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“Non andare a Venezia”, esposizione di Beata Malinowska-Petelenz

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“Non andare a Venezia”

Perché non si dovrebbe più andare a Venezia? O almeno non come in tanti hanno fatto fino a oggi. Perché Venezia sta affondando. Viene calpestata da folle di turisti e navi da crociera giganti che provocano spostamenti d’acqua che colpiscono le fondamenta della città. Le foreste dell’Amazzonia si restringono ogni giorno, e la cattedrale di Notre Dame è bruciata davanti agli occhi del mondo digitalizzato e piangente online.

I viaggi oggi, sia quelli reali sia virtuali, sono l’essenza dell’identità del XXI secolo. Da molto tempo ormai non assomigliano a spedizioni romantiche alla ricerca di una nuova terra. Oggi luoghi che all’epoca erano desiderabili e unici, sono ampiamente accessibili e troppo consumati, e poi rovinati dal turismo di massa. Per questo Beata Malinowska-Petelenz invita i visitatori a un viaggio paradossale: seguendo le tracce intrecciate da disegni e fotografie. Rinunciando al colore, si concentra su forme inalienabili e dettagli che creano l’identità del luogo. Mostra spazi soggetti ad un’evoluzione naturale, ma soprattutto quella del post-consumo. Così, l’autrice propone un viaggio attraverso i luoghi che attraggono. E ci invita a…non andare a Venezia.

L’autrice:

Beata Malinowska-Petelenz – architetta, pittrice, autrice di libri. I suoi lavori, solitamente eseguiti in disegno e con tecniche miste, sono stati presentati in Polonia, Germania, Austria e Giappone; tra cui 21 mostre personali. Collabora con artisti dei nuovi media. Si concentra sul colore (o consapevole della sua assenza), sulle strutture organiche e sull’architettura. Vive e lavora (Facoltà di Architettura dell’Università di Tecnologia di Cracovia) a Cracovia.

Mostra:

Non andare a Venezia, Beata Malinowska-Petelenz, disegni e foto.

Vernissage: 9.01.2020, alle 19:00

Galeria Trzecie Oko, Cracovia ul. Bocheńska 5

Squadra curatoriale: AP KunstArt Fund

 

Val d’Orcia: gli effetti del Buon Governo nella campagna toscana

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Devo dire che dall’inizio del mio Erasmus a Siena, la città non mi ha risparmiato sensazioni estetiche. Già dalla prima serata sono rimasta stupita dal suo clima medievale, un po’ magico. Era l’inizio di ottobre, i festeggiamenti dopo il Palio stavano per finire, Siena pian piano cadeva nel sonno invernale… Nei seguenti mesi ho seguito i corsi universitari e ho goduto della bellezza della mia nuova piccola patria.

L’Italia è il paese che vanta piu siti UNESCO (50), invece la provincia di Siena e il luogo più “premiato” d’Italia, il che la rende il leader assoluto nella categoria! Nella lista del patrimonio mondiale troviamo infatti: centro storico di Siena, borghi medievali di San Gimignano e Pienza e la valle del fiume Orcia ovvero Val d’Orcia.

Il punto panoramico da cui si può ammirare la valle pittoresca si trova a Pienza in Viale s. Caterina. Li troviamo anche una targa che dice: “Val d’Orcia, paesaggio culturale patrimonio mondiale dell’Unesco. La Val d’Orcia è un eccezionale esempio del ridisegno del paesaggio nel rinascimento, che illustra gli ideali di buon governo e la ricerca estetica che ne ha guidato la concezione. Celebrata dai pittori della scuola senese, la Val d’Orcia e divenuta un’icona del paesaggio che ha profondamente influenzato lo sviluppo del pensiero paesistico.”

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Gli “ideali di buon governo” richiamano gli affresci di Ambrogio Lorenzetti, datati all’anno 1338-1338, che si trovano nel Palazzo Pubblico a Siena. Lorenzetti nelle sue opere rappresentò le allegorie di buono e cattivo governo e gli effetti di essi in città e nella campagna circostante, che dovevano ispirare il Governo dei Nove a governare bene a Siena, ma anche istruire il popolo sui vantaggi del buon governo. È uno dei primi esempi d’arte laica di tematica civica, complessa e ricca di simboli. Il Buon Governo di Lorenzetti doveva personificare le tre virtù teologiche: Fede, Speranza e Carità, e le quattro virtù cardinali: Giustizia, Temperanza, Prudenza e Forza. E infatti, ai tempi del Governo dei Nove Siena visse un periodo di grande splendore, interrotto purtroppo dall’epidemia di peste nera, che impedì alla citta di tornare alla potenza precedente. Il morbo vanificò inoltre i piani di espansione della Cattedrale di Siena, che doveva essere un elemento di rivalità con Firenze.

Sotto il Governo dei Nove, tutti i cittadini di Siena seppero la propria posizione nella gerarchia, ognuno faceva il proprio mestiere. In città governava la Tranquillità (personificata da un angelo), che garantiva la sicurezza. Fu ovviamente un’utopia, diversa dalla realtà, però fino al giorno d’oggi a Siena, se ci guardiamo intorno, nel centro oppure guardando dalla Piazza del Mercato verso la Villa il Pavone e Monte Amiata, oppure uscendo da Porta San Marco che domina la campagna toscana, vediamo un’incredibile armonia delle forme e la proporzione divina tra l’uomo, inserito nella natura, e la tecnica, intesa come infrastrutture di vario tipo.

Se c’e qualcosa che mi ricordo particolarmente bene dal mio soggiorno in Toscana, sono proprio i paesaggi idilliaci. Siena è una cosiddetta ‘città giardino’, creata a misura d’uomo. Si inserisce perfettamente nel paesaggio della zona, non ingombrandolo troppo e non rovinando l’atmosfera di potenza medievale con complessi residenziali moderni, intromissioni che invece molte città, come per esempio Perugia, non sono riuscite a evitare.

Non avendo più raggiunto l’importanza precedente, Siena paradossalmente ne ha tratto vantaggio, rimanendo immutata nella sua perfezione. Gli effetti del buon governo del Governo dei Nove si sono diffusi nella zona e sono visibili in tutta la provincia, fino al confine con l’Umbria. Le buone pratiche tratte da questi tempi remoti, ma anche la grande autonomia di Siena e dei senesi, hanno permesso alla città di mantenere la sua forma per secoli. La cinta senese, cioe un tipo locale di cinghiale, di cui si producono i salumi Cinta Senese DOP, immortalata 700 anni fa negli affreschi di Lorenzetti, ancor oggi è un animale caratteristico della regione e testimonia il suo carattere originale.

