli e “studiarli”, avrei voluto una sola e unica foto con uno di loro, con il vincitore del Tour. Farlo a giochi fatti, però, non lo so, forse avrebbe avuto un sapore meno particolare. Perciò ho “scommesso” la mattina del penultimo giorno, prima del tappone di montagna. Ok, non era un pronostico impossibile, lo avevo anche messo tra i favoriti nel primo articolo, però è un ulteriore aspetto simpatico che mi strappa un sorriso nel ripensare a questa fantastica esperienza. Per strappare un sorriso (mezzo?) a McNulty, invece, ragazzo sempre pacatissimo nei modi e professionista serio, è servita nientemeno che la vittoria di un meraviglioso Tour de Pologne 2025. Ultima nota, lo spettacolo del ciclismo sulle strade polacche non termina qui, poiché tra il 12 e il 14 agosto sarà la volta del Tour de Pologne Women.

Sulle mostre di pittura di Marta Czok in Polonia. In Memoriam

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Testo: Henryka Milczanowska

Traduzione in italiano e foto: Wojciech Wróbel

 

In Memoriam è il titolo della mostra di pittura presentata alla Galleria dell’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia, dedicata alla pittrice italo-britannica di origini polacche Marta Czok, scomparsa nel febbraio di quest’anno. La mostra è un omaggio postumo all’artista e una retrospettiva completa della sua opera. I curatori della mostra sono Henryka Milczanowska e Jacek Ludwik Scarso, mentre gli organizzatori sono la Fondazione dell’arte polacca e migrante, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia e la Fondazione Marta Czok di Roma. L’evento ha avuto ampia risonanza nei media polacchi e italiani, che hanno sottolineato la forza espressiva e il coraggio dei temi affrontati nelle opere presentate.

La prima mostra dell’artista si è tenuta nel 2017, su invito dell’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia, anche in collaborazione con la Fondazione dell’arte polacca e migrante. Nell’aprile 2020, al Museo della Caricatura di Varsavia è stata inaugurata la seconda mostra dell’artista dal titolo “E questo lo chiami arte?”. In quell’occasione sono stati presentati 30 dipinti, mentre la terza mostra si è tenuta nel luglio dello stesso anno al Centro Incontro delle Culture di Lublino. Le successive mostre sono state presentate nel 2022 e nel 2023, rispettivamente nelle gallerie di Breslavia, Łódź e Konstancin-Jeziorna, vicino a Varsavia. Va sottolineato che si è trattato di presentazioni particolarmente importanti, sia dal punto di vista artistico, sia per il tema personale e i legami familiari dell’artista. Considerando il momento e il luogo della sua nascita – nel 1947 a Beirut, in Libano, e il percorso bellico del II Corpo dell’Esercito Polacco, in cui prestavano servizio i suoi genitori Jadwiga e Józef Czok – ci troviamo di fronte a una situazione insolita: Marta Czok non ha conosciuto la Polonia. Nella sua memoria, l’infanzia è stata caratterizzata da continui spostamenti, dall’emigrazione della famiglia dal Libano attraverso l’Italia fino alla Gran Bretagna, dove ha trascorso i suoi primi anni di vita nella periferia di Londra, vivendo la difficile situazione economica di una famiglia di emigranti. È cresciuta in un ambiente di cultura, lingua e letteratura polacche. Le immagini dell’infanzia sono rimaste profondamente impresse nella memoria della futura pittrice e, dopo anni, sono tornate più volte nelle sue opere. Ha studiato alla prestigiosa St. Martin’s School of Art di Londra, dove ha ottenuto il successo con le sue prime mostre, tra cui quella alla Royal Academy di Londra. Ulteriori successi espositivi sono arrivati in Italia, dove si è trasferita con il marito a metà degli anni ’70. Le mostre in musei e gallerie di tutto il mondo, accompagnate da numerose pubblicazioni di cataloghi e album, contenevano informazioni biografiche in cui sottolineava con forza la sua origine polacca.

Nella foto, da sinistra: Direttore dell’IIC di Cracovia Matteo Ogliari, Henryka Milczanowska, Jacek Ludwik Scarso

