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Home Blog Page 36

Roma vista dai musicisti

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Dall’alba al tramonto, Ermal Meta [Piazza del Popolo]

Già Francesco Petrarca riteneva che “uno stolto è colui che ammira altre città senza aver mai visto Roma”. La capitale italiana si trova spesso sulle liste delle città più belle del mondo. E non c’è da stupirsi: l’atmosfera che pervade la città, i monumenti bellissimi, le vestigia della storia dietro ogni angolo fanno di Roma una sorta di museo sotto le stelle. E se ora non vi trovate nella Città Eterna, potrete però intraprendere un viaggio musicale lungo le sue strade accompagnati dagli artisti più popolari degli ultimi anni.

Vivere a colori, Alessandra Amoroso

Sei tu il mio re, io la tua regina in un’eterna Roma canta Amoroso confermando la posizione di regina della città, e Vivere a colori è stata la canzone italiana più ascoltata su Spotify nel

Vivere a colori, Alessandra Amoroso [Zamek Anioła/Castel Sant’Angelo]

2016 (cioè nell’anno in cui è stata lanciata). Camminando per le affascinanti strade della Città Eterna, la cantante ci porta in Piazza Navona e sul ponte di Sant’Angelo con una vista da cartolina che dà sul castello. Si possono anche vedere le statue degli angeli, che adornano quello che è forse il ponte romano più famoso, realizzate da Gianlorenzo Bernini e dai suoi collaboratori. Nel video della canzone la città diventa lo sfondo per ciò che sta accadendo, uno scenario che si armonizza con la canzone energetica, la quale ci fa. sentire subito meglio.

Vivere a colori, Alessandra Amoroso [Piazza Navona]

Dall’alba al tramonto, Ermal Meta

Il videoclip della canzone, girato come se fosse uno speed dating, mostra lo sviluppo dei sentimenti tra due partecipanti (un ragazzo ed una ragazza) ad un evento di appuntamenti veloci. La coppia nell’arco del tempo dedicato all’incontro riesce ad andare a mangiare sushi, al cinema, e dopo va in bici sulla terrazza del Pincio, attraversando prima i giardini di Villa Borghese. La terrazza gli offre una vista bellissima che dà sulla Piazza del Popolo e sulla cupola di San Pietro. Nella parte seguente del videoclip i protagonisti si spostano in Piazza del Popolo. L’atmosfera romantica ed il dinamismo in forma di cronometro che conta il tempo fino alla fine dell’appuntamento, si mescolano perfettamente l’uno con l’altra, dando un po’ di eccitazione a tutto ciò che sta succedendo. Accompagniamo i due protagonisti durante il loro momento di conoscenza accelerato e Roma sembra essere una componente fondamentale dello svolgimento della loro relazione.

Posso, Carl Brave e Max Gazzè

Nel videoclip della canzone Posso già dai primi secondi vediamo il panorama di Roma. Carl Brave accompagna chi ascolta, ma soprattutto chi guarda, in una passeggiata di quattro minuti lungo la Città Eterna. Per le riprese delle scene esterne ci sono voluti 2-3 giorni e per farle sono stati usati un telefono ed una camera GoPro. L’effetto di questa scelta è un videoclip gioioso, in cui si possono vedere molti luoghi interessanti dal punto di vista turistico. Anche se alcuni monumenti vengono mostrati soltanto per pochi secondi, si possono riconoscere tra gli altri: il Tempio di Esculapio ubicato nei giardini di Villa Borghese, l’interno del Pantheon, l’Acqua Paola, fontana barocca, la Fontana dei Quattro Fiumi in Piazza Navona illuminata dalle luci di sera ed anche un frammento conservato del Tempio di Adriano ubicato nella Piazza di Pietra.

In questa città, Max Pezzali

La canzone racconta la forza magnetica di Roma, la quale attrae e non permette a nessuno di sentirsi soli. E così è anche nel videoclip: il cantante ammira il panorama

In questa città, Max Pezzali [Janikulum/Gianicolo]

incredibile della città, trovandosi nella piazza sul Gianicolo. Assieme a Max Pezzali conosciamo Roma attraverso l’esperienza di chi prende un taxi, va in moto e cammina. E così dopo aver iniziato l’avventura dalla stazione Termini, ci dirigiamo verso i dintorni del Colosseo, ci troviamo poi in Piazza del Popolo e davanti la Fontana di Trevi, vediamo la Scalinata di Trinità dei Monti, il Pantheon, Piazza Navona e anche la fontana dell’Acqua Paola. Infine torniamo di nuovo sulla terrazza panoramica e guardiamo la città maestosa e il monumento a Giuseppe Garibaldi.

I nostri anni, Tommaso Paradiso

Tommaso Paradiso, romano di nascita, mostra la sua amata città di notte. Una città di un’energia eterna e una bellezza costante, mostrata in modo nostalgico, pieno di amore.

In nostri anni, Tommaso Paradiso

Nello scenario notturno vediamo Piazza San Pietro, l’Arco di Costantino, il Colosseo, la Scalinata di Trinità dei Monti, il Foro Romano, la fontana dell’Acqua Paola, il Palazzo di Giustizia ed al tramonto la statua di Vittorio Emanuele II, e anche una famosa veduta sulla cupola di San Pietro attraverso il buco della serratura sul Colle Aventino. È un omaggio bellissimo alla Città Eterna incantevole e capace di commuovere i cuori di ogni ammiratore dello spirito romano.

La donna più bella del mondo

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Gina Lollobrigida, 1958, Mostra del Cinema di Venezia, fot. Gianfranco Tagliapietra

Un tempo Gina Lollobrigida era considerata la donna più bella del mondo, per lei gli uomini e anche tante donne hanno perso la testa. Un’icona del cinema che, nel corso degli anni, è diventata famosa non solo attraverso i suoi ruoli cinematografi ci, ma anche per i numerosi scandali e dichiarazioni controverse. Questa è la divina Gina, che quest’anno festeggia il suo 95 compleanno!

C’è un problema con Gina Lollobrigida, non ha avuto le stesse opportunità nel cinema di Sophia Loren che, ancora oggi brilla, mantenendo la sua leggenda e il nome costruito quando era giovane. Il cinema ha detto addio a Gina molto tempo fa, l’ha fatta a pezzi, proprio come Norma Desmond in “Sunset Boulevard”. In gioventù era sulla bocca di tutti e in America, all’apice della sua carriera, come star del cinema ha addirittura eclissato la già citata Loren. È impossibile dimenticare i suoi ruoli, per esempio nel fi lm “La donna più bella del mondo”; Robert Z. Leonard, dove interpreta un’attrice italiana che si innamora di un aristocratico russo. Poi c’è il ruolo di eroina in Anna di Brooklyn di Vittorio de Sica, di regina in “Salomone e la regina di Saba” di King Vidor o di Adriana nella Romana tratto dal famoso romanzo di Alberto Moravia. Ha lavorato al fianco dei più grandi divi americani: Errol Flynn, Burt Lancaster, Anthony Quinn, Yul Brynner, Frank Sinatra, Rock Hudson. Oggi questo tipo di cinema è solo un nostalgico ricordo del passato che ha lasciato posto all’industria cinematografi ca dominata dagli scandali, compresi quelli sollevati da Gina.

La storia della “Lollo” inizia alla fi ne degli anni ’20 a Subiaco, un paese di montagna vicino a Roma, luogo di nascita di Cesare Borgia, Francesco Graziani, l’attaccante italiano campione del mondo del 1982, e appunto di Gina. È qui che la futura star del cinema trascorre la sua adolescenza. È una delle quattro fi glie del fabbricante di mobili Giovanni Lollobrigida e di Giuseppina Mercuri. Le sue sorelle sono Giuliana (nata nel 1924), Maria (nata nel 1929) e Fernanda (nata nel 1930). La guerra non la tocca, vive modestamente lontano dal pericolo. Quando, negli anni successivi, ricordava questo periodo, spiegava sempre che si riteneva fortunata, la provincia le dava pace, tranquillità e la possibilità di una serenità non toccata dalla brutalità della realtà di quei tempi. Durante questo periodo ha cominciato ad interessarsi alla moda e al cinema. Ha partecipato ad audizioni amatoriali e servizi fotografici. Ancora adolescente, l’anno della fine della guerra, recita nella commedia Santarellina di Eduardo Scarpetta, al Teatro della Concordia di Monte Castello di Vibio. Due anni dopo vince il concorso di Miss Italia, che le apre le porte di Cinecittà e del mondo del cinema.