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La Val d’Orcia con il suo paesaggio pittoresco dà un’impressione fuori dal tempo, trasferendoci in un mondo idilliaco e in un clima emozionante. I suoi vasti campi verdi assomigliano a tappeti fatti da artiginali con tanta cura, e ci stupiscono con la loro bellezza non forzata. La flora del luogo è dominata dai cipressi, così indispensabili alla campagna toscana; in altre regioni italiane vengono percepiti come cattivo auspicio e associate strettamente ai cimiteri, qui, però, si inseriscono perfettamente, provocando muta ammirazione. Qua e la, tra l’erba e cipressi, si puo notare qualche villa isolata sulla collina, che completa questa immagine favolosa. Ma sul tema di Val d’Orcia non bisogna soffermarsi troppo a lungo: VA SEMPLICEMENTE VISTA!

foto: Katarzyna Kurkowska

Delizie dell’Elba. Schiaccia briaca.

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L’Isola d’Elba, la terza isola più grande italiana, è un luogo perfetto per rilassarsi. Belle spiagge, paesaggio montuoso, varia flora e fauna, bel clima, ricca storia locale, nonché una cucina squisita e dei vini gustosi rendono questo posto unico, dove ogni turista troverà qualcosa che gli piace. Quest’isola toscana situata tra la penisola appenninica e la Corsica, è conosciuta soprattutto per il fatto che proprio là Napoleone fu esiliato nel 1814. Però la storia dell’Elba risale a molto prima della nascita dell’antica Roma, e le tracce sono tuttora visibili a occhio nudo. La sua lunga e intensa storia si riflette nella ricchezza delle tradizioni, tra cui quelle culinarie.

La cucina locale ha tanti ammiratori soprattutto grazie alla sua semplicità. Non troverete qui delle salse complicate e complesse né dei piatti fortemente speziati. La base di molti piatti è l’olio d’oliva con l’aggiunta di erbe locali e di frutta e verdura: basilico, rosmarino, finocchio, prezzemolo, pepe, salvia, alloro, capperi, limone. La cucina è quindi molto leggera e originale, esprimendo le caratteristiche della cucina italiana, soprattutto di quella toscana, ma non solo. È inoltre possibile notare gli elementi della cucina ligure, napoletana, siciliana, sarda, nonché di quella più orientale. Tutto questo è legato ad una turbolente storia dell’isola ed alle numerose incursioni. Dunque non ci sorprendono delle combinazioni interessanti di prodotti, come ad esempio, nel caso del dolce tipico chiamato schiaccia briaca: un dolce di una pasta secca fatto a base di vino.

La storia della schiaccia briaca è legata al paese di Rio Marina e risale ai secoli XIII-XVI, quando l’Elba, quale isola attraente sotto ogni aspetto (nel sottosuolo c’erano giacimenti di numerosi minerali, tra cui il ferro), fu molte volte attaccata dai saraceni ed è passata spesso sotto il dominio di vari regni, città e famiglie nobili italiane. La schiaccia briaca è un dolce fatto soprattutto da una pasta secca, senza l’uso di lievito né di uova. Però tra i suoi ingredienti troviamo uvetta, pinoli, mandorle, e quindi, diversi tipi di frutta secca e noci, in altre parole i sapori che ci fanno pensare subito al Medio Oriente. Grazie alla mancanza di lievito e grassi animali, il dolce può essere conservato più a lungo. In questo modo schiaccia briaca è un dolce perfetto per le gite al mare, sia per i pescatori sia per i turisti. 

Il suo colore rossastro è dovuto all’aggiunta di vino rosso locale, Aleatico, a cui si riferisce il nome del dolce. L’espressione “schiaccia briaca” può essere tradotta come “una pasta ubriaca”. E proprio grazie al contenuto di questa bevanda dolce e secca, il pasto guadagnò l’apprezzamento dei monarchi ottocenteschi dell’Elba. Recentemente, al dolce viene aggiunto più zucchero, una volta quasi introvabile sull’isola, di solito sostituito dal miele, nonché da Alkermes, un liquore rosso che rende il colore della pasta ancora più intenso ed il suo aroma ancora più dolce. 

Vale la pena ricordare che l’Aleatico viene prodotto dal moscato, un vitigno rosso di origine greca, che è possibile trovare anche nel Lazio e in Puglia. La storia della produzione di questo vino risale ai tempi antichi. Apparentemente era l’unica consolazione di Napoleone durante il suo famoso esilio. Nonostante il contenuto di questa bevanda nel dolce, gli abitanti dell’Elba consigliano di servirlo a parte. Il sapore di schiaccia briaca si unisce perfettamente con questo vino rosso che grazie ad un ricco e composto bouquet garantisce delle incredibili sensazioni dell’odore e del gusto. 

Invece il liquore Alchermes è una specialità toscana, le cui origini risalgono al Medioevo. Una volta era considerato un elisir di longevità. Il suo nome deriva dalle parole arabe e persiane usate per descrivere l’origine di un colore rosa intenso della bevanda, originariamente realizzato dalle cocciniglie di insetti. Come inventori del liquore vengono considerati i membri della famiglia Medici. Caterina de ‘Medici persino lo portò con lei in Francia, dove divenne noto come il “liquore dei Medici”. 

Schiaccia briaca che collega i valori più importanti per gli abitanti di Elba, è diventata il simbolo dell’isola e uno dei prodotti più riconoscibili. Difficile trovare un dolce simile nelle altre regioni.  Oggi schiaccia briaca è disponibile in quasi tutti i supermercati locali e negozi con i prodotti regionali. La sua popolarità e apprezzamento, non solo tra gli esperti di cucina, sono dimostrati dal premio assegnatole nel 2010 durante le “Olimpiadi dei sapori dei parchi” che si svolsero nell’ambito del Festambiente, il festival nazionale di promozione dei migliori prodotti delle regioni italiane. A tutti coloro che vogliono visitare questa isola pittoresca suggeriamo quindi di non perdere l’occasione di provare questa specialità locale. 

