Dov’è il lavoro, dov’è il cuore, dov’è la casa?

L’articolo è stato pubblicato sul numero 80 della Gazzetta Italia (maggio 2020)

Dall’aereo scende una giovane donna. Indossa un cappotto verde comprato un mese fa durante i saldi in un negozio a pochi isolati da Ponte Vecchio. Pensava che sarebbe stato ideale per il clima polacco, ma ora, mentre scende le scale di metallo per raggiungere il piazzale dell’aeroporto, sente i rigori del freddo. Per di più, tira un vento forte e il cielo è completamente coperto da nuvole cupe che annunciano l’arrivo di una copiosa pioggia. Subito dopo il ritiro dei bagagli, la donna si guarda intorno e vede tutto grigio: pareti di una tonalità grigia con appesi i poster grigi, persone grigie vestite di grigio con facce grigie. Sente all’improvviso un forte desiderio di tornare alla sua amata, colorata e gioiosa Firenze, alle sue strade tortuose, agli sconosciuti sorridenti che conducono conversazioni vivaci. Tuttavia, scuote la testa. Deve dare una possibilità a questo luogo, resistere almeno un mese. Non bisogna arrendersi subito. Afferra la maniglia della sua valigia e con la testa sollevata in alto, in mezzo alla folla, si dirige verso l’uscita.

Venti anni dopo un trentenne prende il posto della donna. Si passa le dita fra i capelli ricci neri, scorrendo con lo sguardo confuso i segnali intorno a lui. Non conosce bene l’inglese, non parla affatto il polacco, e per questo è ancora più spaventato dalle voci delle persone circostanti che non parlano ma sussurrano. Deve essere davvero pazzo per aver avuto il coraggio di venire in un paese totalmente sconosciuto, senza conoscere la lingua, solo perché ha sentito le parole “Non avere paura”. Ora però prova una grande paura e inizia a pentirsi della sua decisione. A dire la verità qui non è poi così male, come si immaginava. Le persone intorno a lui sembrano allegre, alcune di tanto in tanto scoppiano a ridere, tutto ha dei colori, forse non molto intensi. L’uomo sospira. Ritira il suo bagaglio e lascia l’aeroporto. Davanti all’uscita, la vede. Un sorriso appare immediatamente sul suo viso, poi corre verso di lei e la stringe forte tra le braccia. Sì, sicuramente non sarà poi così male.

Venti anni dopo compaiono due persone: una giovane coppia. Due mesi fa si sono sposati, ora hanno deciso di vivere nella patria della ragazza. Un generoso sorriso fiorisce sul suo viso. Nota una signora accanto a lei con una giacca rosa chiaro e un cappello bianco con le paillettes. La sconosciuta si presenta in modo estremamente interessante. La ragazza dà una gomitata al marito in modo che guardi anche lui la signora, ma l’uomo è troppo stanco per reagire. Avverte un mondo diversa, che, sebbene pulsi di vita proprio come l’Italia, lo fa con un ritmo completamente diverso, che lo stordisce. Tante persone, tanti colori, confusione: non era questo che si aspettava, suo padre non gli aveva parlato così della Polonia. Sua moglie gli dice qualcosa, poi lo tira per la manica e prima che il ragazzo capisca che cosa sta succedendo, stanno già camminando verso i genitori della ragazza. “Dio, prenditi cura di me”, pensa facendo un dolce sorriso forzato alla sua nuova suocera. 

Questi italiani e molti altri, che allo stesso modo sono arrivati in Polonia, si sono incontrati durante in tre sere di novembre partecipando alle tavole rotonde allestite nella sala dell’Istituto Italiano di Cultura a Varsavia. Alcuni si conoscevano, altri si sono visti per la prima volta. Ognuno di questi italiani è venuto per condividere la sua storia con coloro che volevano ascoltarla.

Ideatrice e coordinatrice del progetto “Immigrazione Italiana in Polonia: per amore o per forza” è Angela Ottone, presidente della Fondazione Bottega Italiana. Il progetto patrocinato e finanziato dal Ministero degli Affari Esteri italiano è realizzato in collaborazione con Com.It.Es Polonia, l’Istituto Italiano di Cultura e Gazzetta Italia, nonché il suo direttore Sebastiano Giorgi. Il progetto ha coinvolto studenti di alcuni rinomati licei di Varsavia in cui viene insegnata la lingua italiana. L’obiettivo principale del progetto è quello di identificare le ragioni che hanno spinto gli italiani ad emigrare in Polonia nei tre periodi di forte emigrazione italiana all’estero che inizia a partire dalla metà del XX secolo e persiste fino ad oggi:

1968-1989 – L’altra parte del muro
1990-2004 – L’integrazione europea
2005-2018 – Un nuovo confine europeo tra mito e realtà

Al progetto hanno partecipato circa 40 studenti e 80 italiani di tutte le fasce d’età, provenienti da diverse regioni d’Italia. Durante i tre incontri, i giovani hanno intervistato gli italiani sulla base delle domande precedentemente elaborate. Gli italiani hanno parlato della loro vita, del lavoro, della famiglia, delle ragioni per le quali hanno lasciato il Paese o delle difficoltà linguistiche.