La sua prima esperienza nell’industria cinematografica fu uno scontro con regole ferree e uomini più anziani che vedevano Gina solo come una bella donna, uno sfondo per i personaggi maschili dei loro film. Comunque la “Lollo” non solo aveva la consapevolezza del suo aspetto fisico e del suo fascino, ma anche la tendenza a cedere alla bellezza maschile. Nel 1949 Lollobrigida sposa Milko Škofič, un medico sloveno di circa sette anni più vecchio, che diventa il suo manager; con lui ha un figlio, Andrea Milko Škofič, nato nel 1957. Il suo ammiratore più strenuo e persistente era Howard Hughes, il rubacuori dell’epoca, che aveva al suo fianco la crema della società ovvero i più grandi nomi femminili dello spettacolo, capeggiati da Katharine Hepburn e Jean Harlow. La sua infatuazione per Gina iniziò nel 1950 quando vide delle sue foto in bikini. Hughes cercò la giovane stella italiana in erba e la invitò a Hollywood per un provino. Tuttavia, poco prima della partenza prevista da Roma, solo uno dei due biglietti aerei promessi era stato inviato. “Ma mio marito si fidava di me”, dice Lollobrigida anni dopo, “Ha detto: Vai. Non voglio che un giorno tu dica che non ti ho permesso di avere una carriera”. Così ha fatto. Se n’è andata. Il suo soggiorno in America è durato meno di tre mesi, durante i quali Gina si è presentata sui set cinematografici e ha ricevuto ulteriori visite da quel ammiratore influente, che aveva vent’anni più di lei, senza mai cedere ai suoi corteggiamenti. “Era molto alto, molto interessante, ma aveva due giacche e un paio di pantaloni che indossava ogni giorno: pieni di polvere e sporcizia, come quelli di un operaio. Gli ho detto: se perdi tutti i tuoi soldi, forse ti sposerò. Forse era sorpreso che io fossi l’unica persona che non era interessata ai suoi soldi”.

Gina Lollobrigida ha conquistato milioni di fan con i suoi successivi film. Negli anni ’50, la stampa americana scriveva che “New York era pazza di Gina”. ed era veramente così. Le donne volevano essere come lei, era più americana che italiana. È apparsa sulla copertina della rivista Time, è stata ricevuta con gli onori alla Casa Bianca dal presidente Dwight Eisenhower ed è stata invitata alle più importanti cene dell’alta società, piene di persone influenti. Ha fatto il suo primo film a Hollywood, Per battere il diavolo, con Humphrey Bogart nel 1953. Tre anni dopo è apparsa con Anthony Quinn in “Il gobbo della cattedrale”. Humphrey Bogart ha detto che accanto a lei “Marilyn Monroe sembrava Shirley Temple”. In Europa, l’attenzione per la “Lollo” non era minore. Quando arriva a Milano nel 1955, 35 pittori le chiedono di posare per loro per quattro giorni. E la diva accetta l’invito. Ha anche posato per il pittore sovietico Ilya Glazun e per il famoso Giorgio De Chirico. Anni dopo, l’attrice ha rivelato che le è stato offerto anche il ruolo della fidanzata di Marcello Mastroianni in La dolce vita di Federico Fellini. Tuttavia, secondo la versione della Lollobrigida, il suo marito dell’epoca le aveva nascosto la sceneggiatura e così il ruolo fu dato a Yvonne Furneaux.

Negli anni ’70, la stella della Lollobrigida ha cominciato a svanire e il cinema le offriva ruoli molto meno interessanti di quelli dati a Sophia Loren. Quando le è stato chiesto della sua rivalità con la leggendaria attrice ha risposto: “Non avevo bisogno di concorrenza, ero la numero uno. Sono andata avanti con le mie sole forze, non avevo un produttore che mi proteggesse. Ho fatto tutto da sola”. Questo accenno riguardava, ovviamente, il matrimonio della Loren con Carlo Ponti, uno stimato produttore cinematografico italiano. Allontanandosi dal cinema, Gina si è inizialmente dedicata al giornalismo, al reportage e alla fotografia. E bisogna dire che ha avuto molto successo in questi campi. Numerosi viaggi, visite nei paesi più lontani, e infine servizi fotografici delle più grandi icone culturali: Paul Newman, Salvador Dalí, David Cassidy, Audrey Hepburn o Ella Fitzgerald. Una delle visite più misteriose di quel periodo è a Cuba, dove ha trascorso dodici giorni con l’allora leader Fidel Castro, raccogliendo materiale per un reportage su di lui.

Oggi, Gina è solo una cartolina cinematografica che stimola la critica scandalistica. Così è stato qualche anno fa quando ha annunciato pomposamente la celebrazione del suo 90 compleanno. La cerimonia ha avuto luogo a Roma. La star ha svelato la sua scultura in via Condotti, e un tappeto rosso lungo 200 metri è stato steso in suo onore. La scultura è diventato il suo nuovo modo di esprimere le sue emozioni. Ha abbandonato il cinema per un piccolo studio, e anni dopo si è allontanata completamente dal cinema. Ha presentato le sue sculture in mostre in tutto il mondo. Il suo nome ha contribuito ad attirare persone che le hanno offerto ulteriori collaborazioni. Nel 1996, per esempio, ha disegnato un francobollo per la Repubblica di San Marino con un ritratto di Madre Teresa di Calcutta. Il francobollo ha battuto il record di vendite e Gina ha donato il ricavato alla carità della congregazione dei Missionari dell’Amore. “Non volevo fare l’attrice, non conoscevo il cinema, amavo la scultura e avevo una bella voce”, ha confessato anni dopo in un’intervista ad una rivista italiana. Si è anche cimentata nella politica: alla fine degli anni ’90, si è candidata senza successo al Parlamento europeo nella lista italiana di centro-sinistra. Si è offesa verso il cinema, che non aveva nessuna proposta più attraente per lei.

Nell’ottobre 2006 ha annunciato la sua relazione con Javier Rigau y Rafols, un uomo d’affari spagnolo di 34 anni più giovane di lei, che aveva incontrato più di 20 anni prima aduna festa a Monte Carlo. Nel novembre 2010, Lollobrigida e Javier Rigau si sono sposati. E poi… Poi è arrivata una rottura ancora più sontuosa, che non è stata senza ulteriori scandali e notizie di udienze in tribunale. Nel gennaio 2013, ha avviato un procedimento legale contro Javier, accusandolo di frode e sostenendo che aveva precedentemente ottenuto il diritto di agire per suo conto in base a una procura e aveva trafficato per ottenere ulteriori diritti sui suoi beni. “Una volta mi ha convinto a dargli una procura. Gli serviva per alcune questioni legali, e invece temo che abbia approfittato del fatto che non capisco lo spagnolo… Chissà cosa mi ha fatto fi rmare”.

Negli ultimi tempi Gina si mostra completamente tagliata fuori dal mondo, non lascia entrare nessuno in casa sua. Lollobrigida vive in una villa sulla Via Appia Antica a Roma, ma è anche assidua frequentatrice della sua villa a Monte Carlo. Il cinema, i matrimoni, gli uomini, tutte queste vicende l’hanno colpita fortemente rendendola diffidente. Recentemente ha rilasciato un’intervista alla televisione italiana in cui ha confessato che il primo episodio di molestie nella sua vita è avvenuto quando era ancora un’adolescente. “La prima volta è successo quando avevo 19 anni e andavo ancora a scuola. Preferirei non parlare della seconda volta. Ero sposata e stavo iniziando a lavorare nei film”, ha detto. Ha rifi utato di identifi care le persone che l’hanno molestata, salvo dire che uno era italiano e l’altro straniero. Ma nonostante i numerosi scandali, la sua posizione di donna più bella del mondo non è minacciata!

Yvette Żółtowska-Darska: “Mi sento una italiana nata per caso in Polonia”

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Yvette Żółtowska-Darska sullo sfondo del vigneto descritto nel libro di Ference Màté Vigneto Vigneto in Toscana fot. Rafał Darski

Laureata in lingua e letteratura polacca, ha lavorato per l’agenzia pubblicitaria McCann-Erickson, nel consorzio L’Oréal e per la versione polacca della rivista di moda francese Elle. Per sette anni è stata caporedattrice di TVN Style. Dal 2013 si occupa di biografie di sportivi per i bambini, alcune sono state tra i best seller di Empik nel 2015 e 2016.

Quand’è che l’Italia è entrata nella tua vita?

Forse negli anni Ottanta del secolo scorso quando il mio latinista, al liceo di Batory di

Roma, 1966, foto del viaggio dei genitori in Italia / fot. Anna i Stanisław Żółtowscy

Varsavia, utilizzò le foto dei miei genitori per tenere una lezione su Roma e Pompei. In Polonia, in quel periodo, c’era povertà e pochi potevano permettersi di andare all’ovest, io invece avevo tantissime foto dell’Italia, anche se in bianco e nero e di vent’anni prima. I monumenti italiani negli anni sono rimasti uguali. Su quelle foto c’è il mio papà vestito con gli abiti della prima metà degli anni Sessanta, con gli occhiali da dandy posava lungo le strade italiane con le iconiche Fiat 500 sullo sfondo. Mia mamma invece sembrava una vera star dell’epoca, tipo Gina Lollobrigida oppure Sophia Loren. Era una bella donna, indossava vestiti scollati, ballerine e occhiali scuri. Inoltre aveva la vita sottile nonostante fosse nel primo trimestre di gravidanza.

