Donato Di Gilio: il business italiano ha dato un contributo decisivo allo sviluppo della Polonia

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Manager di grande esperienza, in Polonia da oltre 26 anni e da 24 anni alla guida di CORE, società di consulenza, Donato Di Gilio ha affiancato centinaia di imprenditori e aziende nei loro progetti di sviluppo in Polonia, Paese che secondo il direttore del Centro Studi della Camera di Commercio e dell’Industria Italiana in Polonia, è ancora una grande opportunità per le aziende “sane” che cercano nuovi mercati.

La Polonia è ancora uno dei mercati più appetibili d’Europa?

In un mondo “globalizzato” o meglio “interconnesso” ogni attore, privato o azienda, ha oggi davanti a sé diverse possibilità di orientare le proprie scelte, opportunità che prima del 1989 non erano tali. L’Unione Europea è un mercato unico senza barriere che i nostri padri e nonni non avrebbero potuto immaginare. C’è ancora molto da migliorare in Europa ma non certamente nella logica del “buttare via il bambino con l’acqua sporca” come invece oggi alcuni paventano. Rispondendo alla domanda un’azienda si muove, in questo contesto di libera circolazione, se è “sana”. Da questo punto di vista il mercato polacco è oggi nell’Unione Europea, e non solo, uno dei più interessanti dove investire grazie ad un ambiente in cui il proprio impegno imprenditoriale e personale viene premiato da risultati economici spesso migliori che in altri Paesi che non offrono condizioni così “business friendly”. La Polonia si trova ancora, a mio parere, in un trend positivo nell’attrarre investimenti diretti esteri che, come sappiamo, sono uno degli indicatori fondamentali per garantire ai Paesi un positivo sviluppo oltreché essere la misura della “buona salute” del mercato di riferimento. Su questo punto ricordo che nel 2016 sono affluiti in Polonia circa 12,6 Mld di Euro di IDE (investimenti diretti esteri), un risultato dovuto principalmente alla stabilità del sistema della Polonia rispetto alle varie turbolenze economiche e geopolitiche osservate in altre parti del mondo. Ad ulteriore conferma dell’ambiente positivo vorrei sottolineare la predominante quota di utili reinvestiti e classificati come IDE da parte di aziende già operanti in Polonia, testimonianza questa del favorevole clima imprenditoriale offerto dal Paese. I principali indicatori economici dello scorso mese di giugno, secondo i dati del Ministero polacco per l’imprenditorialità e la tecnologia, parlano di una crescita annuale del PIL stimata nell’ordine del 5,2% trainato dalla domanda interna, di una produzione industriale che aumenta del 6,2%, di una inflazione (CP) dell’1.6%, di una disoccupazione del 5,9%. Indicatori evidentemente positivi che ci fanno dire che la Polonia è un Paese con una crescita consolidata e continua. Naturalmente vi sono anche elementi di criticità da non sottovalutare, per esempio in riferimento al mercato del lavoro dove le aziende devono affrontare problemi di reperimento di risorse umane prima impensabili ed in prospettiva anche il possibile aumento dei costi energetici. Due importanti fattori questi che potrebbero rendere più difficile la crescita del paese negli anni futuri se non governanti con attenzione e lungimiranza tenendo in giusta considerazione le istanze della classe imprenditoriale e della società civile.

Per investire è importante passare attraverso una consulenza invece di affrontare da soli la burocrazia polacca?

Investire in un Paese straniero è sempre una sfida importante che comporta dispendio di energie non solo economiche e finanziarie ma soprattutto umane e mentali in particolare dell’imprenditore e del suo team. Avvalersi dell’assistenza di società di consulenza o di realtà istituzionali che possano favorire la conoscenza del Paese non è obbligatorio ma è altamente consigliato, anzi può fare la differenza tra un investimento che poggia sulla “roccia” ed uno che invece si fonda sulla “sabbia”. Non è solo una questione di competenze professionali – che si dovrebbero dare per scontate se ci si avvale di professionisti di fama o di comprovata esperienza – ma soprattutto della conoscenza dell’ambiente, degli usi, delle consuetudini locali, è importante quindi contare su professionisti in grado di calare il progetto imprenditoriale nella realtà locale e dotati anche di forti relazioni istituzionali. È opportuno prendere in considerazione questo approccio che pur modulabile rispetto alle proprie necessità, è abbastanza imprescindibile se si vuole realizzare progetti vincenti.

 

Dalla caduta del muro di Berlino ad oggi com’è cambiato il mercato polacco, ovvero quali spazi sono stati saturati e quali invece sono ancora interessanti?

