Alfredo Panzini e l’autarchia linguistica

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fonte della foto: accademianuovaitalia.it

Il 23 dicembre 1940, con la legge numero 2042, il fascismo provava anche giuridicamente, in nome di una dichiarato autarchismo linguistico (logica conseguenza dell’autarchia economica), a “combattere l’incosciente servilismo che si compiace di parole straniere anche quando sono facilmente e perfettamente sostituibili con chiari vocaboli italiani già in uso”, promulgando il drastico provvedimento intitolato: “Divieto di uso delle parole straniere nelle intestazioni (delle ditte) e nelle varie forme di pubblicità”, che in caso di infrazione prevedeva addirittura l’arresto fino a 6 mesi o l’ammenda fino a lire 5 mila, se non anche, per le attività soggette ad autorizzazione o licenza amministrativa, la sospensione o la revoca delle stesse. Ma con il Regio Decreto 26 marzo 1942, n. 720, preso atto della complessità della questione, si mitigò la portata della legge, escludendo del tutto dal divieto ovviamente le parole di origine latina o greca antica, e delegando all’Accademia Reale d’Italia l’elencazione di anglicismi, francesismi, germanismi e barbarismi da bandire e da sostituire.

Fu così che nel suo successivo Bollettino l’Accademia provvide a fornire, attivata una Commissione per l’italianità della lingua, l’elenco dei forestierismi banditi, suggerendo gli alternativi termini italiani da utilizzare, grazie ad un monumentale lavoro svolto in gran parte dal lessicografo Alfredo Panzini, che censì e sostituì un migliaio e mezzo di parole, toccando ogni contesto possibile: dalla famiglia, alla cucina (dove imperavano parole prevalentemente francesi), allo sport (dove trionfavano termini prevalentemente inglesi) o al mondo produttivo e dei servizi.

Un lavoro enorme, quanto sostanzialmente inefficace, che però si inseriva al termine di una fase di evoluzione della scienza glottologica, che già dagli anni ’20 del Novecento aveva preso le distanze sia dai metodi di marca positivista, sentiti come inadeguati e astratti, sia dal crocianesimo, che considerava l’esperienza linguistica unica e irripetibile, rivalutando invece la concretezza della lingua, intendendola come istituto inscindibile dai parlanti ed esaltandone la funzione omologatrice di norma sociale. La politica linguistica del regime s’inquadrava così in una simile prospettiva, e motivo ricorrente di creazione terminologica furono le traduzioni forzose dei forestierismi, che durante tutto il Ventennio furono ritenuti lesivi dell’identità e del prestigio nazionali e contro i quali si esercitò una fitta propaganda giornalistica, al punto che tra febbraio e luglio 1932 «La Tribuna» bandì un concorso a premi per sostituire 50 parole straniere, e tra il marzo dello stesso anno e il marzo 1933 Monelli tenne la rubrica “Una parola al giorno” nella «Gazzetta del popolo», in cui proponeva via via la sostituzione di prestiti non adattati.

E furono anche via via emanate molte leggi che con crescente severità scoraggiarono o proibirono l’uso di forestierismi. L’atteggiamento ovviamente si inasprì una volta incrinatesi le relazioni internazionali dopo il 1936, così nel 1938 agli iscritti fascisti e ai dipendenti statali si proibì di usare il pronome allocutivo Lei, col pretesto di una sua supposta origine spagnola, e molti enti prestigiosi furono indotti a cambiare nome, e i nomi stranieri furono vietati ai locali di pubblico spettacolo e ai neonati di nazionalità italiana.

La legge del 1940 giunse così al culmine dell’interventismo legislativo sul tema, trionfando nell’appendice all’ottava edizione del Dizionario moderno del 1942 del Panzini, nella quale apparvero molte delle parole italianizzate create dalla Commissione dell’Accademia, come brioscia, sciampagna, cornetto, aviorimessa, pantosto, autorete, guidoslitta, allibratore, disco su ghiaccio, transvolata, àlcole, bidè, blu, cògnac, selz, vafer, valzer. D’altronde vari furono i criteri adottati per le italianizzazioni: agli adattamenti grafici (the → tè) o fonomorfologici (autocar → autocarro) si alternarono le traduzioni (check → assegno) e i costrutti polirematici (bunker → fossa di sabbia), e originali furono alcune neoformazioni (avanspettacolo da lever de rideau), riprese di parole semanticamente modificate (arlecchino da cocktail), nonché soluzioni talvolta fantasiose (canturino da valenciennes, calceggio per dribbling e affollo per bagarre nell’uso sportivo, sulla falsa riga dei già proposti ber e qui si beve per bar e puttanambolo per tabarin).