La pittura di Marta Czok può essere suddivisa in due aree tematiche, che ci aiutano a orientarci nelle sue rappresentazioni multiforme. La prima area è quella della famiglia, dell’infanzia e dei giochi, la seconda quella delle forme metaforiche e dei riferimenti alla storia dell’arte e all’attualità socio-politica mondiale. In questi ambiti tematici dominano due correnti: la prima, satirica, che permette all’artista di esprimersi senza inibizioni e di fare critica socio-politica, e la seconda, come lei stessa la definisce, più leggera, che le permette di interpretare liberamente i ricordi d’infanzia, in cui la narrazione, spesso simbolica e grottesca, ma allo stesso tempo semplice e chiara, ruota attorno alla vita nella Londra bombardata durante la guerra. Va tuttavia sottolineato che l’artista ha sviluppato questo secondo filone, in cui i protagonisti sono i bambini, utilizzando simboli tratti da fiabe e leggende o inserendo nella narrazione giocattoli infantili, ai quali attribuiva ruoli seri e adulti. Particolarmente degne di nota sono le scene con molti personaggi sullo sfondo dell’architettura urbana, in cui Czok evocava i ricordi dei suoi primi anni a Londra. Guardare attraverso le finestre aperte delle case distrutte dalla guerra e prive di pareti era uno dei modi per soddisfare la curiosità infantile. Le scene di nascite, gli eventi solenni e occasionali, ma anche le attività quotidiane e ordinarie nella pittura di Czok assumevano qui il ruolo di una celebrazione speciale di ciascuno di questi eventi. Seguendo i protagonisti della sua storia pittorica, diventiamo involontariamente complici nel curiosare tra i vicini inglesi. I nostri occhi si spostano sui piani delle case piene di abitanti indaffarati. Non è esagerato pensare che in questo corso della vita possiamo sentire le conversazioni degli abitanti, il tintinnio delle stoviglie disposte sul tavolo o il rumore delle ruote del monopattino di una bambina con le treccine che osserva attentamente le persone che passa. Il bambino occupa un posto importante nella pittura di Marta Czok. Ad eccezione delle scene di genere, in cui le espressioni divertenti delle bambine tradiscono i loro scherzi, tutte le altre hanno ruoli molto importanti, sono espressione delle opinioni dell’artista, che proprio attraverso la figura dell’innocente bambino le esprimeva con fermezza e determinazione. Si dice che dovremmo imparare dalla storia, ma l’unica lezione che la storia ci insegna davvero è che non impariamo nulla, quindi le guerre continuano e le loro vittime principali sono sempre i bambini. La serie di 16 dipinti che ha presentato alla mostra intitolata “I bambini nella guerra e sulla Shoah” a Roma nel 2009 e a Padova nel 2011, è stata dedicata ai bambini polacchi ed ebrei deportati dai tedeschi durante la seconda guerra mondiale, la cui memoria è letteralmente andata perduta. I corpi dei bambini, espressivi nei disegni, sembrano sospesi su superfici grigie, nebbiose e piatte, e formulano il pensiero più ampio dell’artista, che vale la pena citare in questo contesto: … quando i bambini piangono, sono tutti uguali. Il mio tema, anche se è iniziato mezzo secolo fa nel mio paese natale, riguarda tutte le giovani vittime, chiunque esse siano, ovunque si trovino e, purtroppo, ovunque saranno.

Molti critici d’arte e recensori dell’opera di Marta Czok sottolineano il suo orizzonte interculturale e la sua visione multidimensionale della realtà, che unisce simbolismo, narrazione, emozioni e ironia. È impossibile non concordare con questa opinione, tanto più che l’artista stessa ha sottolineato più volte quanto sia importante nella sua pittura “seguire le orme” di artisti eccezionali, storicamente identificati con la grande arte delle epoche precedenti, sulla base delle quali ha reinterpretato il contenuto delle loro opere, adattando brevi slogan e commenti in modo ironico e scherzoso, ma in linea con la realtà contemporanea della nostra vita.

Indubbiamente Marta Czok possedeva una forte personalità, un senso di identità, coraggio e intransigenza. Secondo lei, il ruolo dell’artista è quello di esprimere le proprie preoccupazioni su ogni questione che riguarda l’uomo e la sua sicurezza nel mondo contemporaneo. Ricorrendo all’ironia e persino alla provocazione, sottoponeva le sue osservazioni a una riflessione esistenziale, riferendosi a temi quali la storia, la religione e anche la guerra, le cui conseguenze hanno influenzato la sua vita personale e familiare. Infrangendo tutti i modelli “politicamente corretti”, ha coraggiosamente sollevato questioni di moralità ed etica delle personalità più importanti del mondo. Ha toccato temi storici, mettendo in guardia dal sottovalutare gli eventi del passato che, come ciechi che corrono attraverso la vita, non notiamo.

Mostra: 18.06. – 31.08. 2025

Istituto Italiano di Cultura di Cracovia

Via Grodzka 49, Cracovia

 

* Il testo utilizza frammenti dell’articolo tratto dal catalogo della mostra intitolato “E questo lo chiami arte?”, scritto dalla curatrice della mostra Henryka Milczanowska.

Tour de Pologne, la corsa entra nel vivo: la situazione a metà settimana

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Ben Turner pochi istanti dopo la vittoria nella terza tappa a Wałbrzych

Testo e foto: Alberto Mangili

 

Prosegue con successo l’edizione numero 82 del Tour de Pologne, partito lunedì 3 agosto da Wrocław e diretto al gran finale di Wieliczka di domenica 10. Siamo infatti ormai giunti al termine della quarta tappa, nel cuore della settimana, giocatasi quest’oggi da Rybnik a Cieszyn. Nel circuito finale ripetuto più volte, fino a poco meno di 3 kilometri dal termine, è stato il duello tutto italiano-polacco tra Lorenzo Milesi (Movistar) e Filip Maciejuk (Red Bull – Bora – Hansgrohe) ad incendiare la gara, ma una volta riassorbiti, la volata finale ha infine premiato lo specialista francese Paul Magnier delle casacche T-Rex della Soudal – QuickStep.

