Atelier Pietro Longhi

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L’abito, da secoli il più veritiero degli status symbol

“Il vestito è l’oggetto che più in assoluto è in grado di rappresentare un’epoca. Così quando mi chiedono perché è importante studiare la moda e la storia dei costumi rispondo che lo è per lo stesso motivo per cui si studiano latino e greco antico. Devi conoscere le tue origini se vuoi capire chi sei e costruire un futuro coerente.”

A parlare così è Raffaele Dessì, sardo trapiantato a Venezia, che da anni lavora all’Atelier Pietro Longhi fianco a fianco con il noto sarto-costumista Francesco Briggi. Una coppia di artigiani, profondamente preparati sulla storia dei costumi civili e militari europei, protagonisti con le loro creazioni del Carnevale di Venezia e coinvolti per consulenze e allestimenti in molti musei italiani tra cui: Forte di Bard (Val d’Aosta), Castello di Malconsiglio (Miglionico), il Museo diffuso delle Grotte di Valstagna che include il museo della carta di Oliero, Castelbrando (Cison di Valmarino, Treviso), Museo della Grande Guerra a San Michele di Piave, Museo “Casa Goldoni” a Venezia, senza dimenticare l’abito esposto a Pitti durante la mostra “I tesori della fondazione Buccellati”.

Il Carnevale di Venezia è la manifestazione al mondo che maggiormente sollecita l’uso di costumi d’epoca, mascherarsi per celarsi o per svelarsi?

A Venezia, diversamente da altri carnevali, la maschera sul volto ha oggi una importanza relativa, la si usa poco e perlopiù per strada ma una volta entrati ad una festa la si toglie e si è un tutt’uno con il costume scelto. Diciamo che si vuole essere autenticamente la persona che l’abito rappresenta: una dama del Settecento, un soldato napoleonico, la regina Sissi o il Doge! E per soddisfare questa richiesta di impersonificazione di un personaggio, che esprime spesso la nostra vera anima, noi costumisti dobbiamo rispondere dando abiti veritieri, filologici. Lurex, plastica o paillettes incollate a caldo li posso usare per una festa anni Settanta o futurista, ma se si tratta di un abito del Cinquecento devo cercare materiali coerenti. Oggi come duemila anni fa, il valore del vestire è dato dalla qualità dei tessuti e delle finiture, sia per un abito filologico sia per uno di fantasia, che hanno comunque pari dignità, l’importante è la sincerità del lavoro e alla fine l’impatto visivo premia questo tipo di approccio. Per esempio se una ragazza vuole essere Sissi deve decidere se intende la fanciulla con l’abitone bianco e centinaia di fiorellini di seta a attaccati a mano, o la principessa con l’abito col “cul postiche”, così se un uomo ci chiede un fine Settecento deve specificare se veneziano, parigino o londinese, quest’ultimo ad esempio era già esteticamente emancipato ed iniziava ad usare un tipo di giacca informale, la “riding coat” francesizzata in “redingote”, più comoda e di colori naturali. Abito che nella stessa epoca a Vienna o Firenze sarebbe stato considerato da poveri.

Avete mai avuto richieste particolari?

Diciamo che serviamo ogni tipo di cliente, italiani e internazionali, di tutte le classi sociali fino a chi si può permettere un pizzo originale in filo d’oro del Settecento o di dire io non vesto cristalli ma solo diamanti, e ci dà brillanti veri da cucire sui vestiti. Riguardo richieste di tagli o linee pruriginose invece direi di no, anche perché un vero decoltè del Cinquecento lascia già ben poco spazio all’immaginazione ed il bustino aiuta ad avere una postura perfetta, senza contare che l’uomo rinascimentale aveva le gambe coperte solo da una calza. Certe persone si vestono provocanti tutti i giorni, non serve farlo a carnevale.

I vestiti nascono su richiesta o su vostre curiosità?

