Joanna Ugniewska e l’arte della traduzione

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L’articolo è stato pubblicato sul numero 79 della Gazzetta Italia (febbraio-marzo 2020)

Joanna Ugniewska è professoressa ordinaria all’Università di Varsavia, autrice di libri dedicati alla letteratura italiana dell’Otto e del Novecento, tra cui: “Giacomo Leopardi”, “Scritture del Novecento” (2008), “Viaggiare, scrivere” (2011), coautrice della “Storia della letteratura italiana del Novecento” per cui ha ricevuto il Premio Flaiano nel 2002. Ha tradotto in polacco decine di opere della letteratura italiana, soprattutto di Antonio Tabucchi e Claudio Magris e dei classici come Umberto Eco, Alberto Moravia e Luigi Pirandello. Ha fatto conoscere ai lettori polacchi scrittori come Piero Camporesi, Pietro Citati, Matteo Collura, Gianrico Carofiglio, Benedetta Craveri, Oriana Fallaci, Massimo Gramellini, Riccardo Orizio, Tiziano Terzani oppure Ornela Vorpsi. Per le sue traduzioni ha ricevuto il premio ZAiKS e premio Paweł Hertz conferito da “Zeszyty Literackie” per i risultati eccezionali nel campo della traduzione di letteratura dalle lingue straniere. 

La professoressa Ugniewska si è laureata in francesistica all’Università di Varsavia ma presto ha indirizzato i suoi interessi verso l’Italia e la cultura italiana, e non si è mai pentita di questa scelta. Sicuramente sono contenti anche tutti gli appassionati della letteratura italiana che non conoscono la lingua perché dà voce ad autori che, senza di lei, non avrebbero mai potuto leggere. Ma come è iniziata la sua avventura con le traduzioni? 

“Tutto quello che conta ci capita per caso. La mia avventura con le traduzioni è iniziata nel periodo di trasformazione del sistema di governo in Polonia alla fine degli anni Ottanta. Era un periodo in cui nascevano tante case editrici e sul mercato delle traduzioni c’era un grande fermento. Ho cominciato con i libri per bambini ma presto ho rinunciato. Non è stato facile, fino ad oggi ricordo un libro sui castelli che mi ha costretta a studiare le regole di costruzione dei castelli italiani, giapponesi e altri. Comunque dopo era sempre peggio.”

Dai libri per bambini a Oriana Fallaci, è una bella sfida…

“Isciallah” della Fallaci ha quasi mille pagine e all’epoca non c’erano i computer quindi ci si può solo immaginare che lavoro mostruoso ho dovuto fare. Non ci credo neanche oggi che lavoravo così ma la verità è che scrivevo a mano e dopo riscrivevo tutto con la macchina da scrivere Łucznik, che faceva un rumore incredibile. I vicini non lo potevano sopportare.  

La prima traduzione importante è su un tema difficile, meticolosamente raccontato, relativo al periodo della guerra in Libia. Immagino che oltre alle complicazioni tecniche durante la traduzione ci saranno state anche le difficoltà linguistiche?

Non è stato facile perché il libro è pieno dei termini militari e di elenchi che Fallaci adora. C’è un frammento in cui l’autrice racconta della mensa dei soldati facendo un elenco delle cose che c’erano nel magazzino in cui troviamo undici tipi di salsicce. Mi ha spaventato questa descrizione. Ho inventato, non undici, ma qualche nome universale di salsicce e credevo d’aver superato la sfida. Dopo un po’ di tempo, quando la Fallaci ha controllato la traduzione polacca con l’aiuto di qualcuno, mi ha rimandato indietro il testo con una nota in margine: “E dove sono le altre salsicce?”.

Anche il mio errore più divertente, che per fortuna è stato notato dalla redattrice delle bozze, è sempre legato alla Fallaci, questa volta stavo traducendo i reportage dal Vietnam. Nel testo c’era una frase semplicissima: “La foresta era piena di liane e di bambù”. Ho guardato la frase e invece di “bambù” ho visto “bambini”. Ho pensato che il popolo si era nascosto nella foresta scappando dai bombardamenti e quindi ci potevano essere anche i bambini. Durante la correzione, quando arrivavo a queste “liane e bambini” qualcosa non mi convinceva. Ma ho controllato la versione originale e di nuovo ho visto “bambini” non “bambù”. Non riesco a spiegarlo. La redattrice delle bozze mi ha raccontato che quando è arrivata a questa parte del testo si è accorta subito dell’errore ed è morta dalle risate. 

Dopo la Fallaci è arrivato l’autore della sua vita?

Scherzo sempre sul fatto che i due uomini della mia vita sono Magris e Tabucchi e come tali, ovviamente, mi mantengono. Dopo la Fallaci è arrivato un libro importante, era “Danubio” di Claudio Magris. Opera in cui il narratore è un viaggiatore colto che racconta non solo dei bei paesaggi danubiani ma soprattutto della complicata storia e della ricchezza del patrimonio culturale delle regioni situate sul Danubio. Ho condiviso il lavoro con Anna Osmólska-Mętrak perché mi hanno spaventato le dimensioni dell’impresa. Questo veramente è stato un esame per diventare un vero traduttore perché Magris, magari non è difficile come autore, ma è pieno di richiami culturali, storici e letterari. È stato davvero un gran lavoro.

