Il Palio di Siena

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1918

Lucia Morgantetti

Luca Betti

 Se Siena può sembrare una città enigmatica ai non senesi, il Palio conferma l’unicità e la fuga dagli stereotipi di questa terra e della sua gente con tutto il suo fascino e le sue contraddizioni. Persino il grande poeta Mario Luzi, scomparso da qualche anno, definiva il Palio come “una sacra epilessia inintelligibile ai senesi stessi, pur essendo la quintessenza della senesità”

Cosa è davvero il Palio, che a un primo sguardo superficiale può sembrare solo una corsa di cavalli, anche se in una cornice particolare?

Affondando le mani nel mito troviamo come Siena stessa sia figlia di un Palio: la corsa di Aschio e Senio – fuggiti da Roma su due cavalli, uno bianco e uno nero – altro non è che un palio ante litteram. Ma abbandonando la bellezza del mito e addentrandoci nella storia inquadriamo il Palio come il momento culminante dei festeggiamenti dedicati a Maria Assunta, il 15 agosto, che vedeva i cavalli giungere di fronte alla Cattedrale dopo una corsa, senza fantini, lungo le vie della città. Nel Seicento la festa viene codificata, assume l’aspetto attuale e il suo svolgimento è circoscritto nella splendida cornice della Piazza del Campo: da allora sostanzialmente nulla è cambiato. Le diciassette contrade, una sorta di istituzioni autonome in cui è suddivisa la città, prendono parte alla Festa rispettando regole e riti ben definiti. Persino i confini tra le contrade, motivo di frequenti litigi e spesso all’origine delle attuali rivalità, furono stabili con bando della sovrana Beatrice Violante di Baviera nel 1729.

Ogni contrada ha un suo “parlamento”, l’assemblea generale che elegge il “governo”, con a capo un Priore: questo ne gestisce ogni aspetto durante l’anno, coadiuvato da uno staff di persone che, come in un vero governo, hanno precisi incarichi. Con esclusione della gestione della corsa del Palio, che è affidata direttamente dall’assemblea della contrada a un Capitano e a due “tenenti” o “mangini” che lo affiancano nel difficile compito di definire le strategie per conseguire la vittoria o per determinare la sconfitta della contrada avversaria. Qui le differenze tra Siena e la società sono marcate: le cariche sono elettive, durano in genere due anni (possono esserci differenze tra contrada e contrada), ma sono assolutamente gratuite. Anzi, visto che la contrada si sostiene con le donazioni volontarie di chi ne fa parte (i “protettori”, che pagano una quota annuale) spesso chi ha incarichi di prestigio contribuisce con cifre maggiori rispetto ai semplici contradaioli.

Le Contrade come le conosciamo oggi sono rimaste immutate dal 1729. Precedentemente erano molte di più ma da quell’anno la Governatrice Violante Beatrice di Baviera sancì con un “Bando sui confini” l’attuale suddivisione della città all’interno delle mura. Siena è oggi suddivisa in 17 Contrade che corrispondono a 17 territori della città. I nomi delle Contrade sono: Aquila, Bruco, Chiocciola, Civetta, Drago, Giraffa, Istrice, Leocorno, Lupa, Nicchio, Oca, Onda, Pantera, Selva, Tartuca, Torre, Valdimontone.

Ogni Contrada è contraddistinta dai propri colori. Le insegne delle Contrade non furono sempre come quelle che oggi conosciamo. I più importanti cambiamenti, specialmente nel colore della bandiere, avvennero dal secolo XVI al secolo XVIII. Poi si stabilizzarono. I colori subirono modifiche a causa dei moti politici e delle denominazioni delle diverse epoche, oppure a seconda del sentimento d’orgoglio e del capriccio delle Contrade. Qualche esempio? L’Onda aveva la bandiera bianca e nera, ma nel 1713, in occasione di una solenne riappacificazione con la rivale Torre, decise di cambiare il nero con il colore del mare. La Tartuca nel 1847 aveva un’insegna gialla e nera, ma la cambiò in gialla e bianca (i colori del Vaticano) sull’ondata degli entusiasmi per le riforme concesse da Pio IX; due anni dopo, delusa dal Papa, tornò alle tinte originali. Infine, nel 1858 mutò il nero con il turchino, perché i senesi in Piazza fischiavano la sua comparsa, in quanto il giallo e il nero erano i colori dell’Impero. L’Oca nel 1546 aveva un’insegna tutta verde. Nel 1702 fece la bandiera tricolore; ma, per gli eventi politici seguiti alla Rivoluzione Francese, nel 1799 dovette togliere il rosso, che rimise diversi anni dopo. Più famoso è il cambiamento che fu imposto all’Oca dal 1849 al 1859 per ordine di Leopoldo II di Lorena: la Contrada dovette cambiare il rosso con il rosa, perché la sua bandiera era troppo “patriottica”.