Riavvolgiamo però il nastro e ripercorriamo meglio insieme anche le prime tre giornate di gara, che ho seguito e vissuto da vicino sul campo. 

Come avevo accennato nel primo articolo, raccontando la grande partenza da Wrocław, qualche tappa sarebbe potuta essere facile appannaggio dell’olandese Olav Kooij, ed ecco che a Legnica è proprio l’uomo della Visma – Lease a Bike a prendersi subito la prima gioia della settimana.

Si tratta del suo quinto successo complessivo al Tour de Pologne: un feeling davvero particolare con questa corsa, come ammesso da lui stesso sul palco la mattina seguente a Karpacz.

Ad ospitare lo start per la seconda giornata di gara è dunque l’Hotel Gołebiewski, nella rinomata località di montagna, dove splende un discreto sole che bacia la partenza. Non si può dire lo stesso però al traguardo sull’Orlinek, in uno scenario naturale meraviglioso, quando inizia a gocciolare proprio poco prima dello scatto vincente in salita di Paul Lapeira. Il francese della Decathlon colleziona momentaneamente maglia gialla (primo in classifica generale) e maglia bianca (primo in classifica a punti), ed altrettante bottiglie di champagne, con cui annaffiare (è giusto così!) anche il qui presente sotto al palco, già ben inzuppato dalla pioggia aumentata costantamente. E che continuerà incessante per la serata. Una pioggia che avevo preso anche tra marzo e aprile 2023, in una Karpacz deserta, un luogo che avevo adorato al tempo e dove ho rimesso piede con enorme piacere, ora con molta molta molta più gente.

Ricaricate le pile poche ore la notte, giocoforza anche meno del minimo necessario, mercoledì mattina già di buon ora sono a Wałbrzych, per il via della terza tappa. Oltre alla consueta cerimonia delle firme, è sempre bello assistere anche all’arrivo dei bus delle squadre, delle ammiraglie e di tutto il „carrozzone” che fa parte di una macchina organizzativa impressionante. Monta, smonta, sposta, monta ancora ecc.: è affascinante fermarsi a osservare anche al di fuori di quella che è la pura gara.

Il sole a questo giro non è timido e limitato, ma reale e duraturo. Lo splendido tempo difatti accompagna tutto lo svolgimento della frazione, ma a portare tempesta è una brutta caduta collettiva a 15 km dal termine, che induce la commissione alla sospensione momentanea della corsa e alla conseguente neutralizzazione (tempi congelati) della stessa. Si gioca solo per la vittoria del giorno.

Nonostante la ripartenza “sfalzata”, viene sostanzialmente vanificata nel finale dunque quella che era stata la fuga a tre che vedeva coinvolti anche gli italiani Diego Ulissi (XDS Astana) e Lorenzo Milesi (Movistar), poichè ad aggiudicarsi il trionfo in volata numerosa è la Ineos Grenadiers con il britannico Ben Turner, lanciato alla grande dal lavoro prezioso di Kwiatkowski. Terzo posto per Andrea Bagioli della Lidl-Trek, primo podio italiano in questo Polonia. Premiazione solo per la tappa dunque, in virtù di quanto detto sopra, e niente per quanto concerne le classifiche. La maglia gialla Lapeira, malamente coinvolto nella brutta caduta, arriva al traguardo con svariati minuti di ritardo, ma conserva pertanto il primato. Indubbiamente quando succedono episodi come questo terribile scontro il clima cambia, sono cose che non si vorrebbero veder succedere, ma purtroppo fa (troppo spesso, per varie ragioni) parte del gioco.

Tornando al presente, della quarta tappa odierna si è già detto in apertura di articolo. Domani per il quinto impegno sarà invece la volta della Katowice-Zakopane, il tracciato più lungo del Tour con i suoi oltre 206 chilometri. Si resterà poi in montagna per la sesta frazione di sabato, dove tornerò sul campo, con la scoppiettante ed attesissima tappa regina di Bukowina Tatrzańska. Imperdibile ovviamente anche l’ultima giornata di domenica nella quale, dopo la cronometro alle Miniere di Sale di Wieliczka, sapremo chi sarà incoronato vincitore del Tour de Pologne 2025.

Gazzetta Italia 112 (agosto – settembre 2025)

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Correte a prendere la vostra copia di Gazzetta Italia 112! Sul filo conduttore delle relazioni italo-polacche troverete Merlini al Parco Lazienki, la mostra dedicata a Maria Sobieska, l’italianità della Cattedrale di Plock. E poi tanta musica con il rap italiano, il fenomeno del “travoltismo” e gli ultimi album usciti. Il cinema con l’intervista ai registi di IDDU, il film sul boss Messina Denaro, in uscita nelle sale polacche. E poi ancora la storia della polacca che crea creme dal vino, il fotoracconto del Torneo di Calcetto Italiani in Polonia, e naturalmente spazio ad articoli e rubriche di cucina e benessere, si parla di aromaterapia per gli animali, e alla letteratura con l’intervista allo scrittore Sandrone Dazieri e l’approfondimento (ascoltabile con QRcode dalla voce dell’autore) su Szymborska. Il tutto avvolto da Eolo che in copertina soffia una piacevole brezza sulle nostre vacanze e sulle vele di Gazzetta Italia! 