Nelle traduzioni è importante anche mantenere lo stile dell’autore, alla fine tutti scrivono in modo diverso?

È molto importante non tradurre tutto con lo stesso stile. Ogni traduzione va fatta con strumenti diversi. Ad esempio, Magris è ironico, ricco di richiami e molto colto ma non appesantisce i suoi testi con troppe informazioni. Ha iniziato come tipico accademico scrivendo sulla letteratura tedesca con stile molto pesante. Dopo ha scoperto una forma più bella che lo ha reso famoso, unendo saggio, racconto di viaggio ed autobiografia ha scritto saggi, racconti di viaggio e autobiografia. “Microcosmi” e “Danubio” sono scritti con questo stile e sono davvero capolavori. Ha inoltre scritto brevi racconti come “Un altro mare”, molto belli e trasparenti. Invece Antonio Tabucchi è molto letterario e melanconico. Ha cominciato con la narrativa apparentemente semplice per poi complicarla e riempirla con una quantità incredibile di citazioni nascoste. La cosa più difficile per ogni traduttore sono proprio le citazioni nascoste. Adesso tutti scrivono in modo postmoderno, anche se non lo ammettono, e inseriscono nei loro testi richiami cifrati. Per questo sto sempre ripetendo che i traduttori sono delle persone molto modeste perché solo loro sanno che fatica si nasconde dietro ad una traduzione.

Un grande piacere nel lavoro dei traduttori deve essere anche poter conoscere gli autori?

Questo è un capitolo a parte. Ho sempre detto che tra scrittore e traduttore nasce una storia d’amore a prescindere dall’età e dal sesso. Si crea una relazione profonda perché nessuno legge l’autore così dettagliatamente come il traduttore. Tabucchi diceva che “il traduttore vede l’autore in pigiama” e questa è una descrizione molto vera perché chi, se non il traduttore, scopre tutte le sue debolezze?

Ho conosciuto tutti e due e devo ammettere che con Magris mi lega una grande amicizia sono grande amica. Ci conosciamo bene e ci siamo visti tante volte perché lui viene molto spesso in Polonia. Una volta mi ha scritto una bellissima dedica in uno dei suoi racconti, che è l’essenza del lavoro di traduttore, ha scritto così: “A Joanna, grazie alla quale sono diventato un autore polacco”. Tabucchi invece era più distante. L’ho visto una o due volte e ogni tanto ci siamo scritti. Ma molto commovente è stato quando lui stava per morire e io, non sapendolo ancora, continuavo a scrivergli chiedendo delle cose nel testo. Lui, nonostante le sue condizioni, era abbastanza lucido per indicarmi una persona che se ne sarebbe occupata.

Che cosa consiglierebbe ai giovani traduttori? Nel suo caso prima sono arrivate le proposte dalle case editrici e dopo ha proposto lei gli autori che le piacevano?

“Danubio” mi è stato proposto dalla casa editrice PIW che dopo non voleva pubblicarlo. Come sostenevano i redattori, l’autore in modo troppo delicato ha trattato l’ex Jugoslavia e l’Ungheria che all’epoca erano ancora sotto il regime sovietico. Ho dovuto cercare un editore da sola e così ho trovato la casa editrice Czytelnik che ha pubblicato “Danubio” e altri libri di Magris. Dopo gli ho consigliato il mio amato Tabucchi e Pietro Citati che anche apprezzo molto. Ai giovani traduttori direi che la cosa migliore è mandare “piccoli assaggi” di pagine già tradotte concentrandosi su una tematica concreta. La letteratura italiana non è molto conosciuta sul mercato polacco perciò spesso le case editrici non conoscono gli autori. Per questo motivo prima bisogna far vedere di che tipo di testo si tratta.

E che cosa legge il traduttore?

Mi piace molto il tema della memoria, il libro di Proust è per me un libro sacro il mio autore santo e lo leggo tutta la vita. Ma ho anche altri autori preferiti, soprattutto spagnoli e ungheresi. Apprezzo molto un autore castigliano Javier Marìas e il catalano Jaume Cabré e ho letto tutti i loro libri. Su Marìas ho scritto anche un testo per la rivista “Zeszyty Literackie”. Per quanto riguarda gli ungheresi il mio preferito è Péter Nádas, l’autore del libro “Memoria” che è un capolavoro assoluto. Mi piace anche leggere sui viaggi in Italia perché è il tema della mia ricerca, soprattutto autori come Paweł Muratov, l’autore del libro “Immagini dell’Italia”, oppure Dariusz Czaja. Devo anche nominare un grande scrittore e accademico croato, Predrag Matvejević, che ha scritto “L’altra Venezia”, il libro più bello che esista su Venezia.