Vademecum per capire il caso Venezia

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L’articolo è stato pubblicato sul numero 78 della Gazzetta Italia (dicembre 2019 – gennaio 2020)

MAREE

Lo scorso 12 novembre Venezia ha subito la seconda più grave alta marea della sua storia. L’acqua alta ha raggiunto la punta massima di 1,87, ovvero solo 7 cm meno di quel terribile 4 novembre 1966, che tutti i veneziani ricordano come la terribile “acqua granda”. Dopo quel drammatico 4 novembre il mondo intero aprì gli occhi sulla fragilità di Venezia e della sua laguna. Un ecosistema che i veneziani della Serenissima preservarono per secoli dal processo di insabbiamento che si sarebbe realizzato se, con ingegnose opere idrauliche, non si fossero deviati i fiumi fuori dalla laguna in modo che i sedimenti trascinati a valle dai corsi d’acqua finissero in mare e non in laguna.

Il problema nei secoli si poi invertito. Da quasi un secolo a questa parte la preoccupazione è che la laguna si trasformi da laguna con bassi fondali ad una sorta di braccio di mare. Dal secondo dopoguerra la portata delle alte maree si è intensificata. La marea è la ciclica oscillazione del mare che si registra in tutto il mondo con però diversa portata a seconda della posizione geografica, della forma geometrica del bacino, della profondità. Il Mare Adriatico a causa della sua posizione obliqua estesa da nord-ovest a sud-est e per la sua forma allungata, è una sorta di canale chiuso e presenta escursioni di marea significative. La marea raggiunge il suo picco in concomitanza con il plenilunio e novilunio, ovvero la marea sigiziale.

Su questi fenomeni di marea astronomica influiscono altri fattori tra cui il vento. L’acqua alta a Venezia non si concretizza in alcuna onda, come spesso sento dire dai media, ma invece è un crescere dell’acqua nel bacino chiuso della laguna. E la velocità e la durata della crescita è quello che determina l’acqua alta. Il ciclo delle maree si ripete approssimativamente due volte al giorno: l’intervallo tra due alte (o due basse) maree successive è mediamente di 12 ore. Calcolando che alcune parti di Piazza San Marco vanno sotto a 80 cm sul medio mare significa che circa per 100-150 giorni l’anno nel salotto più bello del mondo c’è acqua alta con tutte le conseguenze che sappiamo, l’acqua salmastra una volta ritiratasi lascia sale marino che risale i muri e sgretola le pietre.

Per capire la relazione tra marea e città va detto che a quota + 110 cm il 12% della città è allagato, a quota + 140 cm si allaga il 59% della città. Con l’ultima marea del 12 novembre era allagato circa l’85% della città. L’allagamento influisce come è noto su tutti gli aspetti della vita cittadina, dalla mobilità pedonale alla navigazione, dalla gestione delle merci al turismo. La misura della marea si prende dallo zero di Punta della Salute che è una media che non equivale al piano di calpestio della città ma è più bassa di qualche decina di centimetri e si avvicina al famoso medio comune marino che era un livello secolarmente definito ai tempi della Serenissima. 

Criticità

È chiaro che non bisogna assolutamente velocizzare la propagazione di marea in laguna, marea che entra attraverso 3 bocche di porto. Ed invece negli anni si è scavato il Canale dei Petroli, un canale dritto e profondo che porta le navi commerciali dalla bocca di porto di Malamocco a Porto Marghera, una via d’acqua in cui l’alta marea corre senza ostacoli velocizzando l’entrata e la portata dell’alta marea. All’interno della laguna sono poi state bonificate alcune aree a Porto Marghera ad uso industriale, bonifiche che hanno sottratto spazio di propagazione dell’acqua all’interno della laguna.

Ad acuire la situazione c’è il riscaldamento globale che comporta l’innalzamento dei mari e nel tempo le maree eccezionali si sono registrate in maniera drasticamente crescente. Il fenomeno della subsidenza naturale è stato moltiplicato dall’uomo quando dagli anni ’30 agli anni ’80 del secolo scorso le aziende di porto Marghera hanno spinto i pompaggi industriali dalle falde acquifere superficiali e il terreno è in parte collassato. Per capire quanto si sia abbassata la città basta vedere nei giorni di bassa marea quanto le scalinate dei palazzi scendano nei canali, scalinate che oggi sono stabilmente sommerse dall’acqua.