Tour de Pologne al via: da Wrocław a Wieliczka, 7 giorni di grande ciclismo

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La partenza del Tour de Pologne da Wrocław: in primo piano a sinistra il campione polacco Rafał Majka

Testo e foto: Alberto Mangili

 

Ritorna, come ogni anno, la più importante competizione ciclistica nazionale polacca (e di tutto l’est Europa), con l’edizione numero 82 della propria storia. Parte del circuito UCI World Tour, il Tour de Pologne prende il via ufficialmente quest’oggi, lunedì 4 agosto 2025, da Wrocław, per poi concludersi domenica 10 a Wieliczka, con la settima e ultima tappa di una corsa intensa e appassionante. 

Wrocław-Legnica, Karpacz, Wałbrzych, Rybnik-Cieszyn, Katowice-Zakopane, Bukowina Tatrzańska e Wieliczka: questo in sintesi l’affascinante itinerario, che si snoderà per oltre mille chilometri per le strade e la natura della terra polacca.

Il percorso presenta tappe variegate, e sebbene non vi possano chiaramente essere le vette vertiginose dell’appena concluso Tour de France o dell’imminente Vuelta de España, ci sono situazioni adatte a tutti i tipi corridori, con molti tratti tecnici, segmenti da velocisti, scalate interessanti, diversi circuiti e alcune frazioni nel complesso non facilmente prevedibili.

A testimonianza di ciò e a rendere ulteriormente accesa una gara già scoppiettante, è la mancanza di un chiaro vincitore annunciato, come nell’ultima edizione con la presenza del danese Jonas Vingegaard della Visma Lease a Bike. Qualche tappa può certamente sembrare più indirizzata di altre (chiedere al ben noto compagno di squadra „calabrone” Kooij), ma il successo finale in una gara del genere, di importanza mondiale, fa certamente gola a tutti e può appunto essere un discorso tra più.

Tantissimi i ciclisti di spicco del panorama mondiale al via, con 22 team inclusa una rappresentativa polacca. Impossibile non iniziare citando i padroni di casa Rafał Majka (UAE Emirates) e Michał Kwiatkowski (Ineos Grenadiers), già iridati rispettivamente nel 2014 e nel 2018. Il primo, che corre da campione del mondo biancorosso, ha annunciato che questo sarà il suo ultimo Tour de Pologne. Grande attenzione anche per il corridore della Cofidis Stanisław Aniołkowski.

Sono ben 22 anche gli italiani al via, con due team che nel proprio roster (7 atleti in totale) ne schierano addirittura quattro. Si tratta infatti della Movistar con Davide Cimolai, Davide Formolo, Lorenzo Milesi e Manlio Moro, e della XDS Astana, con Alberto Bettiol, Michele Gazzoli, Alessandro Romele e Diego Ulissi. Altre compagini propongono una coppia nostrana, e nello specifico si tratta di Giosuè Epis e Alessandro Verre (Arkéa – B&B Hotels), Antonio Tiberi ed Edoardo Zambanini (Bahrain Victorious), Andrea Bagioli e Jacopo Mosca (Lidl-Trek), Filippo Zana e Alessandro De Marchi (Team Jayco AlUla). Rappresentanti italiani unici nei propri team sono infine Filippo Baroncini (UAE Emirates), Francesco Busatto (Intermarché – Wanty), Matteo Sobrero (Red Bull – BORA – hansgrohe), Andrea Raccagni Noviero (Soudal Quick-Step), Elia Viviani (Lotto), Marco Frigo (Israel – Premier Tech).

È incredibile come, ancora una volta, e come in molti altri contesti, Italia e Polonia in qualche modo mettono in mostra un legame fortissimo e indissolubile.

Quanto alle altre nazionalità, non mancano come detto corridori di alto profilo, e sebbene ve ne siano moltissimi, ne vado a pescare giusto qualcuno solo nelle formazioni non finora citate (ossia quelle prive di italiani o polacchi), tra cui il già detto Olav Kooij ed Attila Valter della Visma Lease a Bike, Quinten Hermans della Alpecin-Deceuninck, Rémi Cavagna e Stefan Kung della Groupama-FDJ, Mikkel Honore della EF Education-Easypost, Dorian Godon della Decathlon, Casper Van Uden e Max Poole (e non solo) della Picnic PostNL, ed infine l’interessante Maikel Ziljaard della Tudor. Tra le già citate invece, attenzione a Brandon McNulty della UAE Emirates e Daniel Martínez della Red Bull – BORA – hansgrohe, impossibili da non menzionare, e forse tra i principali candidati al trionfo.

L’ultimo giubilo finale al Tour de Pologne di un italiano risale al 2012, con il sigillo di Moreno Moser. Chissà se per il vincitore del 2025 sventolerà una delle nostre bandiere, italiana o polacca, oppure altro ancora.

Tornando alla gara e al presente, nei pressi della maestosa Hala Stulecia di Wrocław è dunque partita questa mattina (lunedì 4 agosto 2025 ore 11.35) a tutti gli effetti la corsa, direzione Legnica, per la prima delle 7 tappe che porterà all’incoronazione del vincitore a Wieliczka. Se all’evento di presentazione del Tour de Pologne, nella medesima location odierna, il meteo aveva graziato i numerosi fan accorsi, oggi non è stato altrettanto benevolo, con una pioggia più o meno intensa a tratti che ha „benedetto” corridori, tifosi e addetti ai lavori.