Di gravidanza…?

Esatto, il mio papà, in quel periodo, faceva il ricercatore all’Accademia di Belle Arti di Varsavia e mia madre era una sua studentessa. Si sono innamorati e sposati quando lei ancora frequentava l’università. Sembra una storia d’amore tipica italiana così come il colpo di fulmine nel film Il Padrino. In seguito, dopo essersi laureata nel 1965, mia madre, giovane pittrice molto talentuosa, organizzò le sue mostre per le quali ottenne qualche borsa di studio (quella straniera gli permise di ottenere il passaporto e il visto). Insieme a mio padre decisero di fare una tournée culturale in Italia e Francia. Poco prima di partire scoprirono che mia madre era incinta. Così per la prima volta visitai l’Italia nascosta nel pancione della mia mamma.

Hai foto di quel viaggio?

Certo! Ho creato una serie italiana di questo periodo. I miei genitori viaggiavano in treno. Roma, Venezia, Bologna, Ravenna, Pompei. Mio padre fece tantissime foto delle città, che sviluppò spesso in formato A4. Erano così grandi che poi le usava per dipingere i suoi quadri. Dalla serie italiana dei quadri ce ne ha lasciato solo uno. Si chiama “Firenze“ e ha trovato posto a casa mia. Solo alcuni riconoscono di quale città si tratta, io invece noto subito il fiume Arno e il Ponte Vecchio, i simboli di Firenze.

Parli inglese, francese e conosci anche il latino, ma quando hai imparato l’italiano?

Una mia amica dei tempi dell’università, la giornalista Sylwia Wysocka che attualmente lavora per la PAP a Roma, sposò lo storico corrispondente di Polskie Radio e Radio Wolna

Firenze, 1966, quadro di Stanisław Żółtowski / fot: Yvette Żółtowska-Darska

Europa Marek Lenert. Quando si è trasferita a Roma io sfruttavo ogni occasione per visitarla. Mi sembrava brutto non saper parlare italiano, quindi presi qualche lezione privata. Quando nacque Tosia, la figlia di Sylwia e Marek, io diventai la sua madrina. Il battesimo si tenne a Roma, nella Chiesa di Santa Maria in Vallicella, la cosiddetta Chiesa Nuova. Una cerimonia tipica in un gruppo ristretto: il prete, Tosia, i genitori e i padrini. Poi andammo in un locale vicino alla chiesa per una cena tipica italiana, ovviamente con la pizza. Quell’atmosfera mi affascinò così tanto che mi promisi che, se nel futuro io avessi avuto un bambino, avrei organizzato quel giorno allo stesso modo… E ce l’ho fatta! Milo è stato battezzato nella stessa chiesa, dallo stesso prete e la cena si è svolta nello stesso locale.

Tuo figlio ha la stessa passione per l’Italia?

Milo, che a volte chiamo Maurizio, suo secondo nome, frequenta una classe bilingue con

Firenze, 1966, Anna Żółtowska con dietro Ponte Vecchio. Foto ispirazione per il quadro / fot. Stanisław Żółtowski

l’inglese e l’italiano. Gli piace la melodia della lingua. Vorrei che andasse in Italia a vivere con una famiglia del posto per poter lavorare, conoscere la cultura e lo stile di vita.
Quando era piccolo, lo portavamo sempre in Italia con noi. Mio marito, architetto d’interni, in primavera andava con la macchina alle fiere che si svolgevano a Milano, io invece con il piccolo Milo prendevamo l’aereo e poi, da Milano, ci spostavamo in Toscana. La nostra ‘tappa fissa’ del viaggio era sempre il soggiorno “da Sergio”, ovvero la nostra prima esperienza in un agriturismo. C’era una bellissima casa in pietra con un giardino con vista su San Gimignano. La

Milo con San Casciano dei Bagni sullo sfondo
fot. Yvette Żółtowska-Darska

seconda settimana la trascorrevamo sempre altrove. Mi piaceva tanto scoprire nuovi posti.

T TAURIx+1 i T TAURIx+2, Anna Żółtowska, / i quadri dipinti per la mostra nel 1965 / fot. Yvette Żółtowska-Darska

 

Hai fatto amicizie con scrittori italiani, tra cui Marlena de Blasi.

In Polonia, a quel tempo, i libri sugli stranieri in Italia andavano di moda. Lessi il libro “Mille giorni a Venezia” di Marlena dove descrisse la vita dalla prospettiva di una donna americana sposata con un italiano. Quel libro mi affascinò così tanto che decisi di contattarla. Ci conoscemmo e facemmo subito amicizia. Ci incontravamo con Marlena e suo marito Fernando de Blasi durante ogni soggiorno in Toscana. Marlena, che fa anche la critica culinaria, organizzò una cena per noi su un prato vicino a Firenze, un’altra volta invece preparò una torta che mangiammo a San Casciano dei Bagni dove si svolge la trama del suo libro “Mille giorni in Toscana”. Milo amava giocare agli indovinelli di logica col cosiddetto “signor Fernando”, ovvero il marito di Marlena. Ricordi indimenticabili.

E Dario Castagno?

Dopo aver letto tutti i libri tradotti in polacco sulla Toscana, cercai anche quelli in inglese e così trovai un toscano in carne ed ossa: Dario Castagno. Faceva la guida turistica in Toscana per gli inglesi e mi descrisse come vedeva “l’invasione” turistica di questa regione d’Italia. Dopo che gli ebbi scritto, Dario ci invitò in un vigneto con cui collaborava. Fu

Cipressi in Toscana in autunno / fot. Yvette Żółtowska-Darska

proprio lui a conferire una nuova luce alle “rovinelle di pietra” che eccitano la fantasia dei turisti che sognano di avere una casa in Toscana. Ci spiegò che dopo la guerra gli autoctoni toscani erano stufi di quelle case di pietra con piccole finestre, senza elettricità né bagno. Perciò, quando negli anni Cinquanta cominciarono a costruire le abitazioni spigolose nelle città (orribili dal nostro punto di vista) ma confortevoli, tante persone vi si trasferirono. Oggi quelle case abbandonate, dopo cinquant’anni, valgono milioni di euro ciascuna. Come membro del consiglio di sorveglianza della casa editrice Pascal cercai di convincere Dario a pubblicare i suoi libri in polacco. Sulla copertina di una delle sue

Vista su San Gimignano / fot. Yvette Żółtowska-Darska

opere, che si intitola “Too Much Tuscan Sun”, si trova una mia foto scattata a San Quirico d’Orcia.

Le amicizie con gli scrittori hanno stimolato la tua attività letteraria?

Vedendomi così affascinata dall’Italia e dalla Toscana, tutti erano convinti che un giorno avrei scritto qualche libro sui viaggi in questo paese, infatti cominciai a scrivere ma non sulla Toscana, sui… calciatori. Appena divorziato, lasciai il lavoro all’uffi cio. Mio fi glio aveva solo dieci anni e si appassionava di calcio raccontandomi continuamente dei giocatori famosi. Inoltre, lessi l’autobiografi a di Zlatan Ibrahimović, ex attaccante della Juventus,

Wojciech Szczęsny / con la sua biografi a: SZCZĘSNY. Chłopak, który odważył się być bramkarzem

dell’Inter che oggi gioca nel Milan. Quel mondo mi ha rapito. Decisi di provare a descrivere a modo mio il mondo del calcio ai bambini, con tantissime foto concentrandomi sull’infanzia dei grandi atleti. Così nacque “Messi. Mały chłopiec, który został wielkim piłkarzem” che poi avrebbe vinto il premio nel concorso “Przecinek i kropka” quale “Miglior libro per bambini del 2014” e poi tradotto in 9 lingue. Poi scrissi altri libri di questo tipo: su Ronaldo, Ibrahimović, Lewandowski e Szczęsny, libro che nacque proprio durante il suo trasferimento alla Juventus. Adesso invece non vedo l’ora di poter pubblicare la storia del capitano della ‘squadra azzurra’, Giorgio Chiellini. Sì, lo adoro! Inoltre, vorrei mostrare ai bambini che, nonostante la sua carriera sportiva, si è preoccupato della propria educazione laureandosi in economia e gestione! Ho soltanto bisogno di un editore che sia d’accordo con la mia idea.

Cosa ti piace di più dell’Italia?