La bevanda amata e bevuta da tutto il mondo

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Stiamo assistendo ad un «rinascimento» dei vini italiani, che accompagnano piatti e cene solenni e, nel caso di vini frizzanti, anche colazioni. Inoltre, è stato scientificamente dimostrato che proprio il vino frizzante migliora la memoria e previene gli effetti di malattie come l’Alzheimer o il Parkinson. È interessante notare che nel 2015 sono stati proprio gli italiani ad aver prodotto più vino. In particolare vale la pena menzionare una delle maggiori sfide per i vinificatori, cioè il vino leggermente frizzante.

Il nome “vino frizzante” è stato usato per la prima volta per descrivere il vino nel 1908. Grazie alle sue qualità di gusto e beneficio per la salute, questo tipo di vino è diventato amato da tutto il mondo! Non senza motivo, dato che in quantità moderate è benefico per la salute dei nostri corpi. I vini frizzanti contengono i polifenoli, ovvero antiossidanti che aiutano a ridurre i danni causati dai radicali liberi. Grazie a questo non solo prevengono problemi cardiaci, come l’ictus, ma anche abbassano la pressione. Il vino frizzante viene di solito consumato durante grandi feste di nozze, anniversari, compleanni ed eventi familiari. Inoltre, per molti è difficile immaginare il Capodanno senza le bollicine. È anche un’idea originale per un regalo elegante che andrà bene sia con le portate principali che i dessert.

Per concludere, vale la pena sapere che bere il vino frizzante in moderazione aiuta a mantenere forma impeccabile. Può avere persino la metà delle calorie possedute da altri tipi di vino e, siccome lo beviamo da bicchieri più piccoli rispetto ai vini tradizionali, si riduce anche il volume della bevanda consumata.

Vorremmo augurarvi FELICE ANNO NUOVO in compagna di amici e del vino frizzante italiano!

La risposta di Morawiecki alle affermazioni revisionistiche di Putin

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Questa notizia è tratta dal servizio POLONIA OGGI, una rassegna stampa quotidiana delle maggiori notizie dell’attualità polacca tradotte in italiano. Per provare gratuitamente il servizio per una settimana scrivere a: redazione@gazzettaitalia.pl

Il Primo Ministro Mateusz Morawiecki, in accordo col Presidente della Repubblica Duda, ha risposto alle parole del Presidente russo Vladimir Putin in merito allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, come promesso dal Capo di Gabinetto della Polonia Krzysztof Maria Szczerski. Secondo il Capo di Stato della Federazione russa, l’origine della Seconda Guerra Mondiale sarebbe da attribuire alle decisioni prese agli Accordi di Monaco del 1938, in cui Germania, Italia, Francia e Inghilterra concessero alla prima di annettere territori dei Sudeti appartenenti alla Cecoslovacchia, rimarcando inoltre il ruolo giocato dalla Polonia nell’occupare il territorio slesiano dello Zaolzie. Ha inoltre negato gli scontri tra l’Armata Rossa e l’esercito polacco all’indomani dell’invasione sovietica. Infine, si è accanito contro l’allora Ministro degli Esteri polacco Józef Lipski, il quale avrebbe promesso un monumento a Hitler nel caso il dittatore avesse deportato gli ebrei in Africa, definendolo “un mascalzone e maiale antisemita”. “Le parole di Putin non erano dirette soltanto contro la nostra nazione, ma anche contro la Francia e l’Inghilterra in qualità di partecipanti all’Accordo di Monaco. La sua lama accusatoria è rivolta contro l’Occidente a detta sua corrotto, e la retorica dell’isolamento russo sta riemergendo. Questo risulterà un problema per tutti coloro che sperano in un riavvicinamento della Russia all’Europa”. E riguardo il 5° Forum Internazionale sulla Shoah indetto il prossimo 23 gennaio a Gerusalemme, e dove si attende l’intervento del Presidente russo, Szczerski ha detto: “Mi domando se gli organizzatori del Forum vogliono che l’incontro si tramuti in un’arena politica dove si gioca a interpretare la storia attraverso il revisionismo”. “Putin ha mentito sulla Polonia molte volte, e lo ha sempre fatto consapevolmente” sono state le dure parole di Morawiecki. “Non ci sono giustificazioni per i carnefici autori di crimini crudeli contro l’umanità e contro gli innocenti e i loro Paesi. Dobbiamo difendere la verità, in nome di un futuro migliore. Putin è consapevole che le sue accuse sono irreali. Non sono mai stati eretti monumenti a Hitler o a Stalin in Polonia, se non durante le occupazioni nazista e sovietica”. Venerdì l’ambasciatore russo in Polonia Sergej Andreev si è recato al Ministero degli Affari Esteri polacco, mentre il viceministro degli Affari Esteri di Polonia Marcin Przydacz ha dichiarato che le recenti dichiarazioni delle autorità russe dimostrano un tentativo di riportare alla luce il mito di Stalin, e di farlo entrare aggressivamente nell’immaginario collettivo russo”.
https://polskieradio24.pl/5/1222/Artykul/2428881,Premier-Putin-wielokrotnie-klamal-na-temat-Polski-Zawsze-robil-to-swiadomie

Palkiewicz, oltre ogni confine

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“Avanzo nella foresta tropicale, bella e mostruosa, incombente e primordiale. Una straordinaria varietà di alberi, piante parassite, radici, liane, felci e rovi graffiano senza tregua. L’aria è calda, umida e soffocante, la vegetazione è putrescente, gli odori stordiscono. In questa natura, tanto fuori misura per l’uomo, qualche scimmia lancia urla di richiamo, un serpente striscia silenziosamente, degli uccelli esercitano l’ugola, una fila serrata di milioni di formiche rosse attraversa la strada.”