E per questo Tour de Pologne ho dunque la grande possibilità di vivere la gara nella terza categoria, da giornalista, da vicinissimo, dopo aver sperimentato più volte la seconda (tra Tour de France, Giro d’Italia e altre Classiche), e ovviamente mai la prima (semmai fosse necessario dirlo!). Il ciclismo regala emozioni incredibili, basti vedere quanta gente affolla ogni tappa ad ogni gara, e coloro che contribuiscono a regalarle sono, da sempre, quasi degli eroi ai miei occhi e di molti altri.

Dopo oggi dunque sarò a Karpacz, a Wałbrzych, a Bukowina Tatrzańska ed infine a Wieliczka, pronto a vivere e raccontare con emozione uno degli eventi sportivi più importanti di questo meraviglioso Paese.

ODE A IGA E JANNIK

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Jannik Sinner e Iga Świątek (Foto: pagina Fb Wimbledon)

Nel weekend del 12 e 13 luglio 2025, la polacca Iga Świątek sabato, l’italiano Jannik Sinner domenica, hanno ricalcato ulteriormente il proprio nome (già comunque ben inciso) negli annali del tennis, conquistando Wimbledon. Sono passati ormai alcuni giorni, ma per gli appassionati o simpatizzanti la gioia è ancora più o meno grande, per i “neutrali” o i disinteressati poco è cambiato, senza però nuocere in alcun modo a nessuno (e non è un dettaglio…), mentre per la fetta restante dello schieramento, beh,  forse sarebbe meglio soprassedere. 

Non dedicherò molto spazio all’avverso in questo breve pezzo, prefigurato come un sincero  ringraziamento a due Campioni che stanno portando in alto i colori delle nostre amate bandiere, italiana e polacca, (f)issandole sempre più ad una altezza vertiginosa, motivo di vanto e di orgoglio, nel firmamento dello sport mondiale. 

Parlo da appassionato di sport, certo, ma prima ancora da persona dotata di etica e morale, con dei sani valori che ho avuto la fortuna, e anche la testa, di aver potuto e voluto coltivare. 

Come preannunciato, sarò celere sul lato brutto, scomodo, per cercare di offrire poi una visione su uno scenario più utile e vantaggioso. L’era moderna è purtroppo accompagnata da veleni, invidia, disinformazione, ed altri elementi inopportuni che vanno a minare qualsivoglia terreno, scavando malvagiamente ed arrecando un danno. Lo sport non fa ovviamente eccezione. A questi livelli, poi, men che meno. I nostri due Campioni, Iga e Jannik, oltre che accomunati dall’essere Campioni (per la terza volta, in lettera capitale) e dall’anno di nascita del 2001, hanno subito un tartassamento, mediatico e non solo, in tempi recenti, per ragioni note. Detto che esiste una giustizia “extra campo”, che si è espressa in loro favore (rebus sic stantibus, fine, leggibile sia in italiano sia all’anglofona, ma nell’accezione di “bene” e non di “multa”, che ironia), quella “in campo” se la sono fatta da soli, spazzando via a racchettate, sportivamente parlando, polemiche (in parte) e avversari (in toto). Per coerenza e correttezza giornalistica e non solo, circa l’ultima affermazione, non si può quantomeno giusto menzionare il bacio che la fortuna ha dato al nostro Jannik agli ottavi di finale.

Qualcuno potrebbe magari pensare di lasciar stare per una volta l’assidua ricerca ad ogni costo ed in ogni dove della polemica, e fare invece uno sforzo in più per una visione più costruttiva. Magari bisogna fare un passettino in più, certo, rispetto a una più semplice e sbrigativa critica gratuita, a quale pro poi mi chiedo, ma si sa, le cose intelligenti richiedono uno sforzo in più, seppur anche minimo. 

Vivere nell’era di grandi campioni dello sport (il discorso qui è logicamente legato allo sport, e si potrebbe estendere a molte altre sfere), della nazione a cui si appartiene o a cui ci si sente legati, è una fortuna immensa. La vittoria non è solo del campione, ma in un certo senso di tutti, e molto meno retoricamente di quanto si possa pensare.