Il confronto delle diverse culture ci ha sempre affascinato. Volevamo capire su quali piani le culture si sovrappongono, dove si scontrano e dove non si percepisce nemmeno la reciproca presenza. L’esperienza del progetto Emigrazione Italiana in Polonia: per amore o per forza ha evocato un fascino ancora più forte, perché ha consentito di riscontrare la cultura italiana, intervallata dalle sfumature del spirito polacco, con la nostra. Ci siamo chiesti come sia percepita la cultura polacca, vista attraverso il prisma di un’infanzia trascorsa in Italia, tramite così tante esperienze e ricordi. Come si presenta la notte polacca quando nella memoria c’è sempre il ricordo delle dolci notti stellate della calda estate italiana. Ma anche quanto lontana dalla realtà è l’immagine dell’Italia presente nella mente dei polacchi. Che sentimento provino gli italiani quando sentono parlare del sole caldo, quali ricordi e profumi la mente rievochi? 

Durante le conversazioni sulla vita privata, sul lavoro o sulla lingua, tra centinaia di aneddoti e battute, è cresciuta in noi una domanda che poi abbiamo deciso di porre ad alta voce: “Chi siete? Vi sentite italiani o polacchi?”

Le risposte sono frutto di una serie di storie, di un milione di esperienze diverse che tra l’altro non sono mai state univoche. Si può chiamare ”casa” un posto completamente diverso da quello in cui si è vissuto prima?

Una delle italiane che è venuta in Polonia negli anni ’70, ricorda le sue prime settimane a Varsavia. Bisogna tenere presente che in quel periodo la Polonia era uno stato comunista la ”Repubblica Popolare di Polonia” e si trovava sotto l’influenza dell’URSS. Di conseguenza c’era una scarsa disponibilità dei prodotti nei negozi, nonché lunghe file anche per comprare cibo. Per la nuova arrivata questa era una novità così quando andava tutte le mattine alle nove a comprare il pane, sentiva solo due parole: “Non c’è”. Solo dopo qualche tempo le hanno spiegato che per comprare il pane, bisognava andarlo a prendere la mattina presto. Una Polonia del genere poteva paragonarsi alla lontana Italia, dove non mancava assolutamente nulla?

Anche la lingua costituiva una barriera, rivelatasi però superabile. Una donna italiana racconta come ha incontrato suo marito. Lui era un polacco che non parlava italiano, lei era un’italiana che non parlava polacco. Entrambi non sapevano comunicare in inglese, quindi gli è rimasto il francese che lui studiava da anni. Nonostante i problemi di comunicazione, si sono innamorati così tanto che hanno deciso di trascorrere insieme il resto della vita. L’uomo, incapace di parlare l’italiano, ha deciso di rischiare e ha chiesto alla donna di sposarlo in francese. L’italiana per fortuna ha indovinato ciò che il suo amato stava cercando di trasmettere e ha accettato la sua proposta. Tuttavia, quando raccontava a sua madre l’accaduto, questa ha domandato la figlia se è sicura di aver capito bene la proposta. Sembra di sì visto che in breve tempo erano sposati.

Tutta la sala rimbombava di risate ed eccitazione quando parlavano in polacco. Alla domanda su quale parola la descrive al meglio si ripeteva: tragedia. Sorprendenti sono anche le prime parole polacche apprese dagli italiani: skarbonka (salvadanaio), truskawka (fragola) o idziemy do baru na piwo? (andiamo al bar per una birra?).

Non sono mancate anche le storie divertenti. Durante i primi mesi di soggiorno in Polonia, uno degli italiani ha visitato Varsavia. Tuttavia, non parlava bene il polacco. Trovandosi al ristorante ha ordinato kotleta (cotoletta), ziemniaczki (patatatine) e buziaczki (bacini) invece di buraczki (barbabietole). La cameriera è arrossita e ha ridacchiato  colta dall’imbarazzo.