Dovrei dire l’arte e ovviamente i monumenti, ma sarebbe una grande bugia. In Italia amo soprattutto… i negozi, oltre ogni cosa, anche del cibo. Per le scarpe vai da Tod’s, per i vestiti invece da Max Mara Per anni facevo le spese in Via Condotti oppure Via de Tornabuoni a Firenze, era un mio rito. Ma diciamo la verità. Mi piace tantissimo lo stile di vita italiano, la tranquillità, il clima, il vino e il calcio. Mi piace proprio tutto. Mi sento un’italiana nata per caso in Polonia, lo dico sinceramente. Un po’ come se, durante il viaggio dei miei, nascosta sotto il cuore della mia mamma, avessi già trovato il mio posto nel mondo.

Lancia Astura III TIPO 233 CORTO 1936 – il carro di Bellona

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È difficile concentrarmi e scrivere: le mani tremano e si stringono a pugno quando vedo dei banditi che distruggono le case dei nostri vicini. Il colore rosso non è più associato a Maranello, ma al sangue degli eroi che ricopre la terra ucraina.

Cari ucraini, resistete! Ricordate che la stragrande maggioranza dei dittatori finisce miseramente in disgrazia. Io credo fermamente che sarà così anche per il vostro carnefice. Gloria all’Ucraina!

La scelta del modello non è quindi casuale, poiché ci riporta ai tempi in cui l’Italia era governata da una dittatura. Il dittatore ai tempi dell’antica Roma era il leader a cui veniva conferito il potere assoluto, soprattutto in tempi di crisi o di guerra. La prima volta successe nel 501 a.C. Doveva averlo visto la dea romana della guerra, Bellona, una donna dal volto crudele, sempre in piedi in marcia sul carro nero di Marte. Bellona aveva un tempio a lei dedicato nei campi marziali romani, dove i senatori dell’impero ricevevano delegazioni da paesi non molto favorevoli a Roma, e dove furono dichiarate guerre e vennero accolti i generali.

La Lancia Astura nasce in un’epoca in cui gli italiani subivano i discorsi pomposi di Mussolini e si lasciavano convincere di poter tornare ad essere un impero, come quello dell’antichità. La monumentale Astura, che fluttuava per le strade di Roma come un transatlantico, era un simbolo ideale della grandezza evocata dai fascisti e divenne quindi la limousine ufficiale del governo. Anzi, divenne un carro su cui i dignitari italiani camminavano verso le guerre, prima in Africa e poi in Europa, per portare alla fine il loro Paese al collasso.

Prima che ciò accadesse, però, il Duce regalò una di queste ammiraglie a Hitler nel 1938, il quale non l’aveva mai veramente utilizzata, preferendo una Mercedes Benz 770. A dire il vero, lo stesso Mussolini preferiva le Alfa Romeo, ne possedeva decine. Col passar del tempo, ogni nuovo modello dell’azienda milanese, guidato dal collaudatore Alfa Romeo Sig. Guidotti, era prima consegnato al Duce, perché potesse esprimerne la sua opinione. A quanto pare Mussolini incontrò l’amore della sua vita proprio alla guida di una 1750 decappottabile, ripetendo più volte il sorpasso dell’Astura, in cui Claretta Petacci si recava con la famiglia ad Ostia. Il 25 aprile 1945 intrapresero insieme l’ultimo viaggio della loro vita, fuggendo da Milano sull’Alfa 6C 2500 Berlinetta Touring del 1939, verso la Svizzera. Tre giorni dopo erano morti e la loro auto, dopo più di 20 anni di attesa in un capannone di campagna, fu acquistata da un ufficiale americano per soli $ 300 per poi essere spedita negli Stati Uniti.

Come accennavo, l’Astura era un’auto monumentale, aulica e, allo stesso tempo, quasi teatrale. Sebbene la sua carrozzeria possa essere maggiormente associata all’Art Déco italiana, ovvero allo stile Liberty, si abbinava ai sempre più numerosi edifici del modernismo fascista.

In Polonia torna ogni tanto l’idea di demolire il Palazzo della Cultura e della Scienza a Varsavia, che è percepito come un simbolo del comunismo, mentre gli italiani guardano al problema dell’architettura lasciata dai fascisti in modo completamente diverso. Trattano quegli edifi ci come parte della loro storia, che non può essere invertita, ma non vogliono tacere né cancellare nulla: ecco com’era [da noi invece di recente, e purtroppo, sempre più spesso, si usa quel “cancelletto per la storia”]. Ecco perché il quartiere romano dell’EUR il quale fu creato nello spirito del fascismo imperiale per l’EXPO del 1942, non solo non fu poi demolito, ma la sua costruzione è andata completandosi quasi fino al 1960, e quindi in un’Italia nuova e rinata. Certo, sono stati rimossi tutti i possibili simboli fascisti: appunto – possibili – perché cosa si poteva fare con l’edifi cio più importante, il Palazzo della Cultura Italiana, noto anche come il Colosseo quadrato, dove il numero di archi di facciata in verticale e in orizzontale fa venire in mente soltanto… Benito Mussolini!

Nel 1931, durante il salone di Parigi, la Lancia presenta due nuovi modelli che segnano la fi ne dell’epoca “greca” e l’inizio dell’epoca “romana”: l’Artena e l’Astura. Negli anni che precedevano la seconda guerra mondiale, la Lancia torinese mantiene uno stretto rapporto con il governo fascista, il quale sosteneva fortemente la modernizzazione dell’industria. Lo dimostrano chiaramente anche i nomi dei nuovi modelli che si discostano dalla tradizione di utilizzare l’alfabeto greco a favore di nomi di località legate al mito fondativo del potere di Roma antica. Abbiamo quindi: Artena, Aprilia, Ardea, Augusta, Ro e Astura, un piccolo fiume del Lazio meridionale e una torre difensiva vicino alla quale la Repubblica Romana nel 338 a.C. sconfi sse le truppe dell’Unione Latina, conquistando così il potere lungo l’intera costa del Mar Tirreno.

Le Astura furono prodotte in quattro serie tra il 1931 e il 1939, per un totale di quasi 3.000 automobili, il che per un’auto di lusso, e quindi piuttosto costosa, [il prezzo del solo telaio della 3a serie era di oltre 38.000 lire] era una cifra abbastanza significativa. Tenendo conto degli ordini del governo era comunque facile da spiegare. Il numero di aziende che hanno sviluppato per loro le carrozzerie ha reso le singole auto molto diverse l’una dall’altra. C’erano delle decappottabili, spider, limousine, berline, coupé, non solo con carrozzerie italiane ma anche prodotte da aziende tedesche e inglesi. Le più belle le dobbiamo però ai virtuosi italiani, come l’Astura 233C Aerodinamica della manifattura milanese Castagna, o una piccola serie prodotta dalla Touring nello stile della Flying Star da loro inventata nel 1931, ovvero con strisce cromate che corrono lungo l’intera vettura e cadono dolcemente verso la parte posteriore, assomiglia davvero a una cometa di passaggio. Alcuni modelli erano destinati prettamente allo sport, vi ricordate la perla del Museo Nicolis, la Astura MM Sport, con la carrozzeria dell’azienda Colli [Gazzetta It. 87]? Soltanto Pininfarina lanciò oltre 50 diverse versioni dell’Astura, erano brevi serie e talvolta anche singole copie.

La più apprezzata fu la serie III [1933-37], di cui 1243 telai lasciarono la fabbrica Lancia pronti per l’installazione, con 2 versioni di interasse. Poiché l’auto non aveva troppa potenza, solo 82 CV, il produttore suggerì che le fabbriche delle carrozzerie dovessero utilizzare le soluzioni più leggere possibili. Nello stabilimento Farina, per ordine di Francesco Bocca, un concessionario Lancia di Biella, furono costruite 6 decappottabili basate su un telaio più corto, il cui nome ufficiale era Lancia Astura 233C Tipo Bocca. Proprio questa versione è rappresentata dal modello Minichamps. Poiché al momento è difficile ottenere i dati sulle dimensioni delle singole versioni di Astura, devo fidarmi dell’azienda stessa. Anche se ha un bell’aspetto, sfortunatamente ha anche dei difetti, per esempio non vi si apre nulla. Ognuna delle quattro versioni a colori è limitata, in modo abbastanza strano: 999 bianche, 150 blu e nere ciascuna, ma solo 50 sono state rilasciate in colore bordò. Come si può vedere dalle foto, io sono proprietario della versione più rara, ma il mio entusiasmo si raffredda al pensiero che Minichamps pensava che nessuno l’avrebbe comprata.

Spero sinceramente che entro il giorno in cui il presente numero della Gazzetta va in stampa, il dio romano Leto avrà il tempo di guardare negli occhi i barbari e gli ucraini saranno già in procinto di ricostruire la loro patria: libera e indipendente.

Lancia Astura III 233C

Anni di produzione: 1933-1937
Esemplari prodotti: 1243 [335 della versione C]
Motore: V-8 17°
Cilindrata: 2973 cm3
Potenza/RPM: 82 CV / 4000
Velocità massima: 130 km/h
Accelerazione: n.d.
Numero di cambi: 4
Distanza interasse: 3100 mm
Il peso a vuoto e le dimensioni dipendono
dalla versione del telaio.