A parte il già detto logico prestigio, è il movimento tutto, per l’appunto, a trarre un beneficio incredibile. Si parla troppo poco di quanto la figura di Jannik Sinner stia ispirando e spingendo moltissimi giovani atleti in Italia ad intraprendere la via del tennis, una nuova generazione di sportivi, che magari non vinceranno Wimbledon un giorno, ma avranno conquistato un passatempo salutare, conosceranno nuovi amici, forgeranno momenti indimenticabili, raggiungeranno i propri obiettivi, o quant’altro. Nel pratico, dati alla mano, si registrano a tutti gli effetti aumenti nelle iscrizioni ai circoli di tennis. Ed anche in Polonia, immaginate un bambino o una bambina che vede alla tv le gesta di Iga Świątek, se ne innamora sportivamente, e desidera in cuor suo provare quello stesso gioco. Il nuovo/la nuova piccolo/a tennista con gli occhi lucidi, con in mano la sua prima racchetta comprata dai genitori o dai nonni, è un po’ come quel bambino o bambina con i suoi primi scarpini da calcio, pattini da hockey , bicicletta o qualsivoglia strumento o equipaggiamento, all’inizio di un percorso di vita, non solo di uno sport. Un percorso che non si sa dove condurrà, ma è un’ottima partenza, e quel che conta è il viaggio, con i mille fattori che poi interverranno a scriverne il futuro. E se non si sa dunque dove porti questa avventura, si sa però con certezza, dove, come e perché è iniziata. E non è per forza solo un inizio, perché a chi come me ha dovuto abbandonare il tennis anni fa, potrebbe venire facilmente voglia di tornare a fare qualche scambio, qualche allenamento, qualche piccolo torneo. Anche (o soprattutto) grazie a loro e ad altri campioni. O perché no, addirittura iniziare in età adulta, un pensiero che per molti mai sarebbe forse altrimenti passato per la testa. Non c’è una regola, non c’è un’ età. C’è lo sport, c’è la passione. 

E certo, sebbene io sia nato in un’Italia di metà anni ’90 inoltrati, in un periodo calcisticamente d’oro, nulla mi ha vietato da piccino di avere come idolo assoluto il genio brasiliano Ronaldinho, o per restare in tema tennis, di farmi regalare la mia prima racchetta non dello stesso modello di Federer, non di Nadal, ma dello stravagante talentuoso francese Monfils. Non c’è differenza tra bambino, bambina, Italia, Polonia. Con i mezzi odierni, poi, è ancora tutto più agevole. Chiaro è che avere “in casa” un Sinner o una Świątek amplifica solamente questa fortuna, e se si è intelligenti abbastanza da capirlo, con una visione più di insieme, si può facilmente comprendere come appunto i  giovamenti siano molteplici, per molte ed altre persone. Magari, col tempo, con sempre più trofei, sarà davvero impossibile per chiunque non apprezzare e voler bene a due persone di questo calibro.   

Ode a Iga e Jannik. Dziękuję Iga. DUMA POLSKI. Grazie Jannik. ORGOGLIO ITALIANO. Un esempio per piccoli e adulti, in Italia, in Polonia, in tutto il mondo. Ad maiora.

Paolo Genovese: dialogando con la nostra folle mente

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Cosa si nasconde nei nostri pensieri? Chi vive davvero nella nostra testa? La persona pazza, la persona romantica, la persona passionale, la persona razionale? Oppure c’è una bella folla nella nostra mente? Nel suo nuovo film “Follemente”, che uscirà nelle sale cinematografiche in Polonia il 4 luglio distribuito da Aurora Films, il regista e sceneggiatore Paolo Genovese parla di relazioni interpersonali e di diverse personalità che abitano la nostra mente. 

I protagonisti del film sono Piero e Lara. Il loro primo appuntamento provoca in tutti e due un comprensibile stress. Entrambi vorrebbero mostrare il loro lato migliore ed evitare scivoloni, che sono frequenti in situazioni di nervosismo, ma anche conoscere i pensieri e intuire i desideri dell’altra persona. Genovese guarda nel profondo dei suoi personaggi e cerca di capire e mostrare le loro paure, insicurezze, desideri. Tutte le sfaccettature delle nostre personalità vengono alla ribalta, discutendo, litigando e cercando di convincere le altre di avere ragione. Ne viene fuori un caos affascinante che non è sempre facile da domare. Nel cast vediamo: Pilar Fogliati, Edoardo Leo, Emanuela Fanelli, Maria Chiara Giannetta, Claudia Pandolfi, Vittoria Puccini, Marco Giallini, Maurizio Lastrico, Rocco Papaleo e Claudio Santamaria.  

Dove nasce l’idea di questo film?

L’idea è sempre difficile da capire. Ho pensato a questo film nel 1999, 25 anni fa. Avevo fatto degli spot per la Rai, dove il concetto era: in ogni abbonato ce ne sono tanti, cerchiamo di accontentarli tutti. Questi spot rappresentavano l’abbonato Rai che aveva nella testa tanti personaggi. Ognuno voleva fare cose diverse e non era mai soddisfatto. E lo spot diceva: “I programmi RAI soddisfano tutte le tue personalità”. Poi questa idea è rimasta lì per anni. Un po’ di tempo fa mi è venuto in mente di raccontare un primo appuntamento e di preciso che cosa succede nella nostra testa, overo emozioni, paure, debolezze, cosa dire, cosa fare. Mi sembrava bello raccontare tutto in una serata e allora abbiamo provato a scriverlo.

Non è che oggi, riparandosi dietro le applicazioni, tendiamo piuttosto a nasconderci e non far vedere tutte queste nostre personalità con cui conviviamo

Sì, è vero. Proprio per questo mi sembrava interessante far vedere un incontro reale e la necessità di dover rispondere d’istinto senza pensarci troppo. Oggi con le applicazioni tipo Tinder, Instagram, Facebook, hai tutto il tempo che vuoi per pensare che cosa rispondere, per dare la migliore versione di te. Invece nella vita vera non hai tutto quel tempo. Ed è bello vedere come molto velocemente si prende una decisione, che può essere anche sbagliata, però almeno è istintiva e vera.