MOSE

In seguito all’alta marea del 1966 si cominciò a pensare ad un modello di difesa della città che da un lato prevedeva il rinforzo dei litorali a mare, Lido e Pellestrina, dall’altro individuava un intervento alle bocche di porto. Dopo molti anni di discussioni nel 1992 è stato scelto il progetto chiamato MOSE (Modulo Sperimentale Elettromeccanico), un sistema di paratoie mobili concepite nel 1981 per proteggere in modo sicuro Venezia. Un’opera pensata per rispondere a vari vincoli imposti sia dalla Soprintendenza, la diga doveva avere un basso impatto visivo, sia dalla portualità che doveva essere mantenuta in piena efficienza, fatto quest’ultimo che ha di fatto obbligato a mantenere i canali d’entrata in laguna ad una profondità consistente e quindi a mantenere una portata d’acqua rilevante in laguna.

Il sistema Mose è costituito da 78 paratoie installate sul fondale delle bocche di porto. Si definiscono “mobili” poiché in condizioni normali di marea sono piene d’acqua e restano adagiate nei cassoni di alloggiamento realizzati sul fondale. Quando viene espulsa l’acqua, immettendo aria compressa, la paratoia si solleva, ruotando attorno all’asse delle due cerniere che la collegano al cassone di alloggiamento. Sfruttando la spinta di galleggiamento, le paratoie delle barriere, pur oscillando liberamente e indipendentemente per effetto del moto ondoso, sono in grado di mantenere il dislivello di marea tra laguna e mare. Dalla presentazione del progetto alla posa della prima pietra sono trascorsi 11 anni, il via libera lo diede il premier Berlusconi il 14 maggio 2003.

La comunità scientifica ed il Comune di Venezia negli anni hanno presentato altri progetti denunciando le criticità del MOSE, opera che restando costantemente sott’acqua subisce la corrosione marina. Per evitare gare, si incaricò dell’esecuzione un Concessionario Unico, il Consorzio Venezia Nuova, che nel tempo ha via via assorbito quote sempre maggiori dei finanziamenti stanziati, attraverso la famosa Legge Speciale, per la salvaguardia complessiva di Venezia che prevedeva anche la pulizia dei canali e i finanziamenti per il restauro degli edifici. L’opera doveva costare 3,4 miliardi di euro, ad oggi ne è già costata 5,49 miliardi e non è ancora finita, i tecnici dicono che il completamento è al 94% e si presume servano altri 400 milioni di euro. Il MOSE doveva essere finito nel 2016, attualmente la conclusione dei lavori e la messa in opera è prevista nel 2021. Si ipotizza che una volta terminato il mantenimento del Mose costi circa 100 milioni di euro l’anno. Tutta l’opera è stata segnata da gravissimi episodi di corruzione, sanzionati con pene definitive. 

CONCLUSIONI

Il discorso sulla salvaguardia fisica di Venezia potrebbe durare ancora a lungo, qui ci limitiamo a ricordare che oltre alla salvezza fisica della città oggi emerge un’altra irrimandabile urgenza ovvero quella della salvezza del tessuto socio-economico di Venezia che negli ultimi 40 anni ha perso 70 mila abitanti, ovvero la metà dei residenti, insieme a tanti mestieri, servizi e funzioni. Una città che oggi rischia di diventare una sorta di inanimato baraccone per il divertimento di basso profilo del turismo di massa. Di fronte agli errori commessi finora nel tentativo di preservare la sua laguna chiudo riportando un editto della Serenissima Repubblica di Venezia che mostra con quanta feroce attenzione e saggezza sia sta amministrata per un millennio Venezia: 

“Venezia per volere della Divina Provvidenza fondata sulle acque, circondata dalle acque è protetta da acque in luogo di mura: chiunque pertanto oserà arrecare danno in qualsiasi modo alle acque pubbliche sia condannato come nemico della Patria e sia punito non meno gravemente di colui che abbia violato le sante mura della Patria. Il diritto di questo Editto sia immutabile e perpetuo.”

foto: Sebastiano Casellati

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