Musica e lingua dei giovani. Gli anni Ottanta e Novanta

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La musica è da decenni una delle forme di intrattenimento più amate dai giovani e, inevitabilmente, i diversi generi musicali (pop, rock, rap e così via) sono sempre stati uno specchio della realtà giovanile, linguaggio incluso. Nel caso dellʼItalia gli anni Ottanta e Novanta sono stati un periodo importante da questo punto di vista: in quei decenni, infatti, il lessico tipico degli adolescenti si fece strada nei testi musicali, grazie in particolare ad alcuni gruppi rock e pop.

Gli Skiantos, gruppo punk rock italiano attivo già nella seconda metà degli anni Settanta, furono tra i precursori del cosiddetto rock demenziale, genere affine al comedy rock anglosassone: musica caratterizzata da testi grotteschi e comici, linguaggio volgare e satirico ed elementi di cabaret. I brani della band bolognese contengono molte parole ed espressioni tipiche del linguaggio giovanile degli anni Settanta e Ottanta come essere in para (cioè “in paranoia”) o sbarbo/sbarba (rispettivamente “ragazzo” e “ragazza”). Lʼalbum del 1978 “MONOtono” inizia proprio con una conversazione tra adolescenti, piena di termini tipici dellʼepoca e spesso difficilmente comprensibili per lʼascoltatore di oggi. Il linguaggio dei giovani infatti evolve molto rapidamente, tanto che parole come sbarbo e sbarba sono presto diventate desuete (anche se gli Skiantos fecero in tempo a pubblicare, nel 1980, il brano “Mi piaccion le sbarbine”).

Il gruppo più importante per quanto riguarda il rock demenziale in Italia sono stati però i milanesi Elio e le Storie Tese, il cui primo album risale al 1989. Con i loro testi al tempo stesso volgarissimi e raffinati, ricchi di giochi di parole e citazioni, i musicisti lombardi sono passati, nel corso degli anni, da band di culto ad autentico fenomeno mediatico. Anche nel caso del loro disco di debutto si inizia con una conversazione tra adolescenti, un chiaro omaggio agli stessi Skiantos: lʼargomento della discussione sono le figu, cioè le figurine dei calciatori, popolarissime tra i bambini e i giovani dellʼepoca. Molti anni dopo, nel 2013, la band ha registrato il seguito di quella vecchia intro, scherzando sul fatto che tanto la parola figu quanto le stesse figurine erano ormai da anni qualcosa di vecchio e fuori moda.

Una delle canzoni più interessanti in questo senso è “Supergiovane”, pubblicata da Elio e soci nel 1991 e dedicata alle avventure di un supereroe che incarna lo spirito ribelle e immaturo dellʼadolescenza. Il brano rievoca lʼimmaginario giovanile degli anni Ottanta, tra programmi televisivi, pubblicità, riviste e molti altri prodotti della cultura di massa, ma anche il linguaggio dei giovani di quegli anni. Alcuni dei termini che compaiono nel testo erano desueti già allʼalba degli anni Novanta: basti pensare a matusa, parola che nel decennio precedente veniva spesso usata per indicare i “vecchi”, cioè gli adulti, visti come noiosi e incapaci di capire gli interessi e le esigenze dei giovani. Matusa è unʼabbreviazione di Matusalemme, dal nome del più vecchio dei patriarchi dellʼAntico Testamento. Data la scarsa longevità del gergo giovanile, però, la parola in questione era già desueta nel 1991, tanto che, paradossalmente, chi a quel punto usava ancora il termine matusa era già “vecchio” lui stesso.

Uno dei gruppi pop italiani più celebri sono stati, negli anni Novanta, gli 883, inizialmente un duo composto da Max Pezzali e Mauro Repetto. Il loro primo disco, “Hanno ucciso lʼUomo Ragno”, venne pubblicato nel 1992. Già a partire dal titolo era chiaro lʼattaccamento allʼimmaginario adolescenziale dellʼepoca, tra fumetti di supereroi e sogni sullʼAmerica. I testi, soprattutto su quel primo disco, erano caratterizzati da un linguaggio spesso volgare, ma allo stesso tempo molto vicino alla realtà dei giovani italiani, ideale illustrazione di un mondo pieno di problemi, ma anche di sogni.

I primi testi degli 883 contengono molti elementi tipici della lingua dei giovani di quel periodo, tra cui lʼortografia poco ortodossa (lʼuso della k, x con significato di per, i numeri al posto delle parole). Tra brani possiamo citare “Sʼinkazza”, “6/1/sfigato” (quindi “Sei uno sfigato”) o ancora “Con un deca” (cioè, ovviamente, 10.000 lire), titoli non certo raffinati, ma sicuramente vicini alla sensibilità e al modo di comunicare dei giovani di quel periodo. Per i dischi successivi Pezzali avrebbe scritto canzoni dai testi più profondi, mantenendo però sempre le tematiche legate alla giovinezza, alla nostalgia e ai sogni della sua generazione.