In genere sono il frutto dell’ispirazione di Francesco Briggi, un sarto che ha una straordinaria cultura iconografica e dei materiali oltre ad una sconfinata creatività. A volte è davanti ad un quadro o camminando nel magazzino di una grande casa di tessuti come Rubelli che gli viene l’ispirazione. Vede un colore o un dettaglio stilistico che gli scatena l’immaginazione e il piacere di riprodurlo. Divertente è ad esempio la serie di tableau vivant realizzati riproducendo scene e abiti di quadri d’epoca. Fortunatamente esistono molte fonti per realizzare abiti filologici, quadri ma anche abiti originali conservati nei musei – tra cui la magnifica collezione Pitti, accessibile solo a studiosi muniti di guanti – e collezioni private. É poco noto ma ci sono frequenti aste di abiti originali di tutte le epoche, per un particolare bustino si è arrivati a pagare 60 mila euro! Bustino che naturalmente sarà tenuto in casa come un quadro di Tiziano e non sarà mai indossato, anche perché i fisici di oggi sono ben diversi da quelli di 300 anni fa. Le uniformi sono invece un capitolo a parte. Ci sono trattati che definiscono ogni dettaglio di una divisa militare, ma sono pochi i sarti in grado di spendere ore a decifrare testi in veneziano o francese sette-ottocentesco, e anche per questo a volte vedo divise che più che da ussaro mi sembrano da domatore di leoni.

Ci sono molti atelier in Europa che lavorano con un approccio così filologico?

Non molti. Ne conosco uno buono al sud della Francia ed uno in Inghilterra, poi naturalmente ci sono tantissimi privati che dedicano anni per realizzare in maniera filologica il loro vestito, ma qui si tratta di appassionati individuali e non di atelier. A Venezia abbiamo la fortuna che con coraggio e ostinazione sono rimaste, proprio qui tra calli e campielli, una serie di realtà assolutamente uniche sul panorama mondiale, tipo i tessuti Bevilacqua che hanno i telai del Settecento. Ovvero è sopravvissuta fino ad oggi quella conoscenza veneziana che per secoli fu garanzia di buona manifattura. Telai salvati dall’invasione napoleonica e dalla volontà di cancellare la produzione veneziana a favore di quella nascente lionese.

I costi per realizzare un abito o noleggiarlo per una festa dipendono dalla complessità delle lavorazioni e dai tessuti?

Certo. Abbiamo il prezziario del noleggio online (www.pietrolonghi.com) e per quanto riguarda la realizzazione di un vestito ex novo spieghiamo al cliente nel dettaglio i diversi costi di tessuti e lavorazioni.

Qual sono gli abiti che amate di più?

A livello personale io adoro vestirmi da veneziano dei primi del Seicento mentre Francesco preferisce la moda parigina del breve periodo che va dalla rivoluzione francese al triunvirato, periodo in cui la nobiltà temeva di ostentare e usava abiti meno preziosi come tessuti ma d’alto livello sartoriale. Poi naturalmente amiamo gli abiti realizzati a Carnevale per il Volo dell’Aquila, ovvero per il Volo dal Campanile di San Marco di una persona che impersona una diversa vitalità e forza rispetto al Volo dell’Angelo. Sono abiti che hai prima studiato e cucito per mesi, che escono dalle tue mani, e d’improvviso li vedi portati da un personaggio famoso che scende dal Campanile della Piazza più bella del mondo… sono emozionato solo a parlarne. Ogni anno è poi affascinante seguire le 12 Marie del Carnevale che si contendono la palma di più bella. Una antica tradizione che al di là della ricostruzione filologica ha il merito di far provare a delle giovani ragazze l’esperienza unica di girare tra i palazzi più esclusivi della città trattate come delle regine. Ragazze che per la prima volta vengono attentamente seguite nella vestizione, nell’acconciatura e perfino nel modo di muoversi con lezioni di buone maniere.

Possiamo dire con un certo orgoglio che nella moda, contemporanea o rievocativa, sartoriale o di massa, il nostro Paese – che recentemente ha perso una figura come la Sozzani, geniale direttrice di Vogue Italia – continua a giocare un ruolo importante?

La Sozzani è stata una grande perdita. Una donna dotata di cultura e coraggio, anticonvenzionale e onesta nel voler far capire la differenza tra moda e marketing. Indimenticabili le sue campagne sull’anoressia e sull’inquinamento, ed è stata l’inventrice delle fashion night per raccogliere fondi contro l’AIDS. Ha segnato un’epoca e sono veramente curioso di vedere il documentario su di lei. L’Italia rimane comunque da secoli la patria della moda, in passato era la sfida tra la seta veneziana e il panno fiorentino, oggi non dimentichiamo che, oltre a firme come Valentino, Armani, Versace, le maggiori case francesi hanno perlopiù stilisti italiani. E la più importante scuola di moda, l’Istituto Marangoni, è italiana.