Inizia così il reportage di Jacek Palkiewicz su Angkor Tom l’antica città khmer in Cambogia, il luogo più affascinante del mondo secondo questo straordinario esploratore che sembra uscito da un libro di Joseph Conrad. La storia di Palkiewicz è una ininterrotta sequenza di avventure, emozioni, coraggio, ma anche tanto cuore e capacità diplomatiche. Nato in un campo di prigionia tedesco Palkiewicz ha fatto della sua vita un inno alla libertà, quella di muoversi continuamente per conoscere il mondo e i popoli, toccando e superando i confini geografici e umani, fisici e mentali, come quando nella condizione di “naufrago volontario” ha attraversato l’Oceano Atlantico, 44 giorni da Dakar a Georgetown in Guyana, da solo in una scialuppa con l’unico supporto di una bussola. Una tensione al vivere senza confini che l’ha portato a viaggiare in tutto il mondo anche in tempi in cui varcare una frontiera europea significava finire in prigione. Arrestato due volte dalla polizia della ex Jugoslavia, ed espulso in Polonia, mentre cercava di entrare in Italia dalla parte di Gorizia. Ma le catene non hanno impressionato Palkiewicz che proprio in Italia ha trovato la sua seconda patria. “In Italia ho lavorato al porto di Rimini, ho fatto l’inviato per riviste polacche e italiane, tra cui vent’anni di collaborazioni con il “Sette” e il Corriere della Sera, e soprattutto…ho conosciuto Linda,” racconta Palkiewicz.

In quel di Sandrigo nel 1972 incontra la bellissima Linda, una donna che fece girare la testa a Bing Crosby tanto per capirci, da cui ha avuto Konrad e Maximilian-Viktor, oggi entrambi a Shangai per lavoro, mentre Patrizia figlia del primo matrimonio lavora a Varsavia nell’azienda italiana Partnerspol, a conferma che in un modo o nell’altro l’Italia è sempre parte della vita di Palkiewicz che ha vissuto a lungo a Cassola, nell’area di Bassano del Grappa e che ai 1300 metri di Pieve Tesino fondò e diresse una Scuola di Sopravvivenza. Un luogo duro e magico in cui Palkiewicz ha insegnato a centinaia di persone come comportarsi negli ambienti più difficili e nelle circostanze più estreme, con stage in Amazzonia e nei deserti del Sahara, Atacama, Taklamakan, Gobi. Una scuola estrema che ha dato spunto ed è stata usata nel film “Noi uomini duri” di Maurizio Ponzi, con Renato Pozzetto, Enrico Montesano e Alessandra Mussolini.

Ma Palkiewicz ha superato anche i confini politici infrangendo diffidenze e cortine di ferro e diventando insegnante di sopravvivenza per i cosmonauti russi che poi a Roma accompagnò in visita da Giovanni Paolo II. Un uomo fuori dal comune che invita a cena il presidente Komorowski, chiama al telefono il ministro della difesa russo, addestra reparti europei antiterrorismo e riceve, dal presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano, il riconoscimento di Ufficiale al Merito della Repubblica Italiana. Così lo definisce “Newsweek”: Palkiewicz appartiene all’ultima generazione di esploratori di stampo vittoriano, un uomo che ha utilizzato le carovane del deserto, i sampan cinesi, gli elefanti nelle foreste dell’Indocina, e gli yak sugli altopiani del Bhutan.” Ma torniamo alla natia Polonia dove nel 2010 Palkiewicz è stato nominato ambasciatore della Regione Masuria nel concorso mondiale “7 nuove meraviglie della natura”, quando i grandi laghi della Masuria furono giudicati uno dei 5 più bei siti naturali d’Europa. Delle sue innumerevoli spedizioni quella che lo farà passare alla storia è sicuramente la missione dell’estate 1996 quando Palkiewicz a capo di una spedizione scientifica internazionale, patrocinata dal governo peruviano, ha localizzato la fonte del più grande fiume del mondo, ovvero la sorgente del Rio delle Amazzoni scrivendo così un nuovo capitolo della geografia mondiale. “A sei anni mi chiesero: cosa ti piacerebbe fare da grande? Sarò un esploratore, risposi secco”, racconta Palkiewicz i cui occhi sprigionano ancora desiderio di scoperte insieme alla soddisfazione per aver realizzato i suoi sogni.

Esploratore, giornalista, dottore in scienze geografiche Jacek Palkiewicz è anche membro della esclusiva Royal Geographical Society di Londra, dove si può essere ammessi solo su proposta di almeno altri due membri, ma per questo indomito polacco è bastata la raccomandazione di un altro personaggio mitico l’esploratore e scrittore norvegese Thor Heyerdahl protagonista della famosa avventura del Kon-Tiki. 

Un dinosauro altamurano in Polonia

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Altamura, cittadina di circa 70 mila abitanti, sorge nell’entroterra della provincia di Bari, quasi al confine con la Basilicata.  La Cattedrale donata alla città da Federico II di Svevia e il famoso pane dop, unico nel suo genere, l’hanno resa famosa in Italia e nel mondo. Ma non c’è solo questo.

La presenza dell’uomo ad Altamura è antichissima come dimostrano i resti dell’Uomo di Altamura, unici resti di scheletro umano integro risalenti al paleolitico medio-inferiore e vissuto quindi circa 200 mila anni fa, ritrovati nella grotta di Lamalunga da un gruppo di speleologi il 7 ottobre 1993.  Ed è del 1999 il ritrovamento, presso la Cava Pontrelli, delle impronte che testimoniamo il passaggio dei dinosauri in questa zona. Il sito di Altamura è “uno dei giacimenti a impronte più importanti e più spettacolari del mondo”. È stata stimata la presenza di 30 mila impronte di dinosauri erbivori che risalgono ad un periodo tra gli 83,5 e gli 85,8 milioni di anni fa (era Cretacica, stadio Santoniano). La Valle dei dinosauri è anche iscritta nella “lista delle indicazioni” (tentative list) dell’Unesco, l’organismo mondiale che iscrive i patrimoni dell’umanità come lo sono, ad esempio, i Sassi di Matera o i trulli di Alberobello e più recentemente le Dolomiti. Questa pre-lista è un passo ufficiale importante ma non decisivo se l’Italia non presenta anche un dossier di candidatura completo. La voce riportata è “Le Murge di Altamura” che comprende anche l’Uomo di Altamura. Un “sito diffuso”, scrive l’Unesco, in grado di “essere una testimonianza unica o eccezionale di una civiltà” e di “contenere superlativi fenomeni naturali”. Quindi, tra gli “eccezionali esempi della storia del pianeta”.                                                       

Ed ecco il “dinosauro federiciano” di Altamura. Dalle orme vere lo hanno riprodotto a grandezza naturale. Due metri di altezza per quattro di lunghezza. È un anchilosauro, il rettilone corazzato e quadrupede. Attenzione, però. Anche se nel nome porta le origini della città e della Puglia, non è qui che si può ammirare, bensì in Polonia! Si trova infatti, insieme a più di 100 modelli di dinosauro, nel JuraPark del piccolo Comune di Solec Kujawski, nella regione della Pomerania. Il parco, inaugurato nel 2008,  occupa un’area di oltre 12 ettari ed è uno dei più grandi in Europa . Il modello altamurano è stato ricostruito sulla base degli studi fatti alla cava Pontrelli, sulla via per Santeramo, da Umberto Nicosia, paleontologo icnologo (esperto di impronte) dell’Università La Sapienza di Roma, che ne diede il nome “Apulosauripus federicianus”. Era l’inizio della primavera di quindici anni e mezzo fa, quando due geologi marchigiani, Massimo Sarti e Michele Claps, misero piede nella cava mentre facevano indagini per conto di una compagnia petrolifera per individuare possibili siti dove fare prospezioni. Cercavano l’oro nero, trovarono un patrimonio. Quella che fu ribattezzata la “Valle dei dinosauri”.