Con i cambiamenti politici in Polonia dopo il 1989 e l’adesione della Polonia all’Unione europea nel 2004, le differenze economiche tra i due paesi sono diminuiti fino a scomparire, mentre con la diffusione dell’apprendimento della lingua inglese, ha perso importanza anche la barriera linguistica. In questo modo, l’ultimo ostacolo sulla strada per diventare polacchi è la mentalità. Non c’è dubbio che le abitudini, i comportamenti e lo stile di vita polacco siano decisamente diversi da quelli italiani. Alla domanda sull’atmosfera al lavoro, quasi tutti gli italiani, indipendentemente dall’anno dell’immigrazione, hanno risposto che in Polonia le relazioni sono formali. Non si tratta solo di darsi del Lei, ma del semplice modo di lavorare. Tutti sembrano svolgere solo le proprie mansioni, la realizzazione del compito è la cosa più importante, non c’è tempo per fare amicizia. “Mi manca una semplice chiacchierata durante la pausa caffè”, dichiara una donna italiana. Sembra che manchi il clima di spensieratezza ai nuovi arrivati. Inoltre tra polacchi e italiani è diversa anche l’opinione sul valore del lavoro, che si manifesta evidentemente nel settore della gastronomia. “Lavorare con i polacchi in cucina può essere davvero difficile. Per noi preparare la pizza o la pasta è una passione, per loro è una sorte di mansione stile fabbrica. Più importante è creare un nuovo prodotto”, commenta un cuoco italiano. Un altro italiano, redattore di Gazzetta Italia, aggiunge: “In Polonia, tutto è svolto nel minimo dettaglio. […] I polacchi hanno la tendenza ad essere passivi. Lavorano bene, forse di più rispetto agli italiani, ma sono passivi. Io nella redazione ho bisogno di persone propositive con idee, quindi persone molto più attive“. Pertanto, queste differenze derivanti dal “carattere nazionale” non si possono ignorare. Sono comuni indipendentemente dal luogo di lavoro, molto visibili e probabilmente non scompariranno mai.

Tutto ciò però non ha influenzato le conclusioni finali che gli stessi italiani hanno tratto dalle loro storie. Parlando sempre delle differenze tra uno e l’altro, di cosa li ha sorpresi in Polonia e che cosa gli manca di più, subito dopo nostalgici sospiri per la mancanza del sole italiano e del cibo tradizionale, sui loro volti è apparso un leggero sorriso. Hanno ammesso che sebbene si sentiranno sempre italiani, ci sono piccole cose che gli ricordano come sono integrati con la Polonia. Leggere esclusivamente la stampa polacca, il sapore del pane polacco o kiszonki, sono solo alcune cose per le quali sentono la mancanza della Polonia trovandosi in Italia. Uno persona ha riassunto la risposta alla domanda sull’appartenenza con un racconto. Una volta mentre tornava in macchina dall’Italia in Polonia, dopo alcune ore di guida, dopo aver finalmente attraversato il confine polacco ha notato un cartello con il nome della città “Zgorzelec”. Ah, ha pensato, finalmente a casa.

Non volevamo che questa serata finisse. Non volevamo lasciare questa bolla di felicità che ci ha permesso di conoscere tante nuove e stimolanti persone con le quali la conversazione non era solo uno scambio di frasi in una lingua diversa dalla lingua madre, ma era soprattutto un affascinante scambio dei diversi punti di vista che ha permesso di osservare cose note sotto una luce completamente diversa. Quando dopo le conversazioni ci siamo alzati dai tavoli e abbiamo pensato che la serata stesse per finire e tutto il meglio fosse alle nostre spalle ci è stata offerta un’altra possibilità di immergerci nelle storie di altre persone. Gli italiani ci hanno mostrato gli oggetti che hanno portato con sé in Polonia. Ciò ha fatto sì che tutte le parole, tutto il linguaggio melodico che prima galleggiava nell’aria si materializzasse trasformandosi in realtà. Con il fiato sospeso fissavamo quegli oggetti, quelle radici portate dalla terra natia che ora fioriscono di nuovo curate attentamente nei raggi del sole con l’odore di futuro. Un quaderno con i disegni dei luoghi che hanno fatto battere più forte il cuore. Dischi con la musica intrisa di ricordi, libri di cucina che permettono di ricostruire la casa sulle papille gustative. Romanzi con pagine che portano i respiri del sole italiano. Siamo stati grati. Siamo stati grati che queste meravigliose persone ci abbiano fatto entrare nel loro mondo privato di ricordi ed esperienze, facendoci assaggiare il loro passato irripetibile. Ci hanno mostrato noi stessi da una prospettiva diversa e ci hanno fatto capire che conoscere le culture diverse, e soprattutto conoscere altre persone, è una delle cose più affascinanti di questo mondo.

Tutte queste storie ci hanno mostrato che per capire le altre nazioni, bisogna dimenticare tutti gli stereotipi e concentrarsi sull’empatia nei confronti dei migranti e della loro storia. È fondamentale che come polacchi e come italiani formiamo una comunità solidale. Se abbiamo abbastanza coraggio e fiducia nelle nostre forze, troveremo la nostra casa ovunque. Alla fine tutto il mondo è Paese.

traduzione it: Amelia Cabaj