Sì, così fai vedere il tuo lato più sincero.

Non è mai così sincero, perché comunque un filtro c’è. Però almeno non è che stai lì ore prima di rispondere.

Forse potrebbe essere anche un incoraggiamento ai giovani che fanno fatica a confrontarsi con gli altri e soprattutto a far vedere questo loro lato più debole, più vulnerabile.

Sì, perché questo è un film comunque positivo che vuole dare il messaggio che un incontro dal vivo è emozionante nonostante le paure. Quindi il chiudersi dietro il diaframma di uno schermo, di un app dove ti senti più sicuro a iniziare i rapporti perché hai una rete di protezione ti toglie la possibilità di sentire un ventaglio di emozioni e metterti davvero alla prova. 

Avete deciso subito che tipi di personalità volevate esaminare?

Tutti abbiamo dentro diverse personalità con cui conviviamo. Con gli sceneggiatori abbiamo voluto trovare le quattro caratteristiche che sicuramente hanno tutti. Quindi la razionalità, l’istinto sessuale, la parte romantica e la parte folle. Ci sembrava che queste quattro personalità fossero comuni a chiunque.

Il film rende perfettamente questo caos che abbiamo in testa. Come avete lavorato sul set per coordinare tutto e avere il feeling anche tra gli attori.

Sai, è un lavoro articolato. Prima di tutto è un lavoro di scrittura, devi essere convinto che la sceneggiatura funzioni. Abbiamo lavorato tanto con gli attori sul set. Questo è stato un po’ difficile perché nel film si vede tutto insieme, ma noi abbiamo girato le scene separatamente, quindi gli attori, delle due teste che interagivano, rispondevano a qualcosa che non vedevano. E gli attori, i due protagonisti, mentre recitavano avevano delle voci che non sentivano, quindi è stato abbastanza difficile. Però mi pare che abbia funzionato.

Durante la scrittura, per te è più importante la parte delle battute o della comicità situazionale?

Sicuramente la comicità situazionale, che è la più difficile, perché capisci se funziona solo quando vedi il film con il pubblico. Le battute, io non sono uno scrittore di film comici però la battuta più o meno capisci se fa ridere o meno. La situazione è una cosa che costruisci pezzo per pezzo, fai un patto con lo spettatore, perché a differenza della battuta che è finita, nella situazione c’è una parte di elaborazione da parte del pubblico, che se non la capisce, non elabora, non ride, per questo è più difficile da costruire.

E su quali registi ti ispiri quando pensi alla comicità?

È difficile avere proprio un’ispirazione, perché poi ogni storia ha la sua formula. Però ti posso dire che il tipo di comicità che a me piace molto, che è di situazione e di parole, è quella di Woody Allen.

Quando lavori con gli attori li lasci liberi o vuoi che siano fedeli al copione? 

Gli attori non vanno lasciati liberi. Secondo me la cosa più importante in un film è la sceneggiatura. Se sei convinto che la sceneggiatura funzioni devi riprodurre esattamente quello che tu hai scritto, quello che tu hai in testa. Non devi permettere a nessuno di deviare, perché non è detto che funzioni. Quindi io di solito sono abbastanza severo sulla sceneggiatura. Quello che ho scritto lo voglio. Poi si può aggiungere, ma mai sostituire o cambiare. Poi se un attore ha un’idea, una battuta, va bene, però è sempre qualcosa in più, così che poi al montaggio posso scegliere.

La musica invece come la scegli? Mi è piaciuta l’idea della canzone “Somebody to love” dei Queen cantata da tutti. È molto bella, sembra un inno di tutta la storia. Come mai questa scelta?

Guarda, quella è stata una scelta che è venuta veramente all’ultimo, pochissimo prima di iniziare le riprese. Perché insomma, il concetto di questo film è entrare nella testa e vedere cosa succede in diverse situazioni. Mentre è stato, non dico facile, ma insomma, più facile, forse, trovare cosa succede quando ti dimentichi una parola, quando sei imbarazzato, quando non sai cosa dire, eccetera. Alla domanda cosa succede quando finiamo di far sesso… Non ci veniva in mente niente.

I film raramente mostrano che cosa succede dopo il sesso.

Raramente, o solo il momento quando alla fine veniamo. Quindi noi volevamo trovare qualcosa che funzionasse, che non fosse banale, volgare o già visto. Siamo arrivati quasi a inizio di riprese quando, per caso, ho sentito questa canzone in macchina. Aveva qualcosa di liberatorio, di trionfale e allo stesso tempo anche qualcosa di divertente e ironico. Ho detto: ecco, potrebbe essere questo, potrebbe essere che loro attraverso una canzone si liberano. Però lo devi costruire. Quella canzone funziona perché tu hai un crescendo fino a quel punto in cui anche il pubblico reagisce. In Italia molto spesso in quel momento battono le mani. Perché anche il pubblico si libera insieme agli attori.