Nicosia mise in luce e pulì dai detriti sei piste, i camminamenti mano-piede dei dinosauri. Fino a poco tempo fa era possibile vedere, con non poca emozione, queste impronte che quasi ne fotografavano il passaggio perché quelle tracce belle e nitide riportavano anche il rialzo di fango che si era creato nel momento in cui la zampa era stata sollevata. E poi quella traccia fugace è rimasta per sempre grazie all’azione delle alghe che l’hanno impressa nella roccia. Quando l’orma era ben pulita era possibile vedere persino le pieghe della pelle. Quel lavoro ormai da molto tempo è cancellato. Sulla paleosuperficie le impronte ci sono ancora ma adesso il luogo è diventato una distesa indistinta di detriti di roccia, pietrisco e pozzanghere che nascondono tutto. Un po’ proteggono certo, ma preoccupa la lenta e inesorabile azione di erosione perché la pioggia qui batte forte. Inoltre dalla cava scende tutto giù perché è il punto più basso.

Si può quindi ben immaginare la grande sorpresa quando un turista altamurano ha scoperto nel parco giurassico di un Paese straniero il dinosauro di Altamura. Chi lo avrebbe mai detto….il modello in scala 1:1 in Polonia, a 2.200 chilometri di lontananza!

Riviste femminili, specchio della condizione della donna

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Vivo in Italia già da tre anni e questo mi aiuta a cogliere alcune differenze culturali. Non è il classico discorso sugli uomini italiani donnaioli, o su il loro modo di fare e di corteggiare. Un paese mediterraneo come l’Italia è impossibile da paragonare alla Polonia slava, ma si può comunque registrare la grande differenza sul ruolo della donna nella società. E ho deciso di approfondire questo tema nella mia tesi di laurea triennale all’università di Bologna. Ho analizzato e studiato il contesto femminile tramite tre testate giornalistiche italiane: “Lidel” edizione del 15 gennaio 1927, “Grazia” edizione del 2 febbraio 1939, “La domenica della donna” edizione del 26 giugno 1949; e tre polacche: “Bluszcz” edizione del 5 giugno 1926, “Moja przyjaciółka” edizione del 25 giugno 1939 e “Przyjaciółka” edizione del 30 gennaio 1949. Volevo capire a fondo, attraverso una ricerca storica, da dove provengono queste differenze.

Al giorno d’oggi Polonia e Italia sono vicine più che mai, e rappresentano importanti paesi dell’Unione Europa. Invece nel periodo tra gli anni 20-40 del XX secolo l’Italia e la Polonia vivevano due situazioni completamente differenti. Anche la condizione delle donne era diversa, un ottimo esempio è il diritto di voto: le polacche possono votare dal 1918, mentre le italiane dal 1946.

In Italia prevale da sempre la cultura patriarcale, tipica del mediterraneo. In Polonia, invece, il ruolo della donna è opposto: la donna è stata da sempre una figura importante nella società. Anche l’odiato comunismo polacco stimolava le donne all’emancipazione e al lavoro, mentre all’opposto il fascismo spingeva le donne ad essere soprattutto le mamme di futuri fascisti.

Ma da dove vengono queste differenze sul ruolo della donna?

Ho iniziato la mia analisi da due periodici: “Bluszcz”, uno di primi giornali per donne in Polonia e “Lidel”, senza dubbio il suo equivalente italiano. Perché? Oltre al fatto che tutti e due cominciano ad avere una certa importanza giornalistica intorno agli anni Venti del secolo scorso, entrambi trattano le loro lettrici come casalinghe, potente target delle pubblicità, mantenendo al contempo un buon livello letterario. Dopo aver analizzato le riviste, ritengo che nonostante la ricchezza delle nobil donne italiane negli anni Venti (di cui parla “Lidel”), “Bluszcz” offra un contenuto più elevato e di maggior rispetto verso la donna. Sembra quasi che le donne polacche di quegli anni, nonostante le più umili condizioni economiche, non mostrino interesse solo verso la cura del proprio copro, della casa e del marito. Ma ambiscano ad avere una vera istruzione ed essere informate sulla politica, sulla situazione del proprio paese e soprattutto sull’emancipazione femminile. Temi che in “Lidel”, occupano poco spazio poiché la maggior parte delle pagine viene dedicata a gossip mondani, pubblicità, consigli su bellezza e moda.

La stessa tendenza si può notare paragonando “Moja przyjaciółka” e “Grazia” del 1939. “Grazia” si rivolge alle casalinghe o a giovani fanciulle ma senza offrire loro nessun contenuto pratico, non tratta dei problemi delle donne, di psicologia, e neppure consiglia su come mantenere la casa. Offre piuttosto alle proprie lettrici articoli sostanzialmente ingenui ad esempio: Come avere un vero sorriso? “Non il sorriso in serie di Hollywood, non il sorriso a freddo delle commesse che vi invitano ad acquistare ma il vero sorriso che parte dal cuore, caldo e spontaneo: questo deve essere il vostro sorriso”. Invece in “Moja Przyjaciłółka” la maggior parte dei testi tratta delle donne lavoratrici, degli eventi delle organizzazioni femminili, di libri, d’arte, ma anche dei lavori a maglia, dell’educazione dei bambini e delle ricette. “Przyjaciółka” e “La domenica della donna” sono un’altra occasione di paragone tra Polonia e Italia. Entrambi i periodici nascono negli anni 1948-1949 e sono dei popolari settimanali femminili di otto pagine. In entrambe le pubblicazioni non ci sono molti articoli di alto livello, ma le differenze si notano lo stesso. “La domenica della donna” non tratta minimamente il tema dell’emancipazione delle donne e come gli altri giornali italiani precedentemente citati non ha dei testi di valore letterario. In “Przyjaciółka” non mancano invece gli articoli di stampo femminista, culturali e seri, anche se non è una rivista libera, la propaganda comunista è ostentata.

