Esclamazioni, insulti ed epiteti: le espressioni volgari regionali

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In Italia, per via della presenza storica dei dialetti, ogni regione ha una sua specificità linguistica. Molte parole ed espressioni vengono automaticamente associate ad una particolare regione o città e sono fortemente legate agli stereotipi diffusi nella cultura e nei media italiani. Il cinema e la televisione, di cui si è parlato negli articoli precedenti, hanno contribuito a diffondere e rendere riconoscibili determinate forme linguistiche provenienti dai diversi dialetti.

Gli stereotipi regionali, naturalmente, traspaiono maggiormente nella commedia: nei film i personaggi romani, ad esempio, vengono generalmente mostrati come rozzi, chiassosi e irruenti, spesso inclini a deridere o insultare gli altri. Proprio grazie al cinema e alla televisione, gli insulti e le parolacce tipici della Capitale sono oggi conosciuti e capiti praticamente in tutta Italia. Tra le espressioni romane più note cʼè ad esempio lʼesclamazione ahó, generalmente usata per esprimere rabbia o disappunto verso unʼaltra persona, o li mortacci tua (“i tuoi parenti morti” in dialetto romano). Questʼultima forma, originariamente un insulto, si può oggi usare anche per esprimere sorpresa o addirittura rispetto e ammirazione nei confronti di una persona. Unʼespressione simile, a chi tʼè muort (“a chi ti è morto”) è comune in dialetto napoletano, ma in questo caso si è conservata la funzione di puro insulto. Forme simili a quella napoletana esistono anche in altri dialetti del Sud, ad esempio in Puglia o in Basilicata. In tutta Italia, ma in particolare al Centro-Sud, è diffusa la parola mannaggia (dal napoletano mal nʼaggia, cioè “male ne abbia”), originariamente usata come insulto e maledizione, e oggi soprattutto per esprimere ira o delusione.

Oltre alle imprecazioni contro i defunti, in varie regioni italiane (ad esempio in Veneto, in Piemonte o in Toscana) esistono le bestemmie, ovvero gli improperi legati alla religione cristiana. Molto spesso queste espressioni vengono censurate con eufemismi e usate come esclamazioni “normali”: in Toscana è comune, in molte imprecazioni, usare la parola Maremma (da una delle regioni storiche locali) al posto di Madonna; similmente, in Veneto lʼesclamazione òstrega (“ostrica”) è una forma attenuata per dire ostia. In Piemonte è comune lʼespressione bòja fàuss (“boia falso” in dialetto), usata come imprecazione o anche solo come esclamazione di sorpresa o di rabbia. La teoria più conosciuta sullʼorigine di questa espressione è che i torinesi insultassero il mestiere del boia, una professione particolarmente disonesta visto che il carnefice veniva pagato per la morte di altre persone. Esiste anche la variante Giuda fàuss (ovviamente “Giuda falso”), ma entrambe le espressioni rimangono comunque eufemismi: si dice bòja o Giuda per evitare di dire Dio.

Anche gli insulti usati rivolgendosi ad altre persone variano da regione a regione: in Toscana sono molto comuni parole come bischero o grullo (“stupido”), sentite come arcaiche in altre regioni. Le espressioni per chiamare una persona stupida sono molto diversificate: in Lombardia si dirà pirla, in Veneto mona, mentre la parola minchione, di origine siciliana, è usata sia al Sud che al Nord. A Milano, oltre a pirla, per dire “stupido” si usa anche lʼespressione testina. Lʼetimologia di queste parole regionali è generalmente volgare, ma molte di esse sono ormai talmente diffuse nella lingua di tutti i giorni da aver perso buona parte della loro connotazione scurrile originaria. Alcune espressioni offensive hanno unʼorigine meno volgare e più pittoresca, per esempio il termine romano cafone (“rozzo, ignorante, maleducato”). Questa parola, entrata ormai da tempo nellʼitaliano standard, potrebbe provenire da cʼa fune (cioè “con la fune”): secondo una delle teorie, lʼespressione veniva usata per deridere i contadini che, per non perdersi nelle grandi città, si legavano lʼuno con lʼaltro con una corda. Anche sullʼorigine della parola romana mignotta (“prostituta”) esiste una teoria piuttosto curiosa: a parere di molti essa deriverebbe da m. ignota, abbreviazione di madre ignota, usato un tempo nei documenti dellʼanagrafe quando venivano registrati i neonati abbandonati dalla madre. Da lì deriverebbe lʼespressione offensiva fijo de mignotta (“figlio di p…na”), che a sua volta avrebbe causato la diffusione della sola parola mignotta. A meno che, come sostenuto da altri, il termine non derivi dal francese mignonne (“bella, attraente”).