GAZZETTA ITALIA 94 (agosto-settembre 2022)

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I misteriosi sguardi dei Giganti di Mont’e Prama ci osservano dalla copertina del nuovo numero di Gazzetta Italia che a queste sculture di 3 mila anni fa dedica un interessante articolo. I Giganti sono in Sardegna e allora si associano bene con la presentazione di Shardana, l’associazione che riunisce i sardi in Polonia. Ugo Rufino, dopo 7 magnifici anni lascia l’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia e sceglie Gazzetta per raccontare la sua emozionante avventura in terra polacca.

La nostra rubrica sul cinema questa volta si occupa della meravigliosa Monica Vitti, icona del miglior cinema italiano, scomparsa pochi mesi fa. La nuova Gazzetta è uno scrigno di articoli curiosi sulla rotta Italia-Polonia, tra questi segnaliamo “La vita italiana di Tamara Lempicka”, dedicata alla mostra a Lublino, lo splendido approfondimento su “Cristina Campo ed Gustav Herling-Grudzinski”, il resoconto del Torneo di Calcetto Italiani in Polonia e poi cercheremo tracce di italianità a Kety, dove si radunano spesso gli amanti della Vespa polacchi.

Su Gazzetta troverete naturalmente tutte le tradizionali rubriche di cucina, salute, lingua, fumetti, etimologia, motori e da questo numero apriamo anche al design! Insomma correte agli Empik, o chiamateci (505 269 400) per impossessarvi del nuovo numero di Gazzetta Italia!

“Quando la storia ispira la moda”

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NATASHA PAVLUCHENKO HA PRESENTATO MARIA DI ANGLONA BASILICA MEDIEVALE DI NOSTRA SIGNORA REGINA DI ANGLONA

Una serata d’eccezione è stata quella del 6 agosto, dove due città apparentemente così lontane ma in fondo così vicine si incontrano per celebrare la loro storia attraverso la moda. l’evento è stato organizzata dal Comune di Tursi, guidato dal sindaco Salvatore Cosma con il supporto di Presidenza del Consiglio Regionale della Basilicata, Confartigianato Imprese Matera, Provincia di Matera, Gal Start 2020, Matera 2019 e APT Basilicata.

La Splendida Basilica Santuario Santa Maria di Anglona è il magico scenario dove si è svolto l’evento condotto con maestria dai giornalisti Annamaria Sodano e Giuseppe Di Tommaso. Numerosi i personaggi Italiani e Polacchi a formare la ricca platea tra loro oltre alla prestigiosa presenza di Sua Eccellenza Carmine Orofino, Vescovo della Diocesi di Tursi Lagonegro, il Presidente della Regione Basilicata
Vito Bardi, il consigliere regionale Pasquale Cariello, il prefetto di Matera Sante Copponi, I Sindaci di: Matera Domenico Bennardi, di Senise Giuseppe Castronuovo e di Craco Vincenzo Lacopeta, il presidente Confartigianato Rosa Gentile, il Prof. Michelangelo Tagliaferri, il Principe David Vallarelli Braccio D’Oria esperto di Bon Ton e Galateo. Dalla parte polacca, l’Ambasciatore della Polonia in Italia sua Eccellenza Anna Maria Anders, il Presidente di Bielsko-Biala, Jaroslaw Klimaszewski insieme al Vice Presidente Adam Rusniak e delegati dell’Assessorato Cultura e Promozione della città di Bielsko-Biala.

In apertura le parole di sua Eccellenza Carmine Orofino, “La Bellezza Salverà il Mondo” seguite da una lettura, in lingua Italiana, molto emozionante e commovente di Natasha Pavluchenko che racconta l’ispirazione della collezione Maria Di Anglona e come la storia influenza la moda. “Per molto tempo, guardando il mondo stavo cercando qualcosa che mi avrebbe aiutato a fare il passo successivo per le mie creazioni. Questo passo l’ho trovato qui a Tursi dove, guardando negli occhi dell’effige della Madonna, ho avuto l’ispirazione per creare una collezione che sarà la traduzione più profonda dell’intimo interiore e per la propria condizione umana.”

Natasha Pavluchenko, ideatrice artistica dell’evento ha presentato con sfilata le due collezioni che vogliono essere un omaggio alle due città che hanno un posto speciale nel suo cuore. La prima in ordine di apparizione, dal titolo “Maria di Anglona” e rappresenta un tributo alla città di Tursi e alla Santa Maria di Anglona, testimonianza di come la storia influenza e sprona la moda. Durante il suo viaggio in Basilicata, Natasha Pavluchenko è rimasta colpita dalla bellezza della Vergine di Anglona, dal borgo storico di Tursi con la sua splendida collegiata di Santa Maria Maggiore in Rabatana. Ed è proprio la “Pala dell’Altare Maggiore” risalente al 1700 e posta oggi di fianco alla Vergine che ha inspirato le 10 creazioni della collezione che sarà possibile ammirare.

La seconda collezione apparsa su catawalk, intitolata “Everlasting” è un omaggio alla città, Bielsko-Biała, dove la designer vive e dà svago al suo estro e il cui nome evoca il colore bianco. L’etimologia del nome deriva probabilmente dal fiume Biała che significa “bianca” per il colore dell’acqua – bianca, chiara e limpida; altri studiosi associano il nome della città anche allo sbiancamento del lino. Entrambe le collezioni sono state presentate ad Altaroma, in due edizioni diverse nel contesto dell’evento International Couture organizzato da Maria Christina Rigano e durante la prima edizione dell’UrBBan Fusion. Art & Fashion Festival, che ha avuto luogo a Bielsko-Biala lo scorso dicembre. Lo staff della Scuola Europea Accademia di Policoro di Mirella D’Alessandro, ha curato il trucco e il parrucco delle modelle che hanno presentato i prestigiosi abiti di Natasha Pavluchenko.

Idea and Concept by Natasha Pavluchenko

Art designer: Natasha Pavluchenko 

Art choreography: Mateusz Wojtasinski

Production by IFN Network for Natasha Pavluchenko

Dancers: Mateusz Wojtasinski, Mikolaj Strzyz, Damian Kuczmierczyk

Models: Prestige Models Poland & Background Model Management Italy

Make-up & Hair styling by Scuola Europea Accademia di Policoro di Mirella D’Alessandro

Press office & Public relations: Maria Christina Rigano & Michal Jedynak

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Haute Couture Art Night Tursi 2022

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Collezione Maria di Anglona – 06 Agosto 2022 8-10 pm

Il 6 agosto 2022, davanti alla Basilica medievale di Nostra Signora Regina Anglona a Tursi, verranno presentate le collezioni Maria D’Anglona e Bianca / Everlasting della designer polacca Natasha Pavluchenko . Entrambi i modelli provengono dalla nuova linea di moda senza tempo dell’artista che unisce moda, arte e storia. Le origini di Tursi risalgono al V secolo e sono legate all’invasione visigota, guidata dal leggendario condottiero Alaricus. La zona è famosa per la produzione di agrumi, tra cui una particolare varietà di arance che qui furono portate dai Saraceni nell’anno 1000. “E’ un sogno che diventa realtà” – ha detto la stilista, quando si è scoperto che entrambe le sue collezioni d’arte saranno presentate in Italia, in un luogo così unico. Gli ornamenti d’altare situati nella Basilica dell’XI secolo sono stati l’ispirazione per la creazione del primo progetto nel 2020 sotto il nome di Maria D’Anglona. Un anno dopo, viene creata un’altra collezione che unisce moda e arte, intitolata Biała / Everlasting, ispirata alle decorazioni della chiesa medievale di S. Stanisław a BielskoBiała. Questa è l’unica collezione di Natasha Pavluchenko finora, rigorosamente in bianco. Entrambi i progetti, le cui prime esibizioni hanno avuto luogo durante ALTAROMA, sono stati realizzati presso l’Atelier del designer a Bielsko-Biała. Il principale organizzatore di questo evento è il Comune di Tursi, guidato dal sindaco Salvatore Cosma con un featuring speciale di International Fashion Network che unicamente per questo evento particolare vede l’interazione diretta del suo Presidente Manuel Perrotta come organizzatore e produttore. La Confartigianato Lucana, Gal Start 2020, Matera 2019 e APT Basilicata supportano l’evento.

Durante l’evento, che si terrà con il patrocinio dell’Ambasciata della Repubblica di Polonia a Roma, sarà anche promosso UrBBan Fusion. Art & Fashion Festival, organizzato a Bielsko-Biała e dedicato alla moda e alle varie forme d’arte.