Comunemente sappiamo che i giornali spesso rispecchiano il livello dei propri lettori oltre ad essere un mezzo fondamentale della comunicazione. Nella mia tesi attraverso l’analisi dei periodici ho scoperto che fin dagli anni Venti le donne polacche erano più emancipate e libere rispetto alle donne italiane, anche se nella vita quotidiana di polacche e italiane c’erano molte cose in comune come la cura per la casa e per se stesse e l’interesse per la moda e la cucina. Uguale come al giorno d’oggi anche novanta anni fa le donne volevano essere belle. Volevano piacere agli uomini, cucinavano il cavolfiore e mettevano il rossetto. Ritengo che nel progettare un giornale per le donne si dovrebbe innanzi tutto fare una scala di priorità tematiche. Come dev’essere un giornale per le donne? É soltanto un passatempo o dovrebbe contenere qualche “idea importante”? É solo una rivista ingenua, carta straccia dedicata alle casalinghe o un’importante testimonianza di un quadro sociologico dei tempi nei quali il giornale viene stampato? Provando a rispondere a queste domande sono convinta che i giornali femminili dovrebbero sempre più trattare temi importanti per le donne, e soprattutto rispettare le lettrici, considerandole come persone e non solo come oggetti di bellezza. Con dispiacere noto invece la tendenza delle riviste femminili ad inserire sempre meno contenuti di valore intellettuale. Dalla mia ricerca ho capito che le differenze culturali che mi colpiscono come polacca che vive in Italia provengono anche dalla storia, ovvero le donne italiane si sono emancipate molto più tardi rispetto alle donne polacche. Ancora oggi noto molte differenze sociali come la mancanza in concreto di eguaglianza di diritti tra uomini e donne oltre ad un diffuso maschilismo. Non posso che augurarmi che il futuro riservi a tutte le donne del mondo uno status migliore dell’attuale, magari rispecchiato da riviste femminili di alta qualità. Perché citando Oriana Fallaci:

“La rivoluzione più grande è, in un Paese, quella che cambia le donne e il loro sistema di vita. Non si può fare la rivoluzione senza le donne. Forse le donne sono fisicamente più deboli ma moralmente hanno una forza cento volte più grande.”

Vigilia al cinese o rigorose tradizioni? Il groviglio natalizio tra Polonia e Italia

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Tra le tante affinità che notiamo tra italiani e polacchi, una cosa che invece ci distingue nettamente è il modo di celebrare le due feste cattoliche più importanti: Natale e Pasqua. Di questa seconda, non ne parliamo neanche, perché mentre noi polacchi solennemente decoriamo i cestini riempiti di vari ingredienti da benedire, cuciniamo żurek (tipica zuppa polacca fatta dalla fermentazione della farina) e dipingiamo con vari metodi le uova sode, gli italiani organizzano al massimo una grigliata fuori città.

Il Natale invece lungo la Penisola è, senza ombra di dubbio, celebrato con serietà ma diversamente rispetto alla Polonia. Ai miei amici italiani spiego spesso le tante tradizioni complicate della Vigilia che si ripetono invariabilmente tutti gli anni nelle case di 40 milioni polacchi. D’un fiato cito tutti gli esempi: l’inizio della cena con la prima stella in cielo, i dodici pasti, l’ostia, la paglia sotto la tovaglia, un posto in più apparecchiato per un viandante disperso, il repertorio delle canzoni natalizie conosciute da tutti fin da bambini… Potrei andare avanti ancora a lungo ma i miei amici italiani, sorpresi da tutte queste usanze, stanno già guardandomi con gli occhi spalancati. Non scorderò mai quando ho chiesto ad un’amica di Padova che cosa faceva per la Vigilia e lei mi rispose: “Vado a mangiare al cinese con il mio ragazzo” provocandomi un mezzo attacco cardiaco! Le nostre usanze natalizie polacche sono abbastanza omogenee nel Paese mentre in Italia cambiano come il dialetto (ogni tre chilometri!).

La Vigilia è un po’ meno importante in Italia perché nella Patria di Dante con molta serietà si organizza il pranzo del 25 dicembre. Nel Lazio non può mancare il capitone e in Calabria la frittura di carciofi e zeppole. Generalmente, al contrario dalla nostra universale carpa e crauti, in Italia possiamo mangiare tortellini, lasagne, pollo arrosto, agnello, tartufi e tante altre cose che cambiano quasi di casa in casa. Secondo un mio amico il motivo per cui si dà più importanza al pranzo natalizio che alla Vigilia, è dovuto al fatto che abitualmente queste feste coinvolgono nella preparazione nonne e zie di non prima giovinezza. Per rispetto per la loro età invece di organizzare una cena che durerà fino a tardi è meglio celebrare insieme il pranzo.

Un’altra differenza è quella di chi porta i regali ai bambini. Mentre in Italia i principali donatori di regali sono Babbo Natale e la Befana, in tutta la Polonia invece il 6 dicembre per tutti bambini arriva Babbo Natale-San Nicolò, che a quelli bravi porta i regali, mentre a quelli cattivi la verga. Le usanze sono diverse anche se parliamo dei regali sotto l’albero di Natale. Anni di regime comunista hanno spinto a convincere i bambini polacchi che i doni natalizi li porta “Nonno Gelo”, inventato in Russia perché il suo equivalente polacco “Il piccolo Gesù” in Unione Sovietica suonava troppo religioso. Ma anche in Italia ci sono aspetti natalizi che uniscono tutti: il presepe, spesso bellissimo e dettagliatissimo, e il panettone, anche se in competizione storica con il pandoro, che possiamo comprare fin da novembre impacchettati negli enormi cartoni che creano piccole piramidi nei negozi. Mentre il Natale (ma intendo anche la Vigilia) in Polonia è più coeso, abbastanza monotono, con variazioni meramente cosmetiche, in Italia troviamo un groviglio di usanze, tradizioni e modi di celebrarlo. È bello essere diversi, ma io sono contenta di poter condividere gli stessi sapori, il profumo dei funghi secchi, il gusto di bevanda alla frutta secca e l’imbarazzo intimidito di scambiare gli auguri con l’ostia con tutti i polacchi. Gli italiani possono invece apprezzare il fatto che le loro tradizioni sono uniche e in un certo modo intime per ogni regione, città e famiglia.