Vi sono settori dell’economia dove gli spazi di intervento sono ancora elevati, penso per esempio alle innovazioni tecnologiche dove, per ammissione degli stessi governanti, la Polonia è ancora fanalino di coda o quasi in Europa nonostante le forti dotazioni di fondi EU e governative che stanno finanziando molti progetti altamente innovativi. E poi c’è spazio nelle infrastrutture dove ancora molto è da realizzare (a condizione che il governo ponga in essere delle normative di buon senso che accelerino le decisioni in materia di appalti), nel turismo, nel settore aerospaziale, nelle biotecnologie e nel farmaceutico, nei servizi alla persona, nei servizi outsourcing BPO e nella realizzazione di Centri Servizi Condivisi (SSC). Dalla caduta del muro di Berlino è cambiato tutto e ancora sta cambiando. Negli anni Novanta la Polonia aveva necessità di aiuto e supporto, di investimenti, di know how, di risorse umane con esperienza e soprattutto di ricominciare a credere in sé partendo dall’esaltante esperienza di Solidarnosc. Col passare degli anni il Paese ha riscoperto la consapevolezza delle sue capacità (compresse ma non annullate dal 1939 al 1989), ha recepito velocemente le innovazioni, ha creato le condizioni per elevare il livello di conoscenza delle giovani generazioni, ha fatto tesoro e beneficiato dell’adesione prima alla Nato e poi e soprattutto all’UE ed ha saputo cogliere le opportunità che le venivano offerte valorizzandole e spesso incrementandole – per esempio con il magistrale utilizzo dei fondi europei, la capacità di attrarre investimenti nelle ZES (Zone Economiche Speciali) e il piano delle infrastrutture – insomma si è trattato di un cambiamento epocale.

Molti media sottolineano un recente clima politico in Polonia teso a favorire il capitale polacco rispetto a quello straniero. Quanto c’è di vero?

Che l’attuale governo sul fronte imprenditoriale voglia rimodulare la presenza di capitale polacco pubblico in alcuni ambiti strategici è provato ed è reale. Penso, per quanto ci riguarda, all’acquisizione da parte del settore pubblico polacco della maggioranza delle azioni di Bank Pekao da Unicredit (in realtà sfruttando la necessità di Unicredit di cedere questo importante asset), e poi alla creazione del fondo PFR (di fatto la Cassa Depositi e Prestiti polacca) che ha permesso il consolidamento di molte realtà preesistenti, sempre statali ma autonome, sotto un’unica regia e visione ed all’uso di questo strumento per rafforzare aree strategiche dell’economia polacca. Non direi però che vi sia una esorbitante invasività dello Stato polacco in economia o il tentativo di “bloccare” o disincentivare gli investimenti esteri che, con buona pace di tutti, hanno rappresentato e rappresentano una buona parte del PIL polacco senza il quale certi risultati non sarebbero stati raggiunti. Piuttosto direi che per motivi “culturali”, coerentemente a certi venti che spirano in Europa (anche in Francia ed in Italia), lo Stato polacco vuole essere presente non solo come semplice comprimario ma anche come importante attore dello sviluppo del Paese.

Come si è evoluta la presenza del business italiano in questi ultimi 20 anni?

La presenza italiana in Polonia si è evoluta seguendo il trend del Paese e sviluppandosi in funzione della sua crescita. Oserei dire che l’Italia ha contribuito in modo decisivo allo sviluppo del paese anche in questi ultimi 29 anni, dico “anche” perché le relazioni italo-polacche declinate in vari ambiti hanno radici secolari. Nel business siamo passati da investimenti puramente industriali finalizzati a produrre beni sfruttando il basso costo dei principali fattori della produzione (personale, energia) ad investimenti sempre più sofisticati che hanno beneficiato anche del parallelo incremento delle competenze del personale locale e del miglioramento progressivo delle condizioni economiche del Paese, del suo export (a cui abbiamo molto contribuito) e del mercato interno. Sono presenti aziende italiane che hanno investito in servizi, infrastrutture, nell’agro-alimentare, nella finanza e nel credito, nella chimica e nel farmaceutico, nella logistica, nella meccanica e molte aziende che operano nel commercio all’ingrosso e al dettaglio. E gli investimenti italiani hanno anch’essi contribuito non solo allo sviluppo del PIL ma anche a mio parere all’incremento ed al consolidamento di un positivo clima economico polacco mediante una sorta di virtuosa “osmosi” tra la nostra cultura imprenditoriale e il desidero degli imprenditori polacchi di svilupparsi ed emergere. Oggi la realtà italiana nel paese è molto variegata in termini di mercati ed in termini dimensionali ed è rappresentata da oltre 2500 aziende di cui circa 1300 sono le società di capitali. Il business italiano in Polonia da lavoro ad oltre 80.000 persone e l’Italia rappresenta il quinto partner commerciale del paese ed il settimo dal punto di vista degli IDE (elaborazione Centro Studi Camera di Commercio su dati GUS e NPB 2017).