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NATASHA PAVLUCHENKO

Stilista, illustratrice, stilista. Donna polacca di origini bielorusse e ucraine, vive a Bielsko-Biała da oltre 20 anni. Il suo bisnonno, anche prima della prima guerra mondiale, gestiva con successo un laboratorio di sartoria nel centro storico di Varsavia. Poi il destino gettò la famiglia in Oriente, nel territorio dell’odierna Bielorussia. Natasha ha iniziato la sua avventura con la moda all’età di 17 anni. Durante gli studi presso il Fashion Design Institute of Modern Knowledge di Minsk, ha creato la sua prima collezione d’autore. Vincere gli Smirnoff Fashion Awards a Mosca (2001) le ha permesso di partecipare alla sfilata internazionale di moda a Dusseldorf, dove è stata elogiata “Discovery of the Year 2002″. I successivi concorsi vincitori e rassegne di moda hanno confermato il suo talento e la maestria artigianale di altissima qualità, oltre a una visione moderna della moda. Le creazioni di Natasha, realizzate nell’Atelier di Bielsko, sono state ammirate in Portogallo, Russia, Spagna, Germania e Azerbaigian. In occasione del 90° anniversario di Fiat Auto Poland, Pavluchenko ha disegnato gli interni della Fiat 500 e i suoi progetti di mobili di design sono stati ben accolti alla fiera di Parigi. Natasha Pavluchenko veste star del cinema e della TV e crea costumi teatrali. Ewa Puszczyńska, la produttrice del pluripremiato film “Ida” (diretto da Paweł Pawlikowski), è apparsa nella sua performance al gala degli Oscar a Hollywood. Il designer ha anche creato il marchio Neo Couture per le donne che apprezzano lo stile individuale, il taglio unico e i materiali di altissima qualità. Progetto MARIA D’ANGLONA Dopo aver organizzato diverse centinaia di sfilate, la stilista ha iniziato a cercare nuove ispirazioni e forme espressive per sfogare la sua creatività. L’idea di una nuova linea di moda le è venuta durante la sua visita a Tursi. Dopo essere tornato in Polonia, il designer ha studiato attentamente i modelli degli altari locali, esaminandoli in termini di origini, colori e storia. Nasce così Maria d’Anglona, una collezione senza tempo, che apre una nuova linea creativa e mostra che la moda può ispirarsi all’arte e diventare arte stessa. “Chiamo questa collezione un progetto perché non voglio limitarmi allo spazio della moda in sé. Volevo mostrare che una storia, a cui spesso non prestiamo attenzione, può essere fonte di ispirazione per qualcosa di moderno “, ha affermato il designer.

Maria d’Anglona è stata presentata per la prima volta a Roma nel gennaio 2020. Il progetto è stato sostenuto dal sindaco della città, dal vescovo locale, dalla comunità di Tursi e da imprenditori della regione. L’effetto ha superato tutte le aspettative.

AŁA / EVERLASTING

Continuando la linea creativa iniziata e trovando un’altra ispirazione negli interni della chiesa più antica di Bielsko sotto il nome di st. Stanisława, la designer ha creato una collezione completamente nuova durante la pandemia, dedicata alla città in cui vive e lavora. “Biała / Everlasting è una collezione insolita per me, una sorpresa in termini di colori. È un simbolo di amore, purezza ed eternità. Il colore della collezione deriva dal nome della città in cui vivo e creo, e ha un’anima straordinaria e una storia incredibile.” – ha confessato Natasha Pavluchenko. La collezione è stata presentata in anteprima mondiale durante Altaroma 2021, nell’ambito della mostra International Couture di Roma.

“È una moda che diventa arte e attinge dalla storia di Bielsko-Biała, dalla tradizione tessile della città, dalla sua architettura, la trasforma e la mostra al mondo. È fantastico che tu possa scoprire anche la storia polacca in questo modo e avvicinarla all’Italia”. – ha dichiarato l’Ambasciatore di Polonia in Italia, Anna Maria Anders, presente alla mostra. Le autorità cittadine, guidate dal sindaco della città, Jarosław Klimaszewski, sono state coinvolte nella creazione della collezione. La collezione è stata creata in linea con il recente 70° anniversario della fusione delle due città, che da centinaia di anni si trovano su entrambe le sponde del fiume Biała.

URBAN FUSION

Festival dell’arte e della moda L’interesse internazionale per le collezioni MARIA D’ANGLONA e BIAŁA / EVERLASTING ha convinto le autorità cittadine a organizzare un nuovo e regolare evento a Bielsko-Biała, rivolto principalmente ai giovani – alunni, studenti e diplomati delle scuole d’arte. UrBBan Fusion. Art & Fashion Festival fa riferimento alla tradizione tessile della città e combina vari tipi di arte in un unico spazio. L’ideatrice principale, Natasha Pavluchenko, è diventata la direttrice artistica dell’evento.

La prima edizione del festival si è tenuta a dicembre dello scorso anno. Negli spettacoli performativi del festival ha unito in modo affascinante: moda, musica, danza e arti visive. I giovani hanno anche potuto partecipare a incontri di masterclass con docenti internazionali, a un vernissage fotografico dedicato alla moda, una mostra di disegni di moda, proiezioni di film su temi di moda e, soprattutto, partecipare a un concorso di moda per persone fino a 31 anni di età , in cui sedevano i rappresentanti della giuria di Polonia e Italia. La prossima edizione del Festival è in arrivo.

Agata Igras: flauto, amore a primo suono

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Nel XXI secolo c’è ancora spazio per la musica classica nella nostra vita? Agata Igras, flautista talentuosa che da anni insegna flauto presso l’Università della  Musica di Varsavia ci parla del ruolo della musica classica nel mondo di oggi e del suo effetto benefico su grandi e piccini. Dà insegnante, con una lunga esperienza, ci indica come incoraggiare i bambini a suonare strumenti e fare musica.

Lei è docente presso l’Università della Musica Fryderyk Chopin di Varsavia. Da dove arriva la sua passione per la musica classica e com’è cominciato il suo percorso musicale?

Vengo da una famiglia senza tradizioni musicali vere e proprie, anche se entrambi i miei genitori hanno orecchio per la musica. Sono stata la prima in famiglia a studiare musica, una scelta arrivata un po’ per caso. Quando avevo 7 anni, durante una vacanza di famiglia in Turchia, ho visto su un maxischermo il videoclip di “Fusion”, che univa in sé la musica classica (Rondò Russo di Saverio Mercadante) e la disco. Mi sono subito innamorata di questa musica e della flautista che la suonava. Canticchiavo continuamente questa melodia. Allora mio papà mi ha comprato ad un mercato locale un flauto di legno da suonare e per riprodurre le melodie che mi piacevano. I miei genitori, avendo notato un particolare talento in me, mi hanno iscritto ad una scuola musicale per testare le mie capacità. L’istruzione musicale vera e propria l’ho cominciata solo nella 4^ classe della scuola elementare, fatto che oggi non succede quasi più perché i bambini iniziano ad imparare da quando hanno 6 anni e quindi ho dovuto recuperare i primi anni del percorso scolastico. Poi, durante i miei studi, presso la stessa università dove oggi insegno, mi sono resa conto che il mio desiderio era quello di insegnare. Sono quindi molto felice che l’università mi abbia offerto un ruolo di insegnare qui. Ormai lavoro all’università da 12 anni, da qualche tempo insegno anche in una mia classe. Oltre a suonare uno strumento, insegnare e sostenere la crescita dei giovani la musica è anche la mia grande passione e quindi adoro questo lavoro.

Per lei al primo posto c’è sempre stato il flauto o ha avuto qualche dubbio riguardo la scelta dello strumento?

Se dovessi cominciare la mia formazione musicale da capo, forse sceglierei uno strumento armonico, per esempio il violoncello, ma non ho rimpianti sulla scelta del flauto. È stato amore a prima vista, anzi a primo suono. Amo tantissimi strumenti quali violoncello e arpa, ma il flauto è da sempre quello che sento più vicino.

Lei ha studiato anche nei Paesi Bassi, ha collaborato con flautisti e compositori di tutto il mondo. Qual è, secondo lei, il ruolo della musica nella cooperazione e comunicazione interculturale?

La musica è un linguaggio universale, capace di superare le diversità, culturali e non solo. Grazie alla musica è molto più facile parlare di diverse culture, scambiare esperienze e dare contributi nella produzione artistica. La musica classica è davvero piena di elementi provenienti da diversi paesi fatto che, per noi musicisti, è molto educativo e ci permette di condividere conoscenze e scoprire diverse tradizioni e usanze.

Ha un compositore italiano preferito? Qual è, secondo lei, l’elemento più importante per quanto riguarda l’impatto italiano sul patrimonio musicale dell’Europa?