Il Pranzo di Natale nel Bel Paese

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L’Italia è il paese delle culture. Ogni regione, anzi ogni città, è fiera del suo modo di vivere, del suo dialetto che spesso è una vera lingua, della sua cucina, delle sue tradizioni. È questo che rende straordinario e unico il Bel Paese, l’incredibile ricchezza culturale e di stili di vita che vengono vissuti con orgoglio e sfida.

Dall’Italia dei Comuni, dal Rinascimento fino ad oggi le città della penisola, divise tra Ducati, Repubbliche Marinare e Stati, più che sfidarsi con le armi e con gli eserciti crearono una sorta di contesa del benessere e del lusso. La gara da vincere era quella di avere a corte i migliori artisti, i migliori cuochi, i migliori poeti, sarti, scultori. Questa è la fortunata scelta che ha fatto dell’Italia il paese che ha prodotto il maggior numero di opere d’arte al mondo, ma anche quello in cui la cucina è una religione e la sfida, oggi incarnata dal calcio, una guerra. Un mondo variegato che chi si reca in Italia tocca con mano, basta spostarsi di città in città, distanti solo qualche decina di chilometri, e cambiano le ricette l’accento del parlare, usanze e tradizioni. Ma è proprio questa enorme varietà che rende l’Italia unica, un paese unificato dalle sue culture diverse ma assolutamente contigue e correlate tra loro.

E così di conseguenza a chiedere qual è il piatto, il vino, il formaggio che rappresenta l’Italia succede un putiferio, ogni italiano risponderà ricorrendo alla sua tradizione cittadina o regionale. Così è anche per il pranzo di Natale che ogni regione, ogni città, ogni famiglia declina in modo diverso. Qui, grazie alla disponibilità di amici cuochi e appassionati di cucina e tradizioni, abbiamo tentato un’impresa titanica quanto rischiosa, ovvero rendervi un quadro italiano, regione per regione, dei diversi menù natalizi suddivisi in: antipasto, prima portata, seconda e dolce. Una lista sintetica di quattro portate che sappiamo essere arricchita da pietanze e bevande che a Natale sulle tavole italiane, senza limiti di confini regionali, abbondano tra cui frutta secca, dolci fatti in casa, ottimi vini, bianchi, rossi, spumanti e prosecco, pandori,  panettoni e mandorlati.

La lista dei menù natalizi è un gioco che vi invitiamo a prendere assolutamente con le pinze, perché sappiamo già che qualsiasi italiano guardando questa mappa dirà: “No, da noi non si mangia così!”. 

È l’insostenibile bellezza delle diversità d’Italia, buona lettura e buon pranzo di Natale!

A – antipasto/przystawka

P – primo/pierwsze danie

S – secondo/drugie danie

D – dolce/deser

Lombardia

A: nervetti cipolla e prezzemolo/siekana wołowina lub wieprzowina z cebulką i pietruszką
P: risotto alla milanese/risotto z dodatkiem szafranu
S: faraona ripiena/nadziewana perliczka
D: panettone con crema di mascarpone/suche ciasto podobne do babki z serkiem mascarpone

Toscana/Toskania

A: crostini di fegatini/grzanki z wątróbką
P: ribollita o pappa al pomodoro/ gęsta zupa warzywna lub pomidorowa
S: roastbeef e patate arrosto/rostbef z pieczonymi ziemniakami
D: schiacciata alla fiorentina/słodkie ciasto o aromacie pomarańczowo-waniliowym

Veneto/Wenecja Euganejska

A: baccalà mantecato e polentina/suszony i solony dorsz oraz kukurydziana kasza z przyprawami
P: capellini d’angelo Benedetto Cavalieri in brodetto di gò (pesce) e verdurine/cienki makaron typu nitki Benedetto Cavalieri w rosole rybnym podawany z warzywami
S: cappone di mare al forno con purèe di sedano rapa/kapłon z pieca podany z purée z selera i rzepy
D: panettone artigianale con salsa alla vaniglia/babka z bakaliami polana sosem waniliowym

Friuli-Venezia Giulia/Friuli-Wenecja Julijska

A: affettati, sottaceti, formaggi/deska wędlin i serów, marynowane warzywa
P: rotolo di spinaci con pasta dei gnocchi/rolada na bazie makaronu nadziewana szpinakiem z gnocchi (rodzaj włoskich klusek)
S: vitello arrosto (con il sugo si condisce il rotolo di spinaci), patate in tecia, piselli/pieczeń cielęca (sosem doprawia się szpinakowe rotolo), gotowane i podsmażone na smalcu i cebuli ziemniaki, groszek
D: presnitz e putizza/słodka roladka z nadzieniem orzechowym

Puglia/Apulia

A: antipasti vari (non di mare) all’italiana/różnorodne włoskie przystawki (bez owoców morza)
P: tortellini in brodo/tortellini w rosole
S: verdure della Murgia in brodo (tipo cardi), carne in brodo con contorno di sottolio e sottaceti, cotolette con contorno di funghi/warzywa i mięso z rosołu z warzywami w oleju lub piklami, kotlety z grzybkami
D: profiteroles/włoskie ptysie

Abruzzo/Abruzja

A: prosciutto crudo, salame, formaggio grana e provola/deska wędlin i salami, ser grana i provola
P: brodo con cardoni e polpette, lasagne/rosół z kałdunami i pulpecikami, lasagne
S: carne mista e salsicce di vitello/mięsa różnego typu i kiełbaski cielęce
D: tiramisù

Piemonte/Piemont

A: vitello tonnato, acciughe al verde, peperoni con bagna cauda/ wołowina na zimno w kremowym sosie, zielone anchois, papryczki z sosem z czosnku i anchois
P: agnolotti (ripieni di arrosto di vitello o maiale), salame cotto e verza tritati, noce moscata e parmigiano al sugo di arrosto/włoskie pierożki ravioli z wołowiną lub cielęciną, gotowane salami i siekana kapusta z gałką muszkatołową i parmezanem w sosie pieczeniowym
S: arrosto di vitello o brasato al barolo con contorno di patate arrosto/ pieczeń cielęca lub wieprzowina w winie Barolo z opiekanymi ziemniakami
D: panettone

