Grand Tour

0
2069

Karolina Kij

Tre viaggiatori dell’Europa del Nord, il principe Ingmar Neville, l’artista Albert Dupré ed il commerciante Alphonse Nodier, arrivano nell’esotica Napoli settecentesca e davanti ai loro occhi si apre una vista così incantevole che “non poterono quasi reprimere un grido d’ammirazione”, è la descrizione con cui inizia uno dei romanzi di una scrittrice novecentesca italiana, Anna Maria Ortese, intitolato “Il cardillo addolorato”. In questo inizio del romanzo riecheggiano i viaggi fatti nell’arco di secoli da numerosi stranieri nel paese di Dante, tra cui anche dei viaggi britannici definiti come “Grand Tour”. Quando nel XVI secolo il re Enrico VIII fondò la chiesa anglicana, basata in gran misura sulle basi del Protestantesimo, una parte degli abitanti delle isole britanniche, per forza di cose, ruppe con la tradizione medievale di andare in pellegrinaggio in Italia. Non vuol dire però che quegli inglesi smisero di visitare l’Italia, anzi: più o meno nel 1600 proprio in Inghilterra nasce l’uso di fare il “Grand Tour”, che fiorisce, sia tra cattolici che tra protestanti, fino agli anni quaranta del XIX secolo, il periodo in cui si sviluppano i trasporti ferroviari di massa. Da allora i viaggi smettono di essere un privilegio di pochi, e le mete turistiche iniziano addirittura a pullulare di visitatori, il che suscita il dispiacere degli opulenti “Grand Tourists” che vanno in cerca di esperienze eccezionali, a cui hanno accesso solo le élite. Il Grand Tour era il viaggio dei giovani rappresentanti dell’aristocrazia e degli intellettuali europei, lo scopo era principalmente l’allargamento degli orizzonti, la conoscenza del mondo e della cultura, lo sviluppo di un gusto artistico e l’apprendimento delle buone maniere. L’uso proveniente dall’Inghilterra diventa popolare anche tra altri giovani ricchi dell’Europa del Nord protestante. Il termine Grand Tour  viene usato per la prima volta da Richard Lassels nella sua guida “An Italian Voyage” del 1698. I giovani inglesi che partono da Dover, dopo aver visitato Parigi, solitamente vanno in Italia e iniziano il loro itinerario a Torino. Alcuni rimangono un po’ in Piemonte, altri, invece, vanno avanti subito: a Venezia o a Roma. Inizialmente è proprio Roma la città più a sud ad essere visitata da nobilità, intellettuali o artisti; più tardi, quando iniziano gli scavi ad Ercolano (1738) e a Pompei (1748) anche questi due posti, assieme a Napoli, vengono inclusi nell’itinerario di alcuni viaggiatori. Altri posti in Italia visitati volentieri dai “grand tourists” sono Firenze, in cui viaggiatori esteri talvolta permanevano qualche mese, Pisa, Padova e Bologna. Dopo la partenza dall’Italia i turisti inglesi visitano i paesi germanofoni, l’Olanda e le Fiandre, per poi tornare in Inghilterra attraversando il canale della Manica. Anche se il Grand Tour, in linea di principio, è un viaggio che deve completare l’istruzione dei futuri politici o artisti, i viaggiatori sprecavano una notevole parte del tempo a scopi meno nobili: ubriacature, giochi d’azzardo o incontri amorosi (infatti, alcuni inglesi tornano nel loro Paese infettati con malattie veneree). Comunque la tradizione di fare il Grand Tour esercitò, senza dubbio, una grande influenza sulla cultura dell’Europa del Nord: proprio grazie a quei viaggi il classicismo giunse dall’Italia in questi paesi. È impossibile non menzionare, parlando di Grand Tour, le tracce letterarie di questo fenomeno. Uno dei libri che narra un viaggio dell’istruzione verso l’Italia è un romanzo pubblicato nel 1908, intitolato “Camera con vista”, di E. M. Forster, adattato per il grande schermo nel 1985 da James Ivory. Lo sfondo della storia d’amore di una giovane ragazza, Lucy Honeychurch, è parzialmente Firenze e parzialmente la campagna inglese. “Camera con vista” fa riferimento al fatto che nella seconda metà del XIX secolo fare il Grand Tour divenne una parte dell’istruzione delle signore dell’alto ceto sociale. Bisogna aggiungere, conlcudendo, che fecero quel viaggio personaggi illustri come John Milton, Laurence Sterne, George Byron, Johann Wolfgang Goethe, Wolfgang Amadeus Mozart, Michel de Montaigne, Montesquieu. Fra i “grand tourists” c’erano anche molti polacchi: Giovanni III di Polonia, Stanislao Augusto Poniatowski o Izabela Czartoryska.