Le composizioni italiane per il flauto provengono soprattutto dal barocco e dal primo romanticismo: Saverio Mercadante realizzò le sue composizioni a cavallo tra il romanticismo e il classicismo. Oltre a Mercadante dobbiamo menzionare Antonio Vivaldi, compositore di innumerevoli concerti per flauto, il cui contributo è assolutamente inestimabile. Il mio compositore italiano preferito è però l’operista Giacomo Puccini. Per me l’Italia vuol dire soprattutto opera. Se dovessi fare qualcos’altro nella vita, sarei una cantante d’opera e non una strumentista. Ecco quant’è grande il mio amore per l’opera. Amo la musica di Puccini, la sua ricchezza espressiva, tonale, le armonie senza precedenti. Le sue composizioni sono una fonte dell’ispirazione infinita. E proprio tra le composizioni per l’opera, soprattutto tra le composizioni italiane, ritroviamo bellissime parti per il flauto. Verdi e Puccini, due compositori importantissimi per la storia dell’opera, ebbero una grande influenza nello sviluppo della musica classica in termini di armonia e tonalità. Le composizioni per il flauto negli anni seguenti attinsero molto a questa tradizione. Le melodie composte da Puccini non hanno eguali nella storia dell’opera e dell’orchestra sinfonica in generale.

Torniamo al tema dell’istruzione. Come sappiamo, la musica ha un enorme impatto sullo sviluppo dei bambini. Secondo lei, cos’è importante nella formazione primaria dei più giovani?

La gioia. Ritengo che sia la gioia la cosa più importante, perché grazie ad essa imparare a suonare uno strumento non è più un obbligo, ma diventa un piacere. Suonare un flauto dolce nella scuola elementare è associato a stress e sofferenza, invece questo processo dovrebbe essere un piacere. Suonando possiamo aprirci e trasmettere emozioni positive. Dunque, la cosa più importante è incoraggiare i bambini, fargli vedere che la musica può dargli gioia e in questo modo renderli sempre più interessati e curiosi. Se attiriamo la loro attenzione c’è la possibilità che che restino coinvolti, che gli venga voglia di cantare, ballare, suonare, di toccare uno strumento, strimpellare un po’… Non si sa mai che cosa succede dopo, ma queste attività hanno un’enorme effetto benefico sullo sviluppo del cervello e sulla coordinazione psicomotoria. Si dice che la musica addolcisca i costumi, che è vero, ma secondo me anche calma i nervi. Ci permette di dare libero sfogo alle emozioni, il che è fondamentale per la salute mentale. Oggi bambini e adolescenti fissando gli schermi si staccano dal mondo esterno, dai coetanei, ma anche da se stessi. Tramite la musica posso riprendere contatto con le loro emozioni, guardare dentro se stessi ed esprimersi. Avvicinando i miei figli alla musica già da bambini, ho visto con i miei occhi l’impatto positivo della musica, anche sul loro inconscio. La musica può calmare, stimolare, insomma evocare diverse reazioni e alleviare il disagio. Proprio su queste proprietà si basa la musicoterapia.

Ai primi di marzo ha partecipato ad una conferenza stampa dedicata al flauto re.corder, di cui abbiamo parlato nel numero 90 di Gazzetta Italia. Che cosa L’ha spinta a partecipare a questo progetto?

Prima cosa: sono molto felice che gli ideatori di questo progetto si siano rivolti proprio a me. Devo ammettere che sono rimasta stupita da questo strumento per le sue numerosissime funzionalità e sostengo questo progetto pienamente. Penso che il re.corder possa essere usato in tanti ambiti diversi. E la convinzione delle possibilità di sfruttare le sue modalità nella scuola, nella musicoterapia, ma anche lavorando con le persone con disabilità o con persone anziane mi fa credere ancora di più in questo progetto. Mi auguro davvero che fra poco sia uno strumento ben conosciuto e diffuso.

Lei ha suonato il flauto re.corder? Come descriverebbe questa esperienza?

re.corder

Sì, l’ho suonato, ovviamente. Suonare il re.corder è qualcosa di completamente diverso dal modo tradizionale di suonare il flauto e richiede di adottare alcune nuove tecniche, ma la quantità di suoni che può emettere è davvero straordinaria. Il re.corder si suona normalmente soffiando, ma anche solo toccando i fori. Per me è molto importante il fatto che questo strumento imposta automaticamente l’intonazione e dunque ogni persona che lo suona, anche se non ha un ottimo orecchio musicale, può emettere suoni piacevoli e chiari. Anche quando vogliamo suonare in duetto e suoniamo due note diverse, possiamo essere sicuri che queste note siano compatibili. Questa modalità è tremendamente importante, in quanto rende più facile suonare ai piccoli bambini e li incoraggia ad entrare nel mondo della musica. Pensiamo ad una classe piena di bambini: proviamo a creare una piccola orchestra con i loro strumenti e possono immediatamente capire cosa vuol dire formare un coro di suoni e quanto sia magica questa esperienza, sia per il corpo sia per la psiche. Purtroppo è molto difficile (o quasi impossibile) evocare emozioni positive quando un grande gruppo di bambini che hanno appena cominciato la loro avventura con la musica prova a suonare i normali flauti dolci. Secondo me il re.corder verrà usato soprattutto come strumento di primo approccio con la musica, un primo contatto del tutto positivo. E speriamo che questo tipo di esperienza positiva incoraggi poi i bambini a suonare altri strumenti, magati il violino o il violoncello. Ai bambini sicuramente piacerà la possibilità di creare composizioni complicate con l’uso delle funzioni avanzate del re.corder in modo accessibile a tutti.

Star polacche alla Mostra del Cinema di Venezia (III)

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Festival di Venezia 1961, Alina Janowska, Serge Merlin, foto: Gianfranco Tagliapietra

Dopo una pausa riprendiamo a raccontare le presenze polacche alla Mostra del Cinema di Venezia. Entriamo in un periodo importante segnato da un lato dalle tensioni e critiche verso i dirigenti del festival, dall’altro dal periodo d’oro del cinema italiano che negli anni Sessanta vince ben cinque Leoni d’oro con: “Cronaca familiare” di Valerio Zurlini (1962), “Le mani sulla città” di Francesco Rosi (1963), “Deserto Rosso” di Michelangelo Antonioni (1964), “Vaghe stelle dell’Orsa” di Luchino Visconti (1965) e “La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo (1966).

La fine degli anni Sessanta si caratterizza soprattutto per il movimento di contestazione scoppiato in tutta Europa. Dopo la sospensione del Festival di Cannes nel maggio del 1968 e le tensioni alla Mostra internazionale del nuovo cinema di Pesaro, la crisi dei festival arriva anche a Venezia. Il mese prima dell’inizio della Mostra l’Associazione Nazionale Autori Cinematografici (ANAC) ha annunciato aperta ostilità alla storica rassegna cinematografica accusandola di portarsi ancora dietro il vecchio statuto dell’epoca fascista. Un ulteriore accusa era rivolta al fatto che la manifestazione non riusciva a decidersi se dovesse avere un carattere culturale e intellettuale o dovesse essere più attenta alla mondanità. I contestatori chiedevano l’autogestione del festival, la sospensione dei premi e l’accesso libero alle sale. Gli autori, tra cui Pier Paolo Pasolini, Liliana Cavani e Bernardo Bertolucci, decidono di agire in modo sensato e si presentano dal Direttore della Mostra Luigi Chiarini chiedendo di abolire, per l’edizione del 1968, la cerimonia di premiazione in attesa di un nuovo statuto. I tentativi non portano però nessun risultato. Pasolini pur condividendo la necessità di una trasformazione della Mostra critica l’incapacità di cogliere l’occasione delle proiezioni per creare un “fronte unico non violento”. Bertolucci invece si dissocia apertamente dalla protesta dichiarando: “Impedire le proiezioni a Venezia mi è sembrato un gesto grave quanto bruciare libri nelle piazze (Lidhollywood 2005, p. 119). Dopo il ’68 inizia la marcia verso il cambiamento nella struttura del festival a cominciare dall’abolizione dei premi fino al 1979.

Firma di Kazimierz Karabasz a Bydgoszcz

Per la Polonia era un periodo di importanti partecipazioni alla Mostra che vede nella giuria del concorso principale della 21^ e 25^ edizione Jerzy Toeplitz, grande storico di film, critico cinematografico, fondatore, e per un periodo anche rettore, della Scuola Nazionale di Cinema, televisione e teatro Leon Schiller di Łódź. Si tratta di un periodo importante anche per le numerose presenze e i premi vinti in quel periodo dai polacchi.