Trentino Alto-Adige/Trydent-Górna Adyga

A: testina di vitello all’agro/cielęcina na słono
P: minestra di lenticchie con speck/zupa z soczewicy z boczkiem
S: rosticciata del signore/ziemniaki gotowane, przysmażone z mięsem cielęcym i cebulką, zapiekane w piecu, z podsmażonym boczkiem
D: Käsekuchen/sernik

Emilia Romagna/Emilia Romania

A: salumi di suino nero/deska wędlin z czarnej wieprzowiny
P: tortelli di carote, tagliatelle con crema di broccoli e di salame/pierożki nadziewane marchewką, makaron tagliatelle z kremem z brokułów i wędlin
S: coppa arrosto con cipolle in agrodolce e patate al forno/pieczona wieprzowina z cebulą w sosie słodko-kwaśnym i ziemniaki z pieca
D: creme brulè all’anice stellato/anyżkowy creme brulè

Campania/Kampania

A: alici marinate/marynowane sardynki
P: spaghetti con le vongole con l’insalata di rinforzo/spaghetti z małżami podawane z sałatką na bazie brokułów, papryki, kukurydzy i kaparów
S: fritto alla napoletana con patate al forno/smażone mięso w panierce z pieczonymi ziemniakami
D: struffoli/typowe słodkości świąteczne z miodem i pastą migdałową

Molise

A: baccalà/dorsz
P: lasagne o maccheroni con ragù/lasagne lub makaron w kształcie małych rurek z sosem mięsno-pomidorowym
S: arrosto di carne di agnello/pieczeń jagnięca
D: scroppelle, ciambelle fritte/ciasteczka miodowe, oponki

Sicilia/Sycylia 

A: noccioline spizzicate/orzeszki w karmelu
P: lasagne con besciamella/lasagne z sosem beszamelowym
S: involtini, falso magro, spigola o orata al cartoccio con insalata mista, verdure cotte, patate al forno/roladki, nadziewana pieczona wołowina, zapiekana ryba strzępielowata lub dorata podana z sałatką warzywną, gotowane warzywa, pieczone ziemniaki
D: macedonia, cannoli siciliani, cassatelle di Sant’Agata catanesi/sałatka owocowa, słodkie rurki z serem ricotta lub słodkość z pistacjami i migdałami, polana lukrem i udekorowana kandyzowaną wisienką

Sardegna/Sardynia

A: salumi, cinghiale, sott’olio/deska wędlin, dziczyzna, marynowane warzywa
P: culungiones, malloreddus/specjalny makaron, ravioli z serem ricotta
S: agnello, porceddu / jagnięcina, pieczone prosię
D: pardole, amaretti, seadas (raviolo di formaggio e miele)/pierożki z miodem i serem na słodko

Calabria/Kalabria

A: stoccafisso alla ghiotta/sztokfisz z rodzynkami, oliwkami i kaparami podawany z ziemniakami
P: lasagne piccanti (capperi, pancetta, pecorino)/pikantne lasagne (z kaparami, boczkiem, serem typu pecorino)
S: costine d’agnello alla calabrese con peperoni gratinati al forno/ baranie żeberka z pieprzem zapiekane w piecu
D: zeppole/smażone słodkości z kremem patissiere

Valle d’Aosta/Dolina Aosty

A: affettati valdostani, mocetta, buden, lardo d’Arnad e prosciutti tipici/ półmisek regionalnych wędlin, m.in. mocetta, buden, boczek d’Arnad
P: zuppa Valpellinentze con cavolo pane e fontina/zupa na bazie kapusty, chleba i sera fontina
S: polenta concia o carbonata/warstwy polenty pieczone w piecu z grubymi plastrami sera fontina, tworzącymi na wierzchu złotą, chrupiącą skorupkę lub delikatne mięso wołowe gotowane w winie z warzywami
D: torta Monte Bianco, gelato misto ricoperto di miele cioccolata calda e panna/tort Monte Bianco, różne smaki lodów polane miodem, ciepłą czekoladą i bitą śmietaną

Liguria

A: crostini con crema di besciamella, gorgonzola e noci/grzanki z sosem beszamelowym z dodatkiem sera gorgonzola i orzechów
P: panzerotti di ricotta e spinaci col sugo di noci/duży pieróg z ricottą, szpinakiem i sosem orzechowym, smażony na głębokim oleju
S: cima genovese/żołądek cielęcy nadziewany jajkami i warzywami
D: pandolce genovese/płaska babka bez dodatku drożdży

Basilicata/Bazylikata

A: puparul crusc/czerwone suszone papryczki, używane też do przyprawienia dorsza
P: lagane e fagioli/makaron domowy typu tagliatelle, bardzo cienki i krótki, niekiedy nadziewany anchois, okruszkami chleba lub papryczkami
S: anguilla e baccalà/węgorz i dorsz
D: frittelline e panzerotti/małe pączki z ciasta do pizzy w formie talarków, podawane z cukrem i miodem, smażone pierożki wypełnione kremem kasztanowym

Umbria

A: tagliere di salumi umbri e crostini con patè di fegato/deska regionalnych wędlin i grzanki z pasztetem z wątróbek
P: pappardelle al ragù bianco di cinghiale/makaron z białym sosem z dziczyzny
S: bollito misto in salsa verde e coniglio farcito all’assisana con misto di verdure al forno/gotowane mięso w zielonym sosie i królik nadziewany z pieczonymi warzywami
D: panpepato e torciglione serpentello di pasta dolce con mandorle / włoski piernik i zawijaniec z migdałami

Marche

A: olive ascolane, tartufi e formaggio di fossa/ nadziewane smażone oliwki, trufle, ser fossa
P: maccheroncini di Campofilone in sugo, cappelletti in brodo di carne/ makaron Campofilone w sosie, rosół z mięsnymi uszkami
S: Vincisgrassi e cappone arrosto/ pieczony makaron z mięsem z dodatkiem grzybów i pieczony kapłon
D: Pizza de Nata’ e il fristingo/ciasto z suszonymi owocami, czekoladą, startą skórką limonki i pomarańczy, figami i cukrem