Nel 1947 un gruppo di senesi ha fondato il Comitato Amici del Palio con la finalità di mettersi a supporto del Palio da innumerevoli punti vista che vanno dal miglioramento di alcuni aspetti della festa fino alla sua divulgazione.

Nel 1981, poi, si è sentito il bisogno di dare vita ad un organismo come il Consorzio per la Tutela del Palio che controllasse, senza fini speculativi, l’immagine del Palio in Italia e nel mondo.

Il Palio di Siena si corre il 2 luglio e il 16 agosto. La corsa del Palio consiste in 3 giri di Piazza del Campo, su di una pista in tufo tracciata all’interno dell’anello sovrastante la conchiglia. È importante sapere che, ad ogni Palio, corrono solo dieci delle diciassette Contrade, con un meccanismo di sorteggio che avviene almeno venti giorni prima. Corrono di “diritto” le sette Contrade che non hanno corso il Palio dell’anno precedente nella stessa data; le altre tre vengono sorteggiate tra le dieci che invece vi avevano partecipato. Si comincia dalla Mossa, formata dai canapi – due grosse funi – all’interno dei quali si dispongono 9 contrade in un ordine stabilito da un sorteggio. La decima contrada, entrando al galoppo, e per questo la decima posizione viene definita “rincorsa”, determina la partenza. Ottiene la vittoria la contrada il cui cavallo, anche senza fantino, arriva primo al termine dei 3 giri. Anche se la corsa  dura solo poco più di un minuto la Festa vera e propria si snoda in quattro giorni intensi, ricchi di vari appuntamenti, la cui preparazione dura tutto l’anno.

Il premio per la vittoria è un drappellone di seta dipinta. In origine il “pallium “ era il drappo di stoffa preziosa, adornato di preziosi pelli di vaio (una sorta di scoiattolo) che nel medioevo costituiva il premio per la corsa. Poi, con la regolamentazione della Festa, a fianco del drappo di stoffa che le contrade usavano per addobbare gli altari della propria chiesa, ma che talvolta vendevano come un qualunque oggetto di valore, viene dato un drappo dipinto. Il più antico è conservato dalla contrada dell’Aquila ed è del 1719. Questo drappo a partire dalla fine dell’Ottocento presenta alcuni elementi essenziali ben determinati: in alto la Madonna, al centro un motivo allegorico, che spesso fa riferimento all’evento a cui viene dedicato il Palio stesso, e gli emblemi delle contrade che prendono parte alla corsa.

Inizialmente il drappellone, detto anche affettuosamente “cencio”, dai contradaioli, era un semplice stendardo processionale, con gli elementi decorativi ridotti ai minimi termini. Assume in seguito caratteristiche di dipinto vero e proprio quando la commissione viene affidata – siamo nell’ultimo ventennio dell’Ottocento – ai puristi senesi. Lentamente, come uno specchio del tempo, inizia a riflettere i gusti estetici e diviene inizialmente di gusto liberty, per poi confrontarsi con le tematiche sociali, patriottiche, civiche nel dopoguerra fino a mostrarci una enorme luna applicata su serigrafia nel palio del 1969, dedicato appunto alla conquista del nostro satellite da parte dell’uomo. È questo un palio di profonda cesura. Successivamente, con una forte accelerazione, il cencio diviene opera d’arte contemporanea, ed è spesso affidato a artisti di fama internazionale tra cui Guttuso, Folon, Mitoraj, Botero.

Ma a Siena, quando si tratta di vincere il Palio, non conta come è dipinto e da chi è dipinto. Un modo di dire frequente è “anche bianco, ma daccelo!”

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