Tra i premi del 1960 c’è quello di Kazimierz Karabasz (i cui film quasi ogni anno partecipano tra le sezioni documentario della Mostra), che è uno dei più importanti registi di documentari del dopoguerra, cui film “I musicisti” vince la sezione collaterale ovvero l’11^ Mostra Internazionale del Film Documentario, Scientifico, Culturale e Ricreativo – Film di documentazione sociale. Il fi lm, che racconta le prove di una banda musicale di tranvieri, è uno dei più famosi del regista, inserito perfi no da Krzysztof Kieślowski tra i dieci documentari più importanti del Novecento. Karabasz con il suo cinema cerca sempre di superare gli stereotipi dal punto di vista tematico e di introdurre delle innovazioni tecnologiche (ad esempio luci o la posizione della cinepresa) che presentano l’uomo da un’altra prospettiva. Era un seguace fedele dei neorealisti italiani, e ripeteva spesso che il lavoro del documentarista consiste nella “ricerca di piccoli elementi che compongono, immodestamente parlando, la verità sull’uomo. (…) Un’attenta osservazione e un accumulo dei dettagli che compongono la vita è in grado di cogliere tale verità” (M. Sadowska, Chełmska 21. 70 lat WFDiF).

Un anno dopo in concorso principale si trova “Samson” di Andrzej Wajda, il film sull’Olocausto che però non entusiasma la critica di Venezia e passa senza nessun premio.

L’edizione del 1962 è una delle cinque in cui il Leone d’oro venne consegnato ex aequo al fi lm italiano “Cronaca familiare” di Valerio Zurlini e a quello sovietico “L’infanzia di Ivan” di Andrej Tarkovskij. La 23^ Mostra si distingue per i famosi film in competizione: “Lolita” di Stanley Kubrick, “Mamma Roma” di Pier Paolo Pasolini e il primo lungometraggio di Roman Polański “Il coltello nell’acqua”, che vince il premio FIPRESCI. La sceneggiatura di questo film, scritta dal regista insieme a Jerzy Skolimowski e Jakub Goldberg, nel 2009 è stata premiata al festival “Lato filmów” come miglior sceneggiatura nella storia del cinema polacco. Polański sfrutta nel film una struttura narrativa chiusa, e i protagonisti isolati dal mondo diventano rappresentanti di valori sociali e culturali. Inoltre, basando il fi lm sui dialoghi, il regista non solo ha disegnato perfetti ritratti psicologici dei personaggi, ma ha anche esaminato attentamente i meccanismi del potere e della lotta per conquistarlo.

La Mostra del 1963 vede in concorso un’altra pellicola polacca: “Il silenzio” di Kazimierz Kutz basato, sull’omonimo romanzo di Jerzy Szczygieł. Il film e il libro sono stati creati nel clima tipico del tardo periodo nei tempi di Gomułka, ovvero una lotta mascherata con la Chiesa, volta a suscitare in modo implicito risentimento nei confronti del clero cattolico. Tuttavia, l’artista ha anche affrontato i temi della solitudine umana, dell’intolleranza e dell’indifferenza in un ambiente provinciale chiuso.

Presenze polacche alla Mostra del Cinem di Venezia 1960-1969

  • 21^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, 1960
    KRZYŻACY / I CAVALIERI TEUTONICI di Aleksander Ford (in concorso principale)
    MUZYKANCI / I MUSICISTI di Kazimierz Karabasz (11. Mostra Internazionale del film documentario, scientifico, culturale e ricreativo; Leone di San
    Marco per il miglior film a soggetto)
    OTWARCIE I ZAMKNIĘCIE OCZU / GLI OCCHI SI APRONO E SI CHIUDONO di Konrad Nałecki
    AWANTURA O BASIĘ / BARBARA, BAMBINA DISPUTATA di Maria Kaniewska (12^ Mostra Internazionale del film per ragazzi; Leone di San Marco per il miglior film a soggetto adatto ai ragazzi dagli 8 ai 12 anni)
    MON PETIT NOIR / IL MIO PICCOLO NERO di Jadwiga Kędzierzawska, Jan Laskowski (12^ Mostra Internazionale del film per ragazzi)
    PIRACKI SKARB / IL TESORO DEI PIRATI di Lechosław Marszałek (12^ Mostra Internazionale del film per ragazzi; Osella di bronzo per i film a soggetto adatti ai
    bambini fino a 7 anni)
    SPRING ADVENTURES OF GNOME / LE AVVENTURE PRIMAVERILI DI UNO GNOMO di Witold Giersz (12^ Mostra Internazionale del film per ragazzi)
  • 22^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, 1961
    SAMSON di Andrzej Wajda (in concorso principale)
    DZIŚ W NOCY UMRZE MIASTO / LA CITTÀ MORIRÀ QUESTA NOTTE di Jan Rybkowski (sezione Informativa)
    ŚWIADECTWO URODZENIA di Stanisław Różewicz (Gran premio della 13^ Mostra del filmper ragazzi)
    JADŹKA di Janusz Nasfeter (13^ Mostra del film per ragazzi)
    SZATAN Z SIODMEJ KLASY / IL DIAVOLETTO di Maria Kaniewska (13^ Mostra del film per ragazzi)
    AWANTURA / UN TERZETTO D’AMICI di Lechosław Marszałek (13^ Mostra del film per ragazzi)
    PSOTNY KOTEK / IL GATTO BIRICHINO di Jadwiga Kędzierzawska (13^ Mostra del film per ragazzi)
    PRZYGODA W PASKI / UNA AVVENTURA A RIGHE di Derent, Ryszard Słapczyński, Hursztyn, Karolina Lutczyn, Reginald Lisowski (13^ Mostra del film per ragazzi; Secondo premio per i film a soggetto per ragazzi)
    LUDZIE W DRODZE / LA GENTE DELLA STRADA di Kazimierz Karabasz (Osella di bronzo per i film educativi e di documentazione sociale)
    NIE DRAŻNIĆ LWA / NON STUZZICARE IL LEONE di Tadeusz Wilkosz (12^ Mostra del film documentario)
    PREJAŻDŻKA / LA PASSEGGIATA IN CANOA di Janusz Nasfeter (12^ Mostra del film documentario)
    RÓŻNE BARWY TORUNIA / LE IMMAGINI DI TORUŃ di Maria Kwiatkowska (12^ Mostra del film documentario)
    OKO USTOKROTNIONE / L’OCCHIO CENTUPLICATO di Bohdan Mościcki (12^ Mostra del film documentario)
    OPOWIEŚĆ O ZAMKU WAWELSKIM / LA STORIA DEL CASTELLO DI WAWEL di Zbigniew Bochenek (12^ Mostra del film documentario)
  • 22^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, 1962
    NÓŻ W WODZIE / IL COLTELLO NELL’ACQUA di Roman Polański (sezione Informativa; premio)
    FIPRESCI
    KWIECIEŃ /APRILE di Witold Lesiewicz (sezione informativa) Retrospettiva dedicata alla memoria di Andrzej Munk
    NIEDZIELNY PORANEK / UNA DOMENICA MATTINA (1955)
    SPACEREK STAROMIEJSKI / UNA PASSEGGIATA PER LA
    VECCHIA CITTÀ DI VARSAVIA (1958)
    ZEZOWATE SZCZĘŚCIE / LA FORTUNA STRABICA (1959)
    KOLOROWY ŚWIAT / IL MONDO A COLORI di Jan Łomnicki (5^ Mostra del film sull’arte)
    LEGENDY MÓWIĄ PRAWDĘ / SAPETE CHE… di Lucyna Gulska (5^ Mostra del film sull’arte)
    PŁYNĄ TRATWY / IL BOSCO NAVIGANTE di Władysław Ślesicki [13^ Mostra del film documentario; Gran premio Leone di San Marco per il miglior cortometraggio
    a soggetto (ex aequo)]
    CHOPIN W KRAJU / CHOPIN NEL SUO PAESE di Jarosław Brzozowski, Wanda Rollny (13^ Mostra del film documentario)
    LES NOEUDS / LA STAZIONE DI SMISTAMENTO di Kazimierz Karabasz (13^ Mostra del film documentario)
    KOLOROWE POŃCZOCHY di Janusz Nasfeter (14^ Mostra del film per ragazzi; Leone di San Marco per il miglior film ricreativo per l’adolescenza)
    HISTORIA ŻÓŁTEJ CIŻEMKI / LA STORIA DEI PICCOLI SANDALI GIALLI di Sylwester Chęciński (14^ Mostra del film per ragazzi;Osella d’argento per i film ricreativi per l’infanzia)
  • 24^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, 1963
    MILCZENIE di Kazimierz Kutz (in concorso principale)
    GODZINA PĄSOWEJ RÓŻY / RITORNO ROMANTICO di Halina Bielińska (Gran premio della 15^ Mostra del film per ragazzi)
    O DWÓCH TAKICH CO UKRADLI KSIĘŻYC / I DUE LADRI DELLA LUNA di Jan Batory (15^ Mostra del film per ragazzi)
    DWAJ RYWALE / I DUE RIVALI di Zbigniew Czernelecki (15^ Mostra del film per ragazzi)
    PIERWSZY KROK / PRIMI PASSI di Kazimierz Karabasz (14^Mostra del film documentario)
    HAŁDY / HALDY di Janusz Kidawa (14^ Mostra del film documentario)