Gli anni Novanta furono un periodo particolarmente interessante per la musica italiana, con un deciso “svecchiamento” dei testi e il successo di generi e sottogeneri musicali prima di nicchia, tra cui il rap o il rock alternativo. La diffusione, accanto alla radio, dei canali televisivi dedicati alla musica (la rete italiana Videomusic esisteva già negli anni Ottanta, mentre nel 1997 venne lanciata, con enorme successo, MTV Italia) contribuì non poco alla popolarità mainstream di molti cantanti e gruppi.

883 è uno dei gruppi simbolo del pop italiano. I testi della band di Max Pezzali, specie nei primi anni, erano fortemente radicati nel gergo giovanile: basti pensare a uno dei loro più grandi successi, la canzone “Sei un mito”. Già il titolo rimanda alle espressioni, comuni tra gli adolescenti, mito e mitico/a per “fantastico/a”, “grande”. Nel testo compaiono poi altre parole colloquiali, comuni ancora oggi, come figata o cannare, oltre alla forma ʼsta per “questa”, di nuovo tipica del parlato. Si tratta di espressioni non particolarmente eleganti e, fino a quel momento, decisamente poco diffuse nelle canzoni italiane da classifica. Del resto gli 883 erano noti per i loro testi spesso volgari, tanto nel 1994 pubblicarono un singolo dallʼeloquente titolo “Chiuditi nel cesso”.

Negli stessi anni il cantautore Marco Masini ottenne un grande successo con brani dai titoli controversi come “Vaffanculo” o “Bella stronza”. Entrambe le canzoni divennero hit ampiamente trasmesse dalle radio e oggi sono ritenute dei classici. Nonostante tutto, però, i testi apertamente scurrili erano poco tollerati dai media e dallʼopinione pubblica. Per fare un esempio, la band di rock demenziale Elio e le Storie Tese, nota per i suoi testi intelligenti e ricercati ma allo stesso tempo estremamente volgari, raggiunse il vero successo a livello nazionale con un brano sempre molto ironico, ma del tutto privo di parolacce come “La terra dei cachi”. La canzone venne presentata al Festival di Sanremo nel 1996, classificandosi al secondo posto e contribuendo non poco alla popolarità del complesso milanese.

Uno degli artisti italiani più popolari negli anni Novanta è stato senza dubbio Lorenzo Cherubini, meglio noto come Jovanotti. Nei primi anni della sua carriera il cantante romano produceva musica a metà tra rap e pop, probabilmente i due generi “giovani” per eccellenza, con brani molto immediati e orecchiabili che ottennero un enorme successo. I testi, essendo rivolti ad un pubblico giovanile, si rifacevano – come nel caso degli 883 – al lessico degli adolescenti di fine anni Ottanta e inizio anni Novanta. Un esempio è la canzone del 1990 “Ciao mamma”, in cui compare la frase “è una libidine, è una rivoluzione”, riferita alla gioia di vivere. Il termine libidine, dal latino libido, indica ovviamente il desiderio sessuale, ma, nel gergo adolescenziale di allora, veniva spesso utilizzato come sinonimo di “spasso” o “sballo”. Proprio come nel caso di altre parole del lessico giovanile rese “immortali” dalle canzoni pop, anche questo uso di libidine è presto diventato desueto.

Ovviamente non tutte le canzoni di Jovanotti sono invecchiate allo stesso modo. In un altro celebre brano, il singolo del 1992 “Ragazzo fortunato”, lʼartista canta “sei bella come il sole e a me mi fai impazzire”, usando quindi la forma a me mi, sgrammaticata ma molto diffusa nellʼitaliano parlato, soprattutto tra i bambini e gli adolescenti. Dello stesso anno è la canzone “Non mʼannoio”, uno dei brani più rap di Lorenzo, con il celebre ritornello che alterna “e non mʼannoio”, “e non mi stanco” e il molto più adolescenziale “e non mi rompo” (dallʼespressione rompersi le scatole o uno dei suoi innumerevoli sinonimi volgari). In entrambi i casi si tratta di espressioni molto più longeve e diffuse rispetto a libidine.

Tra gli artisti hip hop italiani degli anni Novanta va sicuramente menzionato anche il duo milanese Articolo 31. Uno dei loro più grandi successi è la canzone del 1996 “Tranqi funky”, interessante fin dal titolo: il termine tranqi (o tranqui) deriva da tranquillo ed è quindi paragonabile alla parola polacca spoko. Sempre del 1996 è “Il funkytarro”: questa volta lʼaggettivo inglese funky viene unito alla parola colloquiale tarro (variante del più comune tamarro) che indica una persona grezza, maleducata, chiassosa. Nella canzone comparivano altri termini tipicamente giovanili, diffusi ancora oggi, come tipa per “ragazza” o le forme colloquiali (e non troppo corrette) cʼho (ci ho) e cʼhai (ci hai) al posto delle più standard ho e hai. Oggi lʼex vocalist degli Articolo 31, J-Ax (vero nome Alessandro Aleotti), continua ad avere grande successo come solista, con brani spesso caustici, volgari e carichi di sarcasmo, ma al tempo stesso dotati di un notevole appeal commerciale.