Walter Prati: l’uomo che ha vestito la Polonia con l’eleganza italiana

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traduzione it: Michał Dorosz

 

Trent’anni fa, quando la Polonia si risvegliava in una nuova realtà, è arrivato con una visione: portare sulle strade di Varsavia lo spirito dell’eleganza italiana. Walter Prati, è di lui che parliamo, non solo ha visto il potenziale di un mercato nascente, ma con il coraggio di un pioniere ha deciso di plasmarlo. Oggi la sua agenzia.  GPoland, è un impero che rappresenta oltre ottanta marchi internazionali di prestigio, e lui stesso è stato definito l’architetto del mercato polacco della moda premium. Vi invitiamo a conoscere Walter Prati, l’uomo che ha vestito la Polonia con uno stile italiano raffinato.

La sua avventura con la Polonia è iniziata nel 1993. Cosa l’ha spinto a scegliere Varsavia invece di altri mercati emergenti?

 All’epoca analizzavo diversi paesi dell’Europa centro-orientale, inclusa la Russia, ma la Polonia mi è sembrata la più promettente e, semplicemente, più sicura per un’attività a lungo termine. Ho deciso di rischiare: nel maggio 1993 ho aperto il primo negozio monomarca Max Mara della regione. Il mercato del lusso praticamente non esisteva ancora, quindi quella boutique è stata qualcosa di completamente inedito.

Quando il negozio monomarca si è trasformato in un’agenzia che oggi rappresenta oltre 80 brand internazionali?

I clienti che inizialmente venivano “solo” a fare acquisti hanno cominciato a chiedere come aprire i propri negozi di moda italiana. Insieme alla sede centrale di Max Mara abbiamo sviluppato un modello di franchising. I passi successivi sono stati naturali: si sono aggiunti marchi come Marella, Weekend Max Mara, Pennyblack e Sportmax, poi – grazie alla collaborazione con un’altra agenzia italiana – Moschino, Trussardi, Jean Paul Gaultier e Alberta Ferretti. Poco dopo, abbiamo aperto il primo multibrand in Polonia con marchi internazionali, situato in Plac Trzech Krzyży.

I polacchi si sono subito innamorati della moda italiana?

L’amore è cresciuto gradualmente. Negli anni ’90 dominavano i marchi locali, e quelli stranieri – come Benetton o Mustang – erano considerati una rarità. Le collezioni italiane affascinavano, ma i prezzi erano elevati, quindi il numero di clienti era limitato. Abbiamo investito in cartelloni pubblicitari, campagne stampa e collaborazioni con riviste come “Twój Styl”. Grazie a ciò, le donne polacche hanno scoperto cosa significano qualità ed estetica italiane, e hanno imparato a interpretarle a modo loro.

Esiste una formula universale per il successo di un brand di lusso in Polonia?

Assolutamente no. Nel mondo del lusso non esistono soluzioni universali. Ogni marchio, con la sua storia, filosofia ed estetica, possiede un’identità unica e irripetibile. Per questo, ogni brand rappresentato da noi riceve una strategia su misura, che considera tutti gli aspetti della sua presenza sul mercato polacco, dal posizionamento preciso dei prezzi, alla narrazione coerente nei media locali, fino a un’esperienza d’acquisto unica. Un elemento chiave del successo è tuttavia il forte impegno e la preparazione professionale del partner straniero, la sua prontezza all’espansione internazionale e la comprensione delle specificità del mercato locale.

Lei definisce GPoland un “servizio a 360°”. Cosa significa esattamente?

Non siamo semplicemente un distributore o grossista. Il nostro coinvolgimento va ben oltre la vendita. Offriamo ai nostri partner un’ampia gamma di servizi: marketing strategico, relazioni pubbliche efficaci, formazione professionale per il personale, supporto completo per il visual merchandising, nonché assistenza cruciale nella scelta e negoziazione delle migliori location commerciali. Sappiamo che i brand stranieri, entrando nel mercato polacco, hanno bisogno non solo di supporto logistico, ma soprattutto di una narrazione ben costruita che risuoni con il cliente polacco. In questo ambito svolgono un ruolo chiave i nostri team PR e marketing, che creano una comunicazione coerente e coinvolgente. I nostri trent’anni di presenza sul mercato si sono tradotti anche in una fiducia preziosa da parte dei partner commerciali e dei principali centri commerciali in Polonia.

Guardando indietro a tre decenni di attività di GPoland, di cosa è più orgoglioso?

Del fatto che abbiamo cambiato il panorama delle strade e dei centri commerciali polacchi. Nel 1993, la moda di lusso era un’astrazione. Oggi, donne e uomini in Polonia la indossano ogni giorno. Abbiamo introdotto sul mercato oltre 80 brand, superato crisi e pandemia, e oggi il nostro team conta più di cento specialisti. Ma ciò che mi rende più felice è che ogni nuova apertura continua a regalarmi la stessa emozione del primo negozio Max Mara, trent’anni fa.

 

Lo scorso 26 febbraio GPoland ha ricevuto la Menzione Speciale per la Moda da Gazzetta Italia. A ritirare il riconoscimento, durante la serata di gala del Premio Gazzetta Italia, è